1. Introduzione
Il d.lgs. n. 195/2021 è stato emanato per adeguare la disciplina italiana alla direttiva UE 2018/1673 di Parlamento europeo e Consiglio, sulla “lotta al riciclaggio mediante il diritto penale”. Scaduto il 3 dicembre 2020 il termine stabilito per l’adeguamento, la necessità di provvedere si è resa ancora più stringente in presenza dell’avvio, nei confronti della Repubblica italiana, di una procedura di infrazione ex art. 258 T.F.U.E. (2021/0055) per mancato recepimento.
Il nostro ordinamento si era già conformato alla maggior parte delle indicazioni contenute nella direttiva (comprese quelle in tema di autoriciclaggio). Tuttavia, su alcuni aspetti non vi era convergenza tra disciplina interna ed europea, ed è su questi che vertono le principali novità: a) l’esclusione della necessaria richiesta del Ministro della giustizia ex art. 9 co. 4 c.p. per le fattispecie riciclative; b) l’ampliamento alle contravvenzioni e ai delitti colposi del novero dei “reati presupposto” delle fattispecie di riciclaggio, tra cui la direttiva inserisce anche la fattispecie che nel nostro ordinamento corrisponde alla ricettazione.
Vi è poi un ulteriore profilo degno di nota, ma che non è stato oggetto di alcuna modifica della nostra disciplina interna, e riguarda l’art. 4 della direttiva. In tale articolo, è prevista la necessità che gli Stati membri adottino “misure necessarie affinchè (…) l’istigazione in relazione ai reati riciclativi sia punita come reato”, ed, a tal riguardo, opportunamente, non viene introdotta nessuna nuova fattispecie incriminatrice, in osservanza dell’art. 115 c.p.
2. Descrizione degli interventi di riforma
Riguardo al primo punto – l’esclusione della necessaria richiesta del Ministro della giustizia ex art. 9 co. 4 c.p. per le fattispecie riciclative – la direttiva, all’art. 10, richiede che “ciascuno Stato membro adotti le misure necessarie per stabilire la propria competenza giurisdizionale per i reati di cui agli artt. 3 e 4 (fattispecie riciclative) nel caso in cui il reato è commesso anche solo parzialmente nel suo territorio” – e su questo nulla quaestio per via della presenza dell’art. 6 c.p. – e nel caso in cui “l’autore del reato sia un suo cittadino”.
Su tale ultimo aspetto la riforma interviene modificando l’art. 9 co. 4 c.p., disposizione introdotta, com’è noto, nel 2019 dalla cd. legge ‘spazzacorrotti’, la quale esclude la necessità della richiesta del Ministro della giustizia per il delitto comune del cittadino commesso all’estero, in relazione alle fattispecie di cui agli artt. 320, 321 e 346 bis c.p.; la riforma in commento dispone l’estensione di tale esclusione anche ai reati di cui agli artt. 648 e 648 ter.1 c.p.; non vi è stato bisogno di fare menzione delle fattispecie di riciclaggio e impiego (648 bis e ter c.p.), in quanto, dati i limiti edittali più elevati, queste già risultavano escluse dalla necessità della su indicata condizione di procedibilità.
b) Riguardo al secondo punto – ampliamento alle contravvenzioni e ai delitti colposi come “reati presupposto” delle fattispecie riciclative – la direttiva, agli artt. 2 e 3, definisce così le “attività criminose” che debbono considerarsi reati presupposto: «Qualsiasi tipo di coinvolgimento criminale nella commissione di un qualsiasi reato punibile, conformemente al diritto nazionale, con una pena detentiva o con una misura privativa della libertà di durata massima superiore a un anno, ovvero, per gli Stati membri il cui ordinamento giuridico prevede una soglia minima per i reati, […]qualsiasi reato punibile con una pena detentiva o con una misura privativa della libertà di durata minima superiore a sei mesi».
La direttiva contiene inoltre un elenco casistico di tipologie di reati che, al di là dei regimi sanzionatori previsti, rientrano in ogni caso nella “attività criminosa presupposto delle fattispecie in esame” (v. infra, par. 3).
In verità, la questione non è del tutto nuova, soprattutto in relazione ai delitti colposi, in quanto già la decisione quadro del Consiglio europeo del 26 giugno 2001 (2001/500/GAI), all’art. 1 lett. b) aveva previsto, con riferimento all’art. 6 della Convenzione di Strasburgo del 1990, l’inserimento, tra i reati presupposto, dei reati “gravi”, «punibili con una pena privativa della libertà (…) di durata massima superiore ad un anno, ovvero, per gli Stati il cui ordinamento giuridico preveda una soglia minima per i reati, i reati punibili con una pena privativa della libertà di durata minima superiore a sei mesi».
Dunque, la riforma comporta l’ampliamento delle fattispecie presupposto alle contravvenzioni, per i reati di ricettazione, riciclaggio, impiego e autoriciclaggio, e ai delitti colposi per i soli reati di riciclaggio e autoriciclaggio (essendo i delitti colposi già compresi tra le fattispecie presupposto di ricettazione e impiego).
In specie, dalla riforma deriva quanto segue.
Riguardo al reato di ricettazione, viene inserito un secondo comma in cui si sancisce che «la pena è della reclusione da 1 a 4 anni e della multa da 300 a 6000 euro» (dunque la metà della fattispecie base) «quando il provento deriva da contravvenzione punita con l’arresto superiore nel massimo a un anno o nel minimo a sei mesi».
In conformità con l’art. 6 della direttiva, viene inoltre inserito un terzo comma che introduce l’aggravante dell’attività professionale: «La pena è aumentata se il fatto è commesso nell’esercizio di un’attività professionale».
L’attenuante per il fatto di lieve entità prevista dal previgente secondo comma dell’art. 648 c.p., che ora diviene il quarto comma, viene divisa in due ipotesi. Rispetto alla già esistente ipotesi in cui il provento derivi da delitto, viene modificata soltanto l’entità della multa (dal massimo di 516 euro previsto dalla precedente disciplina ad un massimo di 1000 euro), mentre resta invariata l’entità della reclusione (fino a sei anni); con riguardo alle ipotesi in cui il provento derivi da contravvenzione, viene introdotta una nuova ipotesi attenuante, per cui sono previste la reclusione fino a tre anni e la multa fino a 800 euro.
Al previgente terzo comma, che diviene il quinto, la parola “delitto” viene sostituita con quella “reato”.
Riguardo al reato di riciclaggio ex art. 648 bis c.p., nel primo comma, mediante la soppressione delle parole “non colposo”, si amplia anche ai delitti colposi la sfera dei reati presupposto della fattispecie.
Mediante la riforma in esame, inoltre, viene inserito un secondo comma, in cui, in maniera analoga a quanto descritto in relazione all’art. 648 c.p., viene prevista l’introduzione di una ipotesi attenuante, con pena diminuita della metà rispetto alla pena base – reclusione da due a sei anni e multa da 2500 a 12500 euro –, per le ipotesi in cui il reato presupposto sia una contravvenzione, sempre che sia punibile con l’arresto superiore nel minimo a sei mesi o nel massimo a un anno.
Anche nell’art. 648 ter c.p. viene introdotta una ipotesi attenuante relativa al provento derivante da contravvenzione, come per l’art. 648 bis c.p.
Pure all’art. 648 ter.1 c.p.vengono apportate modifiche dello stesso tenore di quelle all’art. 648 bis c.p., ossia, la soppressione delle parole “(delitto) non colposo”, e la previsione della ipotesi attenuante, sempre con dimezzamento della pena base (da uno a quattro anni), relativa al provento derivante da contravvenzione come su descritta.
In questo caso, l’attenuante di cui alla precedente formulazione del secondo comma – che prevedeva la reclusione da uno a quattro anni e la multa da 2500 a 12500 in caso di provento derivante da “delitto non colposo” punibile con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni – diviene un’attenuante a effetto comune, secondo cui “la pena è diminuita se il provento deriva da delitto punito con la reclusione inferiore nel massimo a cinque anni”.
Al terzo comma, il riferimento ai provvedimenti legislativi in materia di “metodo mafioso” viene sostituito con il rinvio al più recente art. 416 bis. 1 c.p.
3. Alcune considerazioni critiche
a) La conformità del d.lgs. n. 195/2021 alle indicazioni della direttiva
La riforma legislativa in commento rappresenta un adeguamento della disciplina nazionale in conformità ai dettami della direttiva europea e, al di là delle problematiche già presenti nella disciplina oggetto delle modifiche, non sembra presentare particolari profili di problematicità. A tal riguardo, non sembrano sussistere specifici motivi di censura, e dunque, può affermarsi che lo scopo contingente per cui si è realizzata la riforma possa considerarsi raggiunto.
Tuttavia, ciò non toglie che possano emergere motivi di riflessione non tanto in merito alle modalità di recepimento della direttiva, quanto, piuttosto, in merito alla sistematica della disciplina in cui le modifiche vanno ad inserirsi.
b) L’esclusione della necessità della richiesta del Ministro della giustizia in merito al delitto comune del cittadino commesso all’estero per le fattispecie riciclative punibili con restrizione della libertà personale inferiore nel minimo a tre anni (art. 9 co. 4 c.p.).
In relazione a questo punto, si osserva che disposizioni quali il quarto comma dell’art. 9 c.p., introdotto dalla l. n.3/2019, possono rappresentare ipotesi di una legislazione emergenziale che, al fine di proporre una tutela rafforzata di determinati settori, rischia di determinare disparità di trattamento con altri ambiti di intervento penale, non necessariamente meno rilevanti; ed in tale direzione si inserisce la modifica relativa alla procedibilità delle fattispecie riciclative. Sembra che il settore della corruzione e le due fattispecie di ricettazione e autoriciclaggio debbano godere di una (irragionevole?) tutela penale privilegiata.
c) L’inserimento della ricettazione tra le fattispecie riciclative
Inoltre, dalla riforma, emerge una trattazione unitaria delle fattispecie di ricettazione e riciclaggio che, seppur in linea con quanto richiesto dall’art. 3 della direttiva, non soltanto non dovrebbe essere scontata, ma alimenta confusioni sulla portata delle due norme, e conferma i rischi connessi con la loro relativa sovrapponibilità, dal momento che le due fattispecie nascono in tempi diversi e con finalità politico-criminali differenti.
E’ noto che la descrizione della fattispecie oggettiva delle due disposizioni rischia di creare sovrapposizioni, e che un diffuso orientamento interpretativo è quello fondato sulla distinzione in base all’elemento soggettivo, secondo cui il “dolo di trarre profitto” caratterizza la ricettazione, ed il “dolo di ostacolazione della identificazione della provenienza criminale del provento”, il riciclaggio[1].
Tuttavia, riguardo alle formule utilizzate nelle due fattispecie in relazione al mascheramento della provenienza illecita del provento, si osserva che il termine “occultamento”, utilizzato nell’art. 648 c.p., descrive un grado più avanzato della condotta rispetto alla locuzione “in modo da ostacolare la identificazione”, di cui all’art. 648 bis c.p., che rappresenta, piuttosto, una formula indeterminata e di tutela anticipata rispetto ad una legittima oggettività giuridica[2].
Rispetto all’offesa al bene giuridico, c’è da dire che è presente, ma marginale, l’amministrazione della giustizia, e che ben più rilevante è il dato secondo cui entrambe le fattispecie rappresentano, sia pur in maniera differente, un’ipotesi di perpetuazione di situazione antigiuridica in un’ottica di tutela del patrimonio, inteso nella sua concezione personalistica[3].
La ricettazione configura una ipotesi di ulteriore offesa al patrimonio della vittima del reato presupposto; il riciclaggio può configurare, anch’esso, un’aggressione al patrimonio della vittima del reato presupposto, qualora questo sia un reato contro il patrimonio, ma, soprattutto, determina un’aggressione ad una differente declinazione della oggettività giuridico-patrimoniale, intesa nel senso di potenzialità del singolo di esprimere la propria personalità in ambito economico; ed il riferimento è alla capacità di risparmio/investimento ed alla libertà di iniziativa economica dell’imprenditore (art. 42 Cost.), mortificata da un “abuso di posizione dominante illecitamente acquisita”, e realizzata mediante la immissione nel mercato di enormi flussi di denaro di derivazione criminale[4].
Dunque, una trattazione unitaria delle due fattispecie, come se fossero chiamate a rispondere alle medesime esigenze politico-criminali, desta qualche perplessità, ovvero dimostra la necessità di differenziarle in maniera più chiara.
Senza intervenire sull’art. 648 c.p., altra opzione potrebbe essere quella di una riforma dell’attuale assetto di disciplina codicistica del riciclaggio, mediante la sostituzione delle presenti fattispecie con una sola che incrimini “l’abuso di posizione dominante nel mercato illecitamente acquisita”, e che presenti una forma di offesa in termini quantomeno di pericolo concreto verso l’oggettività giuridica su proposta.
d) L’ampliamento delle fattispecie presupposto dei reati riciclativi alle contravvenzioni e ai delitti colposi
Giungiamo al tema principale della riforma in esame, relativo alla introduzione delle contravvenzioni e dei delitti colposi tra i reati presupposto.
Innanzitutto, secondo autorevole dottrina[5] tale allargamento sarebbe del tutto fisiologico, considerata la natura delle fattispecie riciclative, in cui ciò che rileva è che il soggetto ostacoli la identificazione della provenienza criminale di un provento, o lo immetta nel circuito dei mercati, senza che rilevi se questo sia di derivazione delittuosa o contravvenzionale. Un altro argomento a sostegno di tale posizione si fonda sull’uso della formula “fuori dai casi di concorso nel reato” presente come incipit degli artt. 648, 648 bis e ter c.p.[6].
A tal riguardo, oltre ad evidenziare la vetustà, se non la irragionevole sopravvivenza, di tale clausola a seguito della introduzione del reato di autoriciclaggio, essa non pare esprimere una volontà di configurare le contravvenzioni come reato presupposto, anche perché, altrimenti, il legislatore lo avrebbe fatto già in sede di redazione originaria delle fattispecie, ed invece, la previsione testuale esclusiva dei “delitti presupposto” non permetteva, stando al testo vigente fino alla riforma in esame, una tale estensione analogica in malam partem.
In relazione alla estensione dei reati presupposto, il primo argomento proposto appare più ragionevole del secondo. In effetti, ciò che rileva è che vi sia un provento di derivazione criminale, che risulti oggetto di riciclaggio e impiego.
Tuttavia, probabilmente, a rilevare in termini di attenuanti o aggravanti, non dovrebbe essere la natura delittuosa o contravvenzionale del reato presupposto, quanto piuttosto l’entità del valore economico del provento e l’intensità dell’offesa al bene giuridico che si intende tutelare.
In linea di massima, un provento dal valore più o meno significativo, potrebbe derivare tanto da un delitto quanto da una contravvenzione, ed è la sua entità ad incidere in maniera più o meno significativa sul bene di natura patrimoniale che va posto ad oggetto di tutela della disciplina.
Pertanto, probabilmente, al di là di quanto indicato dalla direttiva, si potrebbe proporre un sistema di attenuanti e aggravanti fondato sull’entità economica del provento e sulla conseguente offesa al bene giuridico di riferimento, piuttosto che sulla natura del reato presupposto.
Peraltro, va rilevato che alcune fattispecie contravvenzionali, in particolar modo idonee a produrre proventi potenzialmente riciclabili – si pensi, tra le altre, alle ipotesi di cui agli artt. 697 c.p. (detenzione abusiva di armi), 712 c.p. (incauto acquisto), 718 c.p. (esercizio di gioco d’azzardo) – restano escluse dal novero dei possibili reati presupposto per via del relativo, più lieve, regime sanzionatorio[7], laddove, invece, ne risultano incluse altre, da cui deriva un ampliamento, problematico perché eccessivo, dell’ambito di applicazione della disciplina in esame.
Si pensi, ad esempio, al caso del giovane collaboratore dell’officina meccanica che viene colto per strada in possesso di una borsa contenente gli attrezzi del mestiere, da portare, su incarico del proprio titolare, sul luogo del pronto intervento stradale, in cambio di un esiguo ed ‘informale’ compenso, che non riesce a “giustificare” alle forze dell’ordine; alla spendita dell’informale, esigua ricompensa, potrebbe configurarsi un’ipotesi di riciclaggio, avente come reato presupposto la contravvenzione di cui all’art. 707 c.p.
Andando avanti, sempre in ordine all’art. 2 della direttiva, si registra la elencazione casistica dei settori riguardo ai quali qualsiasi reato, anche al di sotto dei limiti edittali su indicati, può rappresentare “attività criminosa presupposto di riciclaggio”, e, oltre alla dovuta cautela che si impone a fronte di tali tecniche legislative, si evidenzia la presenza, tra le altre, delle ipotesi di lesioni e omicidio.
A tal riguardo, si osserva che da una lettura sistematica della disciplina, emerge che il reato presupposto dovrebbe essere necessariamente in grado di produrre utilità economicamente apprezzabili, di cui l’autore della fattispecie presupposto vorrà avvalersi, e mediante cui vorrà consolidare la propria posizione economica, e che l’autore della fattispecie riciclativa porrà ad oggetto della relativa attività (v. art. 1 lett. e Convenzione di Strasburgo 1990, secondo cui si tratta di «qualsiasi reato in conseguenza del quale si formano proventi che possono diventare oggetto di uno dei reati (…) [riciclativi])».
Invero, non si riesce a immaginare come una ipotesi di lesioni colpose (ma anche dolose) possa risultare produttiva di utilità economicamente apprezzabili, tali da risultare oggetto di successive attività riciclative. Del resto, anche sotto il profilo soggettivo parrebbe singolare considerare quelle lesioni personali “delitti determinati da motivi di lucro” di cui all’art. 61 n. 7 c.p.
Si pensi al chirurgo che, a seguito di lesioni colpose cagionate al paziente, venga chiamato a rispondere di riciclaggio con riferimento all’impiego dell’onorario per l’intervento chirurgico, oppure, ancora, al datore di lavoro che, a seguito delle lesioni colpose cagionate ad un proprio dipendente, derivanti da omessa predisposizione delle misure di prevenzione degli infortuni, debba rispondere di riciclaggio con riferimento all’arricchimento che ne è derivato.
A tali considerazioni si aggiunga che, finora, la prassi applicativa delle fattispecie codicistiche in materia riguarda quasi esclusivamente una casistica relativa a sostituzioni, “camuffamenti”, trasferimenti, soppressioni di autoveicoli e motocicli rubati[8]; a tale consolidato orientamento potrà aggiungersi la contestazione del reato di riciclaggio derivante da una criminalità, parimenti marginale, che allontana ancor più la disciplina del riciclaggio dalla sua originaria, fisiologica, legittima, finalità politico-criminale.
Mentre le precedenti riforme[9] sono state caratterizzate, se non altro in apparenza, da uno spostamento dell’attenzione dal perseguimento della criminalità sottostante alla incriminazione del riciclaggio in sé – si pensi, infatti, che la prima formulazione dell’art. 648 bis c.p. era rubricata «sostituzione di denaro o valori provenienti da rapina aggravata, estorsione aggravata o sequestro di persona a scopo di estorsione» ed era stata introdotta al fine di fronteggiare il dilagare della criminalità politica che era alla base del successivo fenomeno riciclativo – tale ultima riforma, invece, appare improntata proprio al processo inverso.
Il rischio è quello di perdere del tutto di vista la tutela della legittima oggettività giuridica del riciclaggio e di trasformare la relativa disciplina in uno strumento di ulteriore incriminazione, rivolto a qualsivoglia forma di attività criminosa sottostante.
In linea generale, la disciplina in cui si inseriscono le circoscritte novità legislative necessiterebbe di un intervento riformatore ben più ampio, osservante delle garanzie fondamentali affermate nel nostro ordinamento – su tutte, vanno ricordate in questa sede esigenze di proporzione/ragionevolezza, determinatezza, offensività –, ma il perseguimento di tale aspirazione diviene ancor più arduo in presenza di obblighi di adeguamento a indicazioni sovranazionali che, sovente, non tengono in considerazione tali esigenze[10].
[1] Sulla distinzione tra ricettazione e riciclaggio, fondata sul differente coefficiente soggettivo, v., per tutti, M. Angelini, Riciclaggio, in Dig. disc. pen., II, Agg., 2005, p. 1401 ss., 1407; M. Zanchetti, Riciclaggio, in Dig. disc. pen., XII, Torino 1997, pp. 201 ss., 204; per un’interpretazione del dolo di cui all’art. 648 bis c.p. quale dolo generico, per tutti in questa sede, L. Ferrajoli, La normativa antiriciclaggio: repressione penale, adempimenti amministrativi degli intermediari finanziari, strumenti e tecniche di investigazione, profili internazionali, Milano 1994, p. 13; G.M. Flick, Riciclaggio, in Enc. giur. Treccani, XXVII, Roma 1991, p. 1 ss., 6; C. Longobardo, Riciclaggio, in Aa.Vv., Trattato di diritto penale. I reati contro il patrimonio, a cura di S. Fiore, Torino 2010, pp. 823 ss., 855; V. Manes, Il contrasto al riciclaggio tra repressione e prevenzione: alcuni nodi problematici, in Crit. dir., 2008, 3-4, 261 ss., 274; sul piano applicativo, per tutte, v., Cass. pen., Sez. II, 10.01.2003, n. 18103, in Cass. pen., 2004, 527; Cass. pen Sez. II, 19.11.2020, n. 4817, in Guida dir., 2021, 12; sul rischio di una deriva verso il dolo eventuale, v., K. Volk, Criminalità organizzata e criminalità economica, in Aa.Vv., Criminalità organizzata e risposte ordinamentali. Tra efficienza e garanzia, a cura di S. Moccia, Napoli 1999, pp. 353 ss., 359; per una soluzione orientata a ritenere la formula «in modo da ostacolare» vincolante nel senso di richiedere un dolo specifico, v. Cass. pen., Sez. II, 10.01.1996, n. 1157, con nota di La Spina, in Foro it., 1998, II, col. 116 ss., 119.
[2] In tal senso, con riferimento al tema specifico, v. C. Longobardo, Il fenomeno del riciclaggio del denaro sporco tra valorizzazione di esigenze preventive ed ineffettività della repressione penale, in Aa.Vv., Scenari di mafia. Orizzonte criminologico e innovazioni normative, a cura di G.Fiandaca-C.Visconti, Torino 2010, p. 228 ss.; V. Manes, Il contrasto al riciclaggio tra repressione e prevenzione, alcuni nodi problematici, cit., 270; A. Mangione, Mercati finanziari e criminalità organizzata: spunti problematici sui recenti interventi normativi di contrasto al riciclaggio, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 1102 ss., 1136; M. Zanchetti, Il riciclaggio di denaro proveniente da reato, Milano 1997, p. 365.
[3] Si veda, S. Moccia, Tutela penale del patrimonio e principi costituzionali, Padova 1988, p. 134 ss.; Id., Considerazioni de lege ferenda sulla sistematica dei reati contro il patrimonio, in Riv. it. dir. proc. pen., 1990, 423 ss.
[4] A tal riguardo, sia consentito il rinvio a G.M. Palmieri, La tutela penale della libertà di iniziativa economica. Riciclaggio e impiego di capitali illeciti tra normativa vigente e prospettive di riforma, Napoli 2013, p. 154 ss.
[5] F. Mantovani, Diritto penale. Parte speciale. Delitti contro il patrimonio, Padova 2021, pp. 280, 292; G. Pecorella, Ricettazione, in Nss. Dig. it., XV, Torino 1968, p. 936 ss.
[6] Sul tema, recente, v., F. Bellagamba, In dirittura d’arrivo la riforma del riciclaggio: alcune proposte di modifica per andare oltre il mancato recepimento della direttiva europea, in Sist. pen., 11.10.2021, 1 ss., 3 ss.
[7] Sul tema, si veda, G. Pestelli, Riflessioni critiche sulla riforma dei reati di ricettazione, riciclaggio, reimpiego e autoriciclaggio di cui al d.lgs. 8 novembre 2021, n. 195, in Sist. pen., 12/2021, 49 ss., 53 ss.
[8] Per tutte, nell’ambito di un indirizzo applicativo quasi esclusivo, si vedano, in tema di trasferimento di auto verso un paese extracomunitario, Cass. pen. Sez. II, 13.07.2020, n. 23774, in Ced Cass. pen, rv., 279586; Cass. pen. Sez. II, 01.10.2020, n. 4638, in Dir. Giust. 08.02.2021; Cass. pen. Sez. II, 30.05.2019, n. 37559, in Ced Cass. pen. 2019; in tema di sostituzione e alterazione dei dati identificativi del veicolo, quali targhe e telai, v., Cass. pen., Sez. II, 09.12.2020, n. 1750, in Dir. Giust. 18.01.2021; Cass. pen. Sez. II, 15.06.2021, n. 35439, in Ced Cass. pen., 2021; Cass. pen. Sez. II, 11.01.2019, n. 8788, in Cass. Pen., 2020, 2, 560; Cass. pen. Sez. II, 12.11.2020, n. 35031, in Il Foro it., 2021; in tema di mera “compressione di carcasse di autovetture”, v., Cass. pen. Sez. II, 19.11.2020, n. 4817, in Guida dir., 2021, 12; per una “singolare” ipotesi di riciclaggio riferita alla sostituzione del microchip ad un cane smarrito, v., Cass. pen. Sez. II, 21.03.2022, n., 9533, in Dir. Giust. 22.03.2022.
[9] Il riferimento è agli interventi legislativi mediante cui è stato introdotto, e successivamente modificato, l’art. 648 bis c.p., dunque, l. n. 191/1978, in Gazz. uff. del 19.05.1978, n. 137; l. n. 55/1990, in Gazz. uff., del 23.03.1990, n. 69; l. n. 328/1993, in Gazz. uff. del 28.08.1993, n. 202, suppl. ord. 80.
[10] Sul tema sia consentito il rinvio a G.M. Palmieri, Il recepimento delle fonti sovranazionali in materia di riciclaggio. Iter di una disciplina ineffettiva, in Riv. dir. impr., 1/2018, 271 ss.