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282-bis e ter e misure cautelari 

Da qualsiasi prospettiva lo si consideri il tema delle misure cautelari di cui agli artt. 282 bis e 282 ter c.p.p. prospetta la necessità di un inquadramento generale, proprio in considerazione del fatto che la loro specificità non può non inserirsi nel contesto generale della tematica della restrizione della libertà personale

            Il primo dato da considerare è quello relativo al fatto che le misure attengono a quello che può essere definito un “fenomeno sociale”, per cui il reato è legato al fatto di reato ma anche al suo autore ed alla sua vittima secondo una stretta correlazione.

            In altri termini, si tratta di delitti che hanno una precisa e spiccata caratteristica sia nella loro possibile progressione criminosa, sia per il rapporto stretto tra il suo autore la sua vittima (che risultava agevolmente identificabile e correlata).

            Questi elementi consentono, per un verso, di poter dare risposte globali coinvolgendo attività sanzionatorie, preventive, culturali, rieducative, solidaristiche, per un altro, di utilizzare le risposte in chiave soggettiva su autore e vittima (intesa anche in senso ampio, come si dirà).

            Questi stessi elementi consentono di calibrare meglio le risposte delle modalità restrittive sui due soggetti coinvolti (autore e vittima) come è sottolineato dall’evoluzione contenutistica della misura e dalle sue modalità applicative (si pensi alla fissazione delle distanze, all’uso delle armi, ora sostituito dal coltello, alla previsione speciale rispetto alla disciplina generale in tema di braccialetto); alle modalità delle condotte lesive (deturpazione del viso), come emerge dai successivi interventi normativi, anche d’urgenza.

            In questo stesso contesto trovano collocazione anche le nuove misure precautelari, sia da parte della p.g. (art. 384 bis, comma 1, c.p.p.), sia da parte del p.m. (art. 384 bis, comma 2, c.p.p.), senza escludere anche la previsione della flagranza differita (art. 382 bis, c.p.p.).

            Sempre nel riferito ambito evolutivo vanno considerate le tempistiche dell’azione della p.g. (art.  347, comma 3, c.p.p.), del pubblico ministero (art. 362 bis, c.p.p.) e del giudice (art. 362 bis, comma 3, c.p.p.).

            Un’ulteriore conferma di quanto detto emerge con chiarezza dalle profonde deroghe che regolano le misure cautelari di cui agli artt. 282 bis e 282 ter c.p.p. rispetto al quadro generale.

            Il riferimento è ai limiti di pena (art. 280 c.p.p.), all’implicazione dell’arresto di p.g. (art. 391 c.p.p.), all’applicabilità delle misure anche in casi di prognosi di sospensione condizionale (art.  275, comma 2 bis, c.p.p.) ovvero di pena inferiore ai tre anni (art. 275, comma 2 bis, c.p.p.), alla disciplina dell’aggravamento conseguente alla manomissione del braccialetto (art. 276, comma 1 ter, c.p.p.).

            L’elemento ulteriore da considerare e che è alla base della disciplina sta proprio il fatto che si tratta di una attività che non si è conclusa con il suo esito finale (la morte della vittima, da cui femminicidio, appunto), ma che è maturata con una possibile attività progressiva di cui alcuni comportamenti che già consentono iniziative “cautelari” variamente avviate (come nel caso del questore) e progressivamente incrementate alla luce di una valutazione della qualità e quantità del rischio.

            Una disciplina particolare è dettata anche in tema di revoca e sostituzione delle misure, nonché in caso di scarcerazione e evasione.

            Per quanto attiene alla scarcerazione ed all’evasione il tema è disciplinato in modo puntuale dall’art. 90 ter c.p.p. e per la fase esecutiva dall’art. 659, comma 1 bis, c.p.p. ad ulteriore conferma della specificità della disciplina qui considerata.

            Con riferimento all’art. 299 c.p.p., dopo aver ricordato quanto previsto dall’art. 275 in relazione ai ricordati disposti della sospensione condizionale (art. 275, comma 2 bis, c.p.p.) e dalla soglia dei tre anni (art. 275, comma 2 bis, c.p.p.), il punto strategico della disciplina è costituito dall’inammissibilità della richiesta di revoca o sostituzione delle misure disposte (non solo quelle di cui agli artt. 282 bis e 282 ter c.p.p., ma più in generale quelle a tutela della vittima (artt. 283, 284, 285 e 286 c.p.p.) (escluso quindi il ritiro del passaporto e l’obbligo di presentazione alla p.g.).

            In materia si segnalano due sentenze delle Sez. unite ed una pronuncia della Corte costituzionale.

            A tale proposito va segnalato che il Collegio riunito, chiamato a pronunciarsi sulla materia dei reati di violenza alla persona ha specificato che non è necessario che si tratti di un espresso rapporto interpersonale e con riferimento alla condizione per la notificazione alla persona offesa che è necessaria che ci sia stata una formale elezione di domicilio e che in caso di morte i diritti spettano ai sopravvissuti.

            Le Sezioni Unite hanno altresì escluso che in caso in cui il giudice si sia pronunciato anticipatamente rispetto alla scadenza dei due giorni previsti dall’art. 299 c.p.p. alla persona offesa non è riconosciuta la legittimazione ad impugnare, ma solo il potere di sollecitare a tal fine il pubblico ministero.

            Va sul punto sottolineato che esclusa ogni informativa nel caso di iniziativa d’ufficio del giudice, l’avviso è compito del p.m. in caso di sua iniziativa e che emerge un mancato coordinamento nei casi di perdita di efficacia della misura; probabilmente giustificata, come nel caso della domanda di riesame o di appello da parte dell’imputato, dalla considerazione già emersa dall’esclusione della legittimazione ad impugnare, che l’offeso non è una parte processuale.

            Quanto alle difficoltà connesse – nei piccoli centri – dalla previsione della distanza dei 500 metri, la Corte costituzionale – senza affrontare la questione della possibilità per il giudice di fissare una distanza inferiore, ha ritenuto che il soggetto destinatario della limitazione, per rispondere alle sue necessità, possa recarsi nelle località vicine per le sue necessità ma che in ogni caso è legittimo il ricorso al braccialetto, trattandosi, nel caso delle misure di cui agli artt. 282 bis e 282 ter c.p.p., di misure restrittive tollerabili.

            Si sottolinea anche sotto questo profilo la disciplina del braccialetto per reati cui considerati rispetto a quanto disposto in termini generali dall’art. 275 bis, c.p.p.

            Rilevano in materia le modalità applicative dell’art. 97 bis disp. att. c.p.p. e quindi le difficoltà tecniche e operative all’installazione del braccialetto.

            In ogni caso, confermando l’impostazione generale che presidia la materia – quella dell’esclusione degli automatismi limitatamente al principio di proporzionalità – la Corte ha escluso che nell’impossibilità tecnica del mezzo ovvero in caso di una sua manomissione sia obbligatoria la misura più grave, dovendo invece il giudice valutare la situazione concreta di pericolosità del soggetto.

            Il panorama va completato con le previsioni per le quali le modifiche della situazione restrittiva determinano, in caso di revoca o sostituzione, l’informazione ai servizi sociali socio assistenziali (art. 299, comma 2 bis, c.p.p.), in caso di procedimenti di giurisdizione l’informazione all’autorità di pubblica sicurezza  (art. 299, comma 2 ter, c.p.p.) e in caso di estinzione o revoca l’informazione al prefetto per l’attivazione della vigilanza dinamica (art. 299, comma 2 quater, c.p.p.).

            Sullo sfondo della disciplina cominciano a prospettarsi alcuni modi di non agevole soluzione legati al ruolo, rectius, ai possibili comportamenti della vittima legati alla mancata collaborazione con l’autorità giudiziaria, nonché alle sue istanze tese alla volontà di eliminare la situazione che pure aveva avviato.

            Deve al riguardo, in termini generali, escludersi che il meccanismo giudiziario sia stato predisposto, o quanto meno che lo sia ora, ad esclusiva tutela della posizione soggettiva della vittima che ne sarebbe titolare (al di là del fatto che la misura tuteli o meno terze persone a quante affettivamente legate).

            Sotto questo profilo, permangono in capo al giudice ogni valutazione al riguardo, anche perché certi comportamenti possono essere oggetto di variegate interpretazioni e perché alcune attività potrebbero ben essere considerate connesse alla finalità generale che il riconoscimento di certi comportamenti comportano per l’intera collettività, in quanto sintomatici comunque di pericolosità sociale.

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