Con la diffusione del virus covid-19, noto come coronavirus, molte delle nostre abitudini quotidiane hanno subìto e stanno subendo incisivi stravolgimenti e, con l’attuazione delle disposizioni contenute nel D.L. n. 11 dell’8 Marzo 2020, prima, e nel D. L. n.18 del 17 marzo 2020, pubblicato ieri, anche lo svolgimento della Professione forense, con particolare riferimento all’attività processuale, ha subìto importanti stravolgimenti.
Come è noto, infatti, eccezion fatta per un numero molto esiguo di procedimenti (in ambito penale: convalide, procedimenti per i quali stanno per scadere i termini previsti dall’art. 304 c.p.p., procedimenti in cui sono applicate misure di sicurezza detentive o è pendente la richiesta di applicazione di misure di sicurezza detentive e alcuni processi a carico di detenuti per i quali vi sia un’apposita istanza di trattazione), tutti i procedimenti penali fissati dal 9 marzo al 15 aprile 2020 saranno differiti d’ufficio a data successiva al 15.04.
Nel nuovo decreto si prevede, altresì, che per le udienze successive al 15 aprile, nell’ambito delle misure che potranno essere applicate per prevenire la diffusione del Coronavirus, anche la “previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020 nei procedimenti civili e penali”, con le eccezioni sopra indicate.
Di fronte ad un periodo così esteso di sospensione dell’attività processuale, si sono immediatamente palesate diverse possibilità di svolgimento “a distanza” dei processi.
Su tale possibilità, premesso che ritengo doveroso evidenziare come sia senz’altro condivisibile ed encomiabile tentare di trovare soluzioni per evitare che, in seguito al termine della sospensione del 15 aprile, si blocchi del tutto l’attività giudiziaria con gravi costi per la giustizia e per tutti i professionisti, evidenzio che la celebrazione “integrale” di un processo a distanza non può applicarsi al processo penale fondato sui principi dell’oralità e dell’immediatezza e della formazione della prova nel contraddittorio tra le parti.
Su tale problematica, evidenzio quanto segue.
Prima ancora di addentrarmi in questioni attinenti lo svolgimento del processo, ritengo opportuno osservare che, sotto un profilo strettamente tecnico e logistico, bisognerebbe prevedere dei processi in “teleconferenza” fondati sull’utilizzo di strumenti “personali” messi a disposizione dai singoli avvocati e magistrati.
Evidenzio, infatti, che come è tristemente noto le aule dei nostri Tribunali penali sono pressoché totalmente sprovvisti di pc, di connessioni veloci e di altri strumenti necessari per la celebrazione a distanza dei processi.
A ciò si aggiunga, che si dovrebbe “imporre” l’utilizzo di tali strumenti non solo ai magistrati, agli avvocati e ai cancellieri, ma anche alle parti private che, ovviamente, hanno il diritto di partecipare al processo e, soprattutto, ai testimoni i quali, indipendentemente dalla loro età e dal loro grado di dimestichezza con strumenti tecnologici, dovrebbero essere collegati per rispondere alle domande delle parti.
Inoltre, sotto un profilo strettamente tecnico, dovrebbe essere individuato un sistema unico di comunicazione tra le parti (che in assenza di programmi o piattaforme istituzionali dovrebbe necessariamente essere di tipo “privato”) capace di consentire:
– il simultaneo flusso audiovisivo tra le diverse parti;
– alle parti di intervenire in tempo reale;
– di registrare, ai fini delle verbalizzazioni, le dichiarazioni rese dai testimoni.
Il tutto, assicurando un grado di riservatezza e di sicurezza sia nella trasmissione, che nell’accesso alla “teleconferenza” in assenza di una piattaforma istituzionale che possa limitare l’accesso a soggetti in possesso di certificati digitali.
A tali problematiche di natura tecnica che riguardano, per alcuni aspetti, tutti i processi, si aggiungono quelli che riguardano strettamente il processo penale e che non consentirebbero una celebrazione dello stesso nel rispetto dei principi dettati dalla nostra Costituzione.
Preliminarmente, ritengo doverosa una premessa di carattere generale e non relativa all’attuale situazione: chi scrive, ritiene che qualsiasi limitazione della contestuale presenza in aula di tutte le parti, costituisca una violazione al diritto all’equo processo costituzionalmente e convenzionalmente garantiti e che in tutti i casi imputati, parti private e testimoni dovrebbero essere presenti in aula.
E ciò vale non solo per i processi che potrebbero svolgersi in “teleconferenza” in ragione della situazione emergenziale che stiamo vivendo, ma, in generale anche per la celebrazione dei processi a distanza a carico degli imputati detenuti, il cui ambito di operatività, come è noto, è stato ampliato dalla cd. Riforma Orlando che, all’art. 77, ha modificato il primo comma dell’art. 146-bis delle disposizioni attuative del codice di rito, prevedendo che in tutti i casi in cui proceda per taluno dei delitti indicati nell’art. 51, comma 3-bis, nonché nell’art. 407, comma 2, lettera a), n. 4) c.p.p., gli imputati detenuti debbano obbligatoriamente partecipare a distanza alle udienze dibattimentali.
Tale modifica ha eliminato, l’ulteriore previsione, estremamente più garantista, che ammetteva la partecipazione a distanza non solo in ragione dei reati contestati agli imputati detenuti, ma in presenza, in via alternativa, di tre ulteriori requisiti: 1) la sussistenza di gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico; 2) la particolare complessità del dibattimento e che la partecipazione a distanza fosse necessaria ad evitare ritardi nello svolgimento del processo; 3) che si procedesse nei confronti di un detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41bis comma 2, della l. 26 luglio 1975.
A parere di chi scrive, infatti, il diritto di essere presente in udienza non può essere compresso in nome di (ovviamente comprensibili) ragioni di economia processuale.
Tanto premesso, venendo all’attuale situazione emergenziale e all’utilizzo ovviamente temporaneo e strettamente limitato che la celebrazione del processo a distanza potrebbe avere anche in ambito penale, ritengo che lo strumento della teleconferenza potrebbe trovare spazio esclusivamente per i procedimenti nell’ambito dei quali non è necessario procedere all’escussione di testimoni e/o consulenti e all’esame dell’imputato.
E ciò in quanto l’escussione degli stessi a distanza, oltre alle ragioni di carattere tecnico che sono state sopra evidenziate, si porrebbe in aperta violazione dei principi di oralità ed immediatezza su cui si fonda il processo penale.
Sarebbe, infatti, estremamente limitata la normale dialettica processuale (che, tra l’altro, dovrebbe dipendere necessariamente dalla stabilità e dall’affidabilità delle connessioni di tutte le parti coinvolte), sarebbero pressoché impossibile la formulazione di contestazione, la richiesta di identificare un documento e di illustrarlo, o di identificare una persona.
Sarebbero, altresì, estremamente condizionati e limitati i “tempi” che contraddistinguono l’esame e il controesame dei testimoni fatti di domande serrate da cui può dipendere l’esito di un intero processo.
Sarebbe, inoltre, pesantemente limitata la possibilità da parte del Giudice di seguire contestualmente il testimone, gli avvocati e il Pubblico Ministero ed interloquire, contemporaneamente, con il cancelliere per le necessarie verbalizzazioni.
Il tutto senza prendere in considerazione l’ovvia assenza di controlli in ordine alla “genuinità” delle dichiarazioni rese dal testimone.
Come è agevole intuire, infatti, non sarebbe possibile per il Giudice controllare che sia prima della sua testimonianza, sia durante la stessa non siano presenti altre persone che possono condizionare la testimonianza, così come non sarebbe possibile evitare la consultazione di atti o documenti da parte del testimone la cui testimonianza potrebbe risolversi in una mera “lettura” di atti non consultabili che inficerebbero il valore della testimonianza.
Ad analoghe conclusioni si giunge per quanto attiene all’esame dell’imputato che, soprattutto per alcuni reati, può costituire l’unico strumento di difesa rimesso allo stesso e che non può, per tale ragione, essere in alcun modo soggetto a limitazioni.
Al di fuori di tali procedimenti, e solo per il periodo emergenziale, lo strumento telematico a distanza potrebbe essere utilizzato
1) nei procedimenti fissati per la verifica della regolare costituzione delle parti e l’ammissione dei mezzi di prova, o per la discussione di eventuali questioni preliminari;
2) nel contesto di procedimenti per i quali è totalmente esaurita l’istruttoria dibattimentale e deve procedersi alla discussione delle parti;
3) nei procedimenti da definire con rito abbreviato o con richiesta di applicazione della pena su richiesta delle parti (previo accordo tra P.M. e difensore munito di procura speciale da effettuare a mezzo pec prima dell’udienza);
4) per le camere di consiglio che non prevedono la partecipazione obbligatoria del difensore.
In tutti questi casi, data l’eccezionalità dell’attuale situazione sanitaria (che, di fatto, non conosce precedenti), si potrebbe evitare un rinvio totale dei processi fissati dopo la sospensione obbligatoria e, quindi, la stasi totale della giustizia italiana, senza, però, tradire e violare quei principi che rappresentano il cardine del sistema processualpenalistico italiano.
Il processo penale al tempo del COVID-19: le udienze a distanza
Con la diffusione del virus covid-19, noto come coronavirus, molte delle nostre abitudini quotidiane hanno subìto e stanno subendo incisivi stravolgimenti e, con l’attuazione delle disposizioni contenute nel D.L. n. 11 dell’8 Marzo 2020, prima, e nel D. L. n.18 del 17 marzo 2020, pubblicato ieri, anche lo svolgimento della Professione forense, con particolare riferimento all’attività processuale, ha subìto importanti stravolgimenti.
Come è noto, infatti, eccezion fatta per un numero molto esiguo di procedimenti (in ambito penale: convalide, procedimenti per i quali stanno per scadere i termini previsti dall’art. 304 c.p.p., procedimenti in cui sono applicate misure di sicurezza detentive o è pendente la richiesta di applicazione di misure di sicurezza detentive e alcuni processi a carico di detenuti per i quali vi sia un’apposita istanza di trattazione), tutti i procedimenti penali fissati dal 9 marzo al 15 aprile 2020 saranno differiti d’ufficio a data successiva al 15.04.
Nel nuovo decreto si prevede, altresì, che per le udienze successive al 15 aprile, nell’ambito delle misure che potranno essere applicate per prevenire la diffusione del Coronavirus, anche la “previsione del rinvio delle udienze a data successiva al 30 giugno 2020 nei procedimenti civili e penali”, con le eccezioni sopra indicate.
Di fronte ad un periodo così esteso di sospensione dell’attività processuale, si sono immediatamente palesate diverse possibilità di svolgimento “a distanza” dei processi.
Su tale possibilità, premesso che ritengo doveroso evidenziare come sia senz’altro condivisibile ed encomiabile tentare di trovare soluzioni per evitare che, in seguito al termine della sospensione del 15 aprile, si blocchi del tutto l’attività giudiziaria con gravi costi per la giustizia e per tutti i professionisti, evidenzio che la celebrazione “integrale” di un processo a distanza non può applicarsi al processo penale fondato sui principi dell’oralità e dell’immediatezza e della formazione della prova nel contraddittorio tra le parti.
Su tale problematica, evidenzio quanto segue.
Prima ancora di addentrarmi in questioni attinenti lo svolgimento del processo, ritengo opportuno osservare che, sotto un profilo strettamente tecnico e logistico, bisognerebbe prevedere dei processi in “teleconferenza” fondati sull’utilizzo di strumenti “personali” messi a disposizione dai singoli avvocati e magistrati.
Evidenzio, infatti, che come è tristemente noto le aule dei nostri Tribunali penali sono pressoché totalmente sprovvisti di pc, di connessioni veloci e di altri strumenti necessari per la celebrazione a distanza dei processi.
A ciò si aggiunga, che si dovrebbe “imporre” l’utilizzo di tali strumenti non solo ai magistrati, agli avvocati e ai cancellieri, ma anche alle parti private che, ovviamente, hanno il diritto di partecipare al processo e, soprattutto, ai testimoni i quali, indipendentemente dalla loro età e dal loro grado di dimestichezza con strumenti tecnologici, dovrebbero essere collegati per rispondere alle domande delle parti.
Inoltre, sotto un profilo strettamente tecnico, dovrebbe essere individuato un sistema unico di comunicazione tra le parti (che in assenza di programmi o piattaforme istituzionali dovrebbe necessariamente essere di tipo “privato”) capace di consentire:
– il simultaneo flusso audiovisivo tra le diverse parti;
– alle parti di intervenire in tempo reale;
– di registrare, ai fini delle verbalizzazioni, le dichiarazioni rese dai testimoni.
Il tutto, assicurando un grado di riservatezza e di sicurezza sia nella trasmissione, che nell’accesso alla “teleconferenza” in assenza di una piattaforma istituzionale che possa limitare l’accesso a soggetti in possesso di certificati digitali.
A tali problematiche di natura tecnica che riguardano, per alcuni aspetti, tutti i processi, si aggiungono quelli che riguardano strettamente il processo penale e che non consentirebbero una celebrazione dello stesso nel rispetto dei principi dettati dalla nostra Costituzione.
Preliminarmente, ritengo doverosa una premessa di carattere generale e non relativa all’attuale situazione: chi scrive, ritiene che qualsiasi limitazione della contestuale presenza in aula di tutte le parti, costituisca una violazione al diritto all’equo processo costituzionalmente e convenzionalmente garantiti e che in tutti i casi imputati, parti private e testimoni dovrebbero essere presenti in aula.
E ciò vale non solo per i processi che potrebbero svolgersi in “teleconferenza” in ragione della situazione emergenziale che stiamo vivendo, ma, in generale anche per la celebrazione dei processi a distanza a carico degli imputati detenuti, il cui ambito di operatività, come è noto, è stato ampliato dalla cd. Riforma Orlando che, all’art. 77, ha modificato il primo comma dell’art. 146-bis delle disposizioni attuative del codice di rito, prevedendo che in tutti i casi in cui proceda per taluno dei delitti indicati nell’art. 51, comma 3-bis, nonché nell’art. 407, comma 2, lettera a), n. 4) c.p.p., gli imputati detenuti debbano obbligatoriamente partecipare a distanza alle udienze dibattimentali.
Tale modifica ha eliminato, l’ulteriore previsione, estremamente più garantista, che ammetteva la partecipazione a distanza non solo in ragione dei reati contestati agli imputati detenuti, ma in presenza, in via alternativa, di tre ulteriori requisiti: 1) la sussistenza di gravi ragioni di sicurezza o di ordine pubblico; 2) la particolare complessità del dibattimento e che la partecipazione a distanza fosse necessaria ad evitare ritardi nello svolgimento del processo; 3) che si procedesse nei confronti di un detenuto sottoposto al regime di cui all’art. 41bis comma 2, della l. 26 luglio 1975.
A parere di chi scrive, infatti, il diritto di essere presente in udienza non può essere compresso in nome di (ovviamente comprensibili) ragioni di economia processuale.
Tanto premesso, venendo all’attuale situazione emergenziale e all’utilizzo ovviamente temporaneo e strettamente limitato che la celebrazione del processo a distanza potrebbe avere anche in ambito penale, ritengo che lo strumento della teleconferenza potrebbe trovare spazio esclusivamente per i procedimenti nell’ambito dei quali non è necessario procedere all’escussione di testimoni e/o consulenti e all’esame dell’imputato.
E ciò in quanto l’escussione degli stessi a distanza, oltre alle ragioni di carattere tecnico che sono state sopra evidenziate, si porrebbe in aperta violazione dei principi di oralità ed immediatezza su cui si fonda il processo penale.
Sarebbe, infatti, estremamente limitata la normale dialettica processuale (che, tra l’altro, dovrebbe dipendere necessariamente dalla stabilità e dall’affidabilità delle connessioni di tutte le parti coinvolte), sarebbero pressoché impossibile la formulazione di contestazione, la richiesta di identificare un documento e di illustrarlo, o di identificare una persona.
Sarebbero, altresì, estremamente condizionati e limitati i “tempi” che contraddistinguono l’esame e il controesame dei testimoni fatti di domande serrate da cui può dipendere l’esito di un intero processo.
Sarebbe, inoltre, pesantemente limitata la possibilità da parte del Giudice di seguire contestualmente il testimone, gli avvocati e il Pubblico Ministero ed interloquire, contemporaneamente, con il cancelliere per le necessarie verbalizzazioni.
Il tutto senza prendere in considerazione l’ovvia assenza di controlli in ordine alla “genuinità” delle dichiarazioni rese dal testimone.
Come è agevole intuire, infatti, non sarebbe possibile per il Giudice controllare che sia prima della sua testimonianza, sia durante la stessa non siano presenti altre persone che possono condizionare la testimonianza, così come non sarebbe possibile evitare la consultazione di atti o documenti da parte del testimone la cui testimonianza potrebbe risolversi in una mera “lettura” di atti non consultabili che inficerebbero il valore della testimonianza.
Ad analoghe conclusioni si giunge per quanto attiene all’esame dell’imputato che, soprattutto per alcuni reati, può costituire l’unico strumento di difesa rimesso allo stesso e che non può, per tale ragione, essere in alcun modo soggetto a limitazioni.
Al di fuori di tali procedimenti, e solo per il periodo emergenziale, lo strumento telematico a distanza potrebbe essere utilizzato
1) nei procedimenti fissati per la verifica della regolare costituzione delle parti e l’ammissione dei mezzi di prova, o per la discussione di eventuali questioni preliminari;
2) nel contesto di procedimenti per i quali è totalmente esaurita l’istruttoria dibattimentale e deve procedersi alla discussione delle parti;
3) nei procedimenti da definire con rito abbreviato o con richiesta di applicazione della pena su richiesta delle parti (previo accordo tra P.M. e difensore munito di procura speciale da effettuare a mezzo pec prima dell’udienza);
4) per le camere di consiglio che non prevedono la partecipazione obbligatoria del difensore.
In tutti questi casi, data l’eccezionalità dell’attuale situazione sanitaria (che, di fatto, non conosce precedenti), si potrebbe evitare un rinvio totale dei processi fissati dopo la sospensione obbligatoria e, quindi, la stasi totale della giustizia italiana, senza, però, tradire e violare quei principi che rappresentano il cardine del sistema processualpenalistico italiano.
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