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L’illegittimità costituzionale degli artt. 34 comma 1 e 623 comma 1 c.p.p.

  1. La Corte Costituzionale, con la sentenza n. 7, del 18 gennaio 2022, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale degli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono che il giudice dell’esecuzione deve essere diverso da quello che ha pronunciato l’ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena.

Con ordinanza, il Giudice per le indagini preliminari presso il Tribunale ordinario di Verona, in funzione di giudice dell’esecuzione, ha sollevato, in riferimento agli artt. 3 e 111 (recte: artt. 3, primo comma, e 111, secondo comma) della Costituzione, questioni di legittimità costituzionale degli artt. 34 (in realtà: 34, comma 1) e 623, comma 1, lettera a), del codice di procedura penale, nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice dell’esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della pena a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata dalla Corte di cassazione.

In via subordinata, il giudice a quo ha sollevato, in riferimento ai medesimi parametri costituzionali, questioni di legittimità costituzionale delle stesse disposizioni, nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità a partecipare al giudizio di rinvio in capo al giudice dell’esecuzione che abbia pronunciato ordinanza di rigetto (o di accoglimento) della richiesta di rideterminazione della pena a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale, ad opera della sentenza n. 40 del 2019 di questa Corte, dell’art. 73, comma l, del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 309 (Testo unico delle leggi in materia di disciplina degli stupefacenti e sostanze psicotrope, prevenzione, cura e riabilitazione dei relativi stati di tossicodipendenza), annullata dalla Corte di cassazione.

2. Al fine di meglio comprendere la decisione, appare opportuno un breve cenno alla vicenda in esame: il rimettente ha emesso, ai sensi dell’art. 444 cod. proc. pen., sentenza di applicazione della pena su richiesta delle parti, passata in giudicato l’11 gennaio 2019, nei confronti del ricorrente per il reato di cui agli artt. 73, comma 1, e 80 del d.P.R. n. 309 del 1990.

Il condannato ha proposto incidente di esecuzione – che veniva assegnato al medesimo giudice a quo – al fine di ottenere la rideterminazione della pena patteggiata in quanto, dopo la formazione del giudicato, la Corte Costituzionale con sentenza n. 40 del 2019, ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 73, comma 1, del d.P.R. n. 309 del 1990, nella parte in cui prevedeva la pena minima edittale della reclusione nella misura di otto anni, anziché di sei anni. Dopo aver fissato, ai sensi dell’art. 666 cod. proc. pen., l’udienza per la rinegoziazione della pena, non avendo le parti raggiunto l’accordo, il giudice a quo ha rigettato la richiesta di nuova commisurazione della pena e tale ordinanza è stata impugnata con ricorso innanzi alla Corte di Cassazione. Questa ha annullato l’ordinanza impugnata, disponendo il «rinvio per nuovo giudizio al Tribunale di Verona, Ufficio GIP» Il giudizio di rinvio, invece, è stato assegnato al medesimo giudice, persona fisica, in applicazione della disposizione di cui all’art. 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., secondo cui «se è annullata un’ordinanza, la Corte di cassazione dispone che gli atti siano trasmessi al giudice che l’ha pronunciata, il quale provvede uniformandosi alla sentenza di annullamento».

Il rimettente – richiamando la giurisprudenza di legittimità in ordine ai poteri/doveri del giudice dell’esecuzione per la rideterminazione della pena nei casi, come quello in esame, in cui vengono in rilievo gli effetti della sentenza n. 40 del 2019 di questa Corte – ritiene che, a seguito di annullamento da parte della Corte di cassazione dell’ordinanza di rigetto dell’istanza di rideterminazione della pena, non possa essere il medesimo giudice-persona fisica, che si sia già espresso, nell’ordinanza annullata dalla Corte di cassazione, a decidere nel giudizio di rinvio su un aspetto fondamentale, qual è quello della quantificazione della pena, che implica «penetranti poteri di valutazione di merito».

3. Le norme censurate contrasterebbero con l’art. 3, primo comma, Cost., perché, quanto al regime dell’incompatibilità del giudice, determinano una ingiustificata disparità di trattamento tra le fasi della cognizione e dell’esecuzione, ove si tratti di decisioni attinenti alla commisurazione della pena.

Inoltre, sarebbe violato anche l’art. 111, secondo comma, Cost., in quanto le disposizioni censurate, nella parte in cui non prevedono l’incompatibilità per il caso considerato, si porrebbero in contrasto con il principio di imparzialità e di terzietà del giudice.

Invero, l’art. 34 del codice di rito disciplina ipotesi di incompatibilità che attengono alla progressione “in verticale” del processo, determinata dall’articolazione e dalla sequenzialità dei diversi gradi di giudizio. Vi sono poi i casi di incompatibilità relativi allo sviluppo “orizzontale” del processo, attinenti, cioè, alla relazione tra la fase del giudizio e quella immediatamente precedente (art. 34, comma 2, cod. proc. pen.), e i casi di incompatibilità del giudice, derivanti dall’aver esercitato, nel medesimo procedimento, altre funzioni o uffici (art. 34, comma 3, cod. proc. pen.).

Con specifico riferimento alla disposizione di cui all’art. 34, comma 1, cod. proc. pen., La Consulta ha affermato che essa «dettando la regola primaria in tema di incompatibilità del giudice determinata da atti compiuti nel procedimento, delinea una incompatibilità di tipo “verticale” – in senso tanto “ascendente” quanto “discendente” – esclude segnatamente che il giudice che ha pronunciato o concorso a pronunciare sentenza in un grado del procedimento possa esercitare funzioni di giudice negli altri gradi, ovvero partecipare al giudizio di rinvio dopo l’annullamento o al giudizio per revisione» (sentenza n. 224 del 2001).

Tale norma, secondo l’orientamento costante della giurisprudenza di questa Corte, mira ad assicurare la tutela del principio fondamentale dell’imparzialità del giudice, la quale è «un aspetto di quel carattere di “terzietà” che connota nell’essenziale tanto la funzione giurisdizionale quanto la posizione del giudice, distinguendola da quella di tutti gli altri soggetti pubblici, e condiziona l’effettività del diritto di azione e di difesa in giudizio» (Corte Cost. sentenza n. 131 del 1996), pertanto «[l]e norme sulla incompatibilità del giudice sono funzionali al principio di imparzialità-terzietà della giurisdizione e ciò ne chiarisce il rilievo costituzionale».

La mancata previsione dell’incompatibilità del giudice dell’esecuzione, persona fisica, che abbia pronunciato l’ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena proposta a seguito della declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, poi annullata con rinvio dalla Corte di cassazione, confligge con entrambi i parametri evocati dal giudice rimettente (artt. 3, primo comma, e 111, secondo comma, Cost.).

4. Pertanto, gli artt. 34, comma 1, e 623, comma 1, lettera a), cod. proc. pen., vanno pertanto dichiarati costituzionalmente illegittimi, nella parte in cui non prevedono che il giudice dell’esecuzione deve essere diverso – nel senso di persona fisica diversa – da quello che ha pronunciato l’ordinanza sulla richiesta di rideterminazione della pena a seguito di declaratoria di illegittimità costituzionale di una norma incidente sulla commisurazione del trattamento sanzionatorio, annullata con rinvio dalla Corte di cassazione.

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