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Se il processo penale diventa strumento di persecuzione politica, estradizione negata

 

La Corte di Cassazione, a seguito di ricorso avverso il provvedimento della Corte d’appello favorevole all’estradizione allo Stato della Georgia di una persona attinta da procedimento penale e da condanna irrevocabile, ha annullato la sentenza, evidenziando come la Corte di merito non avesse valutato le allegazioni difensive circa il rischio che l’estradizione fosse strumentale ad atti di persecuzione politica. Le brevi osservazioni che seguono si soffermano sulle principali pronunce delle Corti internazionali e della Corte di Cassazione in tema di estradizione, per evidenziare come la sfida che si pone agli ordinamenti è quella di saper perseguire finalità di giustizia senza derogare alla tutela dei diritti fondamentali della persona.

The Supreme Court, invited to judge about a Court of Appeal’s s order of extradition to the State of Georgia of a person involved in a criminal trial and condemned for common crimes, annulled the sentence, highlighting how the Court didnt’ examine the defendant’s allegations about the risk that the extradition was instrumental to political persecution’s acts. The short notes that follow focus on the internatioal Courts’ and Supreme Court’s main decisions, with the aim to highlight that the challenge to the legal systems is how to pursue justice without derogating from human fundamental rights’ protection.

 

Sommario: 1. L’istituto dell’estradizione: alcune considerazioni introduttive. – 2. L’art. 705 comma 2 c.p.p.: la natura degli atti persecutori e discriminatori. – 3. L’art. 705 comma 2 c.p.p.: la tipologia delle fonti conoscitive che possono giustificare la pronuncia contraria all’estradizione. – 4. La vicenda sottoposta all’esame della Corte di Cassazione e il principio di diritto espresso. – 5. Osservazioni conclusive.

 

  1. L’istituto dell’estradizione: alcune considerazioni introduttive.

«La persuasione di non trovare un palmo di terra che perdoni ai veri delitti, sarebbe un mezzo efficacissimo per prevenirli» [1].

Nelle parole di Beccaria possiamo ancora oggi trovare l’originaria ratio sottesa alla disciplina dell’estradizione, costituita dalla necessità di realizzare un’ampia cooperazione tra gli Stati per la repressione dei reati [2].

L’estradizione, infatti, è quell’istituto di cooperazione internazionale nel settore penale attraverso il quale uno Stato chiede (estradizione attiva) a un altro Stato (estradizione passiva) la consegna di una persona presente sul territorio del primo affinché questa sia sottoposta a procedimento penale (estradizione processuale) o alla esecuzione di una sentenza di condanna (estradizione esecutiva) [3].

Nel nostro ordinamento l’istituto trova disciplina in fonti diverse, anche per rango [4].

Si fa riferimento, innanzitutto, ai trattati ratificati dall’Italia[5] e alle norme della Costituzione (art. 10 comma 4 e art. 26 comma 2), le quali dispongono il divieto di estradizione dello straniero e del cittadino per reati politici.

In particolare, il divieto di estradizione dello straniero per reati politici è strettamente coerente con il riconoscimento allo straniero del diritto di asilo contro discriminazioni e persecuzioni politiche in atto nel suo Paese di origine (art. 10 comma 3 Cost.), diritto che verrebbe indubbiamente vanificato qualora mediante lo strumento dell’estradizione lo Stato persecutore potesse comunque ottenere la consegna della persona fuggita in cerca di asilo [6].

Si tratta di disposizioni costituzionali che riflettono quella riflessione giuridica condotta fin dalla prima metà del XIX secolo, allorché la tradizione liberale iniziò a occuparsi della tutela da accordare a chi avrebbe potuto subire atti persecutori unicamente in ragione della manifestazione delle proprie idee politiche [7].

La richiamata distinzione tra fonti pattizie e fonti costituzionali introduce l’altrettanto nota distinzione tra estradizione convenzionale ed extraconvenzionale. La prima si ha quando la cooperazione tra Stati è disciplinata da un trattato ratificato dagli stessi, la seconda quando, in assenza di un accordo, lo Stato richiede la consegna della persona per cortesia internazionale ovvero richiamandosi a una specifica prassi già in atto nelle relazioni con lo Stato richiesto [8]. D’altronde la circostanza che la stessa consuetudine internazionale possa costituire fonte regolativa dei rapporti nell’ambito dell’estradizione è riconosciuta negli stessi artt. 13 comma 1 c.p. e 696, comma 1, c.p.p., laddove si fa riferimento rispettivamente agli «usi internazionali» ed alle «norme di diritto internazionale generale», prevalenti rispetto al diritto interno.

È proprio nell’ambito extraconvenzionale che assumono rilievo le disposizioni del codice di procedura penale che disciplinano l’estradizione passiva, nella quale cioè l’Italia assume il ruolo di Stato richiesto (artt. 697-719 c.p.p.).

In particolare, ai sensi dell’art. 696 c.p.p. viene affermata la prevalenza delle norme contenute nel Trattato sull’Unione europea e del Trattato sul funzionamento dell’Unione europea, di quelle previste nelle convenzioni internazionali e di quelle di diritto internazionale generale sulle disposizioni interne, precisando che se le prime «mancano o non dispongono diversamente, si applicano le norme del presente libro» (Libro XI, artt. 696 – 746 quater c.p.p.).

Tuttavia è sempre apparso chiaro come gli Stati che si trovano a cooperare per attuare l’estradizione possano presentare ordinamenti con differenze anche considerevoli, con la conseguenza che la concessione dell’estradizione in favore di uno Stato potrebbe determinare la violazione di diritti fondamentali  sia di rango costituzionale che sovranazionale.

Per tali ragioni il principio di prevalenza delle norme pattizie e del diritto internazionale sul diritto interno processuale trova una mitigazione importante, per quanto attiene all’istituto dell’estradizione, nella previsione degli artt. 698 e 705 comma 2 c.p.p., quest’ultimo preso in esame in modo specifico nella sentenza che si annota.

Prima di addentrarsi nell’analisi delle singole disposizioni, è opportuno evidenziare come, sotto il profilo sistematico, una prima, fondamentale garanzia sia quella contenuta nell’art.697 c.p.p. che individua nell’estradizione l’unico strumento attraverso il quale attuare la consegna di una persona a un altro Stato per fini di giustizia [9]. Con tale previsione, in sostanza, sono state vietate le c.d. estradizioni mascherate, ossia le espulsioni o altri simili provvedimenti di allontanamento dal territorio nazionale verso lo Stato richiedente, in quanto le stesse, benché conseguano gli stessi effetti dell’estradizione, non forniscono alcuna tutela al soggetto [10].

La prima disposizione, l’art. 698 c.p.p., sotto la rubrica «Reati politici. Tutela dei diritti fondamentali della persona», prevede come non possa essere concessa l’estradizione per un reato politico né quando vi è ragione di ritenere che l’imputato o il condannato verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali, ovvero a pene o a trattamenti crudeli, disumani e degradanti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona.

La seconda disposizione, contenuta nell’art. 705 c.p.p. sotto la rubrica «Condizioni per la decisione», prevede che quando non esiste convenzione o questa non dispone diversamente, la Corte di appello possa pronunciare sentenza favorevole all’estradizione qualora sussistano gravi indizi di colpevolezza ovvero sia stata pronunciata una sentenza irrevocabile di condanna e se, per lo stesso fatto, nei confronti della persona della quale è domandata l’estradizione, non sia in corso procedimento penale né sia stata pronunciata sentenza irrevocabile dello Stato.

Il comma 2, in particolare, obbliga la Corte d’appello a pronunciare «comunque» sentenza contraria all’estradizione in tre ipotesi: a) se, per il reato per il quale l’estradizione è stata domandata, la persona è stata o sarà sottoposta a un procedimento che non assicura il rispetto dei diritti fondamentali; b) se la sentenza per la cui esecuzione è stata domandata l’estradizione contiene disposizioni contrarie ai principi fondamentali dell’ordinamento giuridico dello Stato; c) se vi è motivo di ritenere che la persona verrà sottoposta ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali ovvero alla pena di morte o a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona; c-bis) se ragioni di salute o di età comportino il rischio di conseguenze di eccezionale gravità per la persona richiesta [11].

Con particolare riferimento alla ipotesi contemplata dalla lettera C) di detta disposizione, in quanto direttamente rilevante nella vicenda oggetto della sentenza in esame, la norma prende dunque in considerazione il rischio che lo Stato richiedente, tramite un abuso dello strumento processuale, intenda in realtà conseguire finalità ultronee, di tipo latamente politico, costituite dalla sottoposizione della persona ad atti persecutori o discriminatori per motivi di razza, di religione, di sesso, di nazionalità, di lingua, di opinioni politiche o di condizioni personali o sociali, ovvero alla pena di morte o a pene o trattamenti crudeli, disumani o degradanti o comunque ad atti che configurano violazione di uno dei diritti fondamentali della persona.

La ratio evidente della norma è quella di assicurare che la pretesa punitiva dello Stato richiedente si traduca in forme rispettose del «due process of law», vale a dire di quel modello di processo penale definito come «giusto» dall’ordinamento internazionale.

E’ stato correttamente rilevato[12] come la concessione dell’estradizione in tali casi farebbe risorgere la vecchia tendenza a considerare l’estradizione come una operazione internazionale della quale l’individuo è semplice oggetto, ignorandosi il portato della Convenzione europea dei diritti dell’uomo, in virtù della quale l’estradando è titolare della pretesa al rispetto del fondamentale diritto alla libertà e alla sicurezza, pretesa che può essere azionata sul piano interno e internazionale [13].

Alcune precisazioni occorrono: una relativa alla natura degli atti persecutori o discriminatori che vengono in rilievo nella previsione dell’art. 705 c.p.p., l’altra afferente la tipologia delle fonti conoscitive che possono giustificare la pronuncia contraria all’estradizione.

  1. L’art. 705 comma 2 c.p.p.: la natura degli atti persecutori e discriminatori.

Relativamente alla prima questione, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato come la condizione ostativa all’estradizione si realizzi soltanto qualora gli atti persecutori o discriminatori siano direttamente o indirettamente riferibili allo Stato richiedente, cioè a una scelta normativa o di fatto di detto Stato.

Risultano pertanto irrilevanti ai fini dell’applicazione dell’art. 705 c. 2 c.p.p. quegli atti che potrebbero esser posti in essere ad opera di persone o nell’ambito di contingenze estranee agli apparati istituzionali, realizzati per finalità di ritorsione personale, rispetto ai quali l’ordinamento dello Stato richiedente preveda comunque la possibilità di attivare una tutela legale. In tali ipotesi, pertanto, a meno che non emerga nella complessiva azione dello Stato richiedente una colpevole inerzia nel proteggere il soggetto da eventuali ritorsioni private ovvero, addirittura, una qualche cooperazione nell’agevolare qualsiasi forma di vendetta, non si potrà invocare la tutela accordata dagli artt. 698 e 705 comma 2 lett. c) c.p.p.[14]

Nell’area della irrilevanza ai fini dell’applicazione dell’art. 705 comma 2 lett. c) c.p.p. ricadono altresì tutte quelle situazioni nelle quali fatti di persecuzione o di discriminazione risultino espressione di episodi eccezionali e del tutto occasionali e non già sistemici e strutturali all’ordinamento dello Stato richiedente [15].

Ai fini di un’adeguata valutazione circa la sussistenza del rischio di persecuzione e discriminazione, la Corte d’appello potrà spingersi sino a valutare autonomamente le scelte normative dello Stato richiedente, vale a dire la idoneità dello jus conditum previsto dall’ordinamento estero a scongiurare l’inverarsi di una delle situazioni considerate dall’art. 705 comma 2 c.p.p., valutazione questa eventualmente da compiersi anche alla luce dei più recenti accadimenti inerenti lo specifico contesto politico-istituzionale dello Stato richiedente [16].

Nell’ambito europeo, nel quale la decisione quadro dell’Unione Europea 2002/584/ GAI ha sostituito l’istituto dell’estradizione nel relativo spazio giudiziario, è stata prevista la clausola di rifiuto connessa ai motivi discriminatori (considerando nn. 12 e 13 della decisione quadro). L’art. 18 della legge attuativa italiana (l. 22 aprile 2005 n. 69) prevede una serie di ipotesi nelle quali sia legittimo il rifiuto alla consegna, tra le quali si ricordano, ai fini che qui interessano, quelle previsti dalla lett. a)[17] e quelli previsti dalla lett. h)[18].

Benché l’articolato della decisione quadro non preveda espressamente tali motivi ostativi, essi sono stati ricondotti al preambolo contenuto nei richiamati considerando (in particolare i nn. 12 e 13), a loro volta espressivi di principi generali dell’ordinamento europeo. Nel complesso, si può ritenere che queste cause ostative ricadono nell’alveo dell’art. 1, par. 3, della decisione quadro, il quale sancisce l’obbligo di rispettare i diritti fondamentali garantiti dall’ordinamento dell’Unione europea.

  1. L’art. 705 comma 2 c.p.p.: la tipologia delle fonti conoscitive che possono giustificare la pronuncia contraria all’estradizione.

Relativamente alla seconda questione, occorre evidenziare come, ai sensi dell’art. 705 comma 2 lett. c) c.p.p., la Corte d’appello debba pronunciare sentenza contraria all’estradizione nell’ipotesi in cui siano emerse ragioni idonee a far ritenere che l’estradando verrà sottoposto ad atti persecutori o discriminatori ovvero ad atti che configurano violazioni dei diritti fondamentali della persona.

Tale accertamento, pur ufficioso, non può tuttavia essere condotto sulla base di mere congetture circa la sussistenza delle condizioni ostative, gravando comunque sulla parte interessata l’onere di indicare alla Corte di merito tutti gli elementi utili per il loro positivo accertamento.

In particolare l’interessato è tenuto ad allegare elementi documentali idonei a dimostrare il rischio concreto che a seguito della propria consegna egli sarà sottoposto ad atti discriminatori o persecutori, ovvero alla pena di morte o a pene o trattamenti contrari ad almeno uno dei diritti fondamentali della persona [19].

In merito alla necessità dell’impulso di parte, è stato affermato come l’esercizio di un potere di iniziativa officioso da parte della Corte d’appello, in assenza di una specifica istanza confortata da adeguati elementi documentali, costituirebbe condotta contraria ai rapporti di cortesia istituzionale con lo Stato richiedente [20].

L’onere di allegazione potrà essere adeguatamente evaso dall’interessato mediante la produzione di documenti e di rapporti elaborati da organizzazioni non governative, la cui affidabilità sia comunque generalmente riconosciuta sul piano internazionale [21]. Documenti idonei a fornire elementi conoscitivi sono stati ritenuti, dunque, quelli provenienti da Amnesty International, da Human Rights Watch, dal Dipartimento di Stato degli Stati Uniti d’America, dal Comitato internazionale della Croce Rossa, trattandosi di atti muniti di elevata affidabilità come ampiamente riconosciuto sia dalla Corte di legittimità [22], sia dalla stessa Corte Europea [23].

Parimenti affidabili sono stati ritenuti anche i rapporti provenienti dalla Commissione degli affari giuridici e dei diritti dell’uomo e dal Parlamento europeo [24], le relazioni o gli altri documenti predisposti dagli organi del Consiglio di Europa o delle Nazioni Unite [25], nonché la medesima circostanza che lo Stato richiedente non sia aderente alla C.e.d.u. [26].

L’onere di documentare in modo specifico il rischio di persecuzione risulta, inoltre, particolarmente stringente allorché il reato in relazione al quale è stata formulata richiesta di estradizione non sia direttamente pertinente con la sfera di interesse del potere politico «ma sia riconducibile alla categoria dei reati di criminalità comune» [27], come nella vicenda sottoposta all’attenzione della Suprema Corte nella sentenza in esame, laddove l’estradando era ricercato al fine del suo perseguimento penale per i reati di maltrattamenti in famiglia, trattamento illecito di dati personali, nonché per l’esecuzione di una sentenza di condanna definitiva per il reato di rapina e sequestro di persona.

Soltanto in presenza di una congrua allegazione di elementi e circostanze obiettive e specifiche la Corte d’appello dovrà valutare, anche mediante un’autonoma richiesta di informazioni integrative ai sensi dell’art. 704 comma 2 c.p.p., se la richiesta di estradizione mascheri una finalità persecutoria ovvero preluda a un trattamento incompatibile con i diritti fondamentali della persona[28].

La preclusione a una pronuncia favorevole nelle ipotesi in esame è comunque esclusa qualora, pur in presenza di informazioni circa la violazione dei diritti fondamentali, «le Autorità dello Stato richiedente offrano specifiche assicurazioni in ordine alla sottoposizione della persona richiesta in consegna ad un trattamento diverso da quello previsto nell’ordinario circuito penitenziario, tale da escludere radicalmente la possibilità di assoggettamento a maltrattamenti di qualsiasi natura» [29].

Nell’ambito del generale dovere di acquisizione di elementi conoscitivi idonei a valutare la sussistenza delle cause ostative, la giurisprudenza di legittimità ha evidenziato inoltre come la Corte di Cassazione in materia estradizionale possa essere «anche giudice di merito (art. 706 c.p.p.)», nella (limitata) misura in cui ha la facoltà sia di sollecitare lo Stato richiedente, per il tramite del Ministero della Giustizia, a fornire tutti gli opportuni dati informativi, sia di acquisire direttamente tali dati da documenti ufficiali reperibili «da fonti d’informazione aperte (Internet)», essendole tuttavia preclusa ogni ulteriore attività istruttoria [30]. In tale prospettiva, infatti, la «estensione della competenza della Corte di cassazione ‘al merito’, ai sensi dell’art. 706 c.p.p., non può giungere sino al punto di onerarla di attività istruttoria, restando fermo il principio che deve essere effettuato solo l’esame cartolare, limitato, peraltro, alle informazioni, allo stato, acquisite» [31].

  1. La vicenda sottoposta all’esame della Corte di Cassazione e il principio di diritto espresso.

Nella vicenda in esame la Corte d’appello di Roma con sentenza pronunciata in data 25 giugno 2019 aveva ritenuto sussistenti le condizioni per la concessione dell’estradizione allo Stato della Georgia di un cittadino, ricercato al fine del suo perseguimento penale per i reati di maltrattamenti in famiglia, trattamento illecito di dati personali, nonché per l’esecuzione di una sentenza di condanna definitiva per il reato di rapina e sequestro di persona.

La domanda di estradizione era relativa: a) ai maltrattamenti in famiglia asseritamente posti in essere dall’estradando sino all’ottobre del 2017 in danno della propria moglie; b) alla condotta di illecita registrazione e conservazione di un filmato riguardante la vita privata della moglie, condotta contestata in relazione al mese di dicembre 2017; c) alla sentenza con la quale l’estradando era stato condannato per i reati di concorso nel sequestro e nella rapina ai danni di altra persona (diversa dalla moglie).

Avverso la pronuncia della Corte d’appello l’interessato aveva proposto ricorso per cassazione, sia per violazione di legge, con riferimento all’art. 3 della Convenzione Europea di estradizione [32] e all’art. 6 C.e.d.u. in ordine ai minimi standard per il trattamento penitenziario, sia per vizio di motivazione in ordine alla omessa valutazione da parte della Corte di merito circa la sussistenza di ragioni ostative alla estradizione, evidenziate dal ricorrente in una memoria difensiva.

In particolare con detto atto difensivo era stato evidenziato come la richiesta di estradizione fosse pretestuosa, in quanto strumentale alla successiva realizzazione di atti persecutori per ragioni politiche connesse al ruolo della ex moglie del ricorrente («personaggio influente») e come pertanto sussistessero le condizioni per l’applicazione dell’art. 705 c. 2 lett. c) c.p.p. .

L’estradando, come aveva autorevolmente asserito l’ex Presidente della Georgia, risultava infatti una delle vittime perseguitate per ragioni politiche dal Governo, avendo egli pubblicamente rivelato nel marzo 2018 gli abusi che la Procura stava perpetrando nel condurre le indagini in relazione all’omicidio di un bambino al solo fine di estromettere un avversario politico, cioè l’esponente del Movimento Nazionale Unico e candidato alle elezioni. Proprio in relazione a quel delitto di omicidio erano in corso indagini condotte dalla sua ex moglie dell’estradando, nella qualità di Procuratore della Repubblica presso il Tribunale di Tblisi, successivamente sospesa dall’incarico a causa degli atti di corruzione e di uso distorto dell’azione penale emersi a seguito delle dichiarazioni pubbliche rese dallo stesso estradando nel marzo 2018.

Che si fosse in presenza di una giustizia «a orologeria» risultava inoltre evidente dalla stessa tempistica delle formulazioni degli addebiti da parte dell’Autorità giudiziaria di Tblisi, in quanto solo successivamente alle interviste rese dal ricorrente, rilevatesi dannose per la carriera della ex moglie, la Procura aveva formulato i capi di imputazione nei suoi confronti in relazione a presunte condotte di reato commesse in date risalenti.

Con la pronuncia in esame la Suprema Corte ha accolto il ricorso, disponendo l’annullamento della sentenza con rinvio ad altra Sezione della Corte d’appello per un nuovo giudizio.

I Giudici di legittimità hanno evidenziato innanzitutto come la scarna motivazione della sentenza impugnata abbia impedito di comprendere «il ragionamento seguito dalla Corte d’appello nell’escludere il rischio di una persecuzione politica ai danni del ricorrente», nonostante quest’ultimo avesse fornito elementi in tal senso.

In particolare la Suprema Corte ha osservato come l’estradando, a mezzo della propria memoria difensiva, avesse allegato una «serie di circostanze, documentate da specifiche allegazioni, evocative del pericolo di una persecuzione ai suoi danni nello Stato richiedente», assolvendo in tal modo a quell’onere informativo richiesto dalla costante giurisprudenza di legittimità.

Il paventato rischio di persecuzione, si legge nella sentenza in commento, emergeva altresì da ulteriori dati conoscitivi, autonomamente acquisiti dal Supremo Collegio presso fonti internazionali particolarmente qualificate, attestanti le gravi carenze, quanto a imparzialità e indipendenza, che affliggono sistematicamente il sistema giudiziario dello Stato richiedente, essendo state registrate e monitorate interferenze di tipo politico nell’esercizio della giurisdizione.

Tra i documenti acquisiti ed esaminati direttamente dal Supremo Collegio figurano il Rapporto sulla Georgia redatto dal Commissario per i diritti umani del Consiglio d‘Europa del gennaio 2016, che ha sottolineato come le misure giudiziarie fossero state applicate o aggravate in detto Stato per contrastare esponenti dell’opposizione politica al Governo; la sentenza C. eur. dir. uomo, 28.11.2017, Merabishvili c. Georgia, nella quale è stato stigmatizzato l’uso politico del mantenimento in stato di arresto di un ex Ministro della Georgia per indurlo a rendere, in qualità di testimone, informazioni condiscendenti in merito ad altre indagini penali; le decisioni adottate dal Comitato dei Ministri del Consiglio d’Europa, nelle quali lo Stato della Georgia è stato esortato a incrementare gli sforzi per rendere indipendenti le indagini penali e assicurare l’effettività dell’autonomia dei giudici.

All’esito del richiamato percorso motivazionale, pertanto, i Giudici di legittimità hanno affermato che «la prospettazione del rischio di un processo persecutorio debba essere in qualche modo suffragato dal ricorrente con elementi specifici ed idonei ad avvalorare la tesi difensiva»; che «tale onere, quando si sia in presenza di un reato non pertinente con la sfera di interesse del potere politico, deve essere particolarmente pregnante» e, infine, che «solo in presenza di una circostanziata allegazione di un fumus persecutionis, la corte di appello è tenuta a far ricorso alle informazioni o agli accertamenti previsti dall’art. 704 c.p.p. comma 2».

Proprio la omessa valutazione delle circostanze allegate dal ricorrente alla memoria difensiva, nonché la mancata acquisizione da parte della Corte d’appello degli ulteriori elementi conoscitivi utili alla valutazione della sussistenza delle condizioni ostative all’estradizione hanno pertanto indotto i Supremi Giudici a rendere necessario un nuovo giudizio di merito con conseguente annullamento della sentenza.

  1. Osservazioni conclusive.

Il respiro transnazionale della criminalità ha certamente contribuito allo sviluppo degli istituti tradizionali di cooperazione giudiziaria e, tra questi, quello dell’estradizione. Parallelamente a tale sviluppo è altresì aumentata la consapevolezza circa la necessità che il meccanismo estradizionale non prescinda dal rispetto di diritti fondamentali dell’individuo, ciò in quanto l’individuo non è estraneo al procedimento di estradizione [33].

Benché permanga ancora in dottrina la questione circa la natura giurisdizionale o meno di una procedura che, sebbene giurisdizionalizzata, non ha come obiettivo quello di accertare la penale responsabilità di una persona [34], è tuttavia proprio nella dimensione «processuale» dell’iter che può essere osservato il graduale aumento dello spazio riservato alla tutela dei diritti e delle garanzie della persona[35].

Tale esigenza di tutela nasce proprio dalle caratteristiche intrinseche del procedimento estradizionale, per effetto del quale entrano in relazione gli ordinamenti di due Stati, che possono presentare, sia sotto il profilo ordinamentale sostanziale che sotto quello processuale, discipline non solo tra loro del tutto antitetiche ma anche e soprattutto espressione di differenti principi e ratio legislative difficilmente conciliabili. E’ pertanto necessario evitare che dalla cooperazione giudiziaria finalizzata alla realizzazione della pretesa punitiva allo Stato richiedente possa discendere una violazione dei diritti riconosciuti dalla Costituzione o dalla Convenzione europea dei diritti dell’uomo [36].

In sostanza la cooperazione giudiziaria incontra limitazioni e preclusioni declinate secondo il livello di civiltà giuridica dello Stato con cui si entra in relazione, livello che viene misurato, tra l’altro, sulla base del grado di democraticità delle istituzioni, della qualità della legislazione preposta alla tutela dei diritti fondamentali, del suo livello di effettività. Questi limiti, previsti anche al livello codicistico, appaiono sempre più importanti se si considera come alcuni accordi in materia estradizionale sembrano tendere al rafforzamento dei meccanismi di cooperazione, piuttosto che a quello delle disposizioni in tema di garanzie individuali [37].

Tale tendenza, benché giustificabile dalla necessità di contrastare forme sempre nuove di crimine transnazionale, non può certamente spingersi sino alla graduale disattivazione delle garanzie individuali. In questa prospettiva, dunque, le stesse disposizioni codicistiche possono costituire un utile presidio per tali garanzie qualora esse non risultino sufficientemente tutelate in sede convenzionale [38].

Sul terreno del diritto vivente dobbiamo certamente registrare come la giurisprudenza di legittimità abbia manifestato una progressiva attenzione nella gestione del difficile equilibrio tra la necessità di dare attuazione alla cooperazione giudiziaria richiesta e la indefettibile tutela dei diritti fondamentali dell’estradando, sensibilizzazione questa spesso favorita dalla spinta interpretativa fornita dalle pronunce delle Corti internazionali.

Non può tuttavia nascondersi l’auspicio che la essa riservi maggior prudenza nella valutazione delle garanzie diplomatiche fornite dagli Stati richiedenti, conformemente alla cautela mostrata da organismi internazionali (la Corte EDU, lo Human Rights Watch, il Commissioner for Human Rights, l’Assemblea parlamentare del Consiglio d’Europa, l’European Committee for the Prevention of Torture’s, l’UNHCR, l’Assemblea generale delle Nazioni Unite, per citarne solo alcuni) [39].

Non possiamo pertanto ritenere definitivamente cessato il rischio di insidie che la continua esigenza di maggiore celerità nella risposta repressiva al crimine transnazionale può riservare alla tutela dei diritti umani.

Questo bilanciamento tra l’esigenza di garantire giustizia e sicurezza e quella di garantire comunque la tutela dei diritti fondamentali dell’estradando è, probabilmente, la sfida che l’epoca contemporanea propone continuamente agli ordinamenti e alle giurisdizioni internazionali, nella consapevolezza che la tutela di diritti fondamentali della persona non può subire deroghe quand’anche il reato per cui si procede risulti particolarmente grave per l’intera comunità internazionale.

In tali termini, appare di estrema chiarezza quanto affermato recentemente dalla Corte Europea dei diritti dell’uomo, la quale ha evidenziato come, pur nell’ipotesi in cui un soggetto sia sospettato di intrattenere apporti con organizzazioni terroristiche, la Convenzione proibisca «in absolute terms» la tortura, nonché punizioni ovvero trattamenti inumani e degradanti, con la conseguenza che ogni volta in cui dovessero emergere motivi oggettivi idonei a far ritenere che il trasferimento di una persona in un altro Stato possa esporla a un serio rischio di trattamenti illegali, lo Stato richiesto è tenuto, in prima battuta, a fornire protezione, astenendosi dall’accordare una qualsiasi forma di cooperazione nella violazione dei diritti fondamentali [40].

* Il presente contributo è stato sottoposto alla valutazione di un revisore, con esito favorevole.

[1] Beccaria, Dei delitti e delle pene, a cura di Calamandrei, Le Monnier, 1945, 294 ss.

[2] Cass., pen. Sez. VI, 18.1.1978, n. 152; negli stessi termini, Cass., pen. Sez. VI, 17.8.1989, n. 837; riferimenti giurisprudenziali anche in Silvestri, Estradizione, mandato di arresto europeo e altre forme di cooperazione in materia penale, Lisbona, 15-17.11.2012 in http://www.cortecostituzionale.it/documenti/convegni_seminari/RI_Silvestri_Lisbona20121116.pdf

[3] L’istituto è comunemente ricompreso nell’ambito del cd. diritto penale internazionale, cioè di quel complesso di norme di diritto pubblico interno con cui lo Stato «risolve i problemi che ad esso si pongono per il fatto di coesistere con altri Stati sovrani nella comunità internazionale», distinto dal diritto internazionale penale, da intendersi come quel «complesso di norme di diritto internazionale che sanciscono la responsabilità penale per i fatti che turbano l’ordine pubblico internazionale» (Selvaggi – De Donato, in Lattanzi – Lupo, Codice Penale – Rassegna di Giurisprudenza e di Dottrina, Vol. 1, Libro I, Giuffrè, 2010, 533).

[4] Per un approfondimento dell’istituto in esame: Aloisi – Fini, voce Estradizione, in NDI, 1960, 1007-1028; Chiavario, Manuale dell’estradizione e del mandato d’arresto europeo, Utet, 2013; D’Orazio, voce Estradizione. I) Diritto costituzionale, in EGT, 1989, 1-5; Esposito, voce Estradizione. II) Diritto processuale penale, ivi, 1-21; Marchetti, voce Estradizione, in DDP pen., Torino, 1990, 390- 419; Marzaduri, Libertà personale e garanzie giurisdizionali nel procedimenti di estradizione passiva, Giuffrè, 1993; Quadri, voce Estradizione (dir. intern.), in Enc. dir., Giuffrè, 1967, 1-59; Ranaldi, Il procedimento di estradizione passiva, Utet, 2013.

[5] Si ricordi, nell’ambito del diritto comunitario, la Convenzione europea di estradizione, firmata a Parigi il 13 dicembre 1957 e ratificata in Italia con la Legge 30 gennaio 1963, n. 300; la Convenzione europea di assistenza giudiziaria firmata a Strasburgo il 20 aprile 1959 e ratificata con la Legge 23 febbraio 1961 n. 215; la Legge 22 aprile 2005, n. 69 sul MAE.

[6] Appare opportuno rilevare come le richiamate disposizioni costituzionali regolino solo l’estradizione passiva, circostanza che ha indotto taluni ha evidenziare come l’aspetto «attivo» dell’estradizione sia privo di disciplina costituzionale (Catelani, in Catelani-Striani, L’estradizione, Giuffrè, 1983, 108 ss). Esposito, op. cit., 4, giustifica questa scelta con il fatto che lo Stato richiedente «deve necessariamente piegarsi alle regole poste in materia dallo Stato richiesto, in applicazione del principio locus regit actum».

[7] La prima fu la Costituzione francese del 1830, il cui art. 7 stabiliva che «i Francesi hanno il diritto di pubblicare e di fare stampare le loro opinioni conformandosi alle leggi. – La censura non potrà mai essere ristabilita».

[8] Cfr., tra gli altri, Esposito, op. cit., 1; Ranaldi, voce Estradizione in DDP pen., agg., Utet, 2005, p. 472.

[9] In ambito europeo, com’è noto, la Decisione quadro n.2002/584/GAI e la relativa legge attuativa 22 aprile 2005, n.69 hanno introdotto il mandato di arresto europeo che trova applicazione nei rapporti tra Stati membri dell’Unione e che costituisce una legittima modalità di consegna, anche se profondamente diversa dall’estradizione.

[10] Marchetti, Sub art. 697, in  AA.VV., Commento al nuovo codice di procedura penale, Chiavario (a cura di), vol.VI, Utet, 1991, 695. Salvini, Osservazioni sull’estradizione mascherata, in RIDPP, 1980, 445. Sul punto, cfr. C.eur.dir.uomo, 18.12.1986, Bozano c. Francia.

[11] Secondo Ranaldi, op. cit., 480, con l’inserimento di tale clausola il legislatore ha considerato il fenomeno patologico del processo «a conduzione fuorviata» per ragioni politiche o ideologiche.

[12] Esposito, op. cit., 4.

[13] Amodio, La tutela della libertà personale dell’imputato nella convenzione europea dei diritti dell’uomo, Giuffrè, 1967.

[14] Cfr. Cass., pen. Sez. VI, 9.1.2020, n. 6815, ove si afferma che il divieto di pronuncia favorevole «opera esclusivamente nelle ipotesi in cui la allarmante situazione sia riferibile ad una scelta normativa o di fatto dello Stato richiedente, a prescindere da contingenze estranee ad orientamenti istituzionali e rispetto ai quali sia possibile comunque una tutela legale»; conformi Cass., pen. Sez. VI, 12.6.2019, n. 29910; Cass., pen. Sez. VI, 8.2.2016, n. 4977.

[15] Cfr. Cass., Sez. VI Pen., 5.2.2008, in MFI, 239672.

[16] Cfr. Cass., pen. Sez. II, 27.10.2017, n. 51657, secondo la quale «sostanziali mutamenti legislativi» e «l’evoluzione in senso “umanitario” del regime» potrebbero comunque «fondare, in futuro, il rinnovo della domanda di estradizione ai sensi dell’art. 707 codice procedura penale».

[17] «motivi oggettivi per ritenere che il mandato d’arresto europeo è stato emesso al fine di perseguire penalmente o di punire una persona a causa del suo sesso, della sua razza, della sua religione, della sua origine etnica, della sua nazionalità, della sua lingua, delle sue opinioni politiche e delle sue tendenze sessuali oppure che la posizione di tale persona possa risultare pregiudicata per uno di tali motivi».

[18] «se sussiste un serio pericolo che la persona ricercata venga sottoposta alla pena di morte, alla tortura o ad altre pene o trattamenti inumani o degradanti». Per un approfondimento dello specifico istituto del MAE, si vedano, ex multis: Chelo, Il mandato di arresto europeo, Cedam, 2010; si vedano anche: Sammarco, La decisione sulla richiesta di esecuzione, in Kalb (a cura di), Mandato di arresto europeo e procedure di consegna, Giuffrè, 2005; Aa. Vv., Il mandato di arresto europeo, Pansini, Scalfati (a cura di), Jovene, 2005; Aa. Vv., Il mandato di arresto europeo. Commento alla l. 22 aprile 2005, n. 69, Chiavario, De Francesco, Manzione, Marzaduri (a cura di), Utet, 2006, 475; Aa. Vv., Codice di procedura penale commentato, Giarda, Spangher (a cura di), Ipsoa, 2010.

[19] Cfr. Cass., pen. Sez. VI, 28.6.2018, n. 36847: «E’ onere dell’estradando allegare elementi e circostanze che la Corte di appello deve valutare, anche attraverso la richiesta di informazioni complementari, al fine di accertare se, nel caso concreto, l’interessato sarà alla consegna sottoposto, o meno, ad un trattamento inumano o degradante, fatti salvi i casi in cui si versi in una situazione obiettiva già rilevata da decisioni di legittimità». Cfr., altresì, Cass., pen. Sez. VI, 17.11.2016, n. 53741: «Come richiesto da questa Corte ai fini dell’apprezzamento della concretezza di tale rischio, la valutazione deve fondarsi su elementi oggettivi, attendibili, precisi ed opportunamente aggiornati in merito alle condizioni di detenzione vigenti nello Stato richiedente e comprovanti la presenza di carenze sia sistemiche, o comunque generalizzate, sia limitate ad alcuni gruppi di persone o a determinati centri di detenzione (Sez. 6, n. 23277 del 01/06/2016, Barbu)».

[20] Cass., pen. Sez.VI, 27.9.1995, n. 3281, in CP, 1996, 3690.

[21] Cass., pen. Sez. VI, 8.7.2010, in MFI, 248002.

[22] Cass., pen. Sez. VI, 15.11.2016, n. 1731; conf., Cass., pen. Sez. VI, 8.7.2010, n. 32685.

[23] C. eur. dir. uomo, 22.2.2008, Saadi c. Italia; C. eur. dir. uomo, 13.4.2010, Trabelsi c. Italia.

[24] Cass., pen. Sez. II, 1.4.2011, n. 26588.

[25] Cass., pen. Sez. VI, 28.6.2018, n. 36847; Cass., pen. Sez. VI, 1.6.2016, n. 23277.

[26] Cass., pen. Sez.VI, 11.2.2011, n.15578; Cass., pen. Sez.VI, 19.6.2006, n. 23555.

[27] Cass., pen. Sez. VI, 4.12.2019, n. 617.

[28] Cass., pen. Sez. VI, 26.6.2013, n. 34567; cfr., altresì, Cass., pen. Sez. VI, 13.1.2017, n. 8529. E’ doveroso a tal proposito precisare come, con riferimento alla specifica disciplina sul MAE, la Corte di cassazione abbia costantemente affermato che il rischio di pregiudizio dei diritti fondamentali, contemplato dalla lett. a) dell’art. 18 della L. n. 69/2005, deve risultare da circostanze oggettive, non essendo sufficiente l’allegazione di possibili discriminazioni meramente ipotetiche (in questo senso, si veda Cass., pen. Sez. VI, 26.2.2013 n. 10054, secondo la quale «[…] la situazione di possibile pregiudizio per la posizione della persona richiesta in consegna […] deve risultare da circostanze oggettive, non potendosi ritenere sufficiente la mera, ipotetica e del tutto indimostrata allegazione di possibili discriminazioni legate alla cittadinanza, ovvero a non meglio precisati pregiudizi nell’applicazione della legge da parte di un ordinamento che ha aderito all’Unione europea e che si richiama, pertanto, ad un quadro comune di principi di civiltà giuridica all’interno dello spazio europeo di libertà, sicurezza e giustizia»; cfr. altresì, negli stessi termini, Cass., pen. Sez. F, 13.9.2005, n. 33642). Con riferimento alla ulteriore preclusione prevista dall’art. 18, lett. h) del medesimo testo normativo, benché nessuno Stato dell’Unione europea contempli formalmente la pena di morte o trattamenti o pene inumane, la Corte di Giustizia dell’Unione europea (C. giust., 5.4.2016, nelle cause riunite C-404/15 e C-659/15 PPU, Hanseatisches Oberlandesgericht in Bremen c. Pál Aranyosi e Robert Căldăraru) ha stabilito che la condivisione tra gli Stati membri dei valori fondamentali dell’Unione implica comunque la constatazione dell’effettivo malfunzionamento del sistema penitenziario dello Stato membro emittente, con la conseguenza che quello di esecuzione, nell’ipotesi in cui disponga di elementi che attestino il «rischio concreto» di trattamento inumano o degradante nello Stato di emissione, ha l’obbligo di valutare, sulla base di fonti conoscitive qualificate, se tale rischio sussista e se, nel caso concreto, l’interessato alla consegna sarà sottoposto ad un trattamento inumano o degradante (cfr., altresì, C. giust., 15.10.2019, C-128/18, Hanseatisches Oberlandesgericht Hamburg c. Dumitru-Tudor Dorobantu; C. eur. dir. uomo, 12.3.2015, Muršic c. Croazia, che è giunta ad affermare la sussistenza di una «forte presunzione che le condizioni detentive risultino in un trattamento degradante» nel caso in cui lo spazio personale a disposizione del detenuto in una cella collettiva sia inferiore ai 3 mq.). La stessa giurisprudenza della Corte di Cassazione ha valorizzato il dovere di accertamento della sussistenza della causa ostativa in esame, tramite «l’acquisizione, da parte dell’autorità giudiziaria remittente, di informazioni “individualizzate” sul regime di detenzione» (Cass., pen. Sez. VI, 29.1.2019, n. 4939; nello stesso senso, Cass., pen. Sez. VI, 5.6.2018 n. 26383; Cass., pen. Sez. VI, 11.10.2017, n. 47891).

[29] Cass., pen. Sez. VI, 11.2.2015, n. 10965; conf. Cass., pen. Sez. VI, 13.6.2016 n. 24475. In Cass., pen. Sez. VI, 13.11.2018, n. 56086, la Suprema Corte ha comunque ritenuto sufficienti le assicurazioni fornite dallo Stato richiedente circa il rispetto degli standard previsti dalla C.e.d.u., «rafforzate significativamente dall’autorizzazione a rappresentanti dello Stato italiano a monitorare il trattamento riservato al predetto». In merito alla insufficienza delle sole «garanzie diplomatiche» in quanto provenienti dalle «stesse autorità che quantomeno tollerano la grave violazione di diritti fondamentali in essere» e prive di carattere vincolante, «al di là di (improbabili) conseguenze sul piano dei rapporti internazionali», si veda Canestrini, Diritti fondamentali nell’estradizione per l’estero. Una analisi critica, in Giurisprudenza Penale Web, 2016, 9, con ampia rassegna delle cautele espresse in ambito internazionale circa l’affidabilità delle sole assicurazioni diplomatiche.

[30] Cass., pen. Sez. VI, 21.4.2015, n. 22149; cfr., altresì, Cass., pen. Sez. VI, 7.7.2015, n. 47723.

[31] Cass., pen. Sez. VI, 17.5.2018, n. 25264.

[32] L’art. 3 comma 2 prevede infatti il divieto di concedere l’estradizione se «la Parte richiesta ha motivi seri per credere che la domanda d’estradizione motivata con un reato di diritto comune è stata presentata con lo scopo di perseguire o di punire un individuo per considerazioni di razza, di religione, di nazionalità o di opinioni politiche o che la condizione di questo individuo arrischi di essere aggravata per l’uno o l’altro di questi motivi».

[33] Esposito, op. cit. , 1-5.

[34] Cfr. Selvaggi – De Donato, in Lattanzi – Lupo, op. cit., 554, con ampio richiamo alle varie opinioni espresse dalla dottrina.

[35] Pisani, Temi e casi di procedura penale internazionale, Led, 2001, 87; circa la dimensione giurisdizionale del procedimento estradizionale come spazio di tutela dei diritti della persona dell’estradando, cfr. Cass., pen. Sez. I, 8.6.1987, Drivas, in CP, 1988, 1882 con nota di Di Chiara, Note minime in tema di estradizione passiva: verso un nuovo indirizzo giurisprudenziale.

[36] Esposito, op. cit., 13 ss.

[37] In questi termini, Colaiacovo, Appunti in tema di estradizione e tutela dei diritti fondamentali, in CP, 2012, n. 11, 3806; Lugato, Trattati di estradizione e norme internazionali sui diritti umani, Giappichelli, 2006, 105.

[38] Secondo Lugato, op. cit., 123, considerando che i diritti fondamentali della persona non costituiscono un numerus clausus poiché, appartenendo alla categoria dei diritti umani, sono sempre suscettibili di progressivi ampliamenti, il carattere «necessariamente espansivo» degli stessi, rispecchiato spesso nelle formule lessicalmente ampie usate in sede di codificazione, consente di contrastare eventuali pregiudizi alle garanzie fondamentali che dovessero emergere nel corso stesso della procedura di estradizione per effetto del contatto con altri ordinamenti.

[39] Canestrini, op. cit., con ampi approfondimenti sul tema.

[40] C. eur. dir. uomo, 20.2.2020, M.A. e altri c. Bulgaria, §70: «However, even where, as in this case, a person is alleged to have connections with terrorist organisations, the Convention prohibits in absolute terms torture or inhuman or degrading treatment or punishment (see A.M. v. France, no. 12148/18, § 112, 29 April 2019). Thus, whenever substantial grounds have been shown for believing that an individual would face a real risk of being subjected to treatment contrary to Article 3 if removed to another State, the responsibility of the Contracting State to safeguard him or her against such treatment is engaged in the event of expulsion or extradition».

Si segnala, altresì, C. eur. dir. uomo, 24.4.2008, Ismoilov e altri c. Russia, §126, secondo la quale «La Corte si rende perfettamente conto delle enormi difficoltà incontrate dagli Stati nell’età presente nel proteggere le loro società dalla violenza terroristica. Tuttavia, anche in queste circostanze, la Convenzione vieta in termini assoluti la tortura ed i trattamenti o le pene inumani o degradanti, senza badare alla condotta della vittima […].In queste circostanze, le attività dell’individuo in questione, per quanto sgradite o pericolose, non possono costituire un fattore decisivo». Anche secondo Lugato, op. cit., 2, graverebbe sullo Stato, che fosse parte di un trattato sui diritti umani, l’obbligo di astenersi non solo dal porre direttamente in essere atti che integrino violazioni dei diritti tutelati dal trattato, ma anche dal fornire un contributo in qualche modo causale a detta violazione ad opera di altri Stati.

 

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