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Per il condannato ammesso alla liberazione condizionale la libertà vigilata è una misura alternativa alla detenzione.

Segnaliamo la Sentenza n. 66, depositata lo scorso 11 aprile, con cui la Corte Costituzionale ha dichiarato dichiara non fondate le questioni di legittimità costituzionale degli artt. 177, secondo comma, e 230, primo comma, numero 2), del codice penale, in riferimento agli artt. 3 e 27 della Costituzione, sollevate dal Tribunale di sorveglianza di Firenze

Nello specifico, le due disposizioni venivano censurate nella parte in cui stabiliscono l’obbligatoria applicazione della misura della libertà vigilata al condannato alla pena dell’ergastolo ammesso alla liberazione condizionale. Così disponendo, esse violerebbero gli artt. 3 e 27 Cost., poiché prevedrebbero un «automatismo ex lege» in forza del quale al condannato in questione la libertà vigilata è applicata non già in base alla sua concreta situazione e in virtù di specifici elementi rivelatori di esigenze di difesa sociale, bensì sulla scorta del dato «meramente formale» legato alla concessione della misura.

Inoltre, a parere del giudice rimettente, gli artt. 177, secondo comma, e 230, primo comma, numero 2), cod. pen. violerebbero gli artt. 3 e 27 Cost. in quanto stabiliscono la durata della libertà vigilata in misura predeterminata e fissa, essendo così sottratta al giudice la facoltà di una sua determinazione in concreto, «pur con il limite minimo di durata previsto dall’art. 228, co. 5 c.p.». Ne risulterebbe, in particolare, il contrasto con i principi di individualizzazione e proporzionalità della sanzione penale, che rendono «indiziata di illegittimità» ogni fattispecie sanzionata con pena fissa.

Ed ancora, le due disposizioni sono sottoposte a censura nella parte in cui non prevedono che il magistrato di sorveglianza possa valutare in concreto, nel corso della misura, l’adeguatezza della sua permanente esecuzione alle esigenze di reinserimento sociale del liberato condizionalmente, non consentendone, quindi, la revoca anticipata.

Infine, è lamentata la violazione dell’art. 3 Cost., poiché le due disposizioni accomunerebbero «situazioni soggettive differenti che, pur nel presupposto comune del sicuro ravvedimento, sono invece caratterizzate da percorsi rieducativi eterogenei». In violazione del principio di eguaglianza, verrebbe in rilievo un automatismo concepito «per meri scopi di controllo sociale in ambito extramurario», ingiustificabile sotto il profilo del «divieto di trattare allo stesso modo situazioni che invece presentano caratteristiche differenti».

Tutte le censure sono state dichiate non fondate, poiché, “la libertà vigilata, quando applicata al condannato ammesso alla liberazione condizionale, non è una misura di sicurezza e neppure una sanzione aggiuntiva, ma la prosecuzione, in forme meno afflittive, della pena già subìta in origine. Liberazione condizionale e libertà vigilata costituiscono infatti un tutt’uno, e si delineano, unitamente considerate, come una misura alternativa alla detenzione. La libertà vigilata è dunque una sorta di “prova in libertà”, finalizzata, analogamente alle altre modalità di esecuzione extra-muraria della pena, a favorire il graduale reinserimento del condannato nella società”.

La Sentenza, si legge nel comunicato stampa, chiarisce che la disciplina censurata non determina alcun “automatismo irragionevole”. Il periodo di libertà vigilata ha infatti l’obiettivo di verificare la tenuta della prognosi di “sicuro ravvedimento” già effettuata in sede di concessione della liberazione condizionale e consente l’espiazione, in forma meno afflittiva, della pena così sostituita. Non è irragionevole che ciò avvenga per un periodo fisso, poiché la pena originariamente inflitta è già stata commisurata, questa sì doverosamente, alle specificità della situazione concreta.

Riportiamo di seguito il comunicato stampa e la sentenza.

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