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LA DOCUMENTAZIONE DEGLI ATTI INVESTIGATIVI DEL DIFENSORE DOPO LA RIFORMA CARTABIA.

Sommario: 1. – Premessa. – 2. La funzione documentativa nell’ambito delle investigazioni difensive. – 3. Il nuovo art. 391-ter c.p.p.

Il tema delle modalità di documentazione degli atti investigativi del difensore ha costituito uno dei nodi problematici che, fin dai primi anni di vigenze del nuovo codice processuale, ha impegnato gli operatori del diritto e la scienza giuridica, nel tentativo di rimediare alle carenze della legislazione. La l. 7 dicembre 2000, n. 397 si è occupata della materia con particolare riferimento agli atti acquisitivi di dichiarazioni, secondo un modello che la riforma Cartabia tende ad irrigidire, sotto alcuni profili in maniera asimmetrica rispetto alla disciplina dei corrispondenti atti del pubblico ministero e della polizia giudiziaria.

The issue of how to document the defender’s investigative acts has been one of the problematic nodes that, since the first years of the new procedural code, has engaged legal operators and legal science, in an attempt to remedy the shortcomings of the legislation. The l. 7 December 2000, no. 397 has dealt with the matter with particular reference to the acquisition of declarations, according to a model that the Cartabia reform tends to stiffen, under some profiles in an asymmetrical manner with respect to the regulation of the corresponding acts of the public prosecutor and the judicial police.

  • Premessa.

E’ noto che uno dei limiti più significativi della disciplina delle investigazioni difensive contenuta nell’art. 38 disp. att. c.p.p. era costituito dalla mancanza di una qualsiasi regolamentazione dei mezzi di documentazione delle risultanze acquisite dal difensore ed il silenzio normativo aveva generato non poche incertezze e, in giurisprudenza, aveva concorso ad alimentare il dubbio circa la sussistenza stessa di una legittimazione difensiva a porre in essere atti acquisitivi – soprattutto, ma non soltanto – di elementi dichiarativi.

La legge 7 dicembre 2000, n. 397 non avrebbe potuto, ovviamente, non occuparsi della questione e, in relazione all’atto acquisitivo di elementi dichiarativi, ha previsto due distinte modalità documentative, diverse per struttura e requisiti formali e correlate a ciascuna delle possibili forme di contatto con la persona informata sui fatti.

Il codice, come interpolato dalla legge predetta, contempla tre diverse modalità di contatto tra gli organi dell’investigazione privata e le “persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa”: il colloquio, la ricezione di dichiarazioni e l’assunzione di informazioni.

Il colloquio informale è costruito dall’art. 391-bis, comma 1 c.p.p. come un atto finalizzato all’acquisizione di notizie e sostanziantesi nel “conferire con le persone in grado di riferire circostanze utili ai fini dell’attività investigativa”.

Il colloquio è stato concepito, dunque, come un’attività del tutto informale – al punto  che non è prescritto alcun obbligo di documentazione delle notizie riferite dalla persona intervistata, anche se ciò non esclude la possibilità che il soggetto procedente, successivamente al colloquio, preferisca riportare in appunti personali l’oggetto dell’informazione ed i dati essenziali, in modo da ricordarne l’autore e la rilevanza in vista delle valutazioni che determineranno l’indirizzo dell’attività successiva – e deritualizzata – secondo alcuni, infatti, il contatto potrebbe avvenire anche a prescindere da un incontro fisico, quindi anche a mezzo del telefono o mediante il ricorso ad altre vie telematiche di comunicazione – che non si pone in un rapporto di alternatività rispetto alla dichiarazione scritta o all’assunzione di informazioni, ma, al contrario, costituisce la premessa logica ed operativa di essi, dovendo servire, in altre parole, per valutare esistenza, portata e rilevanza del patrimonio cognitivo attribuito alla persona interpellata.

Ovvio che, qualora il contatto informale dovesse produrre, in conformità con quanto astrattamente ipotizzato in sede di predisposizione del programma investigativo difensivo, risultanze favorevoli alla posizione dell’assistito, il difensore ed il sostituto si attiveranno al fine di instaurare un successivo momento acquisitivo che, potendo assumere la forma dell’assunzione di informazioni ovvero della ricezione di una dichiarazione, sarà produttivo di elementi i quali, se ritualmente documentati secondo lo schema rigiro predisposto dal legislatore, saranno suscettibili di impiego nel prosieguo dell’iter procedimentale.

I due atti di natura formale, se sono equivalenti sotto il profilo della funzione, si distinguono sul piano dell’assetto strutturale poiché, mentre il primo è gestito dal soggetto procedente e si sviluppa secondo una dinamica che fa seguire alla domanda di questi una (pertinente) risposta da parte della persona intervistata, il secondo presenta una connotazione strettamente unilaterale dal momento che, posto dall’intervistante un determinato tema, il contenuto informativo dell’atto è interamente prodotto dal dichiarante, in assenza – si auspica – di qualsiasi interferenza esterna, ed assume veste procedimentale soltanto grazie all’intervento documentativo successivo del difensore.

La dichiarazione scritta costituisce, infatti, una dichiarazione di scienza proveniente dalla persona informata sui fatti, nella quale essa riferisce, in forma univoca ed unilaterale, le circostanze di cui è a conoscenza utili all’attività di indagine difensiva.

L’assunzione di informazioni, al contrario, vede nel difensore e nel sostituto gli indiscussi protagonisti dell’atto acquisitivo, trattandosi dei soggetti investigativi che, attraverso la formulazione delle domande, pongono sul tappeto i temi che costituiscono l’oggetto delle successive e correlate affermazioni probatorie, ossia degli elementi formativi del contenuto utilizzabile dell’atto.

  • La funzione documentativa nell’ambito delle investigazioni difensive.

Merita di essere sottolineato fin da subito che la legge sule investigazioni difensive ha affidato esclusivamente al difensore – ovvero, al suo sostituto – la funzione documentativa degli atti investigativi, seguendo una prospettiva diversa da quella costituita dall’etero-documentazione ad opera di soggetti esterni legalmente qualificati, quali, per esempio, i notai.

L’art. 391-ter c.p.p. – il quale, contenendo la disciplina della documentazione degli atti investigativi difensivi a contenuto dichiarativo, si pone come regola base del potere documentativo del difensore, del cui ruolo istituzionale di soggetto investigativo determina un ulteriore e qualificante arricchimento – prevede, innanzitutto, che la dichiarazione di cui all’art. 391-bis, comma 2 c.p.p., redatta e sottoscritta dal dichiarante, deve essere autenticata dal difensore o da un suo sostituto.

Mediante siffatto adempimento formale, dunque, l’investigante certifica la provenienza soggettiva del contributo conoscitivo assicurando la riconducibilità dell’atto dichiarativo al soggetto che vi appone la sottoscrizione senza, però, attestare la veridicità della dichiarazione ricevuta, ovvero, l’esattezza di essa sotto il profilo giuridico.

Il difensore deve, altresì, redigere una relazione nella quale sono riportati la data in cui ha ricevuto la dichiarazione, le proprie generalità e quelle della persona che l’ha rilasciata, l’attestazione di avere rivolto gli avvertimenti previsti dall’art. 391-bis, comma 3 c.p.p. e, infine, l’esposizione dei fatti sui quali verte la dichiarazione.

La dichiarazione è allegata alla relazione e costituisce, a tutti gli effetti, lo strumento documentativo dell’attività difensiva, l’atto mediante il quale, in altri termini, la risultanza dichiarativa precostituita dall’intervistato – l’unica, ovviamente, dotata di prospettive utilizzative come fonte informativa in ambito processuale, non essendo la relazione caratterizzata da autonoma efficacia probatoria – assume la veste formale di atto di investigazione difensiva e di questa tipologia acquisisce la valenza ed efficacia.

Nonostante il rapporto di stretta complementarietà esistente tra i due atti, sembra evidente che essi – dichiarazione e relazione – costituiscano il risultato di attività distinte sia per contenuto – a forma libera quello della prima, vincolato quello della seconda – che per provenienza e, pertanto, è necessario che essi mantengano un’autonomia anche fisica; caratteristica idonea, tra l’altro, a dimostrare l’autonoma predisposizione – nel senso dell’assoluta assenza di condizionamenti in funzione degli interessi e delle ragioni della difesa – della dichiarazione da parte della persona informata.

Le informazioni di cui all’art. 391-bis, comma 2 c.p.p. sono documentate dal difensore o da un suo sostituto, i quali possono avvalersi, per la materiale redazione del mezzo documentativo costituito dal verbale, di persone di loro fiducia che, è di tutta evidenza, svolgono una funzione materiale priva di qualsivoglia efficacia certificativa.

Mediante siffatta proposizione l’art. 391-ter, comma 3 c.p.p. individua nel verbale, dunque, lo strumento documentativo necessario ed indefettibile dell’atto acquisitivo di informazioni e nel difensore – ovvero, nel suo sostituto – gli unici soggetti titolari della correlata funzione documentativa.

La persona di fiducia è, come già detto, eventualmente incaricata di compiti di natura materiale ed esecutiva, probabilmente connessi alla necessità di disporre di specifiche competenze tecniche funzionali alla compiuta realizzazione dell’attività di documentazione mediante il ricorso a peculiari strumenti di riproduzione.

Per quel che concerne le modalità di documentazione dell’atto investigativo, la norma contiene un richiamo modulare – in quanto applicabili, precisa infatti – delle disposizioni contenute nel libro II, titolo III del codice processuale, richiamo il quale rischia di fuorviare il verbalizzante alla luce delle innovazioni introdotte dalla riforma Cartabia.

La tecnica di normazione utilizzata implicherebbe, infatti, che la documentazione dell’atto di assunzione di informazioni debba avvenire mediante uno strumento il quale, ai sensi dell’art. 134 c.p.p. e ferma rimanendo la necessità di predisposizione in forma di documento informatico ex art. 110 c.p.p., può assumere forma integrale o riassuntiva – la prima consiste nella riproduzione completa dell’esame, nel senso che vengono riportate letteralmente le domande rivolte e le risposte date, mentre mediante la verbalizzazione riassuntiva viene riprodotta nell’originaria genuina espressione la parte essenziale delle dichiarazioni, con la descrizione delle circostanze nelle quali sono rese se queste possono servire a valutarne la credibilità – e deve essere redatto, secondo quanto disposto dalla norma sopra richiamata come modificata dal d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, con la stenotipia o ricorrendo ad altro strumento ritenuto idoneo allo stato della scienza e della tecnica ovvero, in caso di impossibilità di ricorso a tali mezzi, utilizzando  la scrittura manuale.

Quando il verbale è redatto in forma riassuntiva, ovvero quando lo stesso verbale redatto in forma integrale è comunque ritenuto insufficiente, ad esso devono affiancarsi tecniche documentative ulteriori – fermo rimanendo che nemmeno il ricorso ad esse può mai avere funzione sostitutiva della verbalizzazione – quali la riproduzione fonografica o audiovisiva; modalità, soprattutto quest’ultima, considerata maggiormente garantita sul versante della genuinità e completezza della rappresentazione oggetto di incorporazione.

Inoltre, l’art. 134, comma 1 c.p.p. prescrive il ricorso a siffatte tecniche integrative in tutti i casi in cui la legge lo preveda, come avviene, appunto, in relazione all’atto di assunzione di informazioni difensive, anche se è sembrato ovvio già in passato che il ricorso a siffatte tecniche di documentazione, dotate di una ben maggiore potenzialità di controllo e fissazione del contenuto dell’atto, non fosse precluso dalla redazione del verbale in forma integrale e dalla mancata ricorrenza di ipotesi normativamente tipizzate, costituendo, in queste evenienze, una facoltà documentativa che il difensore avrebbe potuto, per ragioni di garanzia della genuinità della deposizione, comunque ed in ogni caso preferire.

L’indispensabilità del verbale, anche in concomitanza con l’impiego di strumenti documentativi ulteriori ma rispetto ad esso comunque complementari, è ribadita dalla previsione, contenuta nell’art. 139, comma 3 c.p.p., secondo cui, qualora la riproduzione fonografica, per qualsiasi motivo, non abbia avuto effetto o non sia chiaramente intelligibile in riferimento a singole parti, la funzione probatoria rispetto a queste è espletata dal verbale redatto in forma riassuntiva.

Norma, quella appena richiamata, di primissimo piano poiché, oltre a ribadire la centralità e l’irrinunciabilità della modalità documentativa costituita dal verbale, sottolinea la necessità che il verbale riassuntivo, sebbene affiancato da un’altra metodologia di riproduzione, non possa comunque limitarsi all’indicazione dei confini temporali di essa, ma deve garantire un’effettiva documentazione, sia pur sintetica, volta a conservare traccia dei dati più significativi. 

L’atto d’indagine che venga posto in essere nei confronti di persone in stato di detenzione, quanto meno per ragioni di convenienza e di opportunità a fronte di una formulazione normativa che non sembra riferibile all’atto investigativo difensivo, deve essere documentato mediante il ricorso alle forme estremamente rafforzate prescritte dall’art. 141-bis c.p.p.

  • Il nuovo art. 391-ter c.p.p.

Come già anticipato, il rinvio contenuto nell’art. 391-bis, comma 3 c.p.p. alle disposizioni generali sulla documentazione degli atti è neutralizzato dalle disposizioni di nuova introduzione, integranti a dire il vero ipotesi attuative della disposizione di carattere generale contenuta nell’art. 134, comma 1 c.p.p.

Infatti, ai sensi dell’art. 391-bis, comma 3-bis c.p.p., il compimento di atti acquisitivi di informazioni deve essere sempre documentato, oltre che mediante la redazione del verbale, “anche” (così precisa la norma!) ricorrendo alla riproduzione fonografica, forma documentativa che assume quindi carattere generale ed obbligatorio.

L’unica fattispecie derogatoria rispetto all’obbligo di procedere alla riproduzione fonografica – ovviamente, nulla esclude che il difensore possa scegliere di fare ricorso alla riproduzione audiovisiva, modalità maggiormente garantita ma effettivamente non imposta dalla norma – è costruita intorno all’ipotesi di contingente indisponibilità di strumenti di riproduzione o di personale tecnico, situazione eccezionale che certamente non può ritenersi ricorrente in caso di strutturali deficit di dotazione dello studio legale.

Ovviamente, è del tutto irrilevante il titolo in forza del quale il difensore acquisisce la disponibilità della strumentazione tecnica idonea alla riproduzione, potendo trattarsi di attrezzature di proprietà del legale o appartenenti a terzi e disponibili in virtù di un negozio di diritto privato.

Se, da un lato, è fondamentale dare atto nel corpo del verbale della contingente indisponibilità dei mezzi o del personale – va da sé che non è sufficiente il ricorso a formule di stile o meramente riproduttive del dettato normativo, essendo invece necessario esporre chiaramente le circostanze di fatto causativa della situazione contingente di indisponibilità – dall’altro merita di essere rimarcata la mancata previsione di sanzioni processuali per l’ipotesi di ricorso alla sola forma della verbalizzazione al di fuori dell’ipotesi eccezionale compendiata dalla disposizione, essendo tra l’altro rimasta immodificata la disciplina, contenuta nell’art. 142 c.p.p., dei casi di nullità del verbale.

Va detto che il carattere generale della previsione di un dovere di documentazione complementare rispetto alla verbalizzazione – eventualmente in forma integrale – dell’assunzione di informazioni si pone in una posizione di (solo) apparente simmetria rispetto alla disciplina dell’omologo atto della polizia giudiziaria e del pubblico ministero, essendo di immediata percezione i fattori di diversificazione.

Difatti, sia l’art. 357, comma 3-bis c.p.p. (Documentazione dell’attività di polizia giudiziaria) sia l’art. 373, comma 2-ter c.p.p. (Documentazione degli atti del pubblico ministero) correlano l’obbligo di fonoregistrazione dell’atto di assunzione di informazioni al presupposto che si tratti di procedimenti per delitti di cui all’art. 407, comma 2 lett. a) c.p.p. o, diversamente, che la persona informata sui fatti, debitamente avvisata ai sensi degli artt. 351, comma 1-quater e 362, comma 1-quater c.p.p. (anche essi introdotti dalla riforma Cartabia) ne faccia richiesta, fatta comunque salva la ricorrenza di una situazione di contingente indisponibilità di mezzi di riproduzione o di personale tecnico.

Si tratta di una diversità di trattamento difficilmente spiegabile, anche perché ad oltre un ventennio dalla riforma della disciplina delle investigazioni difensive non dovrebbero più permanere i motivi di perplessità e di diffidenza che avevano caratterizzato i primi frangenti di operatività della l. 7 dicembre 2000, n. 397.

Più marcata sul versante della vincolatività e caratterizzata da una evidente simmetria rispetto alle analoghe previsioni contenute negli artt. 357, comma 3-ter e 373, comma 2-quater c.p.p. è la disciplina delle forme di documentazione dell’atto di assunzione di informazioni compiuto dal difensore ed avente come interlocutore una persona minorenne, inferma di mente o in condizioni d particolare vulnerabilità.

Deve essere subito messo in chiaro che, sebbene l’art. 391-ter, comma 3-ter c.p.p. si riferisca alle “dichiarazioni”, la disposizione non possa che applicarsi all’atto di assunzione di informazioni, essendo l’atto di cui all’art. 391-bis, comma 2 c.p.p. assistito da una forma del tutto autonoma e peculiare di documentazione.

Detto questo, la disciplina introdotta dalla riforma Cartabia prevede quale forma di documentazione necessaria la riproduzione audiovisiva o fonografica e la cogenza della disposizione è assicurata dalla previsione della sanzione dell’inutilizzabilità per l’ipotesi della sua inosservanza.

Chiaramente, mentre la previsione di uno specifico trattamento sanzionatorio conferma il carattere tecnicamente imperfetto della disposizione contenuta nell’art. 191-bis, comma 3-bis c.p.p., la diversità di formulazione tra le due disposizioni – l’avverbio “anche” non compare nella seconda, la quale accenna ad una documentazione “integrale” mediante le richiamate tecniche di riproduzione – non deve portare a ritenere che, in queste ipotesi, la riproduzione si presti a sostituire la verbalizzazione.

Invero, anche a prescindere dalle considerazioni già svolte alla luce della disciplina generale e fatto salvo quanto si rimarcherà da qui a breve, non v’è chi non veda come l’inosservanza della disposizione sia sanzionata mediante una previsione di inutilizzabilità la quale non può che riferirsi al verbale contenente le informazioni oggetto di acquisizione.

La prescrizione di integralità della riproduzione, invece, grava il difensore di un obbligo che si estende ad ogni frangente dell’atto acquisitivo, ivi compreso quello concernente gli avvertimenti prescritti dall’art. 391-bis c.p.p. 

Anche rispetto all’atto soggettivamente qualificato il sistema si dota di una valvola di sicurezza per fronteggiare le ipotesi di contingente indisponibilità di personale tecnico o di strumenti di riproduzione, ma la fattispecie è definita in maniera più stringente rispetto a quella compendiata dal comma precedente.

Difatti, la predetta situazione di indisponibilità paralizza il difensore rispetto al compimento dello specifico atto acquisitivo, a meno che non sussistano – e di siffatta evenienza è necessario dare atto a verbale in modo specifico e circostanziato – particolari ragioni d’urgenza che rendono indifferibile il compimento dell’atto.

Si tratta di un presupposto che richiama la connotazione tipica dell’atto da assumere mediante l’incidente probatorio, il quale, come è noto, coerentemente con quello che era l’originario impianto codicistico, teso a garantire una netta distinzione tra la fase delle indagini preliminari e la fase dibattimentale deputata alla vera e propria formazione della prova nel contraddittorio delle parti, appariva nelle intenzioni del legislatore come parentesi eccezionale di formazione della prova nel contraddittorio delle parti in sede di indagini preliminari.

La documentazione mediante verbale dell’atto soggettivamente connotato, allora, è intesa dal legislatore come evenienza del tutto eccezionale, da correlare non tanto alla sussistenza di fattori di rischio rispetto alla conservazione della fonte – sarebbe necessario, in questo caso, attivare la procedura di incidente probatorio per non incorrere nei limiti acquisitivi correlati alla fattispecie complessa prevista dall’art. 512 c.p.p. – ma ad evenienze di fatto che non consentono di differire il compimento dell’atto rispetto al conseguimento di imminenti e non trascurabili finalità investigative.

L’indispensabilità del verbale anche nei casi di ricorso a mezzi di riproduzione trova autorevolissima conferma nella previsione contenuta nell’art. 391-ter, comma 3-quater c.p.p., la quale qualifica come eccezionale la trascrizione della riproduzione, da disporre solo se assolutamente indispensabile rispetto alle acquisizioni scaturenti, evidentemente, dall’analisi della forma documentativa principale.

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