Il legislatore, nel convertire il d.l. 13 giugno 2023, n. 69 con la l. 11 agosto 2023, n. 103, ha modificato il testo originario aggiungendo in extremis l’art. 18-bis, che apporta significative innovazioni agli artt. 18-bis e 19 della l. 22 aprile 2005, n. 69 sul mandato d’arresto europeo.
L’intero provvedimento normativo è finalizzato ad adeguare l’ordinamento interno alle previsioni del diritto dell’Unione europea e l’intervento in esame avviene a pochi giorni di distanza dalla decisione con la quale la Corte costituzionale – seguendo il percorso tracciato dalla Corte di giustizia (C. Giust. UE, 6 giugno 2023, C-700/21 sulla quale F. Gatta, Verso una “cittadinanza di residenza”? La Corte di giustizia conferma l’evoluzione in corso, in www.rivista.eurojus.it, 24 luglio 2023) – ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 18-bis, comma 1, lett. c) e, in via consequenziale, dell’art. 18-bis, comma 2, della legge sull’euromandato, nella parte in cui non erano applicabili ai cittadini di Stati terzi (C. cost., 28 luglio 2023, n. 178, in www.penaledp.it, 2 agosto 2023, con osservazioni a prima lettura di Colaiacovo, Il mandato d’arresto europeo tra Corte di giustizia e Corte costituzionale (una prima lettura di due recenti sentenze del Giudice delle leggi); sulla questione pregiudiziale, Amalfitano – Aranci, Mandato di arresto europeo e due nuove occasioni di dialogo tra Corte costituzionale e Corte di giustizia, in Sist. pen., 2022, n. 1, p. 5).
Dunque, l’intento che ispira la riforma è adeguare il dato normativo alle statuizioni del Giudice delle leggi, anche attraverso alcune puntualizzazioni sotto il profilo strettamente procedurale.
L’analisi della novella può essere così sviluppata distinguendo due profili.
C’è, innanzitutto, la riscrittura dei requisiti dal punto di vista soggettivo: il campo di applicazione è adesso esteso a chiunque legittimamente ed effettivamente risiede o dimora in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano. Se per quanto riguarda l’art. 18-bis si tratta di un adeguamento al dettato della Corte costituzionale, per quanto riguarda l’art. 19 la novella si rivela assolutamente tempestiva. Quest’ultima previsione, infatti, non era stata attinta dalla pronuncia di illegittimità costituzionale e continuava così a contemplare una insostenibile disparità di trattamento del cittadino di Stati terzi (sul punto, Colaiacovo, Il mandato europeo, cit.). Si nota, inoltre, un riallineamento con l’art. 18-bis anche per quanto concerne la natura facoltativa e non più obbligatoria della condizione da apporre.
Non è stata interessata, invece, la disciplina del transito, contenuta nell’art. 27, con la conseguenza che l’istituto è ancora riservato in via esclusiva al cittadino italiano e al residente che sia nel contempo cittadino europeo. Persiste, quindi, una lacuna che non può essere giustificata dalla scarsa applicazione pratica e che sarebbe stato opportuno colmare.
Infine, nel nuovo testo compare un’ulteriore precisazione relativa al carattere continuativo del soggiorno in Italia. È un connotato che, pure valorizzato in alcuni precedenti (Sez. VI, 25 giugno 2020, n. 19389, in C.E.D. Cass., n. 279419), deve essere declinato con particolare attenzione poichè se è vero che il radicamento sul territorio nazionale non deve essere estemporaneo o discontinuo, è anche vero che ben può essere compatibile con momenti di assenza (a titolo esemplificativo, è il caso di colui che, pur risiedendo stabilmente in Italia, faccia ritorno nel suo Stato di origine per alcuni periodi dell’anno).
C’è, poi, l’introduzione di un comma 2-bis nel testo dell’art. 18-bis. Questa nuova disposizione, che opera anche nel caso di euromandato processuale in forza del richiamo contenuto nell’art. 19, disciplina due aspetti di natura procedurale.
In apertura, descrive gli elementi che la corte d’appello deve tenere in considerazione per verificare la legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna. Si legge che, ai fini della applicazione del motivo di rifiuto o della consegna condizionata, è necessario accertare se l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza in Italia sia in concreto idonea ad accrescere le opportunità di reinserimento sociale del condannato e che tale vaglio deve essere compiuto tenendo in considerazione una pluralità di indici – di natura oggettiva (la durata, la natura e le modalità della residenza o della dimora; il tempo intercorso tra la commissione del reato in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso e l’inizio del periodo di residenza o di dimora; la commissione di reati e il regolare adempimento degli obblighi contributivi e fiscali durante tale periodo; il rispetto delle norme nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri) e soggettiva (i legami familiari, linguistici, culturali, sociali, economici o di altra natura che la persona intrattiene sul territorio italiano) – e una clausola aperta che permette di apprezzare ogni altro elemento rilevante.
Il catalogo, in larga parte, recepisce le indicazioni elaborate nel corso degli anni la Suprema Corte che progressivamente ha definito il concetto di “residenza” rilevante ai fini dell’accesso al “microsistema” (per una compiuta ricognizione sul punto, De Amicis – Calvanese, Rassegna di giurisprudenza sul mandato d’arresto europeo, in www.sistemapenale.it, 22 gennaio 2021, p. 97, in particolare).
In chiusura, è contemplata una patologia della sentenza, viziata da nullità quando non contiene la specifica indicazione degli elementi appena tratteggiati e dei relativi criteri di valutazione.
Questa previsione ha un sicuramente un pregio poichè consente di allargare le maglie del giudizio di legittimità, improvvidamente ristrette dall’eliminazione della cognizione nel merito della Suprema Corte: a seguito della modifica dell’art. 22, infatti, si è consolidato un orientamento che tende a ritenere inammissibili le censure incentrate sul radicamento della persona richiesta in consegna sul rilievo che tali doglianze, ancorchè dedotte quale vizio di violazione di legge, attengono alla motivazione della decisione e pertanto non sono comprese nello spettro dei motivi di ricorso esperibili (ex plurimis, Sez. VI, 10 novembre 2021, n. 41074, in C.E.D. Cass., n. 282260; più di recente, in senso critico sulla trasformazione del giudizio di legittimità, Pittiruti, Traditio all’estero e controlli in cassazione, Giappichelli, 2023, p. 113 e ss.). Ora, l’esplicita previsione di un error in procedendo dovrebbe ampliare i margini di manovra per le parti – pubblica e privata – che vogliano lamentare il malgoverno dell’istituto da parte dei giudici del merito e aprire la strada a un controllo più incisivo in sede di legittimità.
Nel complesso, la manovra pone finalmente termine a un percorso travagliato, concluso dopo oltre un decennio dalla prima pronuncia della Corte costituzionale (la necessità di consentire l’accesso al microsistema anche ai cittadini di Stati terzi era stata segnalata a margine della sentenza con la quale la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 18, lett. r), nella parte in cui non consentiva il rifiuto della consegna dei cittadini di altri Stati membri: C. cost., 24 giugno 2010, n. 227, in Cass. pen., 2010, p. 4148, con nota di Colaiacovo, Euromandato e cittadini extracomunitari residenti: ancora dubbi dopo la pronuncia della Corte costituzionale, in questa rivista, 2010, p. 4156).
Resta sul campo, però, un interrogativo intorno al quale riflettere: il requisito in forza del quale la presenza sul territorio nazionale non può essere inferiore a cinque anni e deve essere continuativa appare invero troppo rigido e rischia di elevare uno sbarramento insuperabile, che somiglia ai vituperati automatismi e alle preclusioni disseminati nel diritto penitenziario italiano e spesso stigmatizzati dalla Corte costituzionale.
L’intervento del legislatore sul mandato d’arresto europeo e la consegna del residente: un colpo d’occhio sul nuovo assetto del “microsistema”.
Il legislatore, nel convertire il d.l. 13 giugno 2023, n. 69 con la l. 11 agosto 2023, n. 103, ha modificato il testo originario aggiungendo in extremis l’art. 18-bis, che apporta significative innovazioni agli artt. 18-bis e 19 della l. 22 aprile 2005, n. 69 sul mandato d’arresto europeo.
L’intero provvedimento normativo è finalizzato ad adeguare l’ordinamento interno alle previsioni del diritto dell’Unione europea e l’intervento in esame avviene a pochi giorni di distanza dalla decisione con la quale la Corte costituzionale – seguendo il percorso tracciato dalla Corte di giustizia (C. Giust. UE, 6 giugno 2023, C-700/21 sulla quale F. Gatta, Verso una “cittadinanza di residenza”? La Corte di giustizia conferma l’evoluzione in corso, in www.rivista.eurojus.it, 24 luglio 2023) – ha dichiarato l’illegittimità dell’art. 18-bis, comma 1, lett. c) e, in via consequenziale, dell’art. 18-bis, comma 2, della legge sull’euromandato, nella parte in cui non erano applicabili ai cittadini di Stati terzi (C. cost., 28 luglio 2023, n. 178, in www.penaledp.it, 2 agosto 2023, con osservazioni a prima lettura di Colaiacovo, Il mandato d’arresto europeo tra Corte di giustizia e Corte costituzionale (una prima lettura di due recenti sentenze del Giudice delle leggi); sulla questione pregiudiziale, Amalfitano – Aranci, Mandato di arresto europeo e due nuove occasioni di dialogo tra Corte costituzionale e Corte di giustizia, in Sist. pen., 2022, n. 1, p. 5).
Dunque, l’intento che ispira la riforma è adeguare il dato normativo alle statuizioni del Giudice delle leggi, anche attraverso alcune puntualizzazioni sotto il profilo strettamente procedurale.
L’analisi della novella può essere così sviluppata distinguendo due profili.
C’è, innanzitutto, la riscrittura dei requisiti dal punto di vista soggettivo: il campo di applicazione è adesso esteso a chiunque legittimamente ed effettivamente risiede o dimora in via continuativa da almeno cinque anni sul territorio italiano. Se per quanto riguarda l’art. 18-bis si tratta di un adeguamento al dettato della Corte costituzionale, per quanto riguarda l’art. 19 la novella si rivela assolutamente tempestiva. Quest’ultima previsione, infatti, non era stata attinta dalla pronuncia di illegittimità costituzionale e continuava così a contemplare una insostenibile disparità di trattamento del cittadino di Stati terzi (sul punto, Colaiacovo, Il mandato europeo, cit.). Si nota, inoltre, un riallineamento con l’art. 18-bis anche per quanto concerne la natura facoltativa e non più obbligatoria della condizione da apporre.
Non è stata interessata, invece, la disciplina del transito, contenuta nell’art. 27, con la conseguenza che l’istituto è ancora riservato in via esclusiva al cittadino italiano e al residente che sia nel contempo cittadino europeo. Persiste, quindi, una lacuna che non può essere giustificata dalla scarsa applicazione pratica e che sarebbe stato opportuno colmare.
Infine, nel nuovo testo compare un’ulteriore precisazione relativa al carattere continuativo del soggiorno in Italia. È un connotato che, pure valorizzato in alcuni precedenti (Sez. VI, 25 giugno 2020, n. 19389, in C.E.D. Cass., n. 279419), deve essere declinato con particolare attenzione poichè se è vero che il radicamento sul territorio nazionale non deve essere estemporaneo o discontinuo, è anche vero che ben può essere compatibile con momenti di assenza (a titolo esemplificativo, è il caso di colui che, pur risiedendo stabilmente in Italia, faccia ritorno nel suo Stato di origine per alcuni periodi dell’anno).
C’è, poi, l’introduzione di un comma 2-bis nel testo dell’art. 18-bis. Questa nuova disposizione, che opera anche nel caso di euromandato processuale in forza del richiamo contenuto nell’art. 19, disciplina due aspetti di natura procedurale.
In apertura, descrive gli elementi che la corte d’appello deve tenere in considerazione per verificare la legittima ed effettiva residenza o dimora sul territorio italiano della persona richiesta in consegna. Si legge che, ai fini della applicazione del motivo di rifiuto o della consegna condizionata, è necessario accertare se l’esecuzione della pena o della misura di sicurezza in Italia sia in concreto idonea ad accrescere le opportunità di reinserimento sociale del condannato e che tale vaglio deve essere compiuto tenendo in considerazione una pluralità di indici – di natura oggettiva (la durata, la natura e le modalità della residenza o della dimora; il tempo intercorso tra la commissione del reato in base al quale il mandato d’arresto europeo è stato emesso e l’inizio del periodo di residenza o di dimora; la commissione di reati e il regolare adempimento degli obblighi contributivi e fiscali durante tale periodo; il rispetto delle norme nazionali in materia di ingresso e soggiorno degli stranieri) e soggettiva (i legami familiari, linguistici, culturali, sociali, economici o di altra natura che la persona intrattiene sul territorio italiano) – e una clausola aperta che permette di apprezzare ogni altro elemento rilevante.
Il catalogo, in larga parte, recepisce le indicazioni elaborate nel corso degli anni la Suprema Corte che progressivamente ha definito il concetto di “residenza” rilevante ai fini dell’accesso al “microsistema” (per una compiuta ricognizione sul punto, De Amicis – Calvanese, Rassegna di giurisprudenza sul mandato d’arresto europeo, in www.sistemapenale.it, 22 gennaio 2021, p. 97, in particolare).
In chiusura, è contemplata una patologia della sentenza, viziata da nullità quando non contiene la specifica indicazione degli elementi appena tratteggiati e dei relativi criteri di valutazione.
Questa previsione ha un sicuramente un pregio poichè consente di allargare le maglie del giudizio di legittimità, improvvidamente ristrette dall’eliminazione della cognizione nel merito della Suprema Corte: a seguito della modifica dell’art. 22, infatti, si è consolidato un orientamento che tende a ritenere inammissibili le censure incentrate sul radicamento della persona richiesta in consegna sul rilievo che tali doglianze, ancorchè dedotte quale vizio di violazione di legge, attengono alla motivazione della decisione e pertanto non sono comprese nello spettro dei motivi di ricorso esperibili (ex plurimis, Sez. VI, 10 novembre 2021, n. 41074, in C.E.D. Cass., n. 282260; più di recente, in senso critico sulla trasformazione del giudizio di legittimità, Pittiruti, Traditio all’estero e controlli in cassazione, Giappichelli, 2023, p. 113 e ss.). Ora, l’esplicita previsione di un error in procedendo dovrebbe ampliare i margini di manovra per le parti – pubblica e privata – che vogliano lamentare il malgoverno dell’istituto da parte dei giudici del merito e aprire la strada a un controllo più incisivo in sede di legittimità.
Nel complesso, la manovra pone finalmente termine a un percorso travagliato, concluso dopo oltre un decennio dalla prima pronuncia della Corte costituzionale (la necessità di consentire l’accesso al microsistema anche ai cittadini di Stati terzi era stata segnalata a margine della sentenza con la quale la Corte costituzionale aveva dichiarato l’illegittimità dell’art. 18, lett. r), nella parte in cui non consentiva il rifiuto della consegna dei cittadini di altri Stati membri: C. cost., 24 giugno 2010, n. 227, in Cass. pen., 2010, p. 4148, con nota di Colaiacovo, Euromandato e cittadini extracomunitari residenti: ancora dubbi dopo la pronuncia della Corte costituzionale, in questa rivista, 2010, p. 4156).
Resta sul campo, però, un interrogativo intorno al quale riflettere: il requisito in forza del quale la presenza sul territorio nazionale non può essere inferiore a cinque anni e deve essere continuativa appare invero troppo rigido e rischia di elevare uno sbarramento insuperabile, che somiglia ai vituperati automatismi e alle preclusioni disseminati nel diritto penitenziario italiano e spesso stigmatizzati dalla Corte costituzionale.
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