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Nel dichiarare l’irrilevanza della dichiarazione Isee ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la Cassazione conferma l’inclusione dei redditi non imponibili nella valutazione dello stato di non abbienza

Sez. IV Ud. 24 novembre 2021 (dep. 17 dicembre 2021) n. 46159

L’ISEE è un criterio non valido per l’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, la cui norma istitutiva (il D.P.R. n. 115 del 2002) fa riferimento non solo al reddito imponibile, ma anche ad altri redditi esenti o soggetti a tassazione separata; pertanto, l’omessa indicazione di redditi non presenti nell’ISEE può condurre alla commissione del reato di cui al D.P.R. n. 115 del 2002, art. 95, oltre che, in caso di sforamento dei limiti per l’ammissione, alla revoca del beneficio, con conseguente obbligo di restituzione allo Stato delle somme ingiustamente percepite. (massima non ufficiale).

1. Il caso.

2. L’individuazione del reddito rilevante.

1. Il caso.

La Cassazione, pur dichiarando inammissibile il motivo di ricorso posto alla sua cognizione, peraltro avulso dalla specifica questione di diritto poi affrontata, torna a pronunciarsi su uno annoso tema, quello del reddito rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, che non sempre ha trovato orientamenti allineati.
Il caso muove da una persona ammessa al patrocinio a spese dello Stato sulla base di un’autocertificazione, contenente i dati della dichiarazione ISEE.
Invero, da una verifica eseguita, era risultato che tra i redditi delle persone conviventi con l’instante, la moglie in particolare, erano presenti ulteriori importi che non erano inclusi nell’ISEE perché percepiti a titolo di malattia/infortunio e quali prestazioni sociali.
Di qui l’imputazione e la successiva condanna per il reato di cui all’art. 95 d.P.R. n. 115 per avere falsamente attestato la propria condizione economica nell’istanza di ammissione, ai fini della fruizione del relativo beneficio che altrimenti non avrebbe conseguito.
La pronuncia di inammissibilità si àncora al motivo di ricorso prospettato dal ricorrente, che chiede una pronuncia di annullamento, poiché il giudice di merito non aveva, a giudizio del ricorrente, valutato l’assenza dell’elemento soggettivo nella condotta dell’imputato che si sarebbe limitato a ritrasporre i dati della dichiarazione Isee nell’istanza di ammissione al patrocinio a spese dello Stato.
Invero, la doglianza prospettabile ai Giudici di legittimità sarebbe stata più fondata ove il ricorrente avesse affrontato la questione della rilevanza dei redditi non imponibili dei familiari conviventi nella valutazione dello stato di non abbienza dell’instante. Questione sulla quale comunque la Suprema Corte giunge ad esprimersi, contribuendo all’assestamento dei pregressi orientamenti giurisprudenziali sul tema.

2. L’individuazione del reddito rilevante.

L’infelice formulazione dell’art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002, nella specificazione del reddito rilevante ai fini dell’ammissione al patrocinio a spese dello Stato, presenta due commi, il n. 1 e il n. 3 in apparente contraddizione. Al comma 1, infatti, si legge che “può essere ammesso al patrocinio a spese dello Stato chi è titolare di un reddito imponibile ai fini dell’imposta sul reddito..(..omissis..)”; al comma 3, si aggiunge che “ai fini della determinazione dei limiti di reddito, si tiene conto anche dei redditi che per legge sono esenti dall’imposta sul reddito delle persone fisiche (IRPEF) o che sono soggetti a ritenuta alla fonte a titolo di imposta ovvero ad imposta sostitutiva”. In buona sostanza, da una parte (comma 1) sembra che a rilevare sia solo il reddito imponibile, dall’altra si aggiunge nel computo anche il reddito esente da imposizione fiscale: sarebbe bastato aggiungere un polisindeto ovvero la lettera “e” al comma 1, indicando sia il reddito imponibile che quello non imponibile e la norma avrebbe certamente brillato per maggiore chiarezza. Ad aggiustare “il tiro” ci ha pensato la giurisprudenza che, sollecitata dalla necessità pratica di considerare rilevanti anche i redditi da attività illecita (redditi valutabili già in base alla sentenza della Corte costituzionale 30 marzo 1992, n. 144, Cass.pen. 1992, 2903), è giunta a dettagliare la tipologia dei redditi, aggiungendo, altresì, che i dati presenti nella dichiarazione ISEE non sono esaustivi per consentire una valutazione di non abbienza. Nel caso specifico, nell’avallare la sentenza, che aveva condannato per il reato di cui all’art. 95 l’instante che non aveva menzionato nell’autocertificazione i redditi percepiti dalla convivente a titolo di malattia/infortunio e prestazioni sociali, la Corte di Cassazione conferma l’orientamento ormai prevalente (Cass., sez. II, 30 settembre 2019, n. 24378; Cass., sez. IV, 15 febbraio 2017, n. 17426) che tende ad includere detti redditi tra quelli rilevanti ai fini dell’ammissione al beneficio, redditi che qualche risalente pronuncia aveva escluso probabilmente disorientata dalla confusa articolazione dell’art. 76 del d.P.R. n. 115 del 2002 nei commi 1 e 3 di cui testé si è fatto cenno (Cass., sez. III, 1°luglio 2002, n. 31591, C.E.D. Cass., n. 222311; conforme, Cass., sez. I, 27 febbraio 2002, ivi, n. 222022).

Sentenza 17 dicembre 2021, n. 46159

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