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L’appello secondo Cartabia

1.         Cercherò di esporre il tema, considerate le visioni diverse del processo, i nuovi ruoli dei protagonisti e le contrapposte opinioni sulla riforma, nel modo più tecnico possibile, anche perché tutti i soggetti del processo pagano un prezzo alla ritenuta patologia di precedenti comportamenti che si cerca di correggere.

            Il sistema delle impugnazioni è un meccanismo che si deve integrare con quanto lo precede, non potendo essere costituito da un sistema autonomo e separato; si tratta della logica di progressione insita nel concetto di procedimento. Anche per questa ragione non può essere una ripetizione di quanto già espletato (se effettuato regolarmente) per quanto non manchino possibili sistemi di questa natura (doppia conforme). Il sistema delle impugnazioni, cioè, dei controlli, dipende inevitabilmente dal modello processuale. Con rozza semplificazione si deve far riferimento al modello inquisitorio, a quello misto con le sue variabili, a quello accusatorio. Ognuno di questi modelli struttura diversamente il sistema delle impugnazioni.

            Rocco e Manzini non concepivano nè l’effetto parzialmente devolutivo dell’appello, né il divieto della reformatio in peius.

            Le impugnazioni sono (e lo sono state) poi condizionate dalla struttura ordinamentale.

            E’ nota l’evoluzione della disciplina del codice del 1930, contrassegnata dalle sentenze della Corte costituzionale relativamente agli artt. 512 e 513 c.p.p. ed all’incostituzionalità dell’appello incidentale del p.m.. E’ noto anche che i modelli accusatori (puri) non favoriscono il sistema dei controlli (essendo basati sull’oralità e sui verdetti).

            Cose note. Come è noto che il codice del 1988 non ha fatto scelte radicali in materia. Del resto, l’appello non è eliminabile, ma solo ridelineabile. Appartiene alla nostra cultura e alla nostra struttura ordinamentale. Tuttavia, anche considerata l’evoluzione del modello, sarebbe una truffa affermare che il nostro sistema è accusatorio e che su questa base il sistema dei gravami debba essere limitato.

            Dove sta il problema? Nel modello inquisitorio nel tempo si è assistito allo sviluppo del favor impugnationis così da rimediare alle carenze difensive delle fasi precedenti.

            Si pensava di compensare il relativo deficit favorendo i controlli. Entrato in vigore il nuovo codice, il sistema, come detto, è stato conservato, ma essendo state rafforzate le garanzie si è progressivamente passati a impostazioni più restrittive del sistema delle impugnazioni, soprattutto dell’appello. Sintomatico di tutto questo le vicende del concordato in appello.

            Le impugnazioni, riprendendo il discorso di esordio, connesso alla sua integrazione con le fasi precedenti, hanno una caratteristica: la prosecuzione del procedimento – spesso con effetti sospensivi (solo le misure cautelari sono esecutive e non sospensibili) del passaggio in giudicato della decisione – è rimesso nella disponibilità delle parti. Questo dato implica l’esigenza di fissare  legittimazione, forme, termini, interessi, modalità di celebrazione (art.568 c.p.p.).

2.         A che punto siamo con la riforma Cartabia? Appare opportuno fare delle distinzioni. La riforma descrive un processo per un verso con istituti operativi per tutti i reati, ma contiene anche quello che io chiamo “il processo Cartabia” quello delle 8 pene previste dall’art. 20 bis c.p. ; le quattro sostitutive che si aggiungono a quelle principali.

            La disciplina dell’iscrizione nel registro di cui all’art. 335 c.p.p. vale anche per Messina Denaro. Negli artt. 415 bis e 415 ter c.p.p. è necessario distinguere le situazioni che determina l’intervento del procuratore generale dalle altre: le prime riguardano la criminalità organizzata.

            In termini oggettivi, prevale la logica del “processo a trazione anteriore” con significativo rafforzamento dei poteri del gip, chiamato ad assicurare la regolarità delle indagini ed a valutare l’inutilità della fase dibattimentale, anche al fine di favorire la deflazione: non più giudice dell’atto, non giudice di fase, e neppure del fascicolo, ma garante del procedimento e delle deflazioni processuali. Conseguentemente, il ricorso all’appello appare fortemente ridotto, accentuandosi le situazioni di inappellabilità (anche nelle variabili dei reclami e dell’opposizione).

            Patteggiamento, sentenza di irreperibilità, sospensione e messa alla prova, procedibilità a querela (remissione espressa e tacita), lavoro di pubblica utilità, reati puniti con la pena pecuniaria, escludono l’appello e il controllo. Quando sono ammessi si punta a disincentivarli (decreto e abbreviato) con sconti ulteriori.

Nel riferito contesto va collocato anche l’art. 573, comma 1 bis c.p.p., relativamente alla tutela dei soli interessi civili al pari di quanto prevede l’art. 578 comma 1 ter c.p.p.  in tema di improcedibilità.

            La perdita dell’opportunità premiale si scarica, nelle situazioni riconosciute (Cartabia) nell’udienza ex 545 bis c.p.p. anche nell’appello in caso di mancata applicazione in primo grado delle sanzioni sostitutive, nonché negli altri casi, sul concordato, in caso di mancata decisione favorevole. Il mancato accesso ai riti premiali con decisione favorevole, cioè, indurrà ad appellare per ottenere l’applicazione dell’art.  599 bis c.p.p..

In precedenza si erano già evidenziate la ricaduta sulle impugnazioni della sospensione della prescrizione in primo grado; e l’introduzione dell’improcedibilità per durata dei giudizi di gravame.

Sul piano soggettivo, non ci sono significative novità perché dopo la modifica all’appellabilità da parte del p.m. della sentenza di condanna, di introduzione (contrastata) del comma 4 dell’art. 568 c.p.p. e le modifiche introdotte in tema di appello incidentale, il mancato recepimento della proposta Lattanzi che collegava la tassatività dei motivi d’appello all’esclusione legittimazione del pm. ad appellare la sentenza di proscioglimento, la questione resta aperta.

Invero, sul punto non può segnalarsi, in termini di legittimità costituzionale, al di là delle possibili riforme governative o parlamentari in materia, la posizione del p.m. e dell’imputato nell’abbreviato.

Restano allo stato aperte anche le questioni interpretative connesse alla specificità dei motivi, per il rischio insito nelle letture differenziate che si potrebbero prospettare: controllo sul fatto o controllo sull’atto. Il dato è accentuato dal fatto che la fase del giudizio se pur già attraversata dalle ricadute del recupero dei precedenti investigativi e dal passaggio dell’oralità del codice del 1988, al contraddittorio dell’art. 111 Cost., non è stato mai interessato da interventi riformatori, in relazione alla modalità della sua celebrazione, anche nell’esame incrociato, ove si segnala la mancanza di specifiche previsioni sanzionatorie.

Altrettante incertezze circondano le modifiche introdotte all’art. 495 (comma 4 ter c.p.p., differite al 30.6.2023) relativamente alla rinnovazione probatoria in caso di mutamento del collegio, ove il diritto alla rinnovazione risulta temperato dalla presenza della videoregistrazione della dichiarazione di cui non sono chiare le modalità di reintroduzione dell’atto davanti al nuovo collegio.

In termini strutturali non può non segnalarsi l’accentuazione posta dalla riforma sul rito camerale non partecipato e sulla residualità dell’udienza pubblica: l’ordine nel quale il legislatore colloca gli  artt. 598 bis 599, 602 c.p.p. non è privo di significato. Si tratta, peraltro, d’una linea di tendenza diffusa che la pandemia ha accentuato.

Invero, non può non sottolinearsi come, con esclusione del solo dibattimento, il rito camerale sia sempre più diffuso. Basterebbe pensare, oltre ai percorsi incidentali (in primis, quelli relativi alle cautele), all’abbreviato, al patteggiamento, alla messa alla prova, all’udienza preliminare, e anche a quella predibattimentale, all’archiviazione, a tutte le decisioni di non luogo.

Resterebbe da chiedersi se attribuire le scelte al collegio sia elemento sufficiente ovvero se la sollecitazione possa provenire anche da altri, come dai soggetti rappresentativi di interessi diffusi, anche se va evitato il rischio di processi con forti implicazioni strumentali mediaticamente di parte.

Non può non sottolinearsi una certa ambiguità nella formulazione dell’art. 598 bis c.p.p. in relazione all’ambito cognitivo dell’appello che ripete quello della Cassazione, senza riprodurre il richiamo ai punti che, se pur contenuti nell’art. 546 c.p.p. e nel 581 c.p.p., costituiscono la condizione essenziale del giudizio di secondo grado.

            Profilo nevralgico della riforma è sicuramente l’art. 581 c.p.p. ove sono previsti specifici oneri per l’appello.

Le previsioni trovano  varie giustificazioni: in primis nel contesto della accentuata volontà di assicurare una maggiore partecipazione dell’imputato al suo processo ed alle scelte che possono incidere patologicamente (possibili rescissioni del giudicato) sugli sviluppi nodali dello stesso (sintomatica la reiterata verifica della conoscenza degli sviluppi e l’accertamento della volontarietà delle scelte nonché quella di attribuirgli personalmente decisioni rilevanti in punto di partecipazione). Inoltre, si accentua la sinergia con il suo difensore, integrandone i comportamenti e le opzioni processuali. Quest’ultimo profilo riguarda la necessità di superare, in relazione all’assenza, le possibili implicazioni dell’autonomia della legittimazione ad appellare dell’imputato e del difensore, come è emerso, nel caso del contumace, dalla decisione della Corte costituzionale che ha escluso che l’appello del difensore consumi quello dell’imputato.

            Va precisato che le attività richieste sono finalizzate ad assicurare la citazione in giudizio dell’imputato, secondo le precise indicazioni di cui agli artt. 161 e 164 c.p.p.. Il dato trova riscontro nella distinzione tra l’art. 178 lett. c c.p.p. e l’art. 179 c.p.p. Pertanto va esclusa la loro necessità nei casi di cui agli artt. 544 quater, 428, 309 – 310, e per le misure cautelari reali. Deve escludersi l’operatività dell’art. 581 c.p.p. per il ricorso ordinario in Cassazione e per quello per errore di fatto mentre deve riconoscersi per la revisione, e per l’ appello nel procedimento di rinvio in primo grado.

La sua osservanza è resa necessaria, invece, per la rescissione del giudicato e per l’appello incidentale con il rischio di diverse elezioni di domicilio. Nodi non agevoli si prospettano in caso di conversione del saltum e a seguito dell’operatività dell’art. 580 c.p.p..

            Le differenti formulazioni del comma 1 ter e del comma 1quater dell’art. 581 c.p.p. pongono alcune questioni interpretative legate al fatto se la dichiarazione di domicilio del non assente possa essere fatta anche precedentemente alla sentenza.

            Questioni legate alla ristrettezza dei tempi si prospettano in punto di motivazione contestuale e difficoltà operative sono emerse in caso  di errore della dichiarazione di assenza dell’imputato  e difensore d’ufficio.

            Dovrebbe ritenersi che qualsiasi limitazione derivante dalla condizione dell’imputato detenuto, anche alla luce di quanto previsto dall’art. 123 c.p.p., sarebbe, in materia, costituzionalmente illegittima.

            Gli elementi strutturali modificati, in relazione al fattore tempo, non si può non richiamare la previsione della sospensione della prescrizione con le sentenze di primo grado, eliminando tutta la relativa giurisprudenza delle impugnazioni e le sue implicazioni, nonché l’introduzione dell’improcedibilità (544 bis c.p.p.),  con tutte le sue problematiche, che, superata la questione dell’inammissibilità, da ritenersi prevalente, non consente di ritenere risolte molte ulteriori questioni applicative.

            Va sottolineata anche, seppur residualmente, l’operatività del concordato, ancorché condizionata da una richiesta da prospettare in limine al giudizio d’appello, con effetti deflattivi sul ricorso in cassazione.

            Si inserisce nella logica della progressione dei controlli – insita nella riforma, anche a correzione di contrasti giurisprudenziali sul punto nella giurisprudenza del Supremo Collegio – la modifica dell’art. 603, comma 3 bis, c.p.p. relativamente agli atti suscettibili di rinnovazione in caso di appello del pubblico ministero (abbreviato condizionato e dibattimento di primo grado).

3.         In questo contesto si configurano numerose questioni applicative.

Risolto (dopo un mese di incertezze) il problema delle questioni relative all’art. 582 c.p.p. per quanto attiene alla presentazione dell’impugnazione (la questione non andava lasciata alle determinazioni delle cancellerie), si pone il problema delle copie: l’art. 164 disp. att. è abrogato, ma è riprodotto nella  norma transitoria (che non può far rivivere una norma abrogata).

Non si tratta della sola discrasia normativa; si può far riferimento al richiamo contenuto nell’art. 60 disp. att. c.p.p. all’abrogato art. 158 c.p.p.; parimenti all’art. 17 del procedimento di pace che continua a richiamare per l’archiviazione l’abrogato art. 125 disp. att. c.p.p.; all’art. 556 c.p.p. che richiama l’abrogato art. 552, comma 2, c.p.p.; all’art. 61 del d. lgs. n. 231 del 2001 che per l’archiviazione fissa una regola di giudizio diversa per la persona fisica e per l’ente.

Sembrano mancare di coordinamento sia l’art. 24 bis c.p.p., in relazione ai termini per la proposizione del rinvio pregiudiziale in caso di procedimento senza udienza preliminare, sia il comma 4 dell’art. 599 bis c.p.p., in relazione all’abrogato comma 1 bis dell’art. 602 c.p.p..

Si tratta, peraltro, di questioni forse superabili per via interpretativa.

Alcune questioni hanno visto emergere decisioni contrastate. E’ stato già rimessa alle sezioni unite la questione del regime transitorio dell’art. 573 comma 1 bis c.p.p. al fine di verificare se il momento preclusivo va individuato al momento della pronuncia della sentenza, ovvero al momento della proposizione dell’impugnazione, ovvero al momento della decisione, ovvero se pronunciata la sentenza prima del 28 dicembre 2022, i motivi siano stati proposti successivamente, non escludendosi peraltro la possibilità di distinguere tra appello e ricorso.

            Questioni interpretative si sono prospettate anche in relazione all’applicabilità dell’art. 599 bis c.p.p. Esclusa l’operatività retroattiva della norma nei procedimenti pendenti in cassazione, con preclusione all’annullamento con rinvio, dovrebbe ritenersi possibile l’applicazione dell’art. 602, comma 1 bis, c.p.p. agli appelli pendenti (non a quelli proposti successivamente, stante l’intervenuta abrogazione della norma). Dovrebbe riconoscersi l’operatività dell’art. 599 bis c.p.p. ai reati confermati, cioè non preclusi anche dalla disposizione ora superata, nonché anche per i reati preclusi dalla vecchia disposizione.

            Va però sottolineato come per la soluzione delle questioni appena indicate dovrebbe tenersi conto del fatto che i profili procedurali sono significativamente mutati, rendendo ancora necessaria l’interlocuzione con la procura generale, ma dovendosi questa materializzarsi a pena di decadenza 15 giorni prema dell’udienza.

            A tale proposito suscita forti perplessità l’orientamento di alcune procure generali che limitano la determinazione della pena concordata nella sola misura ridotta di un sesto. Nessuna analogia è infatti prospettabile tra il sesto della mancata impugnazione dell’abbreviato e la riduzione per effetto dell’accoglimento dei motivi d’appello.

            Contrastanti versioni si sono evidenziate anche in relazione alla nuova disciplina del giudizio abbreviato soprattutto in relazione all’abbattimento della pena in relazione alla mancata impugnazione dell’imputato o del suo difensore. Al riguardo alcune decisioni hanno sostenuto la possibilità che nel dibattimento l’imputato possa essere restituito nei termini (scaduti) per formulare la richiesta del rito contratto: questa ipotesi deve ritenersi improponibile in radice, stante la diversità delle due situazioni della premialità, al di là del fatto di non essere stata normativamente prevista, a differenza, ad esempio, della messa alla prova.

            Deve ritenersi, invece, possibile anche per i giudizi in itinere o conclusi con termine per impugnare non esaurito la possibilità di ottenere l’abbattimento di un sesto della pena definita dal giudice delle indagini preliminari. Nel caso in cui ci sia stato l’appello del p.m. e l’eventuale innalzamento della pena, l’abbattimento andrà effettuato sulla pena definita in appello.

            Non dovrebbe essere esclusa la possibilità – magari in presenza di protocolli – che la riduzione del sesto sia applicata dal giudice dell’abbreviato (quale giudice dell’esecuzione) in seguito alla rinuncia all’impugnazione, così da evitare anche – sussistendo le relative condizioni – l’esecuzione della sentenza.

            Stanno sollevando non pochi interrogativi le questioni procedurali connesse alla mancanza di una espressa disciplina in ordine alla mancata applicazione delle pene sostitutive in grado di appello qualora si sia proceduto in udienza camerale non partecipata. Ferma restando l’applicabilità di quanto previsto dall’art. 545 bis c.p.p. (deducibile anche dalla norma transitoria di cui all’art. 90 del d. lgs. n. 150 del 2022) restano, infatti, problematici i percorsi processuali. In termini pratici, non è escluso che la difesa abbia formulato già la richiesta in primo grado con le conclusioni. E’ verosimile che la difesa abbia formulato la richiesta con l’atto d’appello; è anche possibile che la difesa in questo caso chieda l’udienza pubblica.

            Tuttavia la mancanza di una previsione, anche in alcune ipotesi di appello del p.m., dovrà essere delineata con qualche intervento normativo. La questione si propone anche in relazione al giudizio abbreviato.

            Con riferimento alla trasformazione di alcuni reati da procedibili a querela si è affermato che la pregressa costituzione di parte civile non rende necessaria la proposizione della querela.

4.         La ricostruzione effettuata, seppur limitata alle impugnazioni ed all’appello nello specifico, consente di evidenziare come la riforma rende pur significativamente – ancorché con riferimento alla criminalità medio-bassa – un percorso specifico, pur nel contesto di un impianto consolidato, ancorché messo a punto in alcuni profili. Questa fascia di reati, propria della scelta riformista (definibile processo Cartabia), alla  luce dell’obiettivo fissato in sede europea, senza escludere ricadute anche più vaste e generali, vede ridisegnati i ruoli dei soggetti protagonisti della vicenda processuale. Una giustizia maggiormente partecipata e perciò maggiormente condivisa. Lo sfondo di questa giustizia è rappresentato da intese, protocolli e software che cercano di rendere più trasparente per la società gli esiti processuali, anche attraverso la illustrazione delle ragioni giuridiche delle pronunce più controverse o controvertibili. Una nuova giurisdizione penale con nuovi soggetti protesi, pur nella diversità di ruoli, verso un comune obiettivo.

            Tuttavia, come sottolinea Cordero, le norme non bastano, perché nella transizione di modelli comportamentali e di adeguamenti normativi si annida sempre la vischiosità del passato.

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