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Giuseppe Riccio: l’impegno per una giustizia a misura d’uomo

Non voglio lasciarmi travolgere dall’onda emotiva dei ricordi che si affollano appena volgo lo sguardo al cammino fatto insieme. Così mi affido ad un artificio che mi fa slittare dal passato al presente con lo spirito del visionario che sa vedere anche ad occhi chiusi.

E lo vedo proprio qui, in una delle prime file di questa bella aula del suo Ateneo. Eccolo, Beppe, il prof. Riccio, con il suo tratto signorile, con il suo viso sorridente che esibisce una apertura permanente al dialogo, con quella sua figura di professore universitario che proprio non sa e non vuole darsi le arie del barone. La cifra espressiva della sua personalità è racchiusa in una formula semplice, ma al tempo stesso emblematica di un grande impegno: «fare qualcosa per gli altri».

La visione che ho davanti è quella di un Maestro «senza raggiera», per usare una bella immagine coniata da un grande avvocato penalista napoletano del secolo scorso, Gennaro Marciano. Egli ammoniva chi prende la parola davanti ad un uditorio a mettere da parte ogni proposito di fare sfoggio della propria cultura. E, capace come era di entrare nel cuore dei suoi allievi e dei suoi colleghi, Beppe Riccio è stato veramente un uomo di scienza e non un algido scienziato, come quelli che amano indossare la toga accademica per ostentare una superiorità.

Questo convegno si apre con un invito a discutere i problemi del processo penale da un angolo visuale scelto in modo assai felice. Coniugare i principi costituzionali alla riforma della procedura penale, come fa il titolo di queste nostre giornate di studio, significa richiamare e far rivivere la parte centrale del pensiero giuridico di Giuseppe Riccio. Egli è stato infatti un esponente di punta di quel «riformismo costituzionale» che ha contrassegnato la fisionomia della generazione di processualisti alla quale anch’io appartengo. La generazione che è riuscita a traghettare la nostra procedura dall’impianto inquisitorio del codice Rocco fino al nuovo rito accusatorio coniato nel 1988. In quella stagione le norme costituzionali sono state il grimaldello che ha consentito di rimuovere tutte le malformazioni dovute alla ideologia autoritaria cui era improntato il sistema del 1930.

Non è stata una impresa facile, se si pensa che, alla metà degli anni Sessanta, quando il prof. Riccio ha cominciato il suo lavoro di ricerca pubblicando poi, nel 1969, la bella monografia su “La volontà delle parti nel processo penale”, era ancora in auge la tesi che disconosceva la natura immediatamente precettiva delle norme della Costituzione.

A quei tempi la Costituzione era vista come un placebo. Bella, sfolgorante, densa di magnifici canoni di civiltà processuale, ma vincolante solo per il legislatore come meta di indispensabili riforme, ma senza effetti in sede giudiziaria quando si trattava di applicare disposizioni del codice Rocco chiaramente incompatibili con i principi costituzionali in tema di diritto, di difesa e di libertà personale. C’è voluto del tempo per passare dal placebo al grimaldello e in questo percorso travagliato hanno assunto rilievo i contributi di Giuseppe Riccio.

L’omaggio che oggi tributiamo al Maestro va quindi necessariamente al di là della rievocazione del suo percorso di studioso. Siamo qui anche e soprattutto per raccogliere la sua eredità culturale che ci viene trasmessa sia dai suoi contributi sulla giustizia penale, sia dal suo impegno di giurista nel cantiere delle riforme. Penso soprattutto al suo lavoro su “Processo penale e Costituzione”, 1982, e al più recente “Principi costituzionali e riforma della procedura penale”, 1991.

La autentica vocazione di riformatore ha avuto modo di esprimersi compiutamente quando nel luglio 2006 egli è stato nominato dal Ministro della giustizia, Clemente Mastella, Presidente della Commissione Ministeriale incaricata di predisporre la bozza di una legge delega per un nuovo codice di procedura penale. I lavori condotti sotto la sua guida si sono conclusi nel dicembre 2007 con la stesura di una bozza di legge delega. Nasceva così il Progetto Riccio, ispirato ai principi del rito accusatorio scaturito dalla riforma del 1988, ma finalizzato ad un aggiornamento del nuovo sistema alla luce dei parametri costituzionali dettati dalla modifica dell’art. 111 Cost. apportata dalla legge del 1999.

Sul tema del giusto processo il prof. Riccio aveva già avuto modo di esternare il suo pensiero che è poi divenuto la matrice di una revisione della normativa codicistica. In un articolo del 2006 pubblicato sulla rivista Diritto penale e processo, così il Maestro si esprimeva: «è il giusto processo, è questo l’humus da cui nasce il bisogno riformista»[1].

Da questo humus la Commissione Riccio ha ricavato una messe di nuove prospettive per il processo penale che hanno generato la creazione di un giacimento culturale pronto a dare i suoi frutti non appena il clima politico avesse maturato una svolta capace di tradurre le idee e le normative progettuali in disposizioni con piena efficacia di legge. Infatti, il Progetto Riccio ha messo capo alla formazione di un vero thesaurus che, nonostante la mancata trasformazione delle direttive elaborate dalla Commissione in criteri di una delega varata dal Parlamento a favore del Governo, ha reso possibile dare avvio a un circolo virtuoso che ha condotto poi, a distanza di tempo, all’approdo legislativo di alcuni tra i punti più significativi del Progetto.

Basteranno due esempi. Il Progetto Riccio nella direttiva 1.6 aveva elaborato un nuovo istituto, la prescrizione processuale, in caso di violazione dei termini massimi stabiliti per la ragionevole durata del processo. Ebbene, questa nuova disciplina è stata oggi recepita con un intervento legislativo realizzato con la riforma Cartabia (l. 27 settembre 2021, n. 136) che ha introdotto l’art. 344 bis c.p.p. in cui è regolata la improcedibilità per mancata osservanza dei termini di durata dettati per i giudizi di appello e di cassazione. Il seme gettato nel 2007 sotto la guida di Giuseppe Riccio ha ora generato un frutto che pone riparo al vuoto creato con la norma del 2019, che aveva ristretto l’operatività della prescrizione sostanziale al solo primo grado di giudizio.

Un analogo circolo virtuoso si riscontra in relazione all’istituto dell’esclusione della punibilità per tenuità del fatto. Questa svolta normativa di grande importanza per la funzionalità del sistema processuale era già stata elaborata dalla Commissione Riccio ben prima che il legislatore introducesse l’articolo 131 bis c.p.

Come si vede, il pensiero del Maestro è stato capace non solo di dare un contributo alla demolizione del vecchio impianto del codice Rocco, ma anche di gettare un ponte che dalla riforma del 1988 porta ai nuovi orizzonti delle garanzie e della funzionalità del processo con cui oggi noi dobbiamo fare i conti per completare e rendere sempre più efficiente il rito accusatorio.

In una telefonata intercorsa tra noi una decina di giorni prima della sua scomparsa, Beppe mi ha parlato a lungo e con entusiasmo del suo progetto di dare avvio ad una nuova rivista sulla tutela dei diritti dell’uomo nel processo penale. Era ed è una idea estremamente affascinante che spero i suoi allievi vogliano portare al traguardo della vita editoriale. E’ davvero la conferma della sua qualità di persona votata a quella «scienza del cuore umano» che Leonardo Sciascia considerava come architrave della procedura penale. Ed è appunto scolpita in un largo gesto della mano, protesa a cacciare arbitrii e soprusi fuori dalle aule di giustizia, che la sua immagine continua a stagliarsi luminosa davanti a me.


[1] v. Per un nuovo progetto di giustizia penale, in Dir. pen. proc., 2006, p. 1193

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