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Il reclamo avverso il provvedimento di archiviazione

 

L’istituto del reclamo è stato introdotto dalla l. 23 giugno 2017, n. 103 in funzione di verifica della legittimità del provvedimento di archiviazione emesso contra legem. Le finalità sono diversificate e, nel complesso, sottraggono alla cognizione della Corte di cassazione un complesso di verifiche tutto sommato per lo più connesse al rilievo di inosservanza di requisiti formali. L’istituto, inedito, pone tutta una serie di problemi che rischiano di pregiudicare il valore della stabilità dell’accertamento.

The institute of the complaint was introduced by the l. June 23, 2017, n. 103 as a function of verifying the legitimacy of the archiving measure issued against the law. The aims are diversified and, on the whole, take away from the knowledge of the Court of Cassation a complex of checks all in all mostly connected to the relief of non-compliance with formal requirements. The institute, unpublished, poses a whole series of problems that risk jeopardizing the value of the stability of the assessment.

 

Sommario: 1. Il quadro normativo di riferimento. – 2. La natura giuridica del reclamo. – 3. La procedura di reclamo e i suoi epiloghi.

 

  1. IL QUADRO NORMATIVO DI RIFERIMENTO.

L’istituto del reclamo[1] è stato introdotto dall’art. 1, co. 33, l. 23 giugno 2017, n. 103 quale mezzo d’impugnazione proprio del provvedimento di archiviazione pronunciato ai sensi dell’art. 409 c.p.p. e sostitutivo del ricorso per cassazione previsto dall’art. 409, co. 6 c.p.p., disposizione contestualmente abrogata.

Sul versante intertemporale, la Corte di cassazione ha più volte ribadito il principio secondo il quale, ai fini della individuazione del regime applicabile in materia di impugnazioni, allorché si succedano nel tempo diverse discipline e non sia espressamente regolato con disposizioni transitorie il passaggio dall’una all’altra, l’applicazione del principio tempus regit actum impone di fare riferimento al momento di emissione del provvedimento impugnato e non già a quello di proposizione dell’impugnazione[2].

Coerentemente, la Suprema Corte ha ritenuto ricorribile per cassazione e non reclamabile ex art. 410-bis c.p.p. il provvedimento di archiviazione emesso in epoca antecedente alla riforma attuata con la l. 23 giugno 2017, n. 103[3].

Le finalità della norma appare diversificata, trattandosi di un’innovazione che si propone certamente di ridurre il carico di lavoro della Corte di cassazione[4], troppo spesso investita di ricorsi destinati a fare rilevare un vizio di legittimità suscettibile – come si avrà modo di ribadire a breve – di immediato e tutto sommato semplice accertamento, ma anche di snellire la procedura di verifica e facilitarne l’accesso attraverso il decentramento della sede deputata all’effettuazione di un controllo che, si tenga presente, si colloca nell’ambito di una procedura – e di essa condivide in maniera piena le finalità – preordinata alla verifica dell’effettiva osservanza del principio di obbligatorietà dell’azione penale[5].

Su quest’ultimo profilo ha insistito la giurisprudenza costituzionale, precisando che azione penale obbligatoria non significa consequenzialità automatica tra notizia di reato e processo, in quanto “limite implicito” al principio di cui all’art. 112 Cost., razionalmente inteso, è che il processo non debba essere instaurato quando si appalesi oggettivamente superfluo: la funzione dell’archiviazione – perciò – sta proprio <<nell’evitare il processo superfluo senza eludere il principio di obbligatorietà ed anzi controllando caso per caso la legalità dell’(in)azione>>[6].

Come è noto, l’art. 409, co. 6 c.p.p. circoscriveva l’ambito applicativo del ricorso per cassazione all’ordinanza di archiviazione affetta da nullità per uno dei casi previsti dall’art. 127, co. 5 c.p.p., determinandosi così una situazione di inoppugnabilità del decreto (di archiviazione) che dava luogo ad una violazione dei diritti della persona offesa in relazione alle ipotesi di illegittima archiviazione de plano per effetto dell’omissione dell’avviso ex art. 408, co. 2 c.p.p., di anticipazione del provvedimento rispetto alla decorrenza del termine previsto dalla medesima norma o, infine, di erronea valutazione di inammissibilità dell’opposizione[7].

La ri-sagomatura in senso estensivo del meccanismo di verifica è stata effettuata dalla Corte costituzionale sulla base del carattere unitario della disciplina dell’istituto dell’archiviazione e della portata ben più lesiva delle omissioni di cui si discute rispetto a quella, invece, suscettibile di costituire motivo di ricorso ex art. 409, co. 6 c.p.p.[8].

Mediante una <<conclusione che punta con evidente pragmatismo ad assimilare il regime di impugnabilità dei due provvedimenti terminativi della procedura di archiviazione, sul presupposto della loro sostanziale omologia contenutistica>>[9], la Corte, una volta stabilito che la legge riconosce espressamente alla persona offesa la legittimazione a ricorrere per cassazione contro l’ordinanza di archiviazione pronunciata dal giudice per le indagini preliminari in esito all’udienza in camera di consiglio celebrata senza che di tale udienza le sia stato dato avviso, si propone di verificare se un simile rimedio possa ricavarsi dal sistema anche a favore della persona offesa che venga privata dell’avviso della richiesta di archiviazione formulata dal pubblico ministero, nonostante la sua espressa domanda di essere preavvertita.

La soluzione positiva – afferma conclusivamente – sembra quella più adeguata alla ratio dell’art. 409, co. 6 c.p.p., conformemente, del resto, all’esigenza, avvertita dal legislatore, di disciplinare l’archiviazione come istituto unitario, a prescindere dalla diversità sia delle cadenze procedimentali sia della tipologia del provvedimento conclusivo[10].

Conclusione significativa, trattandosi, tra l’altro, di casi di violazione aventi ad oggetto, tutti, diritti finalizzati nel loro complesso <<ad instaurare una forma di vigilanza su un eventuale progetto di inazione rivelato dal pubblico ministero attraverso la richiesta di archiviazione>>[11].

E con la consapevolezza, di non secondario rilievo, che <<la conformità alle regole dell’accertamento giurisdizionale predisposte dall’ordinamento processuale, si traduce essa stessa in un “valore” di giustizia della decisione>>[12].

Sulla scorta dell’intervento della Corte, la giurisprudenza ha da tempo affermato che l’omissione dell’avviso della richiesta di archiviazione alla persona offesa, nei casi in cui ne è prevista l’obbligatorietà, determina una violazione del principio del contraddittorio e, quindi, la nullità del provvedimento (decreto) conclusivo del procedimento[13].

Allo stesso modo, il decreto pronunciato de plano è stato ritenuto nullo nel caso di emissione prima che sia decorso il termine per proporre opposizione[14], nell’evenienza in cui il giudice avesse omesso di pronunciarsi sull’inammissibilità dell’opposizione[15] e, infine, nell’ipotesi di illegittima declaratoria di inammissibilità[16].

La dispendiosità del mezzo di impugnazione previsto dall’art. 409, co. 6 c.p.p. aveva determinato l’affiorare – non senza posizioni di segno contrario, tuttavia[17] – di orientamenti giurisprudenziali tesi ad avallare soluzioni preordinate a neutralizzare gli effetti lesivi scaturenti dall’omissione dell’avviso, essendosi esclusa l’abnormità sia del provvedimento con il quale il giudice per le indagini preliminari, rilevata l’illegittima omissione dell’avviso, avesse disposto la restituzione degli atti al pubblico ministero[18], sia del provvedimento di revoca del decreto precedente emesso da parte del giudice medesimo[19].

 

2. LA NATURA GIURIDICA DEL RECLAMO.

All’esito di un così tormentato percorso, l’introduzione del nuovo strumento di verifica segna un momento di razionalizzazione del complessivo sistema di controllo dei provvedimenti giurisdizionali, coordinando efficacemente le plurime esigenze richiamate poco sopra.

Si tratta di una fase di verifica della legittimità di un provvedimento giurisdizionale che, sia pure al costo di qualche imperfezione sistematica, bene si presta ad essere collocato nell’ambito della categoria delle impugnazioni penali[20], anche se la qualificazione riservata dalla Corte di cassazione alla procedura che, assumendo una denominazione autonoma rispetto agli schemi tradizionali (appello, ricorso per cassazione), più di tutte sembrerebbe somigliare ad essa potrebbe portare a diverse conclusioni.

Ed infatti, in riferimento all’opposizione prevista dall’art. 667, co. 4 c.p.p., la Suprema Corte ha precisato che essa, sebbene si collochi in un frangente successivo ad un provvedimento del giudice dell’esecuzione e sia immediatamente correlata ai contenuti dello stesso, non costituisce (rectius: non ha natura di) mezzo di impugnazione, bensì di istanza diretta ad ottenere una decisione in contraddittorio[21].

Se la suggestione che scaturisce dalla peculiare definizione normativa del nuovo modello di controllo non prende il sopravvento, diviene immediatamente percepibile che la procedura tipica della fase esecutiva appena richiamata si caratterizza per una spiccata esigenza di celerità la quale si connette alla valenza ed agli effetti della decisione sull’esecuzione di un titolo privativo della libertà personale, di talché appare giustificata sia la de-formalizzazione della prima fase del procedimento, sia l’articolazione dell’itinerario in segmenti – il secondo dei quali meramente eventuale – tra di loro diversificati sul terreno delle garanzie partecipative, sia l’attribuzione della competenza a conoscere dell’opposizione – la quale, non a caso, non deve essere motivata[22] – al medesimo giudice che ha emanato il provvedimento originario.

Le considerazioni appena svolte, però, non appaiono risolutive dal momento che anche l’opposizione prevista dall’art. 461 c.p.p., come già detto, costituisce un rimedio finalizzato a superare gli effetti di un provvedimento di condanna adottato de plano ed introdurre un primo grado di giudizio da tenersi dinanzi al medesimo ufficio giudiziario.

La dinamica appare formalmente sovrapponibile a quella prevista dall’art. 667, co. 4 c.p.p., se non che la giurisprudenza ha più volte ribadito che l’istituto previsto dall’art. 461 c.p.p. costituisce un mezzo di impugnazione al quale, conseguentemente, si applicano le disposizioni generali in materia di impugnazioni[23].

Al di là delle qualificazioni giurisprudenziali, v’è da sottolineare che si tratta di procedimenti profondamente diversi e non assimilabili, soltanto quello di recente introduzione presentando i caratteri tipici dell’impugnazione, la quale, come si è già detto ricorrendo ad una definizione certamente espositiva di dati identificativi indiscutibili, è <<quel rimedio esperibile da una parte al fine di rimuovere un provvedimento giurisdizionale svantaggioso, che si assume errato, mediante il controllo operato da un giudice differente da quello che ha emesso il provvedimento medesimo>>[24].

Non ci si trova, nel caso che ci occupa, dinanzi ad un’iniziativa semplicemente finalizzata a provocare una evoluzione qualitativa del modello decisionale, ma ad un atto formale finalizzato ad introdurre, secondo i meccanismi tipici dei rimedi devolutivi, una fase di controllo di legittimità.

Il giudice del reclamo, a differenza di quelli investiti delle forme i opposizione di cui si è appena discusso, non si pronuncia sul fatto, ma sull’atto, censurandolo laddove presenta i profili di illegittimità prospettati dal ricorrente (rectius: reclamante) secondo la logica tipica dei mezzi parzialmente devolutivi.

L’opzione onomastica desumibile dall’art. 410-bis, co. 2 c.p.p. potrebbe apparire, per lo più, l’effetto della individuazione del tribunale in composizione monocratica quale giudice funzionalmente competente a conoscere dell’impugnazione, essendosi immaginata l’incoerenza della diversa soluzione di denominare “appello” una procedura che si sarebbe svolta e sarebbe stata definita – secondo un itinerario, tra l’altro, di gran lunga semplificato – da un giudice diverso dalla corte d’appello.

Ma, bisogna riconoscere, la sottrazione del monopolio della procedura di “appello” alla correlativa corte non avrebbe costituito evenienza assolutamente inedita, dal momento che, come è noto, l’art. 39, d.lgs. 28 agosto 2000, n. 274 attribuisce al tribunale in composizione monocratica la competenza a conoscere dell’appello proposto avverso le sentenze pronunciate dal giudice di pace.

Ha avuto un peso significativamente maggiore, verosimilmente, l’appartenenza di entrambi i giudici coinvolti nella sequenza delineata dalla norma al medesimo ufficio giudiziario.

Si è più volte ribadito che il controllo demandato al giudice dell’impugnazione mediante la proposizione del reclamo ha natura di controllo di legittimità e ciò lo si desume, in primo luogo, dalla tipologia dei motivi di reclamo, finalizzati esclusivamente a fare rilevare la nullità del provvedimento di archiviazione.

Si tratta, a ben guardare, di un mezzo a critica (super) vincolata, dal momento che l’art. 410-bis, co. 1 c.p.p. circoscrive i casi di nullità del decreto di archiviazione all’inosservanza delle disposizioni concernenti gli avvisi previsti dall’art. 408, co. 2 e 3-bis c.p.p., ovvero all’ipotesi di pronuncia, da parte del giudice per le indagini preliminari, del decreto medesimo senza attendere la decorrenza dei termini previsti per la proposizione dell’opposizione.

L’inosservanza dei termini da ultimo richiamati pone un problema di coerente raccordo tra le diverse disposizioni normative in ragione del fatto che lo sforzo di tipizzazione delle fattispecie invalidanti ha portato il legislatore a richiamare, nel testo dell’art. 410-bis c.p.p., i termini di cui all’art. 408 c.p.p. e non anche quello, identico sul versante funzionale sebbene più breve[25], previsto dall’art. 411, co. 1-bis c.p.p.

Soluzione intrinsecamente irragionevole dal momento che, si è evidenziato, il rispetto del termine assegnato con l’avviso è comunque (in ogni contesto) funzionale all’esercizio del diritto di prendere visione degli atti e, dunque, all’esercizio del diritto di interloquire nell’ambito del procedimento attraverso lo strumento dell’opposizione[26].

Non rimane, allora che affidarsi ad un’intepretazione costituzionalmente orientata la quale, tra l’altro, può attrarre l’ipotesi alla sfera di applicazione del rimedio mediante la valorizzazione del quadro sistematico, oltre che – forse l’operazione si presenta, però, un poco forzata – del richiamo generale contenuto dell’art. 411, co. 1 c.p.p.

L’opzione alternativa non potrebbe che rinvenirsi nella censura di incostituzionalità della nuova normativa per violazione del principio costituzionale di ragionevolezza, opzione dispendiosa ma capace di rendere certi i margini di operatività di un rimedio il quale, altrimenti, si presenta come idoneo a produrre <<una indefinita serie di orinetamenti interpretativi di di diverso segno che, tuttavia, difficilmente potranno trovare una composizione, stante l’impossibilità di ricorrere in Cassazione avverso l’ordinanza non impugnabile emessa dal Tribunale>>[27].

Il decreto è, infine, nullo allorché il giudice omette di pronunciarsi sull’ammissibilità dell’opposizione – ossia, dispone l’archiviazione de plano senza esporre le ragioni per le quali ha (implicitamente) ritenuto inammissibile l’opposizione – o la dichiara inammissibile al di fuori delle ipotesi previste dall’art. 410, co. 1 c.p.p.

Viene dunque ribadita, anche a livello positivo, l’obbligatorietà di una pronuncia sull’ammissibilità dell’opposizione, ma il giudice resta pur sempre libero – almeno sotto il pro­filo delle sanzioni processuali – di ignorarne il merito[28].

La norma sembra delineare, inoltre, un numero chiuso di casi di inammissibilità, ragione per cui dovrebbe ritenersi confermata la giurisprudenza che ritiene impugnabile il decreto di archiviazione che abbia dichiarato l’inammissibilità dell’opposizione ritenendo superflue o, comunque, inutili le investigazioni suppletive a fronte dei risultati investigativi già acquisiti, in quanto la declaratoria comporta una valutazione prognostica sulla rilevanza degli elementi indicati ai fini della fondatezza della notizia di reato che andrebbe effettuata in sede camerale[29].

L’art. 410-bis, co. 2 c.p.p. individua i casi di nullità dell’ordinanza di archiviazione, invece, mediante un rinvio all’art. 127, co. 5 c.p.p.

 

3. LA PROCEDURA DI RECLAMO E I SUOI EPILOGHI.

Trattandosi di un mezzo di impugnazione, ad esso si applicano le disposizioni generali, ragione per cui la legittimazione ad impugnare – che l’art. 410-bis c.p.p. conferisce all’interessato – deve essere accompagnata da un interesse giuridicamente rilevante ex art. 568 c.p.p.

Pertanto, è evidente che, attesa la natura e gli effetti del provvedimento impugnato, sembra arduo rinvenire spazi per la proposizione del reclamo da parte di soggetti diversi dalla persona offesa dal reato o degli altri soggetti titolari del potere di proporre opposizione alla richiesta di archiviazione[30].

Anche se, in relazione alla violazione dell’art. 127, co. 5 c.p.p., rilevante in virtù del richiamo contenuto nell’art. 410-bis, co. 2 c.p.p., non può escludersi la configurazione di un interesse all’impugnazione del pubblico ministero e della persona sottoposta alle indagini, indirizzato all’ottenimento di un segmento di contraddittorio nel cui ambito sostenere le proprie ragioni in vista di una diversa formula archiviativa.

Il riferimento ad una valutazione di fondatezza da parte del giudice, contenuto nell’art. 410-bis, co. 4 c.p.p., unitamente alla necessaria applicazione degli artt. 581 e 591 c.p.p., sono dati chiaramente indicativi di un contenuto composito del reclamo, il quale deve esporre, a pena di inammissibilità, i motivi che sorreggono la richiesta di annullamento.

Il termine per la proposizione del reclamo è fisso ed è stabilito in quindici giorni, decorrenti dal giorno in cui l’interessato ha avuto conoscenza del provvedimento conclusivo della procedura di archiviazione[31].

Viene recepito a livello legislativo, pertanto, il criterio generale indicato da C. cost., 11-16 luglio 1991, n. 353, la quale, dopo avere esteso l’impugnabilità mediante ricorso per cassazione al decreto di archiviazione pronunciato illegittimamente dal giudice, rimetteva alla giurisprudenza il compito di ricavare dal sistema un criterio a cui riferire il momento di decorrenza del termine per ricorrere, non ultimo dei quali – segnalava la Corte, offrendo un plausibile suggerimento – quello della “effettiva conoscenza” del provvedimento, una regola da ritenere di ordine generale nel sistema del nuovo codice tutte le volte in cui non si sia provveduto a dare notizia al destinatario di un atto nei confronti del quale sia esperibile un qualche mezzo di gravame[32].

La procedura di reclamo è caratterizzata da un’eccezionale semplificazione delle forme, preordinata a configurare un rimedio snello e dinamicamente lineare, particolarmente attento a non appesantire eccessivamente il carico di lavoro degli uffici di primo grado[33].

Il giudice adito, ossia il tribunale in composizione monocratica, decide infatti mediante ordinanza non impugnabile in camera di consiglio, previa fissazione di un’udienza non partecipata l’avviso relativo alla quale deve essere dato – precisa l’art. 410-bis, co. 3 c.p.p. senza fare riferimento alla necessità di ricorrere al mezzo della notificazione – alle parti interessate.

Al di là dell’imperfezione terminologica insita nel ricorso alla nozione di parte in un frangente in cui ancora “parti” non ve ne sono, a prima vista potrebbe ritenersi che costoro vadano individuate nel reclamante e nella persona sottoposta alle indagini (oltre che, ovviamente, nei rispettivi difensori)[34], ma la soluzione predetta, magari economica e maggiormente conforme alla ratio dell’istituto, oltre a non essere pienamente in linea con la scelta legislativa di non fornire ulteriori specificazioni, si pone in contrasto con una esegesi maggiormente attenta al carattere composito degli interessi coinvolti nella procedura di reclamo.

Essi invero, si proiettano sul prosieguo dell’itinerario procedimentale e in parte ne pretendono la riattivazione in ragione della violazione denunciata, a fronte di una prospettiva di segno contrario presumibilmente coltivata dalla persona sottoposta alle indagini e, il più delle volte, dal pubblico ministero.

Vi è, inoltre, da salvaguardare un’esigenza di certezza e (sia pure soltanto) relativa stabilità dell’esito procedimentale a fronte di situazioni caratterizzate da difetti conoscitivi del provvedimento conclusivo della procedura di archiviazione da parte di persone offese diverse, tutte ipoteticamente in termini per fare valere violazioni ad esse riferibili.

Un’attenta valutazione degli interessi in gioco ed un’esigenza di raccordo con la norma generale di cui all’art. 127 c.p.p. portano a ritenere, allora, che l’ambito del contraddittorio debba essere esteso al pubblico ministero e, preferibilmente, a tutte le persone offese diverse dal reclamante, poste così nelle condizioni di presentare, nei termini prescritti dalla norma e di cui si dirà a breve, una memoria finalizzata ed estendere l’oggetto della procedura e coagulare in una decisione unica la valutazione di tutti i profili di illegittimità dell’atto.

Ovviamente, ai fini della definizione del procedimento di reclamo il tribunale deve inviare alla procura della Repubblica richiesta di trasmissione del fascicolo delle indagini relative al procedimento archiviato, fascicolo restituito dal giudice per le indagini preliminari a seguito dell’emissione del provvedimento di archiviazione.

La disposizione prevede che le parti – quelle che hanno ricevuto l’avviso, naturalmente – possano interloquire mediante la presentazione di memorie non oltre il quinto giorno precedente l’udienza, dandosi quindi vita ad un contraddittorio di tipo cartolare il pieno ed efficace esplicarsi del quale presuppone, ancorché nel silenzio della legge, il diritto delle parti medesime di esaminare il fascicolo delle indagini preliminari presso la cancelleria del tribunale.

L’epilogo del procedimento di reclamo è diversificato ed è formalizzato in un provvedimento che può contenere tre diverse tipologie di accertamento.

Se il reclamo è fondato – viene, quindi, verificata l’effettiva sussistenza della violazione denunciata – il tribunale pronuncia ordinanza di annullamento del provvedimento di archiviazione e dispone la restituzione del fascicolo al giudice che lo ha emesso.

Superata l’impostazione giurisprudenziale che differenziava gli esiti a seconda della riconducibilità della violazione da un atto del giudice[35] ovvero del pubblico ministero[36], diviene onere del giudice rimediare alla violazione mediante la fissazione di un’udienza camerale ex art. 410, co. 3 c.p.p. ovvero, nei casi riconducibili ad errori del pubblico ministero, la notificazione di un avviso contenente l’indicazione del termine per proporre opposizione[37].

Sembra di potersi in ogni caso escludere un trasferimento di atti dal giudice per le indagini preliminari al pubblico ministero, evenienza che, oltre ad apparire inutilmente dispendiosa, nel silenzio della legge circa i successivi sviluppi dell’itinerario procedimentale non escluderebbe che il pubblico ministero possa assumere determinazioni diverse rispetto a quelle che condussero all’emanazione del provvedimento impugnato.

Se, invece, il reclamo è ritenuto infondato, il tribunale deve adottare un’ordinanza di conferma del provvedimento, apparendo pertanto insufficiente l’enunciazione di una mera statuizione di rigetto.

La soluzione appare, a stretto rigore, incoerente rispetto alla tipologia dei vizi denunciabili con il mezzo d’impugnazione ed alla natura della verifica effettuata dal tribunale, dal momento che l’oggetto del controllo non è costituito dalla fondatezza della decisione, ma dalla tecnica procedimentale con la quale il risultato è stato ottenuto, ragione per cui sarebbe apparsa più lineare una determinazione limitata alla presa d’atto dell’infondatezza di motivi, con conseguente rigetto di essi[38].

Allorché, infine, ravvisi una causa di inammissibilità del reclamo, il tribunale deve limitarsi a dichiarare inammissibile l’atto, senza adottare ulteriori statuizioni in riferimento al provvedimento impugnato.

In entrambi i casi, tuttavia, l’ordinanza deve contenere una statuizione di condanna della parte privata alle spese del procedimento e, in caso di pronuncia di inammissibilità, al pagamento in favore della cassa delle ammende di una somma corrispondente alla previsione contenuta nell’art. 616, co. 1 c.p.p.

Si è già fatto notare che il procedimento si conclude mediante ordinanza non impugnabile, soluzione che aggrava il costo di una decongestione che sembra destinato ad essere pagato soprattutto, ma non solo, dalla persona offesa[39].

V’è da dire, innanzitutto, che la regola dell’inoppugnabilità è stata ribadita in sede giurisprudenziale alla luce del principio di tassatività dei mezzi di impugnazione[40] e, conseguendo alla proposizione del ricorso per cassazione la declaratoria di inammissibilità, è intuibile l’enorme rilievo che la vicenda assume anche sul versante economico alla luce delle gravose statuizioni contenute nell’art. 616 c.p.p.

Ma deve essere anche evidenziato che la caratterizzazione del procedimento e la tipologia dei vizi suscettibili di denuncia mediante il mezzo del reclamo rischia di generare dei vuoti di tutela soprattutto – ma non soltanto – in relazione ai casi in cui l’esigenza di una verifica si ponga a fronte di una violazione che si colloca nell’ambito della procedura di impugnazione.

La consapevolezza del possibile verificarsi di evenienze siffatte ha determinato la Corte di cassazione a configurare la possibilità di ricorrere a strumenti di verifica differenti, quale l’istanza di revoca della decisione[41].

* Il presente contributo è stato sottoposto alla valutazione di un revisore, con esito favorevole.

[1] Ritenuto giustamente “inedito” da Gialuz, Cabiale, Della Torre, Riforma Orlando: le modifiche attinenti al processo penale, tra codificazione della giurisprudenza, riforme attese da tempo e confuse innovazioni, in Diritto penale contemporaneo, 2017, 3, 179.

[2] V., nell’ambito di un indirizzo consolidato, Cass. pen., Sez. VI, 21 marzo 2018, n. 40146; Cass. pen., Sez. I, 12 dicembre 2014, n. 5697. Sul tema, d’altra parte, si era già pronunciata Cass. pen., Sez. un., 29 marzo 2007, Lista.

[3] Cass. pen., Sez. IV, 29 ottobre 2018, n. 49395.

[4] Evidenzia questo aspetto La Regina, La nullità del provvedimento di archiviazione, in La riforma Orlando. I nuovi decreti, a cura di Spangher, Pisa, 2018, 215, la quale critica la scelta di sottrarre terreno alla funzione nomofilattica della Corte di cassazione in un contesto in cui, molto spesso, si generano incertezze interpretative che innescano possibili vizi del contraddittorio. V., inoltre, Id., Il procedimento di archiviazione (commi 31-36 l. n. 103/2017), in La riforma della giustizia penale. Modifiche al codice penale, al codice di procedura penale e all’ordinamento penitenziario, a cura di Marandola, Bene, Milano, 2017, 123. Le medesime considerazioni vengono ribadite in Id., Termini per l’esercizio dell’azione penale e archiviazione, in Dig. disc. pen., Agg. X, 860. V., altresì, Belviso, Il nuovo procedimento archiviativo, in La riforma Orlando. Modifiche al Codice penale, Codice di procedura penale e Ordinamento penitenziario, a cura di Spangher, Pisa, 2017, 167.

[5] Lo ribadisce con efficacia, da ultimo, Alonzi, Le attività del giudice nelle indagini preliminari. Tra giurisdizione e controllo giurisdizionale, Milano, 2011, 321, il quale sottolinea che <<l’intervento del giudice in ambito archiviativo si pone quale baluardo per il rispetto dell’obbligo di agire del pubblico ministero e quindi quale strumento di verifica della sussistenza delle condizioni che lo legittimano ad astenersi dal procedere>>.

[6] C. cost., 15 febbraio 1991, n. 88.

[7] Sottolineava siffatti profili problematici, tra gli altri, Giostra, L’archiviazione. Lineamenti sistematici e questioni interpretativi, II ed., Torino, 1994, 54.

[8] C. cost., 11-16 luglio 1991, n. 353.

[9] Dean, Fonti, Archiviazione (nel nuovo codice del 1988), in Dig. disc. pen., Agg. I, 36.

[10] C. cost., 11-16 luglio 1991, n. 353.

[11] Tranchina, Persona offesa dal reato, in Enc. giur., XXIII, 3. Ma v., anche, la puntuale analisi condotta da Pansini, Contributo dell’offeso e snodi procedimentali, Padova, 2004, 33.

[12] Bargi, Il ricorso per cassazione, cit., 481.

[13] V., tra le altre, Cass. pen., Sez. V, 26 novembre 2008, p.o. in proc. Giannino; Cass. pen., Sez. I, 1 aprile 2008, p.o. in proc. Bughetto. All’annullamento del decreto consegue, precisava la Corte, la restituzione degli atti al pubblico ministero quale soggetto gravato dall’onere di integrazione del contraddittorio.

[14] Cass. pen., Sez. VI, 30 ottobre 1998, p.o. in proc. Dogliosi.

[15] L’orientamento giurisprudenziale, più volte ribadito, è stato recepito da Cass. pen., Sez. un., 27 settembre 2007, Lo Mauro.

[16] V., per tutte, Cass. pen., Sez. un., 15 marzo 1996, Testa.

[17] V., infatti, Cass. pen., Sez. V, 24 ottobre 2000, Gatto; Cass. pen., Sez. IV, 13 giugno 2006, Nuti.

[18] Cass. pen., Sez. V, 20 settembre 2004, p.m. in proc. Avigliano.

[19] Cass. pen., Sez. VI, 28 settembre 2004, Scopece.

[20] V., in questo senso, Gialuz, Cabiale, Della Torre, Riforma Orlando, cit., 179. Contra, però, Belviso, Problemi applicativi della nuova disciplina del procedimento archiviativo, in La riforma Orlando. I nuovi decreti, a cura di Spangher, Pisa, 2018, 228.

[21] Cass. pen., Sez. un., 28 novembre 2001, Caspar Hawke.

[22] Cass. pen., Sez. I, 25 novembre 1991, Tedesco.

[23] V., tra le altre, Cass. pen., Sez. III, 28 maggio 1999, Prevedoni; Cass. pen., Sez. III, 12 marzo 1996, Signori. V., da ultimo, Cass. pen., Sez. VI, 26 giugno 2019, Reci, la quale ha chiarito che essa costituisce l’unico gravame esperibile avverso il decreto, non potendo proporsi ricorso per cassazione.

[24] Tonini, Manuale di procedura penale, Ed. XX, Milano, 2019, 9933.

[25] Ritiene che la differenziazione sia da ricondurre ad una svista del legislatore Belviso, Problemi applicativi della nuova disciplina del procedimento archiviativo, cit., 224. Ma v., per una prima analisi di segno diverso, Id., Il nuovo procedimento archiviativo, cit., 164.

[26] La Regina, La nullità del provvedimento di archiviazione, cit., 217. V., inoltre, Belviso, Problemi applicativi della nuova disciplina del procedimento archiviativo, cit., 225; Id., Il nuovo procedimento archiviativo, cit., 165.

[27] Belviso, Problemi applicativi della nuova disciplina del procedimento archiviativo, cit., 226.

[28] Gialuz, Cabiale, Della Torre, Riforma Orlando, cit., 179.

[29] Cass. pen., Sez. V, 22 settembre 2006, Tommasi. In senso conforme v., altresì, Gialuz, Cabiale, Della Torre, Riforma Orlando, cit., 179: << La seconda fattispecie – caratterizzata da un testo di difficile lettura – sembra significare che il giudicante può dichiarare l’inammis­sibilità dell’opposizione solo nelle ipotesi ex art. 410, comma 1, c.p.p., vale a dire qualora non siano stati indicati “l’oggetto della investigazione suppletiva e i relativi elementi di prova”; non comporta invece l’automatica irricevibilità dell’opposizione il solo spirare del termine di cui all’art. 408 c.p.p., che conferma una natura squisitamente dilatoria, anziché perentoria>>.

[30] Il diritto di opposizione, infatti, ex artt. 90, co. 3 e 91 c.p.p., spetta anche ai prossimi congiunti della persona offesa che sia deceduta in conseguenza del reato e – purché a ciò espressamente autorizzati ex art. 92, co. 1 c.p.p. – agli enti ed alle associazioni rappresentativi degli interessi lesi dal fatto illecito

[31] Ritiene che il termine non sia stabilito a pena di decadenza, criticando nell’occasione la leggerezza eccessiva del legislatore, La Regina, Il procedimento di archiviazione (commi 31-36 l. n. 103/2017), cit., 125.

[32] V., in senso adesivo rispetto alla soluzione di matrice giurisprudenziale, stante altresì l’oggettiva inapplicabilità della regola prevista dall’art. 585, co. 2 lett. a) c.p.p., Dean, Fonti, Archiviazione (nel nuovo codice del 1988), cit., 36.

[33] La Regina, La nullità del provvedimento di archiviazione, cit., 217.

[34] Secondo La Regina, La nullità del provvedimento di archiviazione, cit., 218, l’avviso dovrebbe essere dato alla persona offesa reclamante, all’indagato, al difensore ed al pubblico ministero.

[35] V., infatti, Cass. pen., Sez. VI, 17 settembre 2014, p.o. in proc. Marini, in relazione al caso di omessa valutazione di un’opposizione rituale.

[36] V., rispetto all’ipotesi di mancato avviso alla persona offesa, Cass. pen., Sez. II, 25 marzo 2015, Istituto Nazionale di Previdenza Sociale. V., rispetto al caso di archiviazione prima della decorrenza del termine, Cass. pen., Sez. VI, 30 ottobre 1998, p.o. in proc. Doglioni.

[37] Si tratta della soluzione ipotizzata da La Regina, La nullità del provvedimento di archiviazione, cit., 218. La stessa viene ribadita in Id., Termini per l’esercizio dell’azione penale e archiviazione, cit., 861.

[38] Compie questa notazione rispetto al ricorso per cassazione, difatti definito <<l’archetipo dell’azione d’impugnativa, ossia della domanda volta a far valere i vizi della decisione>>, Bargi, Il ricorso per cassazione, cit., 481.

[39] La Regina, La nullità del provvedimento di archiviazione, cit., 216. Sulla non impugnabilità del provvedimento v., altresì, Monaco, Riforma Orlando: come cambia il giudizio in cassazione, in La riforma Orlando. Modifiche al Codice penale, Codice di procedura penale e Ordinamento penitenziario, a cura di Spangher, Pisa, 2017, 281, la quale intravede nell’istituto di cui all’art. 414 c.p.p. l’unico rimedio a tutela della persona offesa.

[40] V., da ultimo, Cass. pen., Sez. V, 6 settembre 2018, n. 40127, la quale ha escluso che siffatta preclusione si ponga in contrasto con l’art. 24 Cost. V., nello stesso senso e poco prima, Cass. pen., Sez. VI, 23 marzo 2018, n. 17535.

[41] Cass. pen., Sez. VI, 23 marzo 2018, n. 17535.

 

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