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La configurabilità del delitto di «atti persecutori» nel caso di condotte eteroaggressive poste in essere dalla persona offesa nei confronti dello stalker.

MASSIMA: In tema di stalking, quand’anche la persona offesa attui anch’essa condotte eteroaggressive nei confronti dello stalker, ciò non legittima sic et simpliciter l’esclusione del reato, ma impone solo un più accurato onere di motivazione in capo al giudice di merito (nel caso di specie, la S.C. ha ritenuto adeguatamente motivata la pronuncia della Corte d’Appello di Catania, la quale, pur prendendo atto dell’esistenza di aspri contrasti reciproci di origine condominiale, ha confermato la condanna inflitta in primo grado nei confronti di uno degli imputati per il delitto di cui all’art. 612-bis c.p. avendo logicamente neutralizzato la rilevanza, a discarico, delle asserite condotte delle persone offese, dopo averle poste a raffronto con i comportamenti violenti e prevaricatori attribuiti all’imputato, di tale rilevanza da determinare nelle persone offese la modifica delle proprie abitudini di vita; ciò anche in ragione del ritenuto difetto probatorio di analoghe condotte a parti invertite, atteso che il materiale prodotto in giudizio dalla difesa a sostegno dell’asserita reciprocità delle condotte offensive era costituito da mere denunzie querele e certificati medici, in assenza di deduzioni difensive in merito al fatto che detto materiale fosse stato vagliato in sede giudiziaria come dimostrativo di uno stalking a parti invertite).

 

SOMMARIO: 1. Premessa. – 1.1. Osservazioni introduttive: ratio legis e breve excursus normativo. – 2. Il delitto di «atti persecutori» nei suoi elementi essenziali. – 3. La vicenda processuale all’esame della Corte di Cassazione. – 4. Considerazioni conclusive.

 

  1. Premessa

Con la sentenza che si offre all’attenzione del lettore la Corte di Cassazione torna ad occuparsi del delitto di atti persecutori (art. 612-bis c.p.), meglio noto come stalking[1], e segnatamente della configurabilità (rectius possibilità di escludere) di detto delitto nel caso di reciprocità tra le condotte offensive poste in essere dall’imputato e dalle persone offese; più precisamente, della configurabilità del reato in parola nel caso in cui le persone offese attuino anch’esse condotte eteroaggressive nei confronti dello stalker.

  • Osservazioni introduttive: ratio legis e breve excursus normativo

Per completezza espositiva, giova precisare che il delitto di «atti persecutori» è stato introdotto nel nostro codice penale con il d.l. 23.2.2009, n. 11, convertito in legge, con modificazioni, dall’art. 1, l. 23.4.2009, n. 38, al fine di fornire una risposta sanzionatoria autonoma ad un fenomeno in costante crescita anche nella realtà sociale italiana[2]; scelta legislativa, questa, che, pur  “ponendosi in scia” ad una tendenza che era già emersa in altri Stati europei ed extraeuropei, anche in ragione degli obblighi convenzionali sorti per gli Stati in forza di strumenti internazionali[3], ha destato perplessità in parte della dottrina, soprattutto sotto il profilo della tenuta della disciplina introdotta rispetto al principio di tassatività[4].

In realtà, a parere dello scrivente, per comprendere l’adeguatezza della scelta legislativa basti considerare che, nel nostro Paese, antecedentemente alla novella del 2009, le ipotesi di stalking erano punite, con le oggettive difficoltà che si incontravano nel fronteggiare in tal modo tale consistente fenomeno[5], attraverso differenti fattispecie, tipizzate all’interno del codice penale, quali la molestia, l’ingiuria, la violenza privata, le lesioni, purché presentassero gli elementi tipici di tali fattispecie di reato[6].

Detta risposta sanzionatoria, però, frequentemente si era rivelata inadeguata a “combattere” il fenomeno dello stalking e la sua reale essenza criminologica; fenomeno, questo, che spesso corrisponde ad una vera e propria escalation persecutoria, partendo da episodi piuttosto innocui per giungere ad episodi ben più pericolosi per la vittima; lo stalker, infatti, comincia a perseguitare quello che per lui è un oggetto ossessivo di desiderio, insinuandosi ripetutamente nella vita privata della vittima per poi giungere alla commissione di atti di violenza e, addirittura, se pur raramente, di brutali omicidi[7].

Il legislatore Italiano, per contrastare adeguatamente la descritta escalation criminale, ha peraltro ritenuto opportuno far ricorso ai cosiddetti “microsistemi di tutela integrata”, ovvero a una normativa che non si limiti all’approccio endo-penalistico, ma preveda disposizioni di vario genere in grado di “colpire” da diverse angolazioni il descritto fenomeno[8]: come noto, infatti, con la novella del 2009, è stato introdotto, nel nostro ordinamento, il c.d. “ammonimento” del questore; provvedimento amministrativo, questo, che si pone, logicamente e cronologicamente, in una fase antecedente alla presentazione della querela e che si concretizza nell’invito, rivolto dal questore al  destinatario, “a tenere una condotta conforme alla legge[9].

Per concludere questo breve excursus, si osserva che l’originario dettato dell’art. 612-bis c.p. è poi stato modificato dall’art. 1-bis, comma 1, d.l. 1.7.2013, n. 78, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, l. 9.8.2013, n. 94, che ha elevato a cinque anni di reclusione il massimo della pena edittale, originariamente prevista in quattro anni; successivamente, dall’art. 1, comma 3, d.l. 14.8.2013, n. 93, convertito, con modificazioni, dall’art. 1, comma 1, l. 15.10.2013, n. 119, che ha modificato l’aggravante di cui al secondo comma della norma in parola, stabilendo che l’aumento di pena consegua anche nel caso in cui il fatto sia commesso attraverso strumenti informatici e telematici, e chiarendo che l’aggravante sussiste anche nel caso in cui il fatto sia commesso da persona attualmente legata da relazione affettiva con la persona offesa, ed ha altresì modificato il quarto comma della medesima norma, che disciplina la procedibilità del reato. L’art. 612-bis c.p. è, da ultimo, stato modificato con l’art. 9, comma 3, l. 19.7.2019 n. 69, che ha elevato ad un anno di reclusione il minimo della pena edittale, originariamente prevista in sei mesi, e a sei anni di reclusione il massimo della stessa.

  1. La struttura del delitto di «atti persecutori» nei suoi elementi essenziali

Per inquadrare meglio la questione che ci occupa, appare opportuno evidenziare che la struttura oggettiva del delitto de quo, in quanto reato abituale[10], è incentrata sulla reiterazione di condotte[11], alternative tra loro[12], di minaccia[13] o di molestia[14] e sulla previsione di correlati effetti psichici nella vittima, che debbono concretarsi in eventi alternativi tipici[15]. La realizzazione, in tal modo, di uno, o più, degli eventi tipizzati è, in altre parole, idonea ad integrare il delitto di atti persecutori: deve trattarsi di un comportamento reiteratamente minaccioso o, comunque, molesto dell’agente dal quale derivi per il destinatario della molestia o minaccia (reiterata), quale evento dannoso, un perdurante e grave stato di ansia o di paura[16], oppure un fondato timore dello stesso per l’incolumità propria o di soggetti a lui “vicini” («prossimo congiunto o persona al medesimo legata da relazione affettiva»), oppure, ancora, il mutamento delle proprie abitudini di vita[17]. Sotto il profilo dell’elemento soggettivo è richiesto il dolo generico, il quale è integrato dalla volontà di porre in essere le condotte di minaccia e/o molestia nella consapevolezza dell’idoneità della medesime a produrre almeno uno degli eventi previsti dalla norma incriminatrice[18].

La strutturazione, in detti termini, della fattispecie astratta è conseguenza dell’osservazione, in concreto, del fenomeno criminologico dello stalking, caratterizzato proprio da condotte persecutorie, nei termini meglio precisati al precedente paragrafo, che, come detto, genericamente, causano nella vittima grave disagio psichico o fisico[19], con conseguente violazione anche della sua libertà morale[20].

Ciò posto, si precisa che non ogni singola condotta, di quelle reiterate, deve di per sé cagionare uno, o più, degli eventi tipizzati, ma esso/i, viceversa, deve/devono essere frutto dell’insieme delle singole condotte poste in essere dal reo[21]. Tra le condotte tipiche e gli eventi tipizzati è richiesto, quindi, il nesso causale; ciò lo si ricava anche dal fatto che il legislatore per esprimere la connessione tra le prime e i secondi utilizza la locuzione “in modo da”. Come ripetutamente sottolineato dalla giurisprudenza di legittimità, infatti, non è sufficiente il verificarsi di uno degli eventi previsti dalla norma penale, né basta l’astratta idoneità della condotta a cagionarlo, occorrendo invece dimostrare il nesso causale tra la condotta posta in essere dall’agente e i turbamenti derivati alla vittima[22].

  1. La vicenda processuale all’esame della Corte di Cassazione

Con la sentenza in esame la Corte di Cassazione ha ritenuto esente da vizi la pronuncia della Corte d’Appello di Catania – a sua volta confermativa della sentenza di condanna emessa dal Giudice di prime cure – nella parte in cui aveva condannato uno degli imputati (I.L.), oltreché per i reati di cui agli artt. 582 e 585 c.p., per il delitto di «atti persecutori», pur avendo preso atto dell’esistenza di aspri contrasti reciproci, di origine condominiale, tra gli imputati e le persone offese.

Segnatamente, a detta della S.C., la Corte territoriale aveva logicamente neutralizzato la rilevanza, a discarico, delle condotte eteroaggressive poste in essere dalle persone offese nei confronti dell’imputato, dopo averle poste a raffronto con i comportamenti violenti e prevaricatori attribuiti al secondo, di tale rilevanza da determinare nelle prime la modifica di alcune delle proprie abitudini di vita (necessità di uscire in due e, per una delle p.o. minore di età, di farsi accompagnare sull’uscio di casa da amici) e, addirittura, la scelta di lasciare la propria abitazione e di trasferirsi altrove, anche se per un certo periodo di tempo.

Tra i vari motivi di ricorso proposti, con unico atto, nell’interesse di tutti gli imputati (anche di I.G. e di P.A., non condannati per il delitto di cui all’art. 612-bis c.p.) lo scrivente desidera soffermarsi, in questa sede, esclusivamente su quello attinente all’asserito vizio di omessa motivazione quanto alla conferma del giudizio di penale responsabilità di I.L. in ordine al reato di «atti persecutori».

Secondo il ricorrente, come già dal medesimo denunziato nel grado di appello rispetto alla sentenza di primo grado, vi sarebbe stata carenza di motivazione in ordine all’evento del reato, in ragione della reciprocità degli scontri con le persone offese, come si sarebbe dovuto evincere dai certificati medici prodotti in primo grado, a riprova delle lesioni patite da I.L., e dalle querele da quest’ultimo sporte. Sostiene il ricorrente che tale situazione avrebbe dovuto smentire l’ipotesi accusatoria, perché in tanto si può parlare di stalking in quanto vi sia uno sbilanciamento tra le parti. Conclude la difesa affermando che la Corte territoriale avrebbe “liquidato” detta censura semplicemente affermando la sussistenza delle aggressioni subite dalle p.o.

La S.C. – dopo aver precisato che il ricorrente fonda la propria tesi sul presupposto esegetico dell’impossibilità di configurare il reato di stalking in caso di reciprocità delle condotte, che non è quello recepito dalla giurisprudenza della Corte stessa, “quantomeno nei termini tranchant con i quali si esprime il ricorrente” – ha ritenuto manifestamente infondato il motivo di ricorso in parola, affidando la propria decisione alle motivazioni di seguito esposte. In primo luogo, ha ritenuto sussistente il difetto “di mancata dimostrazione processuale” della sussistenza di condotte persecutorie a parti invertite, che “costituisce il presupposto in fatto su cui ragionare”; in particolare, il Supremo Collegio ha segnalato che la difesa, pur avendo prodotto in giudizio documentazione (denunzie querele e certificati medici) a sostegno della tesi dell’asserita reciprocità delle condotte di molestia e/o minaccia, ha omesso di dedurre che detto materiale fosse “stato vagliato in sede giudiziaria come dimostrativo di uno stalking a parti invertite”. La Cassazione ha, poi, ritenuto esente dal dedotto vizio di motivazione la sentenza della Corte d’Appello di Catania – la quale aveva “preso atto dell’esistenza di contrasti reciproci di natura condominiale”, ma ne aveva “neutralizzato la rilevanza a discarico” per tutti i motivi già evidenziati – ed ha, al contempo, richiamando alcuni suoi precedenti (Sez. III, n. 45648 del 23.5.2014 e Sez. V, n. 17698 del 5.2.2010), ribadito il principio secondo cui “quand’anche le persone offese attuino anch’esse condotte eteroaggressive nei confronti dell’imputato, ciò non legittima sic et simpliciter l’esclusione del reato, ma impone solo un più accurato onere di motivazione in capo al giudice di merito[23].

  1. Considerazioni conclusive

Partendo dall’affermato principio di diritto, il tema che in questa sede si vuole approfondire è quello della configurabilità, o meno, del delitto di stalking in caso di reciprocità delle condotte offensive, volutamente tralasciando quello processuale inerente l’onere per la difesa di provare in giudizio l’effettiva sussistenza di condotte persecutorie “a parti invertite”, pure affrontato nella sentenza annotata.

Per meglio esporre le argomentazioni che seguono, occorre prendere le mosse dalla sentenza Marchino del 2010 con la quale la S.C., anche se nell’ambito di un giudizio cautelare, aveva affermato il principio, richiamato dalla pronuncia che qui si annota, secondo cui “la reciprocità dei comportamenti molesti non esclude la configurabilità del delitto di atti persecutori, incombendo, in tale ipotesi, sul Giudice un più accurato onere di motivazione in ordine alla sussistenza dell’evento di danno, ossia dello stato di ansia o di paura della persona offesa, del suo effettivo timore per l’incolumità propria o di persona ad essa vicina o della necessità del mutamento delle abitudini di vita[24].

Alla base del principio ivi affermato milita la considerazione, meglio esposta nel precedente par. 2, che la fattispecie delittuosa di cui si discute si configura come reato di evento. Secondo la S.C., infatti, “il reato di stalking (…) costituisce un reato di evento e di danno; l’evento, in relazione ai connotati tipici del delitto in esame, è di tipo psichico e consiste nel turbamento dell’equilibrio mentale di una persona le cui conseguenze sono costituite (…): a) nel grave e perdurante stato di ansia e paura cagionato alla persona offesa; b) nel timore di danni a sé stessa o a persona vicina; c) nel cambiamento delle proprie abitudini di vita[25]. La realizzazione di uno di detti eventi alternativi, in forza di un comportamento reiteratamente minaccioso e/o molesto del soggetto attivo, è idonea, in altre parole, ad integrare il reato.

Anche nel rispetto del principio affermato dalla S.C. nel 2010, il Giudice di merito deve effettuare un’approfondita analisi volta ad accertare in quali termini tali condotte “persecutorie” vengano poste in essere ed in quale contesto le stesse originino e si sviluppino; in altre parole, il Giudice è sempre chiamato ad effettuare uno sforzo di contestualizzazione del fatto, con particolare attenzione anche alla sua idoneità lesiva rispetto agli interessi tutelati dalla norma incriminatrice de qua[26], che però deve essere maggiore nel caso di reciprocità delle condotte offensive.

Nel caso di minacce e/o di molestie maturate in un ambito di litigiosità che evoca una posizione di sostanziale parità tra i soggetti, non potrà tendenzialmente parlarsi di condotta persecutoria nei termini richiesti dalla fattispecie astratta, la quale si riferisce invece ad una posizione sbilanciata della vittima rispetto all’autore dei comportamenti intimidatori o vessatori[27].

L’affermazione di detto assunto, però, non sta a significare che il concetto di atti persecutori, nei termini evocati dall’art. 612-bis c.p., presupponga una vittima alla mercé del suo stalker. In altre parole, la reazione della vittima non comporta l’automatica assenza dell’evento richiesto dalla norma incriminatrice, non potendosi accettare l’idea di una vittima inerme dinanzi al suo molestatore, impossibilitata ed incapace di reagire; appare legittimo ipotizzare, invece, che una situazione di stress o ansia possa generare reazioni incontrollate della vittima nei riguardi del proprio aggressore.

Con ciò, però, non si vuole affermare la legittimità di condotte ritorsive della vittima nei confronti dello stalker; condotte di tal genere, infatti, in linea generale, non sono ammesse nel nostro ordinamento, anche in ragione del fatto che, nel caso delle ritorsioni, non può trovare applicazione l’esimente di cui all’art. 52 c.p. mancando il requisito dell’attualità del pericolo.

In buona sostanza, nel caso di reciprocità degli atti minacciosi e/o molesti, ciò che rileva ai fini della non configurabilità del delitto in parola non è la reciprocità in sé di dette condotte offensive, che non è idonea, in quanto tale, ad escludere in radice la rilevanza penale delle condotte come persecutorie; il delitto in parola, infatti, potrà ritenersi non integrato nel solo caso di effettiva parità psicologica tra i contendenti, con conseguente mancanza della tipicità del fatto per assenza dell’evento del reato.

Diversamente, dovrà ritenersi integrato il delitto di «atti persecutori» qualora venga accertata, all’esito di tale giudizio, un’ingiustificata predominanza di uno di uno dei due contendenti rispetto all’altro, tale da consentire di qualificare le condotte del “prevaricatore” come atti di natura persecutoria e quelle della vittima come esplicazioni di un mero meccanismo di difesa volto a sopraffare la paura e/o lo stress[28].

Ciò posto, sia consentito precisare che, per ovvi motivi, nel presente lavoro non sarà possibile approfondire il complesso tema dell’accertamento, in concreto, della sussistenza, o meno, del suddetto stato di parità psicologica tra presunta p.o. e presunto stalker. Con prudenza, ci si limita a suggerire che criteri utili a tale accertamento potrebbero risultare quello dell’iniziativa criminosa (che, più correttamente, potrebbe rappresentare un mero indizio) o quello che fa riferimento al c.d. metus ovvero, ancora, quello, per così dire “correttivo” di quest’ultimo, che può essere espresso con il brocardo latino certat de damno vitando (cerca di evitare un danno); criteri, questi, già utilizzati, anche se non con poche difficoltà, per la distinzione tra il delitto di «concussione» e quello di «corruzione».

In definitiva, a parere dello scrivente, l’orientamento assunto dalla S.C. è da ritenersi genericamente corretto poiché rispettoso dei tratti caratterizzanti il fenomeno dello stalking in cui, come in precedenza evidenziato, la vittima è tendenzialmente costretta ad una posizione difensiva rispetto alle condotte, più o meno, invasive dello stalker; il fenomeno criminologico in parola, infatti, è caratterizzato da una sorta di atteggiamento predatorio dello stalker, il quale con condotte reiterate espone la vittima a forti pressioni psicologiche, con conseguenze nella sua vita emotiva e pratica.

Peraltro, avendo il legislatore, nella fattispecie di cui all’art. 612-bis c.p., ulteriormente connotato, nei termini già evidenziati, le condotte di minaccia e molestia, già contemplate agli artt. 612 e 660 c.p.[29], in modo da rendere la fattispecie astratta in parola maggiormente idonea a fornire una risposta sanzionatoria al fenomeno dello stalking, ed avendo, poi, la S.C. affermato i principi innanzi evidenziati, si assiste, nel caso di reciprocità delle condotte offensive, ad una sostanziale coincidenza tra law in the books e law in action.

In conclusione, appare corretto ritenere che il Giudice di merito debba valutare, con attenzione ed oculatezza, maggiore nel caso in cui la fattispecie concreta sia caratterizzata dalla reciprocità delle condotte offensive, tutti gli elementi del caso concreto, offerti alla sua cognizione, al fine di sceverare il comportamento effettivamente persecutorio (idoneo ad integrare il delitto in parola) da quello originatosi in un contesto di litigiosità e nell’ambito di un rapporto che risulti aggressivo, sia pure con modalità extra ordinem, ma in maniera biunivoca. Con ciò, però, come già evidenziato, non si vuole intendere che la reciprocità dei comportamenti molesti e/o minacciosi debba ritenersi di per sé idonea ad escludere la configurabilità del delitto de quo.

Si ribadisce, infatti, che nel caso in cui, pur prendendo atto della sussistenza di reciproche condotte offensive, il Giudice ritenga sussistente uno stato di soggezione psicologica della vittima rispetto all’aggressore, ben potrà condannare il secondo per il delitto di atti persecutori, avendo cura però di motivare più accuratamente in ordine al modo in cui si sia configurato in concreto, quale conseguenza del comportamento dello stalker, uno, o più, degli eventi alternativi tipici. Qualora, invece, all’esito dell’esame della fattispecie concreta sottoposta alla cognizione del Giudice di merito, lo stesso accerti una posizione di parità tra il presunto stalker e la presunta p.o., appare corretto affermare che difficilmente potrà rilevare la sussistenza del primo degli eventi tipizzati («perdurante e grave stato di ansia o di paura») e, quindi, nel caso di assenza degli ulteriori eventi alternativi tipici (fondato timore, nella p.o., di danni a sé stessa o a persona vicina, ovvero cambiamento delle di lei abitudini di vita), il delitto di «atti persecutori» dovrà ritenersi non configurabile (ferma restando la configurabilità di altri reati, quali il delitto di «minaccia» o la contravvenzione di «molestia o disturbo alle persone», in presenza dei rispettivi elementi tipici). Non si può, però, escludere in radice che, dall’osservazione del caso concreto, pur emergendo uno stato di sostanziale parità psicologica tra presunto stalker e presunta persona offesa, si rilevi la sussistenza di tutti gli elementi del delitto di «atti persecutori»: si pensi al caso di scuola in cui reciproche condotte reiterate di molestia e/o minaccia costringano, sia la presunta p.o che il presunto stalker, a cambiare le proprie abitudini di vita.

 

[1] CADOPPI, Con norme sul recupero del molestatore più completa la disciplina anti-stalking, in GDir, 2008, 30, 11; CADOPPI, Atti persecutori: una normativa necessaria, in GDir, 2009, 19, 49; FIANDACA, MUSCO, Diritto Penale, Parte speciale., II, I, I delitti contro la persona, 2a ed, Addenda: Misure urgenti in materia di sicurezza pubblica e di contrasto alla violenza sessuale, nonché in tema di atti persecutori (c.d. stalking): d.l. 23 febbraio 2009, n. 11, conv. in l. 23 aprile 2009, n. 38, Zanichelli, 2009, 3.

[2] Si consideri che, secondo i dati dell’Osservatorio nazionale, antecedentemente all’introduzione della fattispecie in parola, nell’intervallo temporale compreso tra il 2002 ed il 2007, almeno il 20% degli italiani sono stati vittima di stalking; sul tema Sbabo, sub art. 612 bis, in RONCO, ARDIZZONE, ROMANO (a cura di), Codice penale ipertestuale, UTET, 2009, 2794.

[3] Cfr. art. 34 della Convenzione del Consiglio d’Europa sulla prevenzione e la lotta contro la violenza nei confronti delle donne e la violenza domestica fatta a Istanbul l’11 maggio 2011, ratificata e resa esecutiva in Italia con gli artt. 1 e 2 della l. 27.6.2013 n. 77.

[4] Si v. MANNA, Il nuovo delitto di «Atti persecutori» e la sua conformità ai principi costituzionali in materia penale, in VINCIGUERRA, DASSANO (a cura di), Scritti in memoria di Giuliano Marini, Esi, 2010, 481; in senso differente si v. CADOPPI, Efficace la misura dell’ammonimento del questore, in GDir, 2009, 19, 53; CADOPPI, Stile legislativo di common law e continentale a confronto: l’esempio dello stalking, in VINCIGUERRA, DASSANO (a cura di), Scritti in memoria di Giuliano Marini, Esi, 2010, 118. In giurisprudenza, C. cost., 11.6.2014 n. 172.

[5] Sul tema si v. CADOPPI, Con norme sul recupero cit., 11 s.; Cadoppi, Atti persecutori cit., 49; Manna, Op. cit., 470; Pittaro, La disciplina penale dello stalking, in Bellantoni, Vigoni (a cura di), Studi in onore di Mario Pisani, CELT, 2010, 502 s.

[6] Bastianello, Il reato di stalking ex art. 612 bis c.p., in GM, 2012, 673 s.

[7] CADOPPI, Stalking: solo un approccio multidisciplinare assicura un’efficace azione di contrasto, in GDir, 2007, 7, 10; CADOPPI, Con norme sul recupero cit., 12.

[8] MAUGERI, Lo stalking tra necessità politico-criminale e promozione mediatica, Giappichelli, 2010, 230; CADOPPI, Efficace la misura dell’ammonimento cit., 53; CADOPPI, Con norme sul recupero cit , 12.

[9] PARODI, Stalking e tutela penale, Le novità introdotte nel sistema giuridico dalla l. 38/2009, Giuffrè, 2009, 104; MARANDOLA, I profili processuali delle nuove norme in materia di sicurezza pubblica, di contrasto alla violenza sessuale e stalking, in DPP, 2009, 8, 965; PEZZANI, art. 8, d.l. 23 febbraio 2009, n. 11 – Ammonimento, in Legisl. pen., 2009, 3, 494.

[10] Cadoppi, Efficace la misura dell’ammonimento cit., 52; Pittaro, La disciplina penale dello stalking, in Bellantoni, Vigoni (a cura di), Studi in onore di Mario Pisani cit., 505; Maugeri, Op. cit., 106; Peccioli, Stalking: bilancio di un anno dall’entrata in vigore, in DPP, 2010, 4, 399; MATTHEUDAKIS, Lo stalking e gli altri delitti contro la libertà morale, in CADOPPI, VENEZIANI, Elementi di diritto penale, Parte speciale, II, I reati contro la persona, I, CEDAM, 2014, 225.

[11] In giurisprudenza si è consolidata l’opinione per cui sarebbero sufficienti anche solo due condotte dal carattere minaccioso o molesto (ex plurimis, Cass. pen., Sez. V, 12.1.2010, n. 6417).

[12] MATTHEUDAKIS, Sub art. 612-bis c.p., in CADOPPI, CANESTRARI, VENEZIANI (a cura di), Codice penale, Commentato con dottrina e giurisprudenza, Giappichelli, 2018, 2613.

[13] Per “minaccia” deve intendersi la prospettazione ad altri di un male futuro ed ingiusto, la cui verificazione dipendente dalla volontà dell’agente (GATTA, La minaccia. Contributo allo studio delle modalità della condotta penalmente rilevante, Aracne, 2013, 149 ss.; in giurisprudenza si v. Cass. pen., Sez. V, 12.5.2010, n. 21601).

[14] La “molestia” viene identificata nell’intrusione non violenta nella sfera psichica altrui, che comunque determina un condizionamento della tranquillità e della libertà morale della vittima (FLICK, Molestia o disturbo alle persone, in Enc. dir., XXVI, Giuffrè, 1976, 698 ss.; in giurisprudenza si veda Cass. pen., Sez. V, 27.9.2007, n. 40748; Cass. pen., Sez. I, 24.3.2005, n. 19718). A migliore chiarimento di quanto già evidenziato, è necessario precisare che le nozioni di molestia e di minaccia elaborate, in dottrina e giurisprudenza, con riferimento a fattispecie di reato diverse e precedenti rispetto a quella di cui all’art. 612-bis c.p., potrebbero non combaciare con quelle valide nell’ambito della fattispecie in parola; per tali motivi è opportuno uno sforzo di contestualizzazione del fatto, con particolare attenzione alla sua idoneità lesiva rispetto agli interessi tutelati dalla norma de qua (Cadoppi, Efficace la misura dell’ammonimento cit., 52; FIANDACA, MUSCO, Diritto penale, Parte speciale, II, I, IV ed., Zanichelli, 2013, 229).

[15] Sul tema v. LOSAPPIO, Vincoli di realtà e vizi del tipo del nuovo delitto di “Atti persecutori”. “Stalking the Stalking”, in DPP, 2010, 878; BRICCHETTI, PISTORELLI, Entra nel codice la molestia reiterata, in GDir, 2009, 10, 60. Secondo parte minoritaria della dottrina la formula «in modo da», contenuta nel dettato dell’art. 612-bis c.p., assumerebbe il valore di una clausola di mera idoneità delle azioni, rendendo superfluo ogni accertamento sulla sussistenza di eventuali conseguenze per la vittima (MAUGERI, Op. cit., 130 ss e 153 ss.). Autorevole dottrina, infine, pur non mettendo in dubbio la necessità della loro effettiva sussistenza, ritiene che gli eventi di cui si parla siano condizioni obiettive di punibilità (MANTOVANI, Diritto penale, Parte speciale, I, 6a ed., CEDAM, 2016, 361 s.).

[16] Al riguardo del concetto di «perdurante e grave stato d’ansia o di paura», ci si limita a precisare che la dottrina e la giurisprudenza prevalenti considerano non necessario il riscontro di uno stato patologico, ritenendo più corretto un approccio non specialistico, teso ad accertare detto stato coi mezzi del senso comune (si v. Cass. pen., Sez. V, 17.2.2017 n. 18646; in dottrina VALSECCHI, Il delitto di “atti persecutori” (il c.d. stalking), in RIDPP, 2009, 1389 s.).

[17] Cass. pen., Sez. III, 14.11.2013, n. 45648.

[18] Cass. pen., Sez. V, 27.11.2012, n. 20993.

[19] PADOVANI, Violenza in famiglia: pene severe e nuovi reati disegnano una tutela ancora da perfezionare, in GDir., 5, 2007, 10.

[20] Secondo la dottrina più condivisibile si tratta di un reato plurioffensivo: il bene giuridico tutelato va oltre la libertà morale e si estende anche alla tranquillità psicologica o, quantomeno, ad una pace giuridica individuale, intesa come libertà da ansie o timori eccessivi (si v.MATTHEUDAKIS, Lo stalking cit., 225).

[21] PITTARO, Op. cit., 506.

[22] Cass. pen., Sez. V, 5.6.2013, n. 46331.

[23] Cass. pen., Sez. V, 23.1.2020, n. 2726.

[24] Cass. pen., Sez. V, 5.2.2010 n. 17698.

[25] Cass. pen., Sez. III, 14.11.2013 n. 45648.

[26] Cadoppi, Efficace la misura dell’ammonimento cit., 52; FIANDACA, MUSCO, Diritto penale, Parte speciale cit., 2013, 229.

[27] Cass. pen., Sez III, 14.11.2013, n. 45648.

[28] Cass. pen., Sez III, 14.11.2013, n. 45648.

[29] Sul tema si v. C. cost., 11.6.2014, n. 172.

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