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Alle Sezioni unite tre questioni in materia di sovraffollamento carcerario e rimedi risarcitori

Corte di cassazione, sez. I, ordinanza 21 febbraio 2020, n. 14260, Mazzei Presidente, Cairo Relatore, Cocomello p.m. (diff.)

Le Sezioni unite sono state chiamate a risolvere tre questioni in tema di sovraffollamento carcerario e rimedi risarcitori.

Il primo quesito è così compendiato: “se i criteri di computo dello ‘spazio minimo disponibile’ per ciascun detenuto – fissato in tre metri quadrati dalla Corte Edu e dagli orientamenti della giurisprudenza della Corte di legittimità – debbano essere definiti considerando la superficie netta della stanza e detraendo, pertanto, lo spazio occupato da mobili e strutture tendenzialmente fisse ovvero includendo gli arredi necessari allo svolgimento delle attività quotidiane di vita”.

Sul punto, infatti, la giurisprudenza ha elaborato una pluralità di letture impossibili da conciliare.

Un primo orientamento esclude che lo spazio minimo da garantire per non incorrere in violazioni dei diritti fondamentali – segnatamente l’art. 3 della Convenzione europea dei diritti dell’Uomo –  debba essere misurato al netto della mobilia e, più precisamente, ritiene che non si debbano scomputare nè gli spazi occupati dai letti (siano o meno a castello), nè quelli ove risultano allocati gli arredi (armadietti, comodini et similia), purchè sia assicurata al detenuto la possibilità di muoversi normalmente nella cella (ex plurimis, Cass., sez. V, 7 giugno 2018, n. 453731, in C.E.D. Cass., n. 275407).

Altro orientamento, invece, ritiene che lo spazio minimo consiste nella superficie materialmente calpestabile della cella e afferma, pertanto, che dalla superficie lorda deve essere detratta l’area occupata dagli arredi senza alcuna distinzione (in questo senso, Cass., sez. I, 19 dicembre 2013, n. 5728, in Cass. pen., 2014, p. 1197, e Sez. I, 27 novembre 2014, n. 53011, in C.E.D. Cass., n. 262352).

In seno a quest’ultimo indirizzo, peraltro, si rinvengono ulteriori distinzioni sulla rilevanza, ai fini del calcolo, dello spazio occupato dal letto.

Alcune sentenze, infatti, affermano che deve essere sempre detratto (Cass., sez. I, 9 settembre 2016, n. 52819, in Cass. pen., 2017, p. 1180, con nota di Fiorentin, Rimedi risarcitori per l’inumana detenzione: il giudice ordinario come l’asino di Buridano; sul tema anche Albano – Picozzi, La Cassazione alle prese con la giurisprudenza Cedu sul sovraffollamento carcerario: anamorfosi della sentenza Mursic, ivi, 2017, p. 2875; nella giurisprudenza di legittimità civile, Cass. civ., sez. I, 20 febbraio 2018, n. 4096, in C.E.D. Cass., n. 647236).

Altre sentenze, invece, sostengono che deve essere detratto solo se assume forma e struttura “a castello” in quanto particolarmente ingombrante e incompatibile con la seduta eretta e destinato, pertanto, alla sola finalità del riposo. In questa ottica, si ritiene irrilevante lo spazio occupato dal letto singolo, perchè utilizzabile anche per sedersi, leggere e svolgere altre attività di vita quotidiana (ex plurimis, Cass. civ., sez. III, 7 dicembre 017, n. 29323, in Foro it., 2018, p. I, c. 967).

Da tale divergenza origina, quindi, la formulazione del secondo quesito, teso a stabilire “se assuma rilievo, in particolare, lo spazio occupato dal letto o dai letti nelle camere a più posti, indipendentemente dalla struttura di letto ‘a castello’ o di letto ‘singolo’ ovvero se debba essere detratto, per il suo maggiore ingombro e minore fruibilità, solo il letto a castello e non quello singolo”.

Il terzo quesito interroga le Sezioni unite su un tema strettamente collegato alla soluzione delle prime due questioni ed è compendiato nei seguenti termini: “se, infine, nel caso di accertata violazione dello spazio minimo (tre metri quadrati), secondo il corretto criterio di calcolo, al lordo o al netto dei mobili, possa comunque escludersi la violazione dell’art. 3 della CEDU nel concorso di altre condizioni, come individuate dalla stessa Corte Edu (breve durata della detenzione, sufficiente libertà di movimento al di fuori della cella con lo svolgimento di adeguate attività, dignitose condizioni carcerarie) ovvero se tali fattori compensativi incidano solo quando lo spazio pro capite sia compreso tra i tre e i quattro metri quadri”.

Anche qui, si rinvengono decisioni contrastanti.

Secondo Cass., sez. I, 9 settembre 2016, n. 52992, in C.E.D Cass., n. 268655, gli ulteriori aspetti che determinano la complessiva offerta del trattamento detentivo (mancanza di aria o di luce, difetti della condizione igienica, carenza di assistenza sanitaria o assenza di offerte ricreative o culturali) vanno presi in considerazione qualora lo spazio individuale minimo intramurario assicurato al detenuto, una volta scomputati gli arredi fissi, sia compreso tra i tre ed i quattro metri quadrati (in senso conforme, Cass., sez. I, 15 novembre 2018, n. 5835, in C.E.D. Cass., n. 274874).

Altre sentenze, invece, ammettono l’operatività dei “criteri compensativi” in maniera generalizzata e, quindi, tanto nella valutazione della detenzione patita in meno di tre metri quadrati che in quella sofferta in uno spazio più ampio (Cass., sez. VI, 26 febbraio 2020, n. 7979, in C.E.D. Cass., n. 278355; Cass., sez. VI, 9 novembre 2018, n. 52541, ivi, n. 274296; entrambe rese in materia di mandato d’arresto europeo).

L’udienza è fissata per il 24 settembre 2020 e il relatore designato è il consigliere Rocchi.

Cass. 14260_2020

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