Le Sezioni unite in tema di abnormità dell’atto processuale nel caso di indebita regressione del procedimento
Filippo Lombardi
Cass. pen., SS. UU. 5 ottobre 2022 (ud. 28 aprile 2022), n. 37502 Pres. Cassano, Est. Ricciarelli
La Corte di cassazione a Sezioni unite, con la pronuncia che qui brevemente si annota, ha risolto il quesito se sia abnorme il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare, ritenuto erroneamente che per il reato sottoposto al suo vaglio l’azione penale debba essere esercitata con citazione diretta dal pubblico ministero, disponga – ai sensi dell’art. 33 sexies c.p.p. – la restituzione degli atti in favore di quest’ultimo affinché provveda in conformità.
Per fornire una risposta alla domanda, sottoposta al supremo consesso riunito con ordinanza Cass. sez. III, 1 ottobre 2021, n. 46033, il Collegio transita per la risoluzione della questione pregiudiziale se, intanto, costituisca una decisione proceduralmente errata quella di restituire gli atti al pubblico ministero per un reato per cui effettivamente sia prevista la celebrazione dell’udienza preliminare. Il caso che ha comportato la rimessione alle Sezioni unite è di peculiare rilievo; infatti, la controversia attiene al delitto di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000, per il quale il fatto storico veniva contestato come commesso durante la vigenza della normativa più favorevole, che prevedeva all’epoca la pena massima di anni tre di reclusione; al momento dell’esercizio dell’azione penale, tuttavia, il massimo edittale era già stato elevato dal legislatore ad anni quattro e mesi sei di reclusione.
Il giudice dell’udienza preliminare, ritenendo che il divieto di retroazione sfavorevole della norma sostanziale avrebbe comunque imposto di applicare al caso il quadro edittale previgente, aveva interpretato la norma processuale (art. 550 c.p.p.) nel senso di consentire, anche al momento in cui il pubblico ministero si era determinato ad esercitare l’azione penale, il modello della citazione diretta anziché della richiesta di rinvio a giudizio.
La Corte di legittimità giudica tale provvedimento errato, siccome pronunciato in violazione della regola tempus regit actum secondo la quale, nel caso di mutamento del quadro edittale di una fattispecie criminosa, che abbia riverberi sull’applicazione di norme processuali ad esso facenti rinvio, deve tenersi in considerazione la pena prevista al momento dell’esercizio dell’azione penale, versandosi in ipotesi di rinvio “fisso” valutabile al momento dell’applicazione della norma procedurale (conformemente, oltre alla stessa ordinanza di rimessione, Cass. sez. II, 12 febbraio 2021, n. 9876, in C.E.D. Cass., n. 280724; Cass. sez. III, 4 marzo 2020, n. 18297, in C.E.D. Cass., n. 279238): nel caso di specie, trattasi di una pena che, al momento della richiesta di rinvio a giudizio, imponeva di transitare per l’udienza preliminare, con la conseguenza che è illegittima l’ordinanza di restituzione degli atti alla pubblica accusa, assumendo valenza neutra il divieto ex art. 2 c.p.
Lo step ermeneutico successivo riguarda l’analisi dell’intima natura di questo errore procedurale, vale a dire se la scorretta applicazione dell’art. 33 sexies c.p.p. rientri tra le ipotesi di abnormità ricorribile per cassazione.
Le Sezioni unite passano così a esplorare il nodo centrale della questione assegnata: l’abnormità degli atti processuali, categoria non precisata dal legislatore e per la quale non sono stati espressamente previsti rimedi, a cagione della difficoltà di tipizzare tutti quei casi di eclatante sviamento del potere in grado di violare in maniera significativa la legalità della sequela procedimentale, alterandone lo svolgimento e incidendo inevitabilmente sulle istanze di difesa. In questi casi, in deroga al principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, la giurisprudenza ha ammesso il ricorso per cassazione.
La perimetrazione del concetto di abnormità, piuttosto complessa, si è presto affinata venendo ricondotta a due possibili filoni.
Il primo è noto come “abnormità strutturale” che si verifica quando l’atto, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell’ordinamento processuale (c.d. carenza di potere in astratto), nonché quando esso, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite (c.d. carenza di potere in concreto); la categoria, in sintesi, come evidenziato anche da accreditata giurisprudenza, nasce per porre rimedio a comportamenti procedimentali posti in essere dall’organo giudicante da cui derivino atti non altrimenti impugnabili e al contempo espressivi, in concreto, di uno sviamento della funzione giurisdizionale, non più rispondente al modello previsto dalla legge (Cass., sez. V, 4 maggio 2020, n. 15691; sul tema, di recente, F. Varone, Non è abnorme il provvedimento con cui il G.i.p. rigetta la richiesta di archiviazione e restituisce gli atti al P.M. per interrogare l’imputato, in Cass. pen., 2022, p. 2543 ss.; cfr. anche F. Trapella, La citazione diretta a giudizio: una riflessione, ivi, 2020, p. 3030 ss.).
Occorre però precisare, quanto ai casi di abnormità strutturale per carenza di potere in concreto, che, al fine di meglio tracciare la linea di demarcazione tra questo fenomeno (atto extra legem) e quello, limitrofo, di violazione della legge processuale (atto contra legem), si è meglio argomentato nel senso che il primo deve sostanziarsi nell’esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, «ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite» (A. Scarcella, L’opposizione a decreto penale di condanna priva il g.i.p. del potere di pronunciarsi sull’imputazione, in Cass. pen., 2010, p. 3772). Deve trattarsi dunque di atti che, ancorché riconducibili ad uno schema normativo, non sono previsti in riferimento ad un determinato segmento procedimentale (così, P. P. Paulesu, sub art. 177 c.p.p., in Commentario breve al codice di procedura penale, diretto da G. Illuminati e L. Giuliani, Cedam, 2017, p. 661-662).
Il secondo tipo di abnormità è noto come “abnormità funzionale”, e si concretizza quando, pur non essendo estraneo al sistema normativo, l’atto determini la stasi del procedimento e la impossibilità di proseguirlo. All’interno dell’abnormità funzionale viene tradizionalmente ricondotto il fenomeno della regressione anomala o indebita del procedimento. Essa, secondo il noto arresto delle Sezioni unite, sentenza “Battistella” Cass., sez. un., 20 dicembre 2007, n. 5307, in Cass. pen., 2008, p. 2310), rientra tra gli atti abnormi in quanto il potere, seppur riconosciuto, viene esercitato oltre i limiti; si concludeva in quella pronuncia nel senso che ogni indebita regressione costituisce un serio vulnus all’ordo processus, inteso come sequenza logico-cronologica ordinata di atti, in spregio dei valori costituzionali dell’efficienza e della ragionevole durata del processo.
Le giurisprudenza successiva ha ridimensionato tale approdo.
Le Sezioni unite “Toni” (Cass., sez. un., 26 marzo 2009, 25957, in C.E.D. Cass., n. 243590) si sono pronunciate sulla diversa ipotesi in cui il giudice del dibattimento, ritenuto – per errore – non correttamente notificato l’avviso ex art. 415 bis c.p.p., dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio e restituisca gli atti alla Procura; in questo caso, la Corte non ha ravvisato l’abnormità dell’atto, in quanto, da un lato, esso costituisce espressione di un potere assegnato dal sistema normativo e, dall’altro, pur determinando una regressione anomala o indebita, non è in grado di cagionare la stasi del procedimento – al più un suo rallentamento che incide sulla ragionevole durata del processo – potendo il pubblico ministero notificare nuovamente l’avviso di conclusione indagini senza incorrere in irregolarità di sorta (si veda più di recente F. Peroni, Avviso di conclusione delle indagini e regressione del procedimento: esclusa l’abnormità, in Dir. pen. proc., 2012, p. 1078 ss.).
Si è dunque iniziato a maneggiare con maggiore cautela la nozione di regressione anomala del procedimento, consentendole di rifluire nell’alveo dell’abnormità non secondo meri automatismi, bensì soltanto allorquando la regressione stessa abbia cagionato una stasi irreversibile del procedimento, per essere il pubblico ministero posto nella inestricabile condizione di ottemperare all’ordine del giudice compiendo un atto nullo (orientamento da ultimo confermato da Cass. sez. V, 28 giugno 2022, n. 36028; cfr. in dottrina S. Riccio, Le Sezioni unite sull’atto abnorme, in Il Penalista, 9 maggio 2022).
Procedendo nell’iter motivazionale, le Sezioni unite danno atto che la giurisprudenza successiva si è sostanzialmente allineata alla sentenza “Toni”, tuttavia formandosi – con riferimento alla peculiare questione oggetto di vaglio – un contrasto giurisprudenziale.
Infatti, stando ad alcune pronunce della Corte di legittimità, l’ordinanza di restituzione degli atti pronunciata dal g.u.p. sarebbe abnorme, poiché, nel fare indebitamente regredire il procedimento, impone al pubblico ministero il compimento di un atto nullo vale a dire la citazione diretta a giudizio con pretermissione dell’udienza preliminare (Cass., sez. I, 29 settembre 2020, n. 30062, in C.E.D. Cass., n. 279729; Cass., sez. III, 4 marzo 2020, n. 18297, in C.E.D. Cass., n. 279238); altri arresti hanno invece optato per la non abnormità di questo atto, poiché, una volta esercitata l’azione penale con una citazione diretta nulla, il giudice del dibattimento potrebbe pur sempre restituire gli atti al pubblico ministero ex art. 550 co. 3 c.p.p., imponendogli di transitare per l’udienza preliminare, statuizione che né l’organo di accusa né il giudice dell’udienza preliminare potrebbero disattendere (Cass., sez. II, 17 luglio 2020, n. 23814, in C.E.D. Cass., n. 279547; Cass. sez. VI, 5 febbraio 2019, n. 6945, CED 275083; in dottrina, in senso adesivo, M. M. Alma, Rimessa alle Sezioni unite la valutazione dell’abnormità del provvedimento del g.u.p. che dispone la restituzione degli atti al p.m. nell’erroneo presupposto che per il reato oggetto della richiesta di rinvio a giudizio si debba procedere con citazione diretta, in Sist. pen., 20 gennaio 2022).
La Sezioni unite aderiscono al primo orientamento citato, rilevando nel caso di specie un’alterazione nello sviluppo della sequenza procedimentale violativa dei principi di efficienza e ragionevole durata, ma anche una stasi «derivante non dal mero fatto della regressione in sé, quanto dall’imposizione al pubblico ministero di un adempimento contra legem, che dà luogo ad un atto affetto da nullità, rilevabile nel corso del giudizio».
Si tratta, secondo la Corte, di una peculiare ipotesi di nullità a regime intermedio che, sebbene non espressamente prevista, è riconducibile al generale modello ex art. 178 co. 1, lett. c), c.p.p., poiché attinente al profilo dell’intervento e dell’assistenza delle parti, pur essendo rilevabile ed eccepibile entro i più stringenti termini di cui agli artt. 491 co. 1 e 550 co. 3, c.p.p. (conf. Cass., sez. I, 4 dicembre 2014, n. 5967, in C.E.D. Cass., n. 262426); con la precisazione che la nullità si forma in questa ipotesi a cagione della mancata celebrazione dell’udienza preliminare, che si pone quale importante campo di esplicazione delle facoltà difensive, mentre non si anniderebbe nell’ipotesi opposta – svolgimento dell’udienza preliminare per reati a citazione diretta – in quanto in questa seconda ipotesi si assisterebbe ad una «causa di espansione delle facoltà difensive e la cui fissazione non può di per sé dare luogo ad alcuna nullità, salva la deducibilità, con le modalità e nei limiti stabiliti, della relativa questione, al fine di salvaguardare l’assetto normativamente previsto».
Può osservarsi dunque che, nel caso in cui il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale con citazione diretta anziché con richiesta di rinvio a giudizio, si è in presenza di nullità intermedia, sanata ove non dedotta entro la fase deputata ad affrontare le questioni preliminari; ove invece il pubblico ministero abbia correttamente rivolto al g.u.p. la richiesta di rinvio a giudizio e quel giudice gli abbia restituito gli atti affinché si proceda nelle forme della citazione diretta con pretermissione dell’udienza preliminare, l’ordinanza del giudice è abnorme e ricorribile per cassazione in ogni stato e grado del procedimento, sino all’irrevocabilità della sentenza (P. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2016, p. 223). Infine, pare che la nozione di stasi irrimediabile sia ormai interpretata, in maniera dominante, come situazione procedimentale che necessiti, per ripristinare la corretta sequenza di atti, del compimento di un atto nullo e dunque inefficace; ciò a prescindere dal fatto che il compimento di un atto nullo non comporta mai, materialmente, un blocco dell’attività processuale, potendo infatti il giudice applicare i principi di cui all’art. 185 c.p.p. rimuovendo la nullità e dando impulso al regolare svolgimento della procedura
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Le Sezioni unite in tema di abnormità dell’atto processuale nel caso di indebita regressione del procedimento
La Corte di cassazione a Sezioni unite, con la pronuncia che qui brevemente si annota, ha risolto il quesito se sia abnorme il provvedimento con cui il giudice dell’udienza preliminare, ritenuto erroneamente che per il reato sottoposto al suo vaglio l’azione penale debba essere esercitata con citazione diretta dal pubblico ministero, disponga – ai sensi dell’art. 33 sexies c.p.p. – la restituzione degli atti in favore di quest’ultimo affinché provveda in conformità.
Per fornire una risposta alla domanda, sottoposta al supremo consesso riunito con ordinanza Cass. sez. III, 1 ottobre 2021, n. 46033, il Collegio transita per la risoluzione della questione pregiudiziale se, intanto, costituisca una decisione proceduralmente errata quella di restituire gli atti al pubblico ministero per un reato per cui effettivamente sia prevista la celebrazione dell’udienza preliminare. Il caso che ha comportato la rimessione alle Sezioni unite è di peculiare rilievo; infatti, la controversia attiene al delitto di dichiarazione infedele di cui all’art. 4 del decreto legislativo n. 74 del 2000, per il quale il fatto storico veniva contestato come commesso durante la vigenza della normativa più favorevole, che prevedeva all’epoca la pena massima di anni tre di reclusione; al momento dell’esercizio dell’azione penale, tuttavia, il massimo edittale era già stato elevato dal legislatore ad anni quattro e mesi sei di reclusione.
Il giudice dell’udienza preliminare, ritenendo che il divieto di retroazione sfavorevole della norma sostanziale avrebbe comunque imposto di applicare al caso il quadro edittale previgente, aveva interpretato la norma processuale (art. 550 c.p.p.) nel senso di consentire, anche al momento in cui il pubblico ministero si era determinato ad esercitare l’azione penale, il modello della citazione diretta anziché della richiesta di rinvio a giudizio.
La Corte di legittimità giudica tale provvedimento errato, siccome pronunciato in violazione della regola tempus regit actum secondo la quale, nel caso di mutamento del quadro edittale di una fattispecie criminosa, che abbia riverberi sull’applicazione di norme processuali ad esso facenti rinvio, deve tenersi in considerazione la pena prevista al momento dell’esercizio dell’azione penale, versandosi in ipotesi di rinvio “fisso” valutabile al momento dell’applicazione della norma procedurale (conformemente, oltre alla stessa ordinanza di rimessione, Cass. sez. II, 12 febbraio 2021, n. 9876, in C.E.D. Cass., n. 280724; Cass. sez. III, 4 marzo 2020, n. 18297, in C.E.D. Cass., n. 279238): nel caso di specie, trattasi di una pena che, al momento della richiesta di rinvio a giudizio, imponeva di transitare per l’udienza preliminare, con la conseguenza che è illegittima l’ordinanza di restituzione degli atti alla pubblica accusa, assumendo valenza neutra il divieto ex art. 2 c.p.
Lo step ermeneutico successivo riguarda l’analisi dell’intima natura di questo errore procedurale, vale a dire se la scorretta applicazione dell’art. 33 sexies c.p.p. rientri tra le ipotesi di abnormità ricorribile per cassazione.
Le Sezioni unite passano così a esplorare il nodo centrale della questione assegnata: l’abnormità degli atti processuali, categoria non precisata dal legislatore e per la quale non sono stati espressamente previsti rimedi, a cagione della difficoltà di tipizzare tutti quei casi di eclatante sviamento del potere in grado di violare in maniera significativa la legalità della sequela procedimentale, alterandone lo svolgimento e incidendo inevitabilmente sulle istanze di difesa. In questi casi, in deroga al principio di tassatività dei mezzi di impugnazione, la giurisprudenza ha ammesso il ricorso per cassazione.
La perimetrazione del concetto di abnormità, piuttosto complessa, si è presto affinata venendo ricondotta a due possibili filoni.
Il primo è noto come “abnormità strutturale” che si verifica quando l’atto, per la sua singolarità, non sia inquadrabile nell’ordinamento processuale (c.d. carenza di potere in astratto), nonché quando esso, pur essendo in astratto manifestazione di legittimo potere, si esplichi al di fuori dei casi consentiti e delle ipotesi previste, al di là di ogni ragionevole limite (c.d. carenza di potere in concreto); la categoria, in sintesi, come evidenziato anche da accreditata giurisprudenza, nasce per porre rimedio a comportamenti procedimentali posti in essere dall’organo giudicante da cui derivino atti non altrimenti impugnabili e al contempo espressivi, in concreto, di uno sviamento della funzione giurisdizionale, non più rispondente al modello previsto dalla legge (Cass., sez. V, 4 maggio 2020, n. 15691; sul tema, di recente, F. Varone, Non è abnorme il provvedimento con cui il G.i.p. rigetta la richiesta di archiviazione e restituisce gli atti al P.M. per interrogare l’imputato, in Cass. pen., 2022, p. 2543 ss.; cfr. anche F. Trapella, La citazione diretta a giudizio: una riflessione, ivi, 2020, p. 3030 ss.).
Occorre però precisare, quanto ai casi di abnormità strutturale per carenza di potere in concreto, che, al fine di meglio tracciare la linea di demarcazione tra questo fenomeno (atto extra legem) e quello, limitrofo, di violazione della legge processuale (atto contra legem), si è meglio argomentato nel senso che il primo deve sostanziarsi nell’esercizio di un potere previsto dall’ordinamento, «ma in una situazione processuale radicalmente diversa da quella configurata dalla legge e cioè completamente al di fuori dei casi consentiti, perché al di là di ogni ragionevole limite» (A. Scarcella, L’opposizione a decreto penale di condanna priva il g.i.p. del potere di pronunciarsi sull’imputazione, in Cass. pen., 2010, p. 3772). Deve trattarsi dunque di atti che, ancorché riconducibili ad uno schema normativo, non sono previsti in riferimento ad un determinato segmento procedimentale (così, P. P. Paulesu, sub art. 177 c.p.p., in Commentario breve al codice di procedura penale, diretto da G. Illuminati e L. Giuliani, Cedam, 2017, p. 661-662).
Il secondo tipo di abnormità è noto come “abnormità funzionale”, e si concretizza quando, pur non essendo estraneo al sistema normativo, l’atto determini la stasi del procedimento e la impossibilità di proseguirlo. All’interno dell’abnormità funzionale viene tradizionalmente ricondotto il fenomeno della regressione anomala o indebita del procedimento. Essa, secondo il noto arresto delle Sezioni unite, sentenza “Battistella” Cass., sez. un., 20 dicembre 2007, n. 5307, in Cass. pen., 2008, p. 2310), rientra tra gli atti abnormi in quanto il potere, seppur riconosciuto, viene esercitato oltre i limiti; si concludeva in quella pronuncia nel senso che ogni indebita regressione costituisce un serio vulnus all’ordo processus, inteso come sequenza logico-cronologica ordinata di atti, in spregio dei valori costituzionali dell’efficienza e della ragionevole durata del processo.
Le giurisprudenza successiva ha ridimensionato tale approdo.
Le Sezioni unite “Toni” (Cass., sez. un., 26 marzo 2009, 25957, in C.E.D. Cass., n. 243590) si sono pronunciate sulla diversa ipotesi in cui il giudice del dibattimento, ritenuto – per errore – non correttamente notificato l’avviso ex art. 415 bis c.p.p., dichiari la nullità del decreto di citazione a giudizio e restituisca gli atti alla Procura; in questo caso, la Corte non ha ravvisato l’abnormità dell’atto, in quanto, da un lato, esso costituisce espressione di un potere assegnato dal sistema normativo e, dall’altro, pur determinando una regressione anomala o indebita, non è in grado di cagionare la stasi del procedimento – al più un suo rallentamento che incide sulla ragionevole durata del processo – potendo il pubblico ministero notificare nuovamente l’avviso di conclusione indagini senza incorrere in irregolarità di sorta (si veda più di recente F. Peroni, Avviso di conclusione delle indagini e regressione del procedimento: esclusa l’abnormità, in Dir. pen. proc., 2012, p. 1078 ss.).
Si è dunque iniziato a maneggiare con maggiore cautela la nozione di regressione anomala del procedimento, consentendole di rifluire nell’alveo dell’abnormità non secondo meri automatismi, bensì soltanto allorquando la regressione stessa abbia cagionato una stasi irreversibile del procedimento, per essere il pubblico ministero posto nella inestricabile condizione di ottemperare all’ordine del giudice compiendo un atto nullo (orientamento da ultimo confermato da Cass. sez. V, 28 giugno 2022, n. 36028; cfr. in dottrina S. Riccio, Le Sezioni unite sull’atto abnorme, in Il Penalista, 9 maggio 2022).
Procedendo nell’iter motivazionale, le Sezioni unite danno atto che la giurisprudenza successiva si è sostanzialmente allineata alla sentenza “Toni”, tuttavia formandosi – con riferimento alla peculiare questione oggetto di vaglio – un contrasto giurisprudenziale.
Infatti, stando ad alcune pronunce della Corte di legittimità, l’ordinanza di restituzione degli atti pronunciata dal g.u.p. sarebbe abnorme, poiché, nel fare indebitamente regredire il procedimento, impone al pubblico ministero il compimento di un atto nullo vale a dire la citazione diretta a giudizio con pretermissione dell’udienza preliminare (Cass., sez. I, 29 settembre 2020, n. 30062, in C.E.D. Cass., n. 279729; Cass., sez. III, 4 marzo 2020, n. 18297, in C.E.D. Cass., n. 279238); altri arresti hanno invece optato per la non abnormità di questo atto, poiché, una volta esercitata l’azione penale con una citazione diretta nulla, il giudice del dibattimento potrebbe pur sempre restituire gli atti al pubblico ministero ex art. 550 co. 3 c.p.p., imponendogli di transitare per l’udienza preliminare, statuizione che né l’organo di accusa né il giudice dell’udienza preliminare potrebbero disattendere (Cass., sez. II, 17 luglio 2020, n. 23814, in C.E.D. Cass., n. 279547; Cass. sez. VI, 5 febbraio 2019, n. 6945, CED 275083; in dottrina, in senso adesivo, M. M. Alma, Rimessa alle Sezioni unite la valutazione dell’abnormità del provvedimento del g.u.p. che dispone la restituzione degli atti al p.m. nell’erroneo presupposto che per il reato oggetto della richiesta di rinvio a giudizio si debba procedere con citazione diretta, in Sist. pen., 20 gennaio 2022).
La Sezioni unite aderiscono al primo orientamento citato, rilevando nel caso di specie un’alterazione nello sviluppo della sequenza procedimentale violativa dei principi di efficienza e ragionevole durata, ma anche una stasi «derivante non dal mero fatto della regressione in sé, quanto dall’imposizione al pubblico ministero di un adempimento contra legem, che dà luogo ad un atto affetto da nullità, rilevabile nel corso del giudizio».
Si tratta, secondo la Corte, di una peculiare ipotesi di nullità a regime intermedio che, sebbene non espressamente prevista, è riconducibile al generale modello ex art. 178 co. 1, lett. c), c.p.p., poiché attinente al profilo dell’intervento e dell’assistenza delle parti, pur essendo rilevabile ed eccepibile entro i più stringenti termini di cui agli artt. 491 co. 1 e 550 co. 3, c.p.p. (conf. Cass., sez. I, 4 dicembre 2014, n. 5967, in C.E.D. Cass., n. 262426); con la precisazione che la nullità si forma in questa ipotesi a cagione della mancata celebrazione dell’udienza preliminare, che si pone quale importante campo di esplicazione delle facoltà difensive, mentre non si anniderebbe nell’ipotesi opposta – svolgimento dell’udienza preliminare per reati a citazione diretta – in quanto in questa seconda ipotesi si assisterebbe ad una «causa di espansione delle facoltà difensive e la cui fissazione non può di per sé dare luogo ad alcuna nullità, salva la deducibilità, con le modalità e nei limiti stabiliti, della relativa questione, al fine di salvaguardare l’assetto normativamente previsto».
Può osservarsi dunque che, nel caso in cui il pubblico ministero abbia esercitato l’azione penale con citazione diretta anziché con richiesta di rinvio a giudizio, si è in presenza di nullità intermedia, sanata ove non dedotta entro la fase deputata ad affrontare le questioni preliminari; ove invece il pubblico ministero abbia correttamente rivolto al g.u.p. la richiesta di rinvio a giudizio e quel giudice gli abbia restituito gli atti affinché si proceda nelle forme della citazione diretta con pretermissione dell’udienza preliminare, l’ordinanza del giudice è abnorme e ricorribile per cassazione in ogni stato e grado del procedimento, sino all’irrevocabilità della sentenza (P. Tonini, Manuale di procedura penale, Giuffrè, 2016, p. 223). Infine, pare che la nozione di stasi irrimediabile sia ormai interpretata, in maniera dominante, come situazione procedimentale che necessiti, per ripristinare la corretta sequenza di atti, del compimento di un atto nullo e dunque inefficace; ciò a prescindere dal fatto che il compimento di un atto nullo non comporta mai, materialmente, un blocco dell’attività processuale, potendo infatti il giudice applicare i principi di cui all’art. 185 c.p.p. rimuovendo la nullità e dando impulso al regolare svolgimento della procedura
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La Consulta si pronuncia sulla incompatibilità del G.i.p. a pronunciarsi sulla nuova richiesta di decreto penale di condanna: inammissibili le q.l.c.
Sospensione della pena e non menzione della condanna nel casellario: illegittimità costituzionale parziale.
Foglio di via del Questore: per la Consulta non è necessaria la convalida del giudice.
La Consulta sull’obbligo di testimoniare del prossimo congiunto dell’imputato che sia persona offesa dal reato.
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