In attesa del deposito delle motivazioni della pronuncia resa dalla Corte di Cassazione Penale a Sezioni Unite, il 28 novembre 2019, possono essere enucleate alcune considerazioni, rilevanti per comprendere l’effettiva importanza della questione.
Il principio emesso dalle Sezioni Unite è il seguente: “la sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420-bis cod. proc. pen., dovendo il giudice in ogni caso verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia conoscenza del procedimento, ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso (principio espresso con riferimento ad una fattispecie rientrante nella disciplina previgente alla introduzione del comma 4-bis dell’art. 162 cod. proc. Pen.)”.
Un primo punto è da evidenziare: il fatto che la pronuncia riguardi una fattispecie, rientrante nella disciplina previgente alla introduzione del comma 4-bis dell’art. 162 cod. proc. Pen., sposta ben poco la rilevanza della questione. L’ultima modifica intervenuta nell’agosto 2017, più che risolvere la questione “dell’effettiva conoscenza dell’esistenza del procedimento”, ha, a parere di chi scrive, ancor più complicato una situazione di non facile soluzione, aprendo scenari poco funzionali al raggiungimento dello scopo. Si pensi al caso del difensore d’ufficio che dà il consenso, ma poi successivamente lo revochi.
Tornando alla pronuncia in commento, è bene evidenziare che la questione si fonda su un punto fondamentale: l’imputato deve sapere di essere processato, e questa conoscenza non può essere presunta attraverso meccanismi legislativi. Diversamente opinando si creerebbero nuovamente dei sistemi di presunzione di partecipazione al processo, con l’eliminazione in aggiunta delle garanzie proprie della contumacia: si realizzerebbe il paradosso che con l’eliminazione della contumacia, diminuirebbero le possibilità di difesa da parte dell’imputato.
Tale operazione interpretativa è contrastante con lo spirito delle Legge 67/14, che ha eliminato l’istituto della contumacia. Il legislatore nel 2014 ha cercato di tracciare, sulla scorta delle indicazioni dei principi stabiliti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, una linea guida per garantire la sospensione necessaria del processo, qualora celebrato nei confronti di un soggetto che non ne abbia una conoscenza effettiva (sin dalla sentenza CEDU Colozza c/Italia del 12 febbraio 1985).
Di qui sono partite le molteplici soluzioni della Corte di Cassazione sulle modalità in cui tale effettiva conoscenza può dirsi raggiunta. Chiaro che in caso di soggetti che non partecipano al processo, sia necessario far riferimento all’unico momento di contatto, avvenuto in fase procedimentale, tra l’indagato e lo Stato, ovvero l’elezione di domicilio. Momento che diviene ancor più delicato laddove l’imputato elegga domicilio presso il difensore d’ufficio.
Le Sezioni Unite offrono quindi un fondamentale chiarimento, stabilendo che la sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420-bis c.p.p.
Già in altre recenti pronunce, la Corte di Cassazione ha rimarcato il fatto che il processo in assenza, ha quale presupposto la conoscenza da parte dell’imputato dell’atto dispositivo della sua chiamata in giudizio.
Da tale assioma l’elaborazione giurisprudenziale è giunta ad affermare che l’elezione di domicilio non di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza, qualora avvenga in una fase antecedente all’iscrizione del nome della persona sottoposta ad indagini, nel registro degli indagati di cui all’art. 335 cod. proc. pen. (Cass. Pen. Sez. I, n. 3262/20)
È stata inoltre ritenuta del tutto inidonea a legittimare la dichiarazione d’assenza, l’elezione di domicilio effettuata presso il difensore d’ufficio il quale, contestualmente alla sua designazione, veniva nominato nell’atto stesso quale difensore di fiducia. (Cass. Pen. Sez. II, n. 3440/20)
L’intervento delle Sezioni Unite, sulla scorta di tali orientamenti, dirime una questione di rilevante importanza, ovvero se l’elezione di domicilio, ex sé, possa essere considerata valida, al fine di poter consolidare in capo all’imputato un’effettiva conoscenza del processo.
Un primo orientamento è imperniato sull’affermazione del principio secondo cui, in tema di processo celebrato in assenza dell’imputato, la conoscenza dell’esistenza del procedimento penale a carico dello stesso non può essere desunta dall’elezione di domicilio presso il difensore di ufficio effettuata, nell’immediatezza dell’accertamento del reato, in sede di redazione del verbale di identificazione d’iniziativa della polizia giudiziaria, in epoca anteriore alla formale instaurazione del procedimento, che si verifica soltanto con l’iscrizione del nome della persona sottoposta ad indagini nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 16416 del 02/03/ 2017, Somai, Rv. 269843; Sez. 2, n. 9441 del 24/01/ 2017, Seli, Rv. 269221).
Il punto che solleva diversità di opinioni consiste nel fissare la soglia raggiunta la quale si possa ritenere acquisita, secondo i dettami della norma indicata, la conoscenza dell’udienza o del procedimento da parte dell’imputato.
Si è fatto, in particolare, rilevare come alcune decisioni della Corte EDU abbiano chiarito che, mentre la nomina di un difensore di fiducia induce a ritenere una conoscenza del procedimento sufficientemente idonea a legittimare il prosieguo (Corte EDU, 14/09/ 2006, Booker c. Italia), non può affermarsi altrettanto allorquando la difesa sia affidata a un difensore di ufficio (Corte EDU, 12/06/2007, Pititto c. Italia; Corte EDU, 28/06/1984, Campbell c. Regno Unito), con l’effetto che la notificazione dell’avviso di udienza presso un domicilio collegato al contesto della difesa ufficiosa, ordinariamente priva di quel più forte vincolo insito nella difesa fiduciaria, aumenta in modo esponenziale il livello di criticità insito nel rapporto con un difensore non effettivamente conosciuto dall’imputato.
In tale prospettiva, la conoscenza effettiva del procedimento presuppone un atto formale di contestazione idoneo ad informare l’accusato della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico, al fine di consentirgli di difendersi nel merito e che tale esigenza è assicurata nell’ordinamento interno dalla vocatio in iudicium.
Si contrappone a questo orientamento, un altro secondo cui, con riferimento al processo in assenza, è valida la notificazione all’imputato presso il difensore d’ufficio domiciliatario, indicato nel corso delle indagini preliminari, in ragione della presunzione legale di conoscenza del procedimento prevista dall’art. 420-bis cod. proc. pen., la quale è superabile soltanto nel caso in cui risulti, ai sensi del successivo art. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen., che l’assenza è stata determinata da assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento.
Questa interpretazione si riporta in modo rigoroso all’elenco di ipotesi fissato dalla norma indicata, ipotesi connotate dal verificarsi di circostanze quali la formalizzazione della dichiarazione o elezione di domicilio, ovvero l’arresto, ovvero la sottoposizione a misura cautelare, ovvero la nomina di un difensore di fiducia, ovvero ancora la ricezione della notificazione dell’avviso di udienza a mani proprie da parte dell’imputato. Quando a investire il giudice sia non la certezza, ma soltanto il dubbio della conoscenza del procedimento da parte dell’imputato, l’art. 420-ter cod. prevede, nel comma 2, ultima parte, che tale dubbio sia liberamente valutato dal giudice medesimo, senza poter formare oggetto di discussione successiva, né di motivo di impugnazione. Questo orientamento non considera giuridicamente possibile richiamare, per perpetuarne l’applicazione, tutti gli approdi giurisprudenziali e tutti i principi elaborati con riferimento al sistema previgente.
Chi scrive condivide la scelta effettuata dalle Sezioni Unite, che ha dato seguito al primo orientamento, nell’ottica di una più profonda garanzia dei diritti dell’imputato.
In questo sito, vedi anche, sul punto:
Le Sezioni unite sui presupposti per l’instaurazione del procedimento in absentia
Assenza ed elezione di domicilio presso il difensore d’ufficio
In attesa del deposito delle motivazioni della pronuncia resa dalla Corte di Cassazione Penale a Sezioni Unite, il 28 novembre 2019, possono essere enucleate alcune considerazioni, rilevanti per comprendere l’effettiva importanza della questione.
Il principio emesso dalle Sezioni Unite è il seguente: “la sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420-bis cod. proc. pen., dovendo il giudice in ogni caso verificare, anche in presenza di altri elementi, che vi sia stata un’effettiva instaurazione di un rapporto professionale tra il legale domiciliatario e l’indagato, tale da fargli ritenere con certezza che quest’ultimo abbia conoscenza del procedimento, ovvero si sia sottratto volontariamente alla conoscenza del procedimento stesso (principio espresso con riferimento ad una fattispecie rientrante nella disciplina previgente alla introduzione del comma 4-bis dell’art. 162 cod. proc. Pen.)”.
Un primo punto è da evidenziare: il fatto che la pronuncia riguardi una fattispecie, rientrante nella disciplina previgente alla introduzione del comma 4-bis dell’art. 162 cod. proc. Pen., sposta ben poco la rilevanza della questione. L’ultima modifica intervenuta nell’agosto 2017, più che risolvere la questione “dell’effettiva conoscenza dell’esistenza del procedimento”, ha, a parere di chi scrive, ancor più complicato una situazione di non facile soluzione, aprendo scenari poco funzionali al raggiungimento dello scopo. Si pensi al caso del difensore d’ufficio che dà il consenso, ma poi successivamente lo revochi.
Tornando alla pronuncia in commento, è bene evidenziare che la questione si fonda su un punto fondamentale: l’imputato deve sapere di essere processato, e questa conoscenza non può essere presunta attraverso meccanismi legislativi. Diversamente opinando si creerebbero nuovamente dei sistemi di presunzione di partecipazione al processo, con l’eliminazione in aggiunta delle garanzie proprie della contumacia: si realizzerebbe il paradosso che con l’eliminazione della contumacia, diminuirebbero le possibilità di difesa da parte dell’imputato.
Tale operazione interpretativa è contrastante con lo spirito delle Legge 67/14, che ha eliminato l’istituto della contumacia. Il legislatore nel 2014 ha cercato di tracciare, sulla scorta delle indicazioni dei principi stabiliti dalla Corte Europea dei Diritti dell’Uomo, una linea guida per garantire la sospensione necessaria del processo, qualora celebrato nei confronti di un soggetto che non ne abbia una conoscenza effettiva (sin dalla sentenza CEDU Colozza c/Italia del 12 febbraio 1985).
Di qui sono partite le molteplici soluzioni della Corte di Cassazione sulle modalità in cui tale effettiva conoscenza può dirsi raggiunta. Chiaro che in caso di soggetti che non partecipano al processo, sia necessario far riferimento all’unico momento di contatto, avvenuto in fase procedimentale, tra l’indagato e lo Stato, ovvero l’elezione di domicilio. Momento che diviene ancor più delicato laddove l’imputato elegga domicilio presso il difensore d’ufficio.
Le Sezioni Unite offrono quindi un fondamentale chiarimento, stabilendo che la sola elezione di domicilio presso il difensore di ufficio, da parte dell’indagato, non è di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza di cui all’art. 420-bis c.p.p.
Già in altre recenti pronunce, la Corte di Cassazione ha rimarcato il fatto che il processo in assenza, ha quale presupposto la conoscenza da parte dell’imputato dell’atto dispositivo della sua chiamata in giudizio.
Da tale assioma l’elaborazione giurisprudenziale è giunta ad affermare che l’elezione di domicilio non di per sé presupposto idoneo per la dichiarazione di assenza, qualora avvenga in una fase antecedente all’iscrizione del nome della persona sottoposta ad indagini, nel registro degli indagati di cui all’art. 335 cod. proc. pen. (Cass. Pen. Sez. I, n. 3262/20)
È stata inoltre ritenuta del tutto inidonea a legittimare la dichiarazione d’assenza, l’elezione di domicilio effettuata presso il difensore d’ufficio il quale, contestualmente alla sua designazione, veniva nominato nell’atto stesso quale difensore di fiducia. (Cass. Pen. Sez. II, n. 3440/20)
L’intervento delle Sezioni Unite, sulla scorta di tali orientamenti, dirime una questione di rilevante importanza, ovvero se l’elezione di domicilio, ex sé, possa essere considerata valida, al fine di poter consolidare in capo all’imputato un’effettiva conoscenza del processo.
Un primo orientamento è imperniato sull’affermazione del principio secondo cui, in tema di processo celebrato in assenza dell’imputato, la conoscenza dell’esistenza del procedimento penale a carico dello stesso non può essere desunta dall’elezione di domicilio presso il difensore di ufficio effettuata, nell’immediatezza dell’accertamento del reato, in sede di redazione del verbale di identificazione d’iniziativa della polizia giudiziaria, in epoca anteriore alla formale instaurazione del procedimento, che si verifica soltanto con l’iscrizione del nome della persona sottoposta ad indagini nel registro di cui all’art. 335 cod. proc. pen. (Sez. 1, n. 16416 del 02/03/ 2017, Somai, Rv. 269843; Sez. 2, n. 9441 del 24/01/ 2017, Seli, Rv. 269221).
Il punto che solleva diversità di opinioni consiste nel fissare la soglia raggiunta la quale si possa ritenere acquisita, secondo i dettami della norma indicata, la conoscenza dell’udienza o del procedimento da parte dell’imputato.
Si è fatto, in particolare, rilevare come alcune decisioni della Corte EDU abbiano chiarito che, mentre la nomina di un difensore di fiducia induce a ritenere una conoscenza del procedimento sufficientemente idonea a legittimare il prosieguo (Corte EDU, 14/09/ 2006, Booker c. Italia), non può affermarsi altrettanto allorquando la difesa sia affidata a un difensore di ufficio (Corte EDU, 12/06/2007, Pititto c. Italia; Corte EDU, 28/06/1984, Campbell c. Regno Unito), con l’effetto che la notificazione dell’avviso di udienza presso un domicilio collegato al contesto della difesa ufficiosa, ordinariamente priva di quel più forte vincolo insito nella difesa fiduciaria, aumenta in modo esponenziale il livello di criticità insito nel rapporto con un difensore non effettivamente conosciuto dall’imputato.
In tale prospettiva, la conoscenza effettiva del procedimento presuppone un atto formale di contestazione idoneo ad informare l’accusato della natura e dei motivi dell’accusa elevata a suo carico, al fine di consentirgli di difendersi nel merito e che tale esigenza è assicurata nell’ordinamento interno dalla vocatio in iudicium.
Si contrappone a questo orientamento, un altro secondo cui, con riferimento al processo in assenza, è valida la notificazione all’imputato presso il difensore d’ufficio domiciliatario, indicato nel corso delle indagini preliminari, in ragione della presunzione legale di conoscenza del procedimento prevista dall’art. 420-bis cod. proc. pen., la quale è superabile soltanto nel caso in cui risulti, ai sensi del successivo art. 420-ter, comma 1, cod. proc. pen., che l’assenza è stata determinata da assoluta impossibilità di comparire per caso fortuito, forza maggiore o altro legittimo impedimento.
Questa interpretazione si riporta in modo rigoroso all’elenco di ipotesi fissato dalla norma indicata, ipotesi connotate dal verificarsi di circostanze quali la formalizzazione della dichiarazione o elezione di domicilio, ovvero l’arresto, ovvero la sottoposizione a misura cautelare, ovvero la nomina di un difensore di fiducia, ovvero ancora la ricezione della notificazione dell’avviso di udienza a mani proprie da parte dell’imputato. Quando a investire il giudice sia non la certezza, ma soltanto il dubbio della conoscenza del procedimento da parte dell’imputato, l’art. 420-ter cod. prevede, nel comma 2, ultima parte, che tale dubbio sia liberamente valutato dal giudice medesimo, senza poter formare oggetto di discussione successiva, né di motivo di impugnazione. Questo orientamento non considera giuridicamente possibile richiamare, per perpetuarne l’applicazione, tutti gli approdi giurisprudenziali e tutti i principi elaborati con riferimento al sistema previgente.
Chi scrive condivide la scelta effettuata dalle Sezioni Unite, che ha dato seguito al primo orientamento, nell’ottica di una più profonda garanzia dei diritti dell’imputato.
In questo sito, vedi anche, sul punto:
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