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Lo sfregio permanente al viso dopo il c.d. Codice rosso: una prima applicazione dell’art. 583 quinquies c.p. (G.U.P. Parma, sent. n. 786 del 7 dicembre 2021, giud. Agostini).

Sommario: 1. Il fatto – 2. La fattispecie di sfregio permanente. – 3. L’art. 583 quinquies c.p. è una fattispecie autonoma di reato. – 4. Il rigetto della questione di legittimità costituzionale dell’art. 583 quinquies c.p. – 5. Alcuni rilievi critici.

Abstract:

Il contributo dedica alcune riflessioni parzialmente critiche a una delle prime pronunce di merito, in cui ha trovato applicazione l’art. 583 quinquies c.p. L’iter giudiziario si conclude in primo grado con la condanna dell’imputato, al quale si contestava – tra gli altri capi di imputazione – di aver provocato lo sfregio permanente al volto della vittima. Con la sentenza in commento si conferma che l’interpretazione giurisprudenziale della distinzione tra sfregio permanente e deformazione non ha subito modificazioni di rilievo in seguito all’entrata in vigore del c.d. Codice rosso. Inoltre, il G.U.P. del Tribunale di Parma afferma chiaramente che l’art. 583 quinquies c.p. costituisce una nuova figura criminosa autonoma. Infine, le statuizioni inserite dal giudicante nella pronuncia, in merito al rigetto della questione di legittimità costituzionale dell’art. 583 quinquies c.p., sollevata dalla Difesa nel corso del giudizio, consentono all’autore del commento di avanzare alcune considerazioni parzialmente diverse rispetto a quelle proposte dal Giudice, con riferimento ai profili dell’aumento sanzionatorio e alla previsione della pena interdittiva perpetua.

The paper proposes some partially critical reflections to one of the first decision about art. 583 quinquies Criminal Code. The judicial process ends with the conviction of the accused, who was challenged – among other charges – for having caused the permanent scarring of the victim’s face. The sentence confirms the traditional jurisprudential interpretation on the distinction between permanent scarring and deformation, even after the entry into force of the so-called “Codice rosso”. Furthermore, the judge clearly states that art. 583 Criminal Code is a new autonomous crime. Finally, the part of the sentence regarding the rejection of the question of constitutional legitimacy of art. 583 Criminal Code (issue raised by the Defense during the trial) allow the author of the comment to propose some considerations that are partially different from those proposed by the judge.

  1. Il fatto

Il 9 maggio 2021 l’imputato incontra la vittima in un parco per venderle dell’hashish. Ne nasce una discussione al termine della quale la vittima tenta di fuggire. Quest’ultima viene inseguita con un monopattino dall’imputato, che impugna un grosso coltello. Una volta raggiunta la vittima, l’imputato la colpisce prima al braccio destro poi alla parte sinistra del corpo, in particolare al braccio, alla spalla, alla coscia e alla caviglia, riportando ferite multiple da taglio guaribili in trenta giorni. Infine, l’imputato sferra un ultimo colpo alla guancia sinistra della vittima, ormai a terra, provocandole una ferita lacerocontusa, che lascerà esiti cicatriziali permanenti. Successivamente, grazie all’intervento di terzi, l’imputato viene spinto ad allontanarsi.

Richiesto e ammesso il giudizio abbreviato, ai sensi dell’art. 438 c.p.p. e ss., la Difesa dell’imputato eccepisce l’illegittimità costituzionale dell’art. 583 quinquies c.p. Tuttavia, la questione viene rigettata dal G.U.P. del Tribunale di Parma perché manifestamente infondata ai sensi dell’art. 23, l. 11 marzo 1953, n. 87.

All’esito del procedimento, il Giudice, con la sentenza n. 786 del 7 dicembre 2021, condanna l’imputato per il reato di cui agli artt. 582 e 585 c.p.; per il reato di cui agli artt. 583 quinquies e 585 c.p. e per la violazione dell’art. 4, della l. n. 110/1975. A ciò si aggiunge la condanna all’interdizione in perpetuo da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e all’amministrazione di sostegno e all’interdizione per cinque anni dai pubblici uffici.

La pronuncia in esame costituisce una delle prime applicazioni della fattispecie di «Deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso», che il c.d. Codice rosso ha trasformato da circostanza aggravante a titolo autonomo di reato. In particolare, la sentenza appare interessante perché il Giudice si sofferma sull’analisi di alcune questioni – già discusse in dottrina – sorte con l’introduzione dell’art. 583 quinquies c.p.

  • La fattispecie di sfregio permanente.

L’art. 583 quinquies c.p. punisce con la reclusione da 8 a 14 anni colui che cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente al viso[1].

Mentre il Codice Rocco annoverava tale ipotesi tra le circostanze aggravanti del delitto di lesioni personali, la legge 19 luglio 2019, n. 69, pubblicata nella Gazzetta ufficiale n. 173 del 25 luglio 2019, recante «Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere»[2], il c.d. Codice rosso, ha trasformato la deformazione e lo sfregio permanente al viso in un titolo autonomo di reato, con un proprio trattamento sanzionatorio.

Nel caso in esame, alla luce della valutazione del compendio probatorio, il Giudice rileva che l’evento lesivo ha determinato lo sfregio permanente della persona offesa.

Infatti, i segni di sutura sono particolarmente visibili; la guancia sinistra presenta un affossamento ben visibile in corrispondenza della cicatrice; tale traccia è decisamente appariscente in quanto collocata al centro del volto tra la mandibola e l’orbita; il segno è stato cagionato da una lama e non potrà mai scomparire in modo completo.

Ad avviso del Giudice, la ferita è dunque permanente ai sensi dell’art. 583 quinquies c.p. Infatti, l’imputato ha provocato alla vittima un «turbamento irreversibile dell’armonia e delle linee del viso, interrotte dalle linee dei punti di sutura che le intersecano in orizzontale in modo innaturale»[3].

In linea con quanto previsto dalla giurisprudenza, il Giudice conferma che nella valutazione del carattere permanente della ferita appare irrilevante la possibilità di eliminazione o di attenuazione del danno fisionomico attraverso il ricorso a trattamenti di chirurgia estetica. Non rileva, infatti, la possibilità di eliminazione o di attenuazione del danno fisionomico mediante speciali trattamenti di chirurgia facciale[4].

Nel caso in esame, l’imputato ha provocato «uno sfregio permanente, perché senza determinare la più grave conseguenza della deformazione, la lesione al volto comportò […] un’apprezzabile alterazione, tale da incidere, sia pure in misura contenuta, sulla funzione estetico-fisiognomica, sull’armonia e sull’euritmia delle linee del viso […], nonché da comportare un effetto sgradevole, anche se non al punto da ingenerare un senso di ripugnanza, secondo un osservatore comune, di gusto normale e di media sensibilità»[5].

Dunque, il Giudice conferma la giurisprudenza che identifica un gradiente progressivo di lesività della condotta illecita che procede dallo sfregio permanente alla deformazione, distinguendo le due ipotesi[6].

Infatti, già in epoca precedente all’introduzione del c.d. Codice rosso, con riferimento all’aggravante della deformazione, ovvero dello sfregio permanente del viso, la giurisprudenza aveva affermato che per deformazione si deve intendere un’alterazione anatomica del viso, che ne alteri profondamente la simmetria tanto da causarne uno sfiguramento ridicolizzante e sgradevole. Rientrano nella nozione di deformazione, ad esempio, la mutilazione delle narici o la paresi facciale. Invece, lo sfregio permanente è inteso come un qualsiasi nocumento che non venga a determinare la più grave conseguenza della deformazione, ma che importa un turbamento irreversibile dell’armonia e dell’euritmia delle linee del viso. In particolare, integra lo sfregio permanente qualsiasi segno idoneo ad alterare la fisionomia della persona, ancorché di dimensioni contenute, rispetto ai tratti naturali dei lineamenti, escludendone l’armonia con effetto sgradevole o di ilarità, anche se non di ripugnanza, e compromettendone l’immagine in senso estetico.

L’interpretazione della giurisprudenza non ha subito modificazioni di rilievo in seguito alla trasformazione della fattispecie da circostanza aggravante a titolo autonomo di reato, perché la struttura letterale della norma è rimasta invariata[7].

  • L’art. 583 quinquies c.p. è una fattispecie autonoma di reato.

Nel caso di specie, il Giudice afferma chiaramente che l’art. 583 quinquies c.p. costituisce una nuova figura criminosa autonoma[8].

Come anticipato, nella formulazione originaria del Codice penale, la deformazione e lo sfregio permanente del viso erano puniti ai sensi dell’art. 583, co. 2, n. 4 c.p. In passato un orientamento, invero minoritario, identificava, all’interno dell’art. 583 c.p., una pluralità di fattispecie autonome di reato, escludendo qualsiasi rapporto di specie a genere tra l’ipotesi di deformazione e sfregio, da una parte, e la fattispecie di lesioni personali, dall’altra. Secondo l’orientamento maggioritario, invece, l’art. 583 c.p. annoverava una serie di circostanze aggravanti della fattispecie di lesioni personali, avuto riguardo alla rubrica, alla presenza di elementi specializzati rispetto all’ipotesi base delle lesioni personali e al testo dell’art. 582 c.p. che rinvia alle circostanze aggravanti di cui all’art. 583 c.p.[9].

Con l’entrata in vigore del c.d. Codice rosso, il Legislatore ha introdotto una fattispecie autonoma di reato, per quanto attiene alla specifica ipotesi della deformazione e sfregio permanente al viso[10]. Infatti, la circostanza aggravante prima prevista all’art. 583, co. 2, n. 4 c.p.[11] muta, divenendo un’autonoma figura criminosa che punisce con la reclusione da 8 a 14 anni colui che cagiona ad alcuno una lesione personale dalla quale derivano la deformazione o lo sfregio permanente al viso[12]. Il nuovo titolo autonomo delittuoso prevede un proprio trattamento sanzionatorio costituito dall’applicazione di una pena principale, di una pena accessoria perpetua ed eventualmente di circostanze aggravanti (art. 585, co. 1, c.p. e art. 576, co. 1, n. 5 c.p.).

Alla luce dei principi generali del diritto penale, la fattispecie viene sottratta, quindi, al giudizio di bilanciamento, di cui all’art. 69 c.p., con eventuali circostanze attenuanti.

Infatti, la conseguenza di maggiore novità che discende dalla trasformazione della circostanza aggravante in reato autonomo è il fatto che si sottrae la fattispecie in parola al giudizio di bilanciamento delle circostanze. Mentre in passato il regime sanzionatorio previsto per le lesioni aggravate dall’aver cagionato una deformazione o uno sfregio permanente del viso poteva essere contemperato dalla sussistenza di circostanze attenuanti, attualmente risulta inapplicabile l’ipotesi di bilanciamento, determinandosi così un irrigidimento sul piano sanzionatorio[13].

Dunque, nel caso di specie, il reato in questione concorre con quello di lesioni in quanto le ulteriori ferite arrecate alla persona offesa riguardano distretti corporei diversi dal volto, ossia zone prive del peculiare disvalore tipico della fattispecie di cui all’art. 583 quinquies c.p.

Tra l’altro, nel caso concreto viene riconosciuta anche la sussistenza dell’aggravante di cui all’art. 585 c.p. per entrambi i reati di cui agli artt. 583 quinquies e 582 c.p., in quanto i delitti furono commessi con uno strumento atto a offendere. Tuttavia, nel caso di specie, il Giudice ha riconosciuto le attenuanti generiche e le ha ritenute prevalenti sulle aggravanti[14].

  • Il rigetto della questione di legittimità costituzionale dell’art. 583 quinquies c.p.

Nella sentenza il Giudice afferma che durante il procedimento è stata proposta dalla Difesa la questione di legittimità costituzionale dell’art. 583 quinquies c.p., per violazione degli art. 3 e 27, co. 3, Cost., sotto i profili dell’aumento sanzionatorio introdotto dal c.d. Codice rosso, della previsione dell’interdizione perpetua come pena accessoria e dell’inserimento della fattispecie nel novero dei reati menzionati dal comma 1 quinquies dell’art. 4 bis della legge n. 354/1975. Tuttavia, il Giudice rigetta la questione perché manifestamente infondata ex art. 23, l. n. 87/1953.

Con riferimento alla prima questione, in linea con quanto previsto dalla giurisprudenza costituzionale a partire dalla sentenza n. 236/2016 e confermato dalla sentenza n. 40/2019, la Difesa invoca la violazione dell’art. 3 Cost. Il Giudice, dopo aver esplicitamente dimostrato di avere contezza delle voci critiche sollevate in dottrina dall’art. 583 quinquies c.p.[15], a cui probabilmente la Difesa si è ispirata nell’eccepire l’illegittimità costituzionale della fattispecie in parola, afferma che la sanzione prevista dall’art. 583 quinquies c.p. non appare viziata da irragionevolezza intrinseca per mancanza di proporzionalità rispetto alle condotte ad esso riconducibili.

Infatti, ad avviso del Giudice, il Legislatore del Codice rosso, nell’ambito della sua discrezionalità, ha non solo mutato la fattispecie aggravata nel reato autonomo di cui all’art. 583 quinquies c.p., ma anche ne ha incrementato i limiti edittali al fine di punire in modo più severo una condotta di particolare disvalore come quella lesiva dell’estetica del volto della vittima. Infatti, tale condotta non lederebbe solo la sua integrità fisica ma andrebbe oltre, aggredendo la sua individuale personalità e la sua dignità come persona. La condotta lesiva, dunque, inciderebbe sull’immagine della vittima, che rappresenta un veicolo essenziale nei rapporti interpersonali[16].

Con riferimento alla seconda questione, ad avviso del Giudice, il Legislatore del 2019 – sempre nella propria discrezionalità legislativa – ha introdotto l’art. 583 quinquies, co. 2, c.p. che prevede l’interdizione perpetua da qualsiasi ufficio connesso alla tutela dei soggetti deboli. A tal proposito, il G.U.P. del Tribunale di Parma afferma che tale pena accessoria è a tutela dei soggetti deboli, che potrebbero essere influenzati negativamente da tali rei. Infatti, la tutela, la curatela e l’amministrazione di sostegno sarebbero uffici di notevole delicatezza, che possono essere conferiti solo a individui di comprovata serietà morale. Inoltre, il carattere perpetuo della pena non apparirebbe incompatibile di per sé con l’art. 27 Cost. in quanto la perpetuità consentirebbe di isolare a tempo indeterminato i criminali che abbiano dimostrato una particolare pericolosità ed efferatezza, al pari di quanto avverrebbe per l’art. 609 nonies, n. 2, c.p. e in tutte le ipotesi di cui al combinato disposto di cui agli art. 28, n. 3, e 29 c.p.[17].

Infine, con riferimento all’art. 4 bis, co. 1 quinquies, della l. n. 354/1975, il Giudice ritiene che tale normativa non sia suscettibile di trovare applicazione nel giudizio di merito[18]. Se è vero che in dottrina si è paventata l’illegittimità costituzionale dell’art. 583 quinquies c.p. per violazione degli artt. 3 e 27, co. 3, Cost, sotto il profilo dell’inserimento della fattispecie al comma 1 quinquies dell’art. 4 bis della l. 26 luglio 1975, n. 354[19], tuttavia, non si può negare che nel caso di specie tale disposizione non avrebbe comunque trovato applicazione nel giudizio di merito, ma solo eventualmente nella fase di esecuzione della pena[20]. Dunque, il Giudice ha condivisibilmente rigettato la questione.

  • Alcuni rilievi critici.

Con riferimento all’aumento sanzionatorio, sin dall’entrata in vigore dell’art. 583 quinquies c.p., in dottrina sono stati sollevati dubbi sulla legittimità costituzionale della disposizione per violazione dell’art. 3 Cost., così come individuato dalla Corte costituzionale nelle sentenze nn. 236/2016 e 40/2019[21].

Sul punto, con la sentenza n. 236/2016[22], in tema di alterazione di stato, di cui all’art. 567, co. 2, c.p., la Corte costituzionale ha abbandonato il tradizionale requisito del tertium comparationis, che fino a un recente passato condizionava l’ammissibilità delle questioni di legittimità costituzionale inerenti all’art. 3 Cost. Sul tema del principio di proporzionalità sanzionatoria si è pronunciata in termini non dissimili la stessa Corte costituzionale nella più recente sentenza n. 40/2019[23], in materia di traffico di sostanze stupefacenti.

Da ciò si evince che, nel caso di specie, non è condivisibile la posizione del Pubblico Ministero che aveva chiesto che la questione venisse dichiarata inammissibile o manifestamente infondata evidenziando che il parametro dell’uguaglianza sotteso all’art. 3 della Costituzione richiederebbe un tertium comparationis non rinvenibile né indicato dal difensore[24].

Ad ogni modo, nonostante i dubbi espressi dalla Difesa, che richiama in sostanza i temi già espressi in dottrina[25], il Giudice conferma che il severo trattamento sanzionatorio riservato alle ipotesi di deformazione e sfregio permanente al viso sarebbe la conseguenza del maggior disvalore dell’evento e della notevole gravità delle conseguenze subite dalla vittima.

Se da un lato, la scelta dell’aumento sanzionatorio costituirebbe una decisione frutto dell’esercizio discrezionale del potere legislativo[26], dall’altro, il Giudice pare non prendere sufficientemente in considerazione il fatto che la scelta di cosa e come punire spetta sì al Legislatore, ma quest’ultimo incontra un limite nella Costituzione, in particolare nei principi di ragionevolezza e di proporzione, così come interpretati dalle richiamate sentenze della Corte costituzionale[27].

Con riferimento alla pena accessoria, sembrano potersi avanzare considerazioni parzialmente diverse rispetto a quelle proposte dal G.U.P. del Tribunale di Parma.

Se da un lato, è condivisibile affermare che la pena accessoria dell’interdizione perpetua del condannato da qualsiasi ufficio attinente alla tutela, alla curatela e alla amministrazione di sostegno assolve il fine di allontanare il condannato dal bene giuridico che ha leso, dall’altro, può apparire non conforme alla Costituzione il carattere perpetuo della pena prevista.

Sembrerebbe emergere, a parere di chi scrive, un contrasto con il principio di proporzione e di rieducazione del reo, alla luce della dottrina penale sul punto[28] e, soprattutto, della posizione – in via di consolidamento – della Corte costituzionale sul tema[29].

Ciò è confermato anche nella Relazione sulla “Legge 19 Luglio 2019, n. 69, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale a altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, pubblicata dalla Corte di cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo, il 27 ottobre 2019, in cui si afferma che «in tale ottica», cioè di maggior rigore sanzionatorio, «deve altresì leggersi la disposizione in tema di pena accessoria, non senza rilevare che di recente la Corte costituzionale, con la sentenza n. 222 del 2018, ha formulato rilievi fortemente critici nei confronti delle pene accessorie perpetue».

La pena fissa – e a fortiori quella perpetua – stride con il principio di ragionevolezza (art. 3, co. 1, Cost.) rispetto al fatto commesso perché essa parifica irrazionalmente tutti i fatti di reato e tutti i soggetti che li hanno commessi, non consentendo di distinguere situazioni diverse. Dal vulnus appena menzionato deriva la conseguente violazione dell’art. 27, co. 3, Cost. in quanto l’impossibilità di commisurare la pena in base al disvalore del fatto commesso non consente di individualizzare la pena per ciascun reo. Dunque, ciò stride, in conclusione, anche con la finalità rieducativa della pena, in quanto quest’ultima non si pone come base per un percorso rieducativo del condannato. A tal proposito, il sindacato sulla pena fissa non necessita di una valutazione sistematica ma mira a rendere manifesta l’irragionevolezza intrinseca della norma, proprio con riferimento alla fissità e (a fortiori) la perpetuità della pena[30].

La stessa Corte costituzionale, con la sentenza n. 50/1980 aveva già affermato che le pene fisse sono indiziate di essere in contrasto con i principi costituzionali sulla pena, salvo che sia accertata nel caso concreto la proporzione della pena fissa in relazione a tutte le ipotesi fattuali riconducibili alla norma incriminatrice[31].

Più di recente, la Corte costituzionale con la sentenza n. 222/2018[32], con riferimento alla pena accessoria della durata fissa di dieci anni prevista per la bancarotta fraudolenta, ha affermato che, siccome il delitto di bancarotta fraudolenta incrimina condotte di diverso disvalore sociale e punite con pene principali diverse, la pena accessoria fissa in egual misura per tutte le ipotesi si pone in contrasto con il principio di proporzione e con quello di rieducazione della pena[33].

Allo stesso modo, da un lato, il delitto di cui all’art. 583 quinquies c.p. consente di punire condotte dotate di un diverso disvalore sociale (la deformazione e lo sfregio), dall’altro, la norma prevede una pena accessoria perpetua per tutte quelle ipotesi riconducibili al delitto in esame.

Ciò pare potersi porre in contrasto con i principi costituzionali sopra esposti, in quanto si finisce per sottoporre alla stessa pena fatti dalla portata offensiva evidentemente diversi.

Con riferimento all’ultima questione, ossia al comma 1 quinquies art. 4 bis l. n. 354/1975, appare condivisibile la decisione del Giudice, posto che la predetta disposizione non avrebbe trovato applicazione nel giudizio, ma solo nella fase di eventuale esecuzione della pena.

In conclusione, il G.U.P. del Tribunale di Parma ha ritenuto le questioni come manifestamente infondate ex art. 23, l. n. 87/1953, motivando dettagliatamente la sua scelta. Tuttavia, ad avviso di chi scrive, dal procedimento che ha dato origine alla sentenza in commento, sembrerebbe intravedersi la presenza di elementi che avrebbero potuto portare il Giudice a sollevare questione di legittimità costituzionale dell’art. 583 quinquies c.p. con riferimento all’aumento sanzionatorio o, quantomeno, alla previsione della pena interdittiva perpetua.


[1] Fiandaca, Musco, Diritto penale. Parte speciale. I delitti contro la persona, 5° ed., Bologna, 2020, p. 103 ss.; Padovani, Lo sfregio, da aggravante a delitto, in Cadoppi, Veneziani, Aldrovandi, Putinati (a cura di), Legalità e diritto penale dell’economia. Studi in onore di Alessio Lanzi, Roma, 2020, p. 246 ss.; Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, in Arch. pen., 3, 2020, Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, in Arch. pen., 3, 2020; Lo Monte, Il “nuovo” art. 583-quinquies c.p. (“deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso”): l’ennesimo esempio di simbolismo repressivo, in Leg. Pen., 22 novembre 2019; Casalnuovo, Colella, Il nuovo reato di deformazione dell’aspetto della persona mediante lesioni permanenti al viso introdotto dal codice rosso, in Riv. Pen., 2019, p. 983 ss.; Lasalvia, Appunti sulla deformazione o sfregio permanente del viso. Note critiche sulle modifiche introdotte con il Codice rosso, in Rassegna dell’Arma dei Carabinieri, 3 2021, p. 23 ss. Sia concesso anche il riferimento a Botto, Girani, Ipotesi speciali di lesioni personali dolose, in Cadoppi, Canestrari, Manna, Papa (a cura di), Trattato di diritto penale, II, Torino, 2022, p. 5097 ss. e Girani, Il fenomeno del vitriolage: da circostanza aggravante a fattispecie autonoma di reato, in questa Rivista, 3, 2021, p. 517 ss.

[2] In generale, per un’ampia analisi della legge 19 luglio 2019, n. 69, comunemente denominata dai mezzi di comunicazione e dagli stessi esponenti del mondo politico con l’espressione “Codice rosso” si vedano: Marandola, Pavich, Codice rosso. L. n. 69/2019, Milano, 2019; Romano B., Marandola, Codice rosso. Commento alla l. 19 luglio 2019, n.69, in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere, Pisa, 2020; Basile, La tutela delle donne dalla violenza dell’uomo: dal Codice Rocco … al codice Rosso, in Dir. pen. e uomo, 20 novembre 2019; De Santis, “Codice Rosso”. Le modifiche al codice penale (Prima parte), in Studium iuris, 2020, 1, p. 1 ss.; Mattio, “Codice Rosso”. Le modifiche al codice penale (Seconda parte), in Studium iuris, 2020, 2, p. 141 ss.; Recchione, Codice Rosso. Come cambia la tutela delle vittime di violenza domestica e di genere con la legge 69/2019, in ilPenalista, 26 luglio 2019; Russo, Emergenza e “Codice Rosso”, in Sistema pen., 2020, 1, p. 5 ss.; Valsecchi, “Codice rosso” e diritto penale sostanziale, in Dir. pen. proc., 2020, 2, p. 163 ss; Gatta, Il disegno di legge in tema di violenza domestica e di genere (c.d. Codice Rosso): una sintesi dei contenuti, in Dir. pen. cont., 9 aprile 2019; Algeri, Il Codice rosso in gazzetta: nuovi reati e una corsia preferenziale per la tutela delle vittime, in Quotidiano Giuridico, 26 luglio 2019. Più in generale, sulla violenza di genere, si veda Pecorella, Violenza di genere e sistema penale, in Dir. pen. proc., 2019, p. 1181 ss.

[3] G.U.P. Parma, sent. n. 786 del 7 dicembre 2021, p. 6.

[4] In giurisprudenza si vedano Cass., sez. V, 21.4.2010, n. 26155, in CED 247892; Cass., sez. V, 16.1.2012, n. 21998, in CED 252952; Cass., sez. V, 16.6.2014, n. 32984, in CED 261653; più di recente Cass. pen., sez. V, 7 maggio 2021 n. 23692 in CED, Rv. 281319-01. In dottrina, sul punto, si veda Pulitanò, Lesioni personali, percosse, rissa, in Id. (a cura di), Diritto penale. Parte speciale. Tutela penale della persona, II, Torino 2019, p. 77.

[5] G.U.P. Parma, sent. n. 786 del 7 dicembre 2021, p. 7.

[6] Sulla distinzione tra sfregio permanente e deformazione si vedano Cass. Sez. I, 10.6.1978; Cass., sez. IV, 4.7.2000, n. 12006, in CED, n. 217879; Cass., 16.01.2012, n. 21998, in CED, n. 252912; Cass., Sez., V, 16.6.2014 n. 32984 in CED n. 261653; Cass., 21.09.2020, n. 27564, in CED, n. 279471.

[7] A conferma del costante orientamento della giurisprudenza, si veda Cass., 21.09.2020, n. 27564, cit., spec. p. 3 della pronuncia.

[8] G.U.P. Parma, sent. n. 786 del 7 dicembre 2021, p. 7.

[9] Sulla distinzione tra i due orientamenti si vedano: Pannain, I delitti contro la vita e l’incolumità individuale, Torino, 1965, p. 192 ss.; Antolisei, Manuale di diritto penale, Parte speciale, I, Milano, 2016, p. 84 ss.; Salcuni, sub artt. 582-583. Lesioni personali dolose e circostanze aggravanti, in Manna (a cura di), Reati contro la persona, I, Torino, 2007, p. 116 ss.; Mantovani, Diritto penale, Parte speciale, Delitti contro la persona, I, Milano, 2016, p. 140 ss.; Galiani, Lesioni personali e percosse, in Enc. dir., Milano, 1974, p. 157 ss.; Baima Bollone, Zagrebelsky, Percosse e lesioni personali, Milano, 1975, p. 129 ss.; Basile, I delitti contro la vita e l’incolumità individuale, in Marinucci, Dolcini(a cura di), Trattato di diritto penale, Parte speciale, III, Milano, 2015, p. 61 ss.; Masera, Delitti contro l’integrità fisica, in Viganò, Piergallini(a cura di), Reati contro la persona e contro il patrimonio, , Torino, 2015, p. 112 ss.

[10] La scelta del legislatore di trasformare una circostanza aggravante in fattispecie autonoma non costituisce un unicum. Già in passato, il legislatore aveva utilizzato un simile meccanismo trasformando le due aggravanti del furto domiciliare (art. 625, n. 1) e del furto con scippo (art. 625, n. 4) in reati autonomi, con pena pecuniaria triplicata nel minimo, sottraendole così al bilanciamento di cui all’art. 69. Si veda Mantovani F., Diritto penale. Parte speciale, II, Delitti contro il patrimonio, Padova, 2018, p. 90. Il medesimo modus procedendi è stato applicato nell’ipotesi del delitto di omicidio stradale che costituiva prima una circostanza aggravante dell’omicidio colposo e che poi è stato trasformato dal Legislatore in un reato autonomo. Sul punto si veda Corte di cassazione – Ufficio del Massimario e del Ruolo, Relazione su “Legge 19 Luglio 2019, n.69, Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale a altre disposizioni in materia di tutela delle vittime di violenza domestica e di genere”, 27 ottobre 2019, consultabile all’indirizzo ufficiale www.cortedicassazione.it: “il Legislatore, con modalità analoga a quella già precedentemente seguita in tema di omicidio stradale, trasforma in autonoma fattispecie di reato il fatto di lesione causativo della deformazione o dello sfregio permanente al viso […]”.

[11] Norma ad oggi abrogata, contestualmente, dal comma 3 dell’art. 12 della legge 19 luglio 2019 n. 69. Per un’analisi dettagliata della circostanza aggravante in parola si veda Basile, sub art. 583, in Dolcini, Gatta (a cura di), Codice penale commentato, Milano, 2015.

[12] Sulla natura di reato autonomo, confermato dalla contestuale abrogazione della corrispondente ipotesi aggravata di lesioni personali gravissime, si vedano in dottrina Fiandaca, Musco, Diritto penale. Parte speciale. I delitti contro la persona, cit., p. 104; Padovani, Lo sfregio, da aggravante a delitto, cit., p. 248.

[13] Un’altra conseguenza derivante dal passaggio da circostanza aggravante (contestualmente abrogata) a titolo autonomo di reato – che tuttavia non rileva ai fini della presente nota a sentenza – è che dopo l’entrata in vigore del “Codice rosso” non si può applicare l’art. 583 quinquies c.p. nel caso in cui la deformazione o lo sfregio permanente al viso mediante lesioni siano state provocate da una condotta colposa. Prima della riforma, la circostanza aggravante della deformazione o dello sfregio permanente del viso poteva essere addebitata all’autore solo se in linea con il principio di colpevolezza e, quindi, soltanto se era dall’agente conosciuta ovvero ignorata per colpa o ritenuta inesistente per errore determinato da colpa, secondo quanto previsto dall’art. 59, co. 2, c.p. Invece, dopo l’entrata in vigore del “Codice rosso”, che ha contestualmente abrogato l’art. 583, co. 2, n. 4, l’art. 583 quinquies costituisce una fattispecie autonoma, perciò il fatto potrà essere ascritto all’agente secondo i normali criteri dell’ascrizione della responsabilità penale (art. 42, co. 2, c.p.), vale a dire a titolo di dolo, non essendovi alcun riferimento esplicito alla colpa. Sul punto, si veda Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, in Arch. pen., 3, 2020, p. 6; Padovani, L’assenza di coerenza mette a rischio la tenuta del sistema, in Guida dir., n. 37, 7 settembre 2019, p. 55.

[14] G.U.P. Parma, sent. n. 786 del 7 dicembre 2021, p. 8.

[15] Il riferimento sembra essere a Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, cit., p. 1 ss.

[16] G.U.P. Parma, sent. n. 786 del 7 dicembre 2021, p. 2.

[17] G.U.P. Parma, sent. n. 786 del 7 dicembre 2021, p. 2.

[18] G.U.P. Parma, sent. n. 786 del 7 dicembre 2021, p. 3.

[19] Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, cit., p. 10.

[20] Il co. 1 quinquies, dell’art. 4 bis, della l. 26 luglio 1975, n. 354 recita: «Salvo quanto previsto dal comma 1, ai fini della concessione dei benefici ai detenuti e internati per i delitti di cui agli articoli 583-quinquies, 600-bis, 600-ter, anche se relativo al materiale pornografico di cui all’articolo 600-quater.1, 600-quinquies, 609-quater, 609-quinquies e 609-undecies del codice penale, nonché agli articoli 609-bis e 609-octies del medesimo codice, se commessi in danno di persona minorenne, il magistrato di sorveglianza o il tribunale di sorveglianza valuta la positiva partecipazione al programma di riabilitazione specifica di cui all’articolo 13-bis della presente legge».

[21] Critico sul punto Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, cit., p. 11 ss..

[22] Corte cost. sent n. 236 del 2016 con nota di Viganò, Una importante pronuncia della Consulta sulla proporzionalità della pena, in www.penalecontemporaneo.it.

[23] Corte cost. n. 40 del 2019, in www.cortecostituzionale.it. Sul punto si veda, in dottrina Dodaro, Illegittima la pena minima per i delitti in materia di droghe pesanti alla luce delle nuove coordinate del giudizio di proporzionalità, in Dir. pen. proc., 2019, 10, p. 1403 ss.; nonché Bartoli, La Corte costituzionale al bivio tra “rime obbligate” e discrezionalità? Prospettabile una terza via, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2019, 2, p. 139 ss.

[24] G.U.P. Parma, sent. n. 786 del 7 dicembre 2021, p. 1.

[25] Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, cit., p. 1 ss.

[26] Ad avviso di chi scrive, il Legislatore del “Codice rosso” nell’esercizio del suo potere discrezionale sarebbe stato animato da una sorta di “populismo penale”. Sulla funzione simbolico-espressiva svolta dall’aumento della pena, si Manna, La deformazione o lo sfregio permanente al viso tra codice penale, codice rosso e principio di proporzione, cit., p. 4; Bonini S., La funzione simbolica nel diritto penale del bene giuridico, Napoli, 2018, Gargani, Il diritto penale quale extrema ratio tra post-modernità e utopia, in Riv. it. dir. pen. proc., 2018, p. 1488 ss.; Paliero, Il sogno di Clitennestra: mitologie della pena. Pensieri scettici su modernità e archeologia del punire, in ibid, p. 447 ss.; Caiazza, Governo populista e legislazione penale: un primo bilancio, in DPP, 2019, p. 589 ss.; Palazzo, Il volto del sistema penale e le riforme in atto, in ibid, p. 5 ss.; Pelissero, Politica consenso sociale e dottrina: un dialogo difficile sulle riforme attuate e mancate del sistema sanzionatorio, in Archivio penale, 2019, 1, p. 1 ss.; Pulitanò, Idee per un manifesto sulle politiche del diritto penale, in Riv. it. dir. pen. proc., 2019, p. 361 ss..

[27] In generale, sul tema della proporzionalità della pena, intesa quale criterio limitativo della discrezionalità legislativa nella determinazione dell’entità delle sanzioni, si veda Viganò, La proporzionalità della pena. Profili di diritto penale e costituzionale, Torino, 2021. Si veda anche Recchia, Il principio di proporzionalità nel diritto penale. Scelte di criminalizzazione e ingerenza nei diritti fondamentali, Torino, 2020, p. 127 ss.

[28] Paliero, Pene fisse e Costituzione: vecchi e nuovi argomenti, in RIDPP, 1981, p. 725 ss.; Manna, Sulla illegittimità delle pene accessorie fisse. L’art. 2641 del codice civile, in Giur. Cost., 1980, 910 ss.

[29] Corte cost., sent. 222 del 2018.

[30] Lasalvia, Appunti sulla deformazione o sfregio permanente del viso. Note critiche sulle modifiche introdotte con il Codice rosso, cit., p. 31. In generale, sul tema si vedano Manes, Proporzione senza geometrie, in Giur. cost., 2016, p. 2110 ss; Manes, Napoleoni, La legge penale illegittima. Metodo, Itinerari e limiti della questione di costituzionalità in materia penale, Torino, 2019, p. 372 ss.; Pulitanò, La misura delle pene, fra discrezionalità politiva e vincoli costituzionali, in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2, 2017, 56 ss.; Bartoli, La Corte costituzionale al bivio tra “rime obbligate” e discrezionalità? in Dir. pen. cont. – Riv. trim., 2, 2019, p. 145 ss.

[31] Corte cost., sent. n. 50 del 1980: «sussiste di regola l’esigenza di una articolazione legale del sistema sanzionatorio, che renda possibile tale adeguamento individualizzato, “proporzionale”, delle pene inflitte con le sentenze di condanna. Di tale esigenza, appropriati ambiti e criteri per la discrezionalità del giudice costituiscono lo strumento normale. In linea di principio, previsioni sanzionatorie rigide non appaiono pertanto in armonia con il “volto costituzionale” del sistema penale ed il dubbio d’illegittimità costituzionale potrà essere, caso per caso, superato a condizione che, per la natura dell’illecito sanzionato e per la misura della sanzione prevista, questa ultima appaia ragionevolmente “proporzionata” rispetto all’intera gamma di comportamenti riconducibili allo specifico tipo di reato».

[32] Corte cost., sent. n. 222 del 2018. In dottrina, si veda Manna, Corsi di diritto penale, Parte generale, 5° ed., Milano 2020, p. 608; M. Romano, Forme di automatismo nell’applicazione delle sanzioni interdittive, in Archivio penale, 1, 2020, p. 1 ss.

[33] Corte cost., sent. n. 222 del 2018: «Ma anche all’interno delle singole figure di reato previste in astratto da ciascun comma, nonché di quelle previste dall’art. 223, secondo comma, della legge fallimentare, la gravità dei fatti concreti ad esse riconducibili può essere marcatamente differente, in relazione se non altro alla gravità del pericolo di frustrazione delle ragioni creditorie (in termini sia di probabilità di verificazione del danno, sia di entità del danno medesimo, anche in termini di numero delle persone offese) creato con la condotta costitutiva del reato. La durata delle pene accessorie temporanee comminate dall’art. 216, ultimo comma, della legge fallimentare resta invece indefettibilmente determinata in dieci anni, quale che sia la qualificazione astratta del reato ascritto all’imputato (ai sensi del primo, del secondo o del terzo comma dello stesso art. 216), e quale che sia la gravità concreta delle condotte costitutive di tale reato; e resta, altresì, insensibile all’eventuale sussistenza delle circostanze aggravanti o attenuanti previste dall’art. 219 della medesima legge, le quali pure determinano variazioni significative della pena edittale, potendo determinare un abbassamento del minimo sino a due anni (ulteriormente riducibili in caso di scelta di riti alternativi da parte dell’imputato), ovvero un innalzamento del massimo sino a quindici anni di reclusione. Una simile rigidità applicativa non può che generare la possibilità di risposte sanzionatorie manifestamente sproporzionate per eccesso – e dunque in contrasto con gli artt. 3 e 27 Cost. – rispetto ai fatti di bancarotta fraudolenta meno gravi; e appare comunque distonica rispetto al menzionato principio dell’individualizzazione del trattamento sanzionatorio».

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