Il 20 maggio è entrata in vigore la LEGGE 21 aprile 2023, n. 49[1], recante le “Disposizioni in materia di equo compenso delle prestazioni professionali” con la quale viene disciplinato nel nostro ordinamento, per la prima volta in maniera organica, l’istituto dell’equo compenso nei confronti di tutti i professionisti, al fine di garantire una maggiore qualità delle prestazioni professionali, tutelandone la dignità ed il decoro.
Durante la scorsa legislatura si era già arrivati ad un passo dall’approvazione della proposta di legge di iniziativa parlamentare, ma soltanto all’inizio di quella attuale è stato portato a compimento il disegno complessivo di riforma, in linea con la disciplina di cui all’art. 35 Cost. che tutela il lavoro in tutte le sue forme e manifestazioni[2] (e non soltanto quello dipendente) e che impone di evitare nei confronti dei gradi committenti, clienti “forti” sul mercato, una concorrenza al ribasso da parte dei professionisti, con conseguente svilimento dell’attività professionale e costante aggravamento del triste fenomeno, oramai noto da tempo, di progressiva proletarizzazione delle attività professionali.
- La nuova disciplina legislativa.
Analizzando nel dettaglio il nuovo testo legislativo va segnalato come opportunamente nell’incipit sia contenuta una prima definizione completa dell’istituto in commento, intendendosi come tale “la corresponsione di un compenso proporzionato alla quantità e alla qualità del lavoro svolto, al contenuto e alle caratteristiche della prestazione professionale, nonché conforme ai compensi previsti rispettivamente:
a) per gli avvocati, dal decreto del Ministro della giustizia emanato ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247;
b) per i professionisti iscritti agli ordini e collegi, dai decreti ministeriali adottati ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27;
c) per i professionisti di cui al comma 2 dell’articolo 1 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, dal decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy da adottare entro sessanta giorni dalla data di entrata in vigore della presente legge e, successivamente, con cadenza biennale, sentite le associazioni iscritte nell’elenco di cui al comma 7 dell’articolo 2 della medesima legge n. 4 del 2013” (cfr. art. 1 L. 49/2023).
In sintesi, il compenso è equo soltanto se è proporzionato alla quantità, alla qualità, al contenuto ed alle caratteristiche della prestazione professionale offerta con la precisazione ulteriore che deve altresì essere conforme alla disciplina, diversa per l’avvocatura, le altre professioni ordinistiche e quelle non ordinistiche, dettata dai ministeri di riferimento per determinare nel quantum la misura dei compensi.
Così definito l’equo compenso, il legislatore ha provveduto poi a delimitarne l’ambito di applicazione (art. 2 L. 49/2023) nei confronti di:
imprese bancarie, assicurative, società da loro controllate o mandatarie ovvero
imprese che hanno impiegato l’anno precedente più di cinquanta lavoratori o, ancora,
imprese che hanno avuto ricavi annui superiori ai dieci milioni di Euro e, infine,
pubbliche amministrazioni e società a partecipazione pubblica[3].
Si tratta di circa cinquantunomila aziende su un totale di sei milioni e di ventisettemila pubbliche amministrazioni[4].
La previgente disciplina (art. 13 bis L. 247/2012[5]) aveva una portata più limitata, applicandosi esclusivamente alle convenzioni predisposte unilateralmente alle “imprese bancarie e assicurative, nonché di imprese non rientranti nelle categorie delle microimprese o delle piccole o medie imprese, come definite nella raccomandazione 2003/361CE della Commissione, del 6 maggio 2003”.
Sono rimaste escluse dall’applicazione della nuova legge, per intuibili (anche se non condivisibili) ragioni di bilancio, le società veicolo di cartolarizzazione e gli agenti della riscossione; questi ultimi però devono comunque garantire compensi adeguati che tengano conto della possibile ripetitività delli prestazioni (art. 2 co. 3 L. 49/2023).
Le nuove disposizioni, dunque, si applicano a ogni tipo di accordo preparatorio o definitivo che sia vincolante per il professionista, le cui clausole sono comunque utilizzate dalle imprese sopra meglio individuate.
Il legislatore ha poi sancito (art. 3 L. 49/2023), in via generale, la nullità delle clausole che prevedono un compenso non equo e proporzionato all’opera prestata e, dunque, inferiore ai vari parametri ministeriali vigenti[6], nonché di quelle che vietino al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione o che impongano l’anticipazione di spese o, ancora, di quelle che, comunque, attribuiscano al committente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto o del servizio[7].
Inoltre, sono state espressamente elencate dal legislatore, a titolo esemplificativo e non esaustivo, altre fattispecie di clausole abusive -all’art. 3 co. 2 lett. da a) a l)- in numero superiore rispetto a quelle già individuate nell’art. 13 bis L. 247/2012[8] e con la previsione di una fattispecie specifica dettata per i soli Avvocati (la lett. g).
Si tratta, nel dettaglio, delle seguenti tipologie di clausole e pattuizioni che sono nulle anche se contenute in documenti contrattuali distinti dalla convenzione, dall’incarico o dall’affidamento e che consistono:
a) nella riserva al cliente della facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto;
b) nell’attribuzione al cliente della facoltà di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto;
c) nell’attribuzione al cliente della facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che il professionista deve eseguire a titolo gratuito;
d) nell’anticipazione delle spese a carico del professionista;
e) nella previsione di clausole che impongono al professionista la rinuncia al rimborso delle spese connesse alla prestazione dell’attività professionale oggetto della convenzione;
f) nella previsione di termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data di ricevimento da parte del cliente
della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente;
g) nel caso di un incarico conferito a un avvocato, nella previsione che, in caso di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, all’avvocato sia riconosciuto solo il minore importo previsto nella convenzione, anche nel caso in cui le spese liquidate siano state interamente o parzialmente corrisposte o recuperate dalla parte, ovvero solo il minore importo liquidato, nel caso in cui l’importo previsto nella convenzione sia maggiore;
h) nella previsione che, in caso di un nuovo accordo sostitutivo di un altro precedentemente stipulato con il medesimo
cliente, la nuova disciplina in materia di compensi si applichi, se comporta compensi inferiori a quelli previsti nel precedente accordo, anche agli incarichi pendenti o, comunque, non ancora definiti o fatturati;
i) nella previsione che il compenso pattuito per l’assistenza e la consulenza in materia contrattuale spetti solo in caso di sottoscrizione del contratto;
l) nell’obbligo per il professionista di corrispondere al cliente o a soggetti terzi compensi, corrispettivi o rimborsi connessi all’utilizzo di software, banche di dati, sistemi gestionali, servizi di assistenza tecnica, servizi di formazione e di qualsiasi bene o servizio la cui utilizzazione o fruizione nello svolgimento dell’incarico sia richiesta dal cliente.
Con ovvia previsione il legislatore ha poi ritenuto opportuno specificare (art. 3 co. 3) anche che “non sono nulle le clausole che riproducono disposizioni di legge ovvero che riproducono disposizioni o attuano princìpi contenuti in convenzioni internazionali delle quali siano parti contraenti tutti gli Stati membri dell’Unione europea o l’Unione europea”.
La nullità parziale del contratto con riferimento alle pattuizioni abusive opera a vantaggio del solo professionista e può essere fatta valere anche d’ufficio, ovvero su iniziativa del Giudice in corso di causa anche senza che sia stata sollevata alcuna specifica eccezione.
Tutti gli atti ed i contratti posti in essere in violazione della disciplina di legge (e, segnatamente, la convenzione, il contratto, l’esito della gara, l’affidamento, la predisposizione di un elenco di fiduciari o comunque qualsiasi accordo che preveda un compenso inferiore) possono essere impugnati dal professionista innanzi al Tribunale competente per il luogo “ove egli ha la residenza o il domicilio”, al fine di far valere la nullità della pattuizione e di chiedere la rideterminazione giudiziale del compenso per l’attività professionale prestata (art. 3 co. 5).
Viene così affermata una nuova competenza territoriale del Tribunale che si radica non già nel luogo di residenza del debitore o di stipula del contratto o di esecuzione della prestazione, bensì in quello alternativo ed assai più favorevole dove il professionista risiede ovvero dove ha il domicilio professionale.
Il ruolo pubblicistico dell’Ordine professionale viene addirittura esaltato, laddove il giudice potrà rivolgersi direttamente all’ente pubblico non economico per chiedere un parere sulla congruità della richiesta del professionista.
Il parere di congruità[9] costituisce elemento di prova delle caratteristiche, dell’urgenza, del pregio dell’attività, dell’importanza, della natura, della difficoltà e del valore dell’affare, delle condizioni soggettive del cliente, dei risultati conseguiti, nonché del numero e della complessità delle questioni (giuridiche e di fatto) trattate[10].
Una volta eventualmente accertato e dichiarato il carattere non equo del compenso, il giudice può liquidare la differenza dovuta tra il compenso percepito in concreto e quello effettivamente dovuto in ragione della applicazione disciplina sull’equo compenso e può finanche condannare la parte soccombente ad un vero e proprio indennizzo a beneficio del professionista, quantificato dal legislatore in misura pari al doppio della differenza tra quanto già versato e quanto riconosciuto come dovuto, salvo la prova dell’eventuale maggior danno.
L’indennizzo a vantaggio del professionista[11] costituisce una importante novità che, oltretutto, si somma all’ordinario strumento risarcitorio, laddove sussista un danno provato e quantificato in concreto e dovrebbe contribuire a scongiurare pratiche elusive o violative della disciplina.
Agli Ordini professionali è demandato il compito di adottare nuove disposizioni deontologiche[12] nei rispettivi codici etici per scongiurare vere e proprie pratiche di concorrenza sleale mediante corse al ribasso tra gli iscritti[13], con evidente nocumento per la qualità delle prestazioni, nonché del prestigio e del decoro professionale, sanzionando anche il mancato rispetto da parte del professionista dell’obbligo di “avvertire il cliente” circa la vessatorietà della clausola che gli viene sottoposta per la sottoscrizione (art. 5 co. 5), con ciò volendosi evidentemente costituire un primo efficace deterrente rispetto alla pattuizione di eventuali clausole abusive e inique al quale il professionista può fare riferimento, già durante le trattative per il conferimento del contratto professionale, per evitare di dover soggiacere all’imposizione da parte del cliente forte.
Per quanto concerne l’avvocatura, la giurisprudenza del Consiglio nazionale forense riteneva già sanzionabili, in doverosa applicazione dei principi generali dettati dal vigente codice deontologico, i professionisti che accettavano compensi irrisori, così mortificando la funzione della professione[14] e quelli che aderivano a convenzioni pubbliche violative della disciplina sull’equo compenso[15], affermando altresì il principio del doveroso adeguamento del compenso professionale al criterio di proporzionalità[16] e sancendo che i principi cardine nel rapporto tra professionista e cliente consistono nel doveroso rispetto nella determinazione convenzionale del compenso dei criteri generali di lealtà, probità e correttezza e nella conformità del quantum a canoni di adeguatezza e proporzionalità rispetto alla prestazione professionale[17].
Di recente erano dovute intervenire le Sezioni Unite della Suprema Corte (con la sentenza n. 19427/2021) per riaffermare la perdurante vigenza nell’ordinamento forense dei pareri di congruità che, d’ora innanzi costituiranno addirittura titolo esecutivo di matrice provvedimentale e, dunque, amministrativa[18], senza necessità di esperire il preventivo procedimento monitorio ex art. 633 e ss. c.p.c. ovvero di avviare il giudizio di cui all’art. 14 del D. Lgs. 150/2011[19], ma legittimando l’avvio immediato dell’azione esecutiva con l’atto di precetto a condizione che nel procedimento amministrativo, preordinato all’emissione del parere, sia stato doverosamente rispettato il principio del contraddittorio e, quindi, del giusto procedimento (artt. 3, 24 97, 113 Cost., nonché il Capo III della L. 241/90 s.m.i.), con facoltà del debitore di formulare opposizione nel termine di quaranta giorni dalla notificazione del parere (art. 7 L. 49/2023[20]).
E’ inutile soffermarsi sull’evidente vantaggio per il professionista che potrà “saltare” la fase, dispendiosa e connotata spesso da inutili lungaggini processuali, del procedimento monitorio; tant’è che sarebbe utile ed opportuno un intervento correttivo del legislatore per affermare la portata generale della disposizione in questione anche a fini deflattivi del contenzioso, senza limitarne l’applicazione nei limiti della speciale disciplina sull’equo compenso, non giustificandosi nella fattispecie un diverso trattamento processuale a seconda della tipologia del cliente-debitore (se cliente forte o meno).
La nuova disciplina viene incontro alle esigenze del professionista anche per quanto concerne l’onere probatorio mediante l’introduzione di una presunzione semplice in base alla quale gli accordi, preparatori o definitivi, vincolanti per il professionista, devono essere considerati unilateralmente predisposti dal contrente forte, salva prova contraria (art. 5 co. 1)[21].
Circa la prescrizione del diritto al compenso è stato previsto che questa inizi a decorrere soltanto dal momento in cui cessa il rapporto col contraente forte e, in caso di pluralità di prestazioni, decorre dal giorno del compimento dell’ultima, tranne il caso di prestazioni aventi carattere periodico (art. 5 co.2)[22].
Nella legge “riappare” qui la definizione del compenso professionale quale “onorario” che sembrava essere destinata alla definitiva scomparsa con l’abrogazione del sistema tariffario.
Anche tale disposizione appare di indubbio vantaggio per la certezza dei rapporti giuridici e per il professionista (oltre che per il suo assicuratore), laddove viene opportunamente superata la consolidata prassi giurisprudenziale che fissa la decorrenza del termine prescrizionale dal momento in cui si manifesta all’esterno o diviene percepibile il danno[23].
Anche con riferimento a siffatta disposizione appare auspicabile un prossimo intervento legislativo ovvero l’affermazione di una nuova giurisprudenza che ne estenda la portata oltre la disciplina sull’equo compenso.
Il legislatore ha poi previsto che i parametri di riferimento delle prestazioni professionali debbano essere aggiornati ogni due anni su proposta dei Consigli nazionali degli ordini o collegi professionali i quali avranno dunque l’onere di non attendere fideisticamente un intervento motu proprio ministeriale, ma potranno/dovranno nel prevedibile caso di inerzia esperire l’azione giurisdizionale amministrativa, avviando gli ordinari rimedi avverso il silenzio (art. 31 codice del processo amministrativo e art. 2 della legge sulla trasparenza ed il procedimento amministrativo n. 241 del 1990); diversamente, si tratterà della previsione legislativa dell’ennesimo termine ordinatorio la cui (purtroppo prevedibile) inosservanza resterà priva di conseguenze.
I consigli nazionali poi potranno adottare “modelli standard di convenzioni” con le imprese che, dunque, rispettandoli, potranno – ovviamente – confidare nella presunzione semplice (art. 2727 c.c.) di equità del trattamento riservato ai professionisti dei quali si avvalgono (art. 6).
Ai medesimi enti nazionali i viene poi riconosciuto finalmente il diritto di promuovere azioni di classe[24] (ai sensi del titolo VIII-bis del libro quarto del codice di procedura civile), insieme alle associazioni maggiormente rappresentative, per tutelare i diritti individuali omogeni dei propri iscritti: i Consigli nazionali, infatti, sono legittimati ad adire l’autorità giudiziaria competente qualora ravvisino violazioni delle disposizioni vigenti in materia di equo compenso (artt. 5 co. 4, 9).
La previsione appare utile ed opportuna per rendere operativo l’intero assetto della disciplina legislativa, laddove in concreto il professionista ben difficilmente, in costanza del rapporto professionale, potrebbe essere indotto a contrapporsi al cliente forte che gli ha imposto la pattuizione abusiva, proprio per il timore che questi poi possa rivolgersi per il futuro ad altri.
Infine, il legislatore ha previsto opportunamente l’istituzione di un osservatorio nazionale, variamente composto, con funzioni consultive, propositive e di monitoraggio sull’applicazione in concreto delle nuove disposizioni (art. 10 L. 49/2023[25]); tra i compiti dell’Osservatorio vi è quello di riferire annualmente alle Camera al fine di consentire eventuali interventi correttivi e migliorativi del testo.
- I precedenti interventi in favore dei professionisti.
Ricordiamo tutti come già il legislatore era intervenuto nel dicembre 2017 a dettare una disciplina di tutela per la parte debole del contratto professionale di fronte ai grandi committenti (banche, assicurazioni e poi anche e pubbliche amministrazioni), individuando un numero chiuso di clausole vessatorie che determinavano l’invalidità parziale del contratto (cfr. art. 19-quaterdecies del decreto legge 16 ottobre 2017, n. 148), così sanzionando le imposizioni più odiose di frequente presenti nei contratti che i clienti forti imponevano ai professionisti, senza possibilità di preventiva ed effettiva negoziazione.
Anche talune Regioni virtuose erano intervenute, successivamente al legislatore nazionale, per garantire l’applicazione in ambito territoriale della disciplina legislativa (per esempio, la Regione Lazio con la legge n. 6 del 2019[26] e, prima ancora, la Regione Toscana e la Regione Puglia) nei confronti della amministrazione regionale, degli enti strumentali e delle società controllate.
Col nuovo testo normativo sembra che finalmente il legislatore abbia fatto tesoro della pessima esperienza delle presunte liberalizzazioni che nel 2006 (col DL 223/2006, c.d. decreto Besani[27]) avevano determinato l’abrogazione dei minimi tariffari e nel 2009 (col DL 1/2012 c.d. Cresci Italia del governo Monti[28]) l’abrogazione per intero del sistema tariffario, poi sostituito dai nuovi parametri ministeriali per la determinazione dei compensi in assenza di accordo tra le parti (da ultimo, per quanto concerne gli avvocati, il vigente DM 10.3.2014, n. 55[29], aggiornato col DM 13.8.2022, n. 147[30], che ha sostituito il primo DM 20.7.2012, n. 140[31]).
In effetti, di tali interventi hanno beneficiato in concreto i soggetti già forti sul mercato e perciò in grado di dettare ed imporre modalità e termini di ingaggio anche nei confronti dei professionisti, rimasti privi finanche di quel minimo di tutela che era assicurata dal sistema tariffario previgente.
Non a caso, negli ultimi anni abbiamo assistito ad un mutamento di rotta[32] opportuno e doveroso da parte del legislatore con l’introduzione di tutele per il lavoro autonomo non imprenditoriale (la legge n. 81 del 2017 ovvero il c.d. jobs act degli autonomi[33]) e della previgente disciplina sull’equo compenso del 2017 che, per quanto concerne l’avvocatura, aveva portato anche alla introduzione dell’art. 13 bis inserito nella legge di riforma professionale forense n. 247 del 2012[34] e la cui applicazione era poi stata estesa a beneficio di tutti i professionisti e resa cogente in via di principio anche nei confronti delle pubbliche amministrazioni.
Peraltro, l’intervento legislativo[35] si era reso necessario e non più differibile anche in ragione di una giurisprudenza amministrativa oramai costantemente sfavorevole ai professionisti che predicava la legittimità finanche del lavoro gratuito a beneficio delle pubbliche amministrazioni (Cons. St., sez. Quinta, sentenza n. 4614/2017) anche dopo l’introduzione nel dicembre 2017 della previgente disciplina sull’equo compenso (Cons. St., sez. Quarta, sentenza 7442/2021, dove il valore patrimoniale della prestazione viene individuato nell’immaginario godimento di una sorta di “ritorno di immagine” e, ancora, Cons. St., sez. Quinta, sentenza n. 2084/2023[36]), evidentemente obliterando la circostanza che già la disciplina del codice civile del ’42 prevedeva opportunamente che la misura del compenso dovesse essere adeguata “all’importanza dell’opera ed al decoro della professione” (cfr. art. 2233 co. 2 e, prima ancora, art. 2060 c.c.).
Da allora per i professionisti italiani sono stati fatti molti passi indietro almeno fino alla lenta inversione di tendenza (prima culturale e poi) legislativa alla quale abbiamo fatto cenno e nell’ambito della quale si inserisce a pieno titolo la “nuova” disciplina in materia di equo compenso, con la previsione di sanzioni (civili e deontologiche) rispetto a fattispecie di evidente abuso contrattuale ai danni del professionista, correttamente inquadrato dal legislatore come la parte debole del rapporto negoziale nei confronti della grande impresa e dell’Amministrazione, così come è comprovato dalla perdurante crisi reddituale che è da tempo uno dei problemi più avvertiti dai professionisti italiani insieme a quello del malfunzionamento dell’amministrazione (a partire da quella giudiziaria).
Con riferimento all’avvocatura, per esempio, il recente rapporto del CENSIS elaborato per conto della Cassa forense ha evidenziato come oltre centomila avvocati si collochino al di sotto di un reddito annuo di ventimila Euro (su un totale di duecentoquarantamila iscritti all’ente previdenziale) e come persista un significativo divario di genere, evidenziato da un reddito medio degli uomini superiore al doppio di quello delle donne.
- Le conclusioni.
La nuova disciplina legislativa avanza di molto la soglia di tutela del professionista laddove egli sia parte debole del rapporto contrattuale rispetto ai grandi committenti, ma restano talune criticità irrisolte[37].
Abbiamo già segnalato l’opportunità di chiarire, se necessario con ulteriori interventi normativi, la portata applicativa generale delle disposizioni in tema parere di congruità con efficacia di titolo esecutivo e di prescrizione, ma è destinata a creare problemi anche la inapplicabilità ex tunc delle previsioni di favore alle convenzioni già in essere[38], col rischio perciò che i clienti forti continuino ad avvalersene, evitando di stipulare nuovi accordi che sarebbero inevitabilmente assoggettati alla nuova regolamentazione di gran lunga più favorevole al professionista.
Tuttavia, per i nuovi incarichi professionali, sia pure riferiti a convenzioni preesistenti, potrebbe estendersi, in via interpretativa, l’applicazione della disciplina di nuovo conio e certamente resta vigente la tutela già offerta dal legislatore nel dicembre 2017 ed abrogata espressamente con l’entrata in vigore del nuovo articolato normativo[39].
Con riferimento poi agli incarichi di amministrazioni pubbliche o soggetti comunque tenuti all’applicazione del nuovo codice dei contratti pubblici[40] (stazioni appaltanti e enti concedenti) occorre prestare particolare attenzione alla disciplina di cui all’art. 8 del codice che, nel ribadire il principio dell’autonomia contrattuale delle PP.AA. per il raggiungimento dei propri fini istituzionali, ha opportunamente fissato il principio generale del divieto di prestazioni d’opera intellettuale a titolo gratuito, “salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione”, imponendosi però anche in tali (speriamo remote) fattispecie che “la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso”[41].
Ebbene, la nuova disciplina sull’equo compenso dovrebbe finalmente garantire l’azzeramento delle ipotesi di lavoro intellettuale gratuito a beneficio delle amministrazioni in ragione dei noti principi sull’efficacia della legge nel tempo (art. 11 preleggi) per cui la legge successiva abroga, anche tacitamente o implicitamente, quella precedente con essa incompatibile ed in considerazione della circostanza ulteriore per cui il codice dei contratti stesso ha previsto la prevalenza, per il principio di specialità, della disciplina dettata in materia di equo compenso.
Del resto, sarebbe illogico che le Amministrazioni dello Stato, anziché dare, per così dire, il buon esempio, consentano a beneficio di sé medesime quanto invece è stato vietato dal legislatore ai grandi committenti privati[42].
Ora sarà compito dei singoli professionisti, degli Ordini e dei collegi professionali (territoriali e nazionali) e delle associazioni di categoria attivarsi immediatamente per difendere in tutte le sedi, anche giudiziarie, la portata applicativa del nuovo istituto di carattere generale offerto dal legislatore per evitare che il tema resti una mera affermazione di principio ed oggetto di studio ed approfondimento solo in astratto nell’ambito di dibattiti e convegni di studi.
Al riguardo, sarebbe opportuno prendere esempio dalla costante attività di monitoraggio e contrasto in sede procedimentale e, laddove necessario, anche di impugnativa in sede giurisdizionale sostenuta meritevolmente sino ad oggi soltanto da taluni (pochi) Ordini professionali nei confronti di bandi ed avvisi illegittimi già durante la vigenza della previgente disciplina sull’equo compenso[43].
[1] La L. 49/2023 è stata pubblicata nella Gazzetta Ufficiale n. 104 del 5.5.2023.
[2] Sull’argomenti, si segnala il pregevole scritto di G. Colavitti, Lavoro povero e lavoro professionale. La riforma dell’equo compenso in una prospettiva costituzionale, in corso di pubblicazione, entro il 2023, nel volume che raccoglierà gli esiti della ricerca di cui al progetto “Working poor N.E.E.D.S.: New Equity, Decent work, and Skills” (PRIN 2017), nonché i primi commenti pubblicati su Altalex di S. Occhipinti, Equo compenso: la guida, 14.4.2023 e A. Bulgarelli, Un nuovo procedimento per recuperare il compenso dell’avvocato, 20.4.2023.
[3] 1. La legge si applica letteralmente “ai rapporti professionali aventi ad oggetto la prestazione d’opera intellettuale di cui all’articolo 2230 del codice civile regolati da convenzioni aventi ad oggetto lo svolgimento, anche in forma associata o societaria, delle attività professionali svolte in favore di imprese bancarie e assicurative nonché delle loro società controllate, delle loro mandatarie e delle imprese che nell’anno precedente al conferimento dell’incarico hanno occupato alle proprie dipendenze più di cinquanta lavoratori o hanno presentato ricavi annui superiori a 10 milioni di euro, fermo restando quanto previsto al secondo periodo del comma 3.
2. Le disposizioni della presente legge si applicano a ogni tipo di accordo preparatorio o definitivo, purché vincolante per il professionista, le cui clausole sono comunque utilizzate dalle imprese di cui al comma 1.
3. Le disposizioni … si applicano altresì alle prestazioni rese dai professionisti in favore della pubblica amministrazione e delle società disciplinate dal testo unico in materia di società a partecipazione pubblica, di cui al decreto legislativo 19 agosto 2016, n. 175. Esse non si applicano, in ogni caso, alle prestazioni rese dai professionisti in favore di società veicolo di cartolarizzazione né a quelle rese in favore degli agenti della riscossione. Gli agenti della riscossione garantiscono comunque, all’atto del conferimento dell’incarico professionale, la pattuizione di compensi adeguati all’importanza dell’opera, tenendo conto, in ogni caso, dell’eventuale ripetitività della prestazione richiesta”.
[4] La stima è di Giuseppe Latour e Federica Micardi, Parte l’equo compenso ma restano possibili gli incarichi gratuiti, Norme & Tributi Lavoro del 19.5.2023.
[5] L’art. 19-quaterdecies del DL 16 ottobre 2017, n. 148, recante “Disposizioni urgenti in materia finanziaria e per esigenze indifferibili” convertito nella Legge 4 dicembre 2017, n. 172, ha introdotto il principio dell’“equo compenso”, dettandone la disciplina all’art. 13-bis della legge 31 dicembre 2012 , n. 247 (sull’ordinamento professionale dell’avvocato) ed estendendone gli effetti, “in quanto compatibili”, a tutte le professioni (ordinistiche e non) ed alla pubblica amministrazione (ai sensi dei commi 2 e 3 del citato art. 19 quaterdecies).
[6] All’art. 3 co. 1 è stato stabilito che “Sono nulle le clausole che non prevedono un compenso equo e proporzionato all’opera prestata, tenendo conto a tale fine anche dei costi sostenuti dal prestatore d’opera; sono tali le pattuizioni di un compenso inferiore agli importi stabiliti dai parametri per la liquidazione dei compensi dei professionisti iscritti agli ordini o ai collegi professionali, fissati con decreto ministeriale, o ai parametri determinati con decreto del Ministro della giustizia ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247, per la professione forense, o ai parametri fissati con il decreto del Ministro delle imprese e del made in Italy di cui all’articolo 1, comma 1, lettera c), della presente legge”.
[7] Art. 3 co. 2 primo capoverso: Sono, altresì, nulle le pattuizioni che vietino al professionista di pretendere acconti nel corso della prestazione o che impongano l’anticipazione di spese o che, comunque, attribuiscano al committente vantaggi sproporzionati rispetto alla quantità e alla qualità del lavoro svolto o del servizio reso, nonché le clausole e le pattuizioni, anche se contenute in documenti contrattuali distinti dalla convenzione, dall’incarico o dall’affidamento tra il cliente e il professionista…”.
[8] Ai sensi dell’art. 13 bis L. 247/2012 si consideravano vessatorie le clausole consistenti:
a) nella riserva al cliente della facoltà di modificare unilateralmente le condizioni del contratto;
b) nell’attribuzione al cliente della facoltà di rifiutare la stipulazione in forma scritta degli elementi essenziali del contratto;
c) nell’attribuzione al cliente della facoltà di pretendere prestazioni aggiuntive che l’avvocato deve eseguire a titolo gratuito;
d) nell’anticipazione delle spese della controversia a carico dell’avvocato;
e) nella previsione di clausole che impongono all’avvocato la rinuncia al rimborso delle spese direttamente connesse alla prestazione dell’attività professionale oggetto della convenzione;
f) nella previsione di termini di pagamento superiori a sessanta giorni dalla data di ricevimento da parte del cliente della fattura o di una richiesta di pagamento di contenuto equivalente;
g) nella previsione che, in ipotesi di liquidazione delle spese di lite in favore del cliente, all’avvocato sia riconosciuto solo il minore importo previsto nella convenzione, anche nel caso in cui le spese liquidate siano state interamente o parzialmente corrisposte o recuperate dalla parte;
h) nella previsione che, in ipotesi di nuova convenzione sostitutiva di altra precedentemente stipulata con il medesimo cliente, la nuova disciplina sui compensi si applichi, se comporta compensi inferiori a quelli previsti nella precedente convenzione, anche agli incarichi pendenti o, comunque, non ancora definiti o fatturati;
i) nella previsione che il compenso pattuito per l’assistenza e la consulenza in materia contrattuale spetti soltanto in caso di sottoscrizione del contratto.
[9] Per gli avvocati: artt. 13 co. 9 e 29 lett. l L. 247/2012.
[10] Art. 4 co. 6: “Il tribunale procede alla rideterminazione secondo i parametri previsti dai decreti ministeriali di cui al comma 1 relativi alle attività svolte dal professionista, tenendo conto dell’opera effettivamente prestata e chiedendo, se necessario, al professionista di acquisire dall’ordine o dal collegio a cui è iscritto il parere sulla congruità del compenso o degli onorari, che costituisce elemento di prova sulle caratteristiche, sull’urgenza e sul pregio dell’attività prestata, sull’importanza, sulla natura, sulla difficoltà e sul valore dell’affare, sulle condizioni soggettive del cliente, sui risultati conseguiti, sul numero e sulla complessità delle questioni giuridiche e di fatto trattate.
In tale procedimento il giudice può avvalersi della consulenza tecnica, ove sia indispensabile ai fini del giudizio”.
[11] L’art. 4 co. 1, rubricato “Indennizzo in favore del professionista”, ha previsto espressamente che “Il giudice che accerta il carattere non equo del compenso … ridetermina il compenso dovuto … e condanna il cliente al pagamento della differenza tra l’equo compenso così determinato e quanto già versato al professionista. Il giudice può altresì condannare il cliente al pagamento di un indennizzo in favore del professionista fino al doppio della differenza di cui al primo periodo, fatto salvo il risarcimento dell’eventuale maggiore danno”.
[12] Cfr. art. 5 co. 5: “Gli ordini e i collegi professionali adottano disposizioni deontologiche volte a sanzionare la violazione, da parte del professionista, dell’obbligo di convenire o di preventivare un compenso che sia giusto, equo e proporzionato alla prestazione professionale richiesta e determinati in applicazione dei parametri previsti dai pertinenti decreti ministeriali, nonché a sanzionare la violazione dell’obbligo di avvertire il cliente, nei soli rapporti in cui la convenzione, il contratto o comunque qualsiasi accordo con il cliente siano predisposti esclusivamente dal professionista, che il compenso per la prestazione professionale deve rispettare in ogni caso, pena la nullità della pattuizione, i criteri stabiliti dalle disposizioni della presente legge”.
[13] Per gli avvocati: cfr. artt. 3 co. 3, 35 co. 1 lett d), 65 co. 5 della legge di riforma professionale n. 247 del 2012.
[14] Il compenso irrisorio mortifica la funzione della professione forense.
L’onerosità costituisce una componente necessaria dell’incarico difensivo dell’avvocato, giacché il compenso concorre a tutelare, a garanzia dei terzi e del mercato, la serietà e l’indipendenza della funzione forense. Conseguentemente, l’accettazione di un incarico professionale comportante un compenso onnicomprensivo irrisorio mortifica la funzione stessa della professione forense, trattandosi di comportamento lesivo del decoro e della dignità che devono caratterizzare le attività dell’avvocato.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Merli), sentenza del 28 dicembre 2017, n. 245
[15] Illecito aderire a Convenzioni pubbliche che violano l’equo compenso
L’adesione dell’avvocato ad una Convenzione che preveda compensi irrisori costituisce illecito disciplinare, in quanto lesivo del decoro e della dignità della categoria cui appartiene (Nel caso di specie, trattavasi di Convenzione del Comune che prevedeva un compenso di euro 17, accessori compresi, per ciascun giudizio patrocinato davanti al Giudice di Pace nei procedimenti di opposizione ai verbali relativi ad accertate violazioni del CdS e ad altre violazioni amministrative).
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Marullo Di Condojanni), sentenza del 28 dicembre 2017, n. 246
[16] Compenso professionale e criterio di proporzionalità
Nei rapporti tra avvocato e cliente, sussiste sempre la possibilità di concreto adeguamento del compenso al valore effettivo e sostanziale della controversia, ove sia ravvisabile una manifesta sproporzione con quello derivante dall’applicazione delle norme del codice di rito, in armonia con il principio generale di proporzionalità ed adeguatezza del compenso stesso all’opera professionale effettivamente prestata.
Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Logrieco, rel. Logrieco), sentenza del 24 novembre 2016, n. 337 e, in senso conforme, sul principio che il criterio di proporzionalità di cui all’art. 29 ncdf (già art. 43 cdf) non possa essere derogato neppure convenzionalmente, cioè con il consenso del cliente, cfr. Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Picchioni, rel. Savi), sentenza del 7 marzo 2016, n. 44, nonché Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Vermiglio, rel. Pisano), sentenza del 20 marzo 2014, n. 42, Consiglio Nazionale Forense (Pres. f.f. Vermiglio, Rel. Pisano), sentenza del 20 febbraio 2013, n. 9, Consiglio Nazionale Forense (pres. f.f. Perfetti, rel. Morlino), sentenza del 19 febbraio 2014, n. 3.
[17] I due principi cardine che regolano i rapporti tra avvocato e cliente/parte assistita in tema di compenso professionale sono:
a) rispetto, sempre e comunque, nella determinazione convenzionale del compenso dei canoni di lealtà, probità e correttezza (art. 6 CDF previgente e, ora, art. 9 nuovo CDF);
b) conformità del compenso liberamente pattuito inter partes a canoni di adeguatezza e proporzionalità rispetto all’attività professionale svolta o da svolgere (artt. 43 e 45 CDF previgente e, ora, 29, quarto comma, in relazione all’art. 25, primo comma, nuovo CDF).
La proporzione e la ragionevolezza nella pattuizione del compenso rimangono l’essenza comportamentale richiesta all’avvocato, indipendentemente dalle modalità di determinazione del corrispettivo (Consiglio Nazionale Forense, sentenza n. 206 del 2022).
[18] Cfr. art. 474, co. 2 n. 1 c.p.c.
[19] Tale disciplina dettata dall’art. 14 D. Lgs. 1 settembre 2011, n. 150 ha sostituito il procedimento previsto dall’art. 28 della L. 13 giugno 1942, n. 794: sul punto v. Cass. 19 febbraio 2020, n. 4247)
[20] L’Art. 7, rubricato “pareri di congruità con efficacia di titolo esecutivo” ha stabilito quanto segue:
- In alternativa alle procedure di cui agli articoli 633 e seguenti del codice di procedura civile e di cui all’articolo14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150, il parere di congruità emesso dall’ordine o dal collegio professionale sul compenso o sugli onorari richiesti dal professionista costituisce titolo esecutivo, anche per tutte le spese sostenute e documentate, se rilasciato nel rispetto della procedura di cui alla legge 7 agosto 1990, n. 241, e se il debitore non propone opposizione innanzi all’autorità giudiziaria, ai sensi dell’articolo 281 -undecies del codice di procedura civile, entro quaranta giorni dalla notificazione del parere stesso a cura del professionista.
- Il giudizio di opposizione si svolge davanti al giudice competente per materia e per valore del luogo nel cui circondario ha sede l’ordine o il collegio professionale che ha emesso il parere di cui al comma 1 del presente articolo e, in quanto compatibile, nelle forme di cui all’articolo 14 del decreto legislativo 1° settembre 2011, n. 150”.
[21] Art. 5 co. 1: “Gli accordi preparatori o definitivi, purché vincolanti per il professionista, conclusi tra i professionisti e le imprese di cui all’articolo 2 si presumono unilateralmente predisposti dalle imprese stesse, salva prova contraria”.
[22] Art. 5 co. 2: La prescrizione del diritto del professionista al pagamento dell’onorario decorre dal momento in cui, per qualsiasi causa, cessa il rapporto con l’impresa …. In caso di una pluralità di prestazioni rese a seguito di un unico incarico, convenzione, contratto, esito di gara, predisposizione di un elenco di fiduciari o affidamento e non aventi carattere periodico, la prescrizione decorre dal giorno del compimento dell’ultima prestazione. Per quanto non previsto dal presente articolo, alle convenzioni di cui all’articolo 2 si applicano le disposizioni del codice civile”.
[23] Cfr. Cass civ. sez. III, ordinanza 3 novembre 2020, n. 24270.
[24] Cfr. art. 840 sexiesdecies c.p.c. e artt. 140 ter ss. del codice del consumo di cui al D. Lgs. 206/2005.
[25] Cfr. Art. 10, rubricato “Osservatorio nazionale sull’equo compenso”:
1. Al fine di vigilare sull’osservanza delle disposizioni di cui alla presente … è istituito, presso il Ministero della giustizia, l’Osservatorio nazionale sull’equo compenso, di seguito denominato «Osservatorio».
2. L’Osservatorio è composto da un rappresentante nominato dal Ministero del lavoro e delle politiche sociali,
da un rappresentante per ciascuno dei Consigli nazionali degli ordini professionali, da cinque rappresentanti, individuati dal Ministero delle imprese e del made in Italy, per le associazioni di professionisti non iscritti a ordini
e collegi, di cui al comma 7 dell’articolo 2 della legge 14 gennaio 2013, n. 4, ed è presieduto dal Ministro della
giustizia o da un suo delegato.
3. È compito dell’Osservatorio:
a) esprimere pareri, ove richiesto, sugli schemi di atti normativi che riguardano i criteri di determinazione
dell’equo compenso e la disciplina delle convenzioni di cui all’articolo 2;
b) formulare proposte nelle materie di cui alla lettera a);
c) segnalare al Ministro della giustizia eventuali condotte o prassi applicative o interpretative in contrasto con le disposizioni in materia di equo compenso e di tutela dei professionisti dalle clausole vessatorie.
4. L’Osservatorio è nominato con decreto del Ministro della giustizia e dura in carica tre anni.
5. Ai componenti dell’Osservatorio non spetta alcun compenso, gettone di presenza, rimborso di spese o altro
emolumento comunque denominato e a qualsiasi titolo dovuto.
6. L’Osservatorio presenta alle Camere, entro il 30 settembre di ogni anno, una relazione sulla propria attività di vigilanza.
[26] Si tratta della L. R. Lazio 12 aprile 2019, n. 6, recante “disposizioni in materia di equo compenso e di tutela delle prestazioni professionali” pubblicata in BUR n. 31 del 16 aprile 2019.
[27] DECRETO-LEGGE 4 luglio 2006, n. 223, recante “Disposizioni urgenti per il rilancio economico e sociale, per il contenimento e la razionalizzazione della spesa pubblica, nonché’ interventi in materia di entrate e di contrasto all’evasione fiscale”: cfr. art. 2 “Disposizioni urgenti per la tutela della concorrenza nel settore dei servizi professionali”.
[28] DECRETO-LEGGE 24 gennaio 2012, n. 1, recante “Disposizioni urgenti per la concorrenza, lo sviluppo delle infrastrutture e la competitività”: cfr. Art. 9 (Disposizioni sulle professioni regolamentate): 1. Sono abrogate le tariffe delle professioni regolamentate nel sistema ordinistico.
[29] DECRETO 10 marzo 2014, n. 55, recante il “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247”.
[30] DECRETO 13 agosto 2022, n. 147, recante il “Regolamento recante modifiche al decreto 10 marzo 2014, n. 55, concernente la determinazione dei parametri per la liquidazione dei compensi per la professione forense, ai sensi dell’articolo 13, comma 6, della legge 31 dicembre 2012, n. 247”
[31] DECRETO 20 luglio 2012, n. 140 , recante il “Regolamento recante la determinazione dei parametri per la liquidazione da parte di un organo giurisdizionale dei compensi per le professioni regolarmente vigilate dal Ministero della giustizia, ai sensi dell’articolo 9 del decreto-legge 24 gennaio 2012, n. 1, convertito, con modificazioni, dalla legge 24 marzo 2012, n. 27”.
[32] Cfr. anche Cass. Civ. sez. lav. 27 settembre 2010, n. 20269 che ha esteso la rivalutazione monetaria automatica dei crediti di lavoro anche ai professionisti “convenzionati”.
[33] LEGGE 22 maggio 2017, n. 81, recante “Misure per la tutela del lavoro autonomo non imprenditoriale e misure volte a favorire l’articolazione flessibile nei tempi e nei luoghi del lavoro subordinato”.
[34] L’articolo 13 bis è stato inserito dall’ art. 19-quaterdecies, comma 1, D.L. 16 ottobre 2017, n. 148, convertito, con modificazioni, dalla L. 4 dicembre 2017, n. 172.
L’estensione dell’applicabilità delle previsioni dell’art. 13 anche ad altri casi è stata prevista dall’ art. 19-quaterdecies, commi 2 e 4-bis del medesimo D.L. n. 148/2017, come modificato dall’ art. 1, comma 488, L. 27 dicembre 2017, n. 205.
[35] Nel nostro ordinamento, peraltro, si ricordano altri strumenti per la protezione del contraente debole come, per esempio, gli artt. 1341 e 1342 c.c. in materia di clausole vessatorie e l’art. 36 del codice del consumo.
[36] In tale decisione il Consiglio di Stato ribadisce il principio secondo il quale “la normativa sull’equo compenso sta a significare soltanto che, laddove il compenso sia previsto, lo stesso debba necessariamente essere equo, mentre non può ricavarsi dalla disposizione (l’ulteriore e assai diverso corollario) che lo stesso debba essere sempre previsto. Pertanto, la disciplina… ha completato e colmato quello scarto negativo che, nel tempo e a causa di svariati fattori, ha provocato nel settore delle libere professioni una deminutio di tutela per coloro che prestano attività professionale al di fuori degli schemi tipici del rapporto dipendente e della tutela costituzionale salariale e retributiva”.
[37] Cfr. Marcello Clarich e Giuliano Fonderico, Equo compenso: luci ed ombre di una novella contro gli squilibri, in Guida al diritto n. 19 del 20.5.2023.
[38] Cfr. Art. 11, recante le “Disposizioni transitorie”: 1. Le disposizioni della presente legge non si applicano alle convenzioni in corso, sottoscritte prima della data di entrata in vigore della medesima legge.
[39] Cfr. art. 12 L. 49/2023.
[40] DECRETO LEGISLATIVO 31 marzo 2023, n. 36, recante il Codice dei contratti pubblici in attuazione dell’articolo 1 della legge 21 giugno 2022, n. 78, recante delega al Governo in materia di contratti pubblici in 77 del 31.3.2023 ed in vigore dal 1.4.2023.
[41] Articolo 8. Principio di autonomia contrattuale. Divieto di prestazioni d’opera intellettuale a titolo gratuito.
1. Nel perseguire le proprie finalità istituzionali le pubbliche amministrazioni sono dotate di autonomia contrattuale e possono concludere qualsiasi contratto, anche gratuito, salvi i divieti espressamente previsti dal codice e da altre disposizioni di legge.
2. Le prestazioni d’opera intellettuale non possono essere rese dai professionisti gratuitamente, salvo che in casi eccezionali e previa adeguata motivazione. Salvo i predetti casi eccezionali, la pubblica amministrazione garantisce comunque l’applicazione del principio dell’equo compenso.
3. Le pubbliche amministrazioni possono ricevere per donazione beni o prestazioni rispondenti all’interesse pubblico senza obbligo di gara. Restano ferme le disposizioni del codice civile in materia di forma, revocazione e azione di riduzione delle donazioni.
[42] Con la previgente disciplina del 2017 il Consiglio di Stato aveva ritenuto che “nei rapporti con la P.A. il principio dell’equo compenso… non è finalizzato a proteggere l’avvocato quale parte debole del rapporto, ma è preordinato ancora prima a garantire l’interesse pubblico ad acquisire servizi di qualità in luogo di una difesa purchessia”, salvo poi osservare che “l’interesse ad assumere incarichi per l’Amministrazione da parte dei professionisti più qualificati dipenda largamente anche dall’adeguatezza del corrispettivo offerto e dal rispetto della dignità professionale della classe forense”.
[43] Cfr. TAR Campania, sez. Prima, sentenza n. 1114/2022 e TAR Campania, sez. Sesta, sentenza n. 7037/2022.