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Un ulteriore passo in avanti nella tutela del minore in ambito penitenziario.  Luci ed ombre

Con la sentenza n. 30 depositata il 3.2.2022 la Corte Costituzionale ha dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47 quinquies commi 1, 3 e 7 O.P. “nella parte in cui non prevede che, ove vi sia un grave pregiudizio per il minore derivante dalla protrazione dello stato di detenzione del genitore, l’istanza di detenzione domiciliare speciale può essere proposta al Magistrato di Sorveglianza, che può disporre l’applicazione provvisoria della misura”.

La questione di legittimità era stata sollevata dal Magistrato di Sorveglianza di Siena con ordinanza del 2 febbraio 2021: a parere del remittente l’art. 47 quinquies O.P., non prevedendo per la detenzione domiciliare speciale l’applicazione in via provvisoria consentita per la detenzione domiciliare ex art. 47 ter comma 1 quater O.P., violava gli articoli 3 Cost. (per irragionevolezza), 27 comma 3 Cost. (perché la necessità di attendere la decisione collegiale avrebbe reso ‘non umana’ la pena sofferta dal genitore, conscio della circostanza che il figlio minore di anni 10 sarebbe rimasto sino ad allora privo di assistenza), 30 e 31 (per il grave pregiudizio che potrebbe derivare al minore e al rapporto parentale) e 117 comma Cost. (per la violazione delle fonti sovranazionali che affermano la preminenza dell’interesse del minore).

La Consulta ha ritenuto fondata la questione unicamente con riferimento all’art. 31 della Costituzione dopo averne tuttavia preliminarmente delimitato il perimetro: ed infatti, sebbene il giudice a quo si riferisse all’art. 47 quinquies nel suo complesso, la Corte ha ritenuto che “in realtà, considerato l’oggetto delle censure” la questione avrebbe dovuto essere riferita ai commi 1 (relativo ai requisiti di accesso alla misura), 3 (relativo ai poteri e competenze del Tribunale e del Magistrato di Sorveglianza) e 7 (che consente l’applicazione della misura speciale anche al detenuto padre laddove la madre sia assolutamente impossibilitata ad occuparsi del minore).

Passaggio di non poco conto poiché  la pronuncia effettua una netta distinzione rispetto a quello che sembrava un requisito (quello dell’espiazione di almeno un terzo della pena ovvero di quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo), in sostanza abrogato a seguito dell’inserimento nella norma citata del comma 1-bis e del successivo intervento della Corte Costituzionale (sentenza n. 76 del 2017) proprio con riferimento a tale comma.

Ed infatti, la legge 21 aprile 2011, n. 62 (Modifiche al codice di procedura penale e alla legge 26 luglio 1975, n. 354, e altre disposizioni a tutela del rapporto tra detenute madri e figli minori), ha novellato il comma 1 dell’art. 47-quinquies, stabilendo che la prima parte di pena (un terzo o quindici anni in caso di ergastolo) potesse essere espiata «secondo le modalità di cui al comma 1-bis» che consente alle detenute madri di minori di anni dieci (e ai padri in caso di assoluta impossibilità della madre) di espiare, sin dall’inizio, la pena detentiva secondo le descritte modalità agevolate, anche nella propria abitazione o in altro luogo di privata dimora, di cura, assistenza o accoglienza, purché non sussistano un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti o di fuga.

Vi era tuttavia una preclusione assoluta rispetto a tale ultima possibilità per le condannate per reati ostativi ex art. 4 bis O.P., alle quali era di fatto impedito l’accesso alla misura domiciliare prima che fosse soddisfatto il requisito temporale previsto dal comma 1. Tale preclusione è venuta meno a seguito della nota pronuncia n. 76 del 2017, con la quale la Corte Costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità costituzionale dell’art. 47-quinquies comma 1-bis O.P.  limitatamente alle parole «Salvo che nei confronti delle madri condannate per taluno dei delitti indicati nell’articolo 4-bis».

Oggi è dunque consentito l’accesso alla misura della detenzione domiciliare speciale anche prima dell’espiazione di un terzo della pena o di quindici anni nel caso di condanna all’ergastolo e a prescindere dal titolo di reato in espiazione, purchè sia possibile escludere il rischio di commissione di ulteriori reati e il pericolo di fuga.

Il ragionamento della Corte parte da un raffronto tra le due misure alternative che nel nostro ordinamento si pongono a presidio e tutela del preminente interesse del minore: la detenzione domiciliare ordinaria “nell’interesse del minore” prevista dall’art. 47 ter comma 1 lettere a) e b) O.P. e la detenzione domiciliare speciale ex art. 47 quinquies O.P.

Quest’ultima con natura “sussidiaria e complementare” rispetto alla detenzione domiciliare ordinaria di cui all’art. 47-ter, comma 1, lettere a) e b), O.P., posto che essa  può trovare applicazione anche nell’ipotesi in cui la pena da scontare dal genitore superi il limite dei quattro anni di reclusione, viceversa ostativo alla concessione della misura ordinaria, purché non sussista «un concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti» e vi sia «la possibilità di ripristinare la convivenza con i figli», ciò al fine «di provvedere alla cura e alla assistenza dei figli».

Pur a fronte, dunque, di una diversità strutturale dei due istituti, si osserva come i medesimi perseguano la medesima finalità, ossia quella di tutelare il figlio in tenera età di persona detenuta e di evitare, fin dove possibile, che l’interesse del bambino sia compromesso dalla perdita delle cure parentali, determinata dalla permanenza in carcere del genitore (c.d. “carcerizzazione dell’infante”). Interesse che è stato qualificato come “preminente” dalle fonti sovranazionali e che, per granitica giurisprudenza costituzionale, può essere considerato recessivo di fronte alle esigenze di difesa sociale “solo quando la sussistenza e la consistenza delle stesse sia verificata in concreto”, con apprezzamento in concreto caso per caso della magistratura di sorveglianza.

Pur a fronte di tale identità finalistica, il legislatore aveva tuttavia omesso di prevedere la possibilità di un’applicazione provvisoria da parte del Magistrato di Sorveglianza con riferimento alla detenzione domiciliare speciale ex art. 47 quinquies, possibilità invece prevista per la detenzione domiciliare ordinaria ‘nell’interesse del minore’ dal comma 1 quater dell’art. 47 ter O.P.

Tale aspetto è stato censurato dalla Corte, con una motivazione che tuttavia non convince fino in fondo.

La Consulta ha preso spunto dalle argomentazioni addotte dall’Avvocatura dello Stato, che ha sostenuto come “la mancata previsione dell’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare speciale troverebbe giustificazione nell’assenza di un massimo di pena per l’accesso alla misura, giacché concedibile anche quando la pena da espiare superi i quattro anni di reclusione, sicché ragionevolmente il legislatore avrebbe qui escluso la cognizione sommaria e monocratica del magistrato di sorveglianza, esigendo quella piena e collegiale del tribunale di sorveglianza”, evidenziando come proprio la quota di espiazione preliminare (che rappresenta a suo parere “l’essenziale aspetto distintivo della detenzione domiciliare speciale rispetto a quella ordinaria”), abbia proprio la funzione “di bilanciare il superamento del “tetto” dei quattro anni di reclusione, poiché l’espiazione intramuraria di almeno un terzo della pena (o quindici anni nel caso di ergastolo) consegna agli uffici di sorveglianza i risultati di una consistente esperienza trattamentale”.

Il Magistrato di Sorveglianza avrebbe dunque in tali casi tutti gli elementi per valutare se “l’interesse del minore – “stella polare” del suo giudizio – imponga l’anticipazione della misura o receda di fronte alle esigenze di difesa sociale o richieda esso stesso di non adottarla”.

Da tale ragionamento la Corte trae una conseguenza di non poco conto: solo a coloro i quali soddisfino il requisito temporale previsto dal comma 1 (ovvero chi abbia già espiato la quota di pena preliminare di un terzo o di quindici anni) deve essere consentito di poter richiedere l’applicazione provvisoria della detenzione domiciliare speciale.

Ne discende che, in questi casi, il Magistrato di sorveglianza può applicare in via provvisoria la detenzione domiciliare speciale «quando sono offerte concrete indicazioni in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’ammissione» e «al grave pregiudizio derivante dalla protrazione dello stato di detenzione».

Tale possibilità invece resta preclusa per chi chiedesse di esservi ammesso nella prima fase di espiazione della pena.

Per tali soggetti, infatti, l’unica strada percorribile a parere della Corte resta la domanda al Tribunale di Sorveglianza, atteso che i requisiti all’accesso richiesti dal comma 1 bis (esclusione del concreto pericolo di commissione di ulteriori delitti e del pericolo di fuga), richiederebbero la cognizione ‘piena’ del Tribunale in composizione collegiale.

Evidenzia al riguardo la Corte: “il sistema è congegnato in modo che l’intervento cautelare del giudice monocratico non possa prescindere dall’espiazione intramuraria della quota preliminare, sicché la fisiologica sommarietà della sua valutazione è bilanciata dai dati oggettivi di un periodo di espiazione ‘osservata’. L’esclusione dell’anticipazione della detenzione domiciliare speciale non trova, quindi, una valida ragione giustificativa nel carattere sommario della decisione monocratica, e tuttavia sacrifica in termini astratti l’interesse del minore all’accudimento genitoriale, impedendo al magistrato di sorveglianza di valutare le particolarità del caso concreto, ciò che si risolve in una violazione del favor minorile assicurato dall’art. 31 Cost.”.

Tale ragionamento, tuttavia, non convince pienamente.

Se, infatti, come ammesso dalla stessa Consulta, l’interesse del minore costituisce “stella polare” nella valutazione del giudice, se è vero che nel caso della detenzione domiciliare speciale non rileva il principio di gradualità dei benefici penitenziari (cfr. pagina 8), se è vero che vi sia una “negativa incidenza dell’«attesa dei tempi – fisiologicamente più lunghi – richiesti per la decisione del tribunale di sorveglianza», incidenza la cui gravità, venendo in rilievo il preminente interesse del bambino alle cure del genitore, assume qui «una pregnanza particolare», se è vero altresì che “la mancata previsione di una delibazione urgente nell’interesse del minore, ai fini dell’anticipazione cautelare della detenzione domiciliare speciale, impedisce il vaglio di quell’interesse in comparazione con le esigenze di difesa sociale, ed è suscettibile di determinare l’ingresso del bambino in istituti per minori nella non breve attesa della decisione collegiale”, allora proprio non si comprende come possa essere ritenuta ragionevole e non lesiva la mancata previsione della possibilità di un’ammissione provvisoria anche per chi non abbia ancora espiato la quota di pena ritenuta necessaria dal comma 1 dell’art. 47 quinquies O.P.. Ciò, pur in presenza di un grave pregiudizio per gli interessi del minore in tenera età, la cui valutazione in concreto viene dunque impedita in via interinale solo in ragione del minor tempo trascorso in regime detentivo.

Si pensi al caso di una mamma che si trova in arresti domiciliari concessi in ragione di quanto previsto dall’art. 275 comma 4 c.p.p. con un bambino in tenerissima età che riporta una condanna ad anni 9 per reato ostativo. La misura degli arresti domiciliari in atto magari da qualche tempo è emessa di norma all’esito di un attento bilanciamento da parte del giudice di cognizione che fa ritenere prevalenti l’attenzione e la cura verso il minore rispetto quelle di tutela della collettività. Al momento del passaggio in giudicato inevitabile l’ingresso in carcere, con la impossibilità di adire in via provvisoria al Magistrato di sorveglianza al quale ci si può rivolgere solo dopo l’espiazione della “quota preliminare” e dopo un periodo di “espiazione osservata”.

 Davvero si ritiene che quest’ultimo non possa esprimere una valutazione?

Questa impostazione non convince a maggior ragione se si considerano gli ampissimi poteri istruttori del Magistrato di Sorveglianza, che pur a fronte di una breve osservazione intramuraria, può provvedere a tutte quelle richieste e accertamenti necessari e prodromici rispetto alla valutazione dell’assenza del pericolo di fuga e del rischio di recidiva, come peraltro consentito per tutte le altre misure alternative che prevedono la possibilità di una applicazione provvisoria.

Sentenza: Corte Cost. 3 febbraio 2022, n.30

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