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Il cronoprogramma e le possibili riforme delle misure cautelari.

È difficile, e forse neppure suscettibile di esiti significativi, inserirsi nel dibattito sulla ipotizzata riforma in tema di misure cautelari, annunciata dalle indiscrezioni di stampa che riportano le dichiarazioni di esponenti politici vicini al Ministero nonché dallo stesso Ministro Nordio.
Non si tratta, del resto, di indicazioni di contenuto omogeneo, tuttavia, ispirate da un ipotizzato rafforzamento, o ritenuto tale, delle garanzie a tutela del soggetto da sottoporre a restrizione della libertà personale.
Un primo elemento potrebbe essere costituito dalla presenza dell’interrogatorio anticipato rispetto all’emissione del provvedimento restrittivo.
Non si tratta di una ipotesi inedita, essendo stato ipotizzato a più riprese in sede di commissione di riforma (Riccio e Canzio).
Non sono pochi i profili problematici.
In primo luogo, bisognerebbe chiarire se il meccanismo va operante per tutte le misure cautelari, ovvero anche in linea con quanto previsto dall’art. 289, comma 2, c.p.p. e dall’art. 47, d. lgs. n. 231 del 2001, solo per le misure non custodiali. Senza escludere una differenziazione delle ipotesi criminose (art. 51, comma 3 bis e quater, c.p.p.).
Se per le prime misure non si prospettano problemi, più delicate sono le questioni relative alle misure custodiali.
Al riguardo si prospettano varie questioni che possono essere individuate nella condizione restrittiva (arresto) ovvero di provvisoria libertà del soggetto (sullo schema della convalida).
Appare, tuttavia, evidente come il soggetto potrebbe trovarsi nella condizione di evitare il provvedimento restrittivo, attraverso la propria collaborazione.
A rendere ulteriormente problematica la situazione si prospetta la questione relativa alla conoscenza da parte della difesa della richiesta del p.m. e del materiale a supporto, resa ancora più complessa dal tempo (verosimilmente breve) assegnato per l’espletamento del diritto di difesa. Non possono escludersi situazioni complesse in caso di pluralità di soggetti destinatari della misura.
Naturalmente, l’interrogatorio anticipato, sempre sullo schema dell’udienza di convalida, escluderebbe un successivo interrogatorio (art. 391 c.p.p.).
L’alternativa a questa prospettiva, sempre per quanto emerge dai riferiti rumors, sarebbe costituita dalla collegialità dell’organo chiamato ad applicare le misure cautelari: verosimilmente tutte le misure, salvo operare la riferita differenziazione tra misure non custodiali con interrogazioni anticipate e misure cautelari rinnovabili disposte dall’organo collegiale.
Questa ipotesi, indubbiamente connotata da una propensione garantista, si scontra con alcune difficoltà legate alla presenza nelle sedi non distrettuali di un numero non adeguato di giudici (gip, che andrebbero integrati almeno con un altro gip per l’udienza preliminare, senza tener conto di ulteriori incompatibilità).
Si ipotizza allora (sul modello “Rifiuti Campania”) che l’organo competente dovrebbe essere quello distrettuale, non senza problemi in ordine alle dinamiche della stessa collegialità e della presenza dell’ufficio di procura.
Anche a voler risolvere questi profili, residuerebbero altre questioni, legate al soggetto (uno o tutti) chiamato a svolgere l’interrogatorio di garanzia, nonché l’individuazione del soggetto a cui sarebbe necessario rivolgersi per la revoca o la sostituzione della misura.
Ed ancora. La collegialità dell’applicazione della misura escluderebbe probabilmente il giudizio di riesame, residuando ex art. 111 Cost. solo il ricorso per Cassazione (allo stato insopprimibile).
Sembra che si stia ragionando anche su una doppia collegialità, eliminando il ricorso in Cassazione, con la necessità, per quanto appena detto, di una modifica costituzionale.
Al di là di queste variabili, non andrebbe trascurato il peso che sugli sviluppi del processo potrebbero determinarsi per effetto di decisioni collegiali in punto di gravità indiziaria, anche in relazione alla sua incidenza sulla nuova regola di giudizio della sentenza di non luogo (artt. 411 e 425 c.p.p.).
Non manca di problematicità anche la proposta di iniziativa parlamentare di rendere conoscibile, fuori dal procedimento, l’ordinanza cautelare, le sue motivazioni ed il materiale che ne costituisce il fondamento fino alla fine delle indagini preliminari, cioè, con il deposito di cui all’art. 415 bis c.p.p.
A prescindere dalla effettività della segretezza di un tale atto e dei suoi presupposti di cui all’art. 292 c.p.p., anche in considerazione dei molti passaggi procedurali cui il provvedimento è sottoposto (artt. 293, 294, 299, 309, 310, 311 c.p.p.), se per un verso si tutela il soggetto sottoposto alla misura, per un altro si rischia di danneggiarlo non apparendo chiare le giustificazioni della misura restrittiva, soprattutto di quella detentiva in carcere.
Dall’insieme delle considerazioni svolte, emerge un quadro di grande problematicità delle ipotizzate riforme, che quindi sembrano richiedere una attenta valutazione, evitando pericolose “fughe in avanti” anche se ispirate da un sincero intento di favor libertatis.
Forse la soluzione migliore è quella di intervenire sulle premesse delle misure (gravità indiziaria; esigenze cautelari; criteri di scelta; limiti di pena; perdita di efficacia) così da renderne maggiormente circoscritto il ricorso, non senza considerare le implicazioni della loro durata nei trattati sviluppi procedimentali.
Sullo sfondo si nota anche una volontà di separare pubblici ministeri e giudici, rectius, più che di separazione (di carriere e funzioni) si tratta di “distanziamento”, che, invero, è tutt’altra cosa che non può essere confusa con l’altro aspetto, sul quale la riflessione, quale che ne sarà il risultato, non dovrà essere inquinata da queste opzioni.

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