Alessandro Diddi*
Sommario: Premessa – 1. La nuova disciplina del captatore informatico: a) Reati di criminalità organizzata e assimilati – b) Reati contro la pubblica amministrazione – c) Reati comuni. – 2. Il procedimento di acquisizione delle conversazioni e delle comunicazioni e l’istituzione dell’archivio digitale. – 3. (segue) La selezione dei dati rilevanti: a) Avvio dell’udienza stralcio nel corso delle indagini preliminari – b) Deposito delle intercettazioni con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari – c) Avviso di deposito a seguito di giudizio immediato. – 4. L’acquisizione al fascicolo del dibattimento. La trascrizione – 5. Tecniche di redazione delle ordinanze cautelari ed esercizio del diritto di accesso agli atti – 6. La tutela della riservatezza – 7. L’utilizzabilità in altri procedimenti. – 8. Conclusioni.
Premessa
Il 1° settembre 2020, dopo due successivi interventi normativi (il d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 ed il d.l. 30 dicembre 2019, n. 161 convertito dalla l. 28 febbraio 2020, n. 7) ed una lunga serie di rinvii (la nuova disciplina doveva originariamente applicarsi ai procedimenti iscritti successivamente al 26 luglio 2018 ma il d.l. 25 luglio 2018, n. 91, la l. 30 dicembre 2018, n. 145, il d.l. 14 giugno 2019, n. 53, il d.l. 161 del 2019 ed il d.l. 30 aprile 2020, n. 28 hanno rispettivamente spostato il termine al 31 marzo 2019, al 31 luglio 2019, al 31 dicembre 2019, al 30 aprile 2020 e, da ultimo, al 31 agosto 2020) entra finalmente in vigore la tanto attesa riforma delle intercettazioni telefoniche.
Tante le novità introdotte soprattutto per quanto riguarda la disciplina del captatore informatico e del procedimento di acquisizione, conservazione e trascrizione del materiale acquisito tramite le intercettazioni. Il tutto, oltre che per dare copertura normativa ad una tecnica non prevista dalle norme originali, al fine di rafforzare le misure a protezione della riservatezza delle comunicazioni che, negli ultimi anni, avevano fatto emergere profili di criticità.
Piccoli ritocchi della disciplina, però, hanno riguardato anche aspetti non del tutto marginali, come ad esempio l’introduzione di una nuova ipotesi di intercettazione (quella prevista dalla lett. f) quinquies che contempla i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo); il coordinamento delle previsioni contenenti il diritto di accesso alle intercettazioni telefoniche utilizzate per le misure cautelari con la nuova disciplina dell’archivio digitale, e, soprattutto, l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali esse sono state disposte, recentemente oggetto di una importante decisione delle sezioni unite della corte di cassazione (la sentenza n. 51 del 2020) che ha finalmente risolto un’annosa disputa interpretativa.
- La nuova disciplina del captatore informatico
La principale novità in materia di intercettazioni telefoniche è certamente costituita dalla disciplina del captatore informatico che, dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni, potrà essere utilizzato per tutti i reati per i quali è possibile eseguire le intercettazioni.
Come noto, in assenza di una disciplina ad hoc, le sezioni unite Scurato (cfr. Cass., Sez. Un., 28 aprile 2016, n. 26889) avevano ritenuto applicabile tale nuova tecnica di intercettazione ai soli reati di criminalità organizzata sia pur a costo di un ragionamento non del tutto convincente ove rapportato al principio di riserva di legge che governa l’intera materia.
Il legislatore, dunque, con l’introduzione del comma 2-bis nell’art. 268 c.p.p. ha finalmente dato copertura normativa all’utilizzo di tale strumento di captazione fino ad ora non disciplinato, sia rispetto alle conversazioni telefoniche e ambientali, che alla messaggistica non vocale.
A tale riguardo, si deve sottolineare che ai fini dell’installazione e dell’intercettazione attraverso captatore informatico in dispositivi elettronici portatili, il legislatore si è preoccupato di prevedere come obbligatorio l’impiego, ai sensi dell’art. 89 disp. att. c.p.p., di programmi conformi ai requisiti tecnici (stabiliti con decreto del Ministro della giustizia) di affidabilità, sicurezza ed efficacia ed in grado di limitare l’esecuzione delle intercettazioni alle sole operazioni autorizzate.
Viste poi le difficoltà per la inoculazione del software in grado di trasformare i dispositivi mobili in apparecchi ricetrasmittenti, per le operazioni di avvio e di cessazione delle registrazioni riguardanti comunicazioni e conversazioni tra presenti, l’ufficiale di polizia giudiziaria, in base a quanto prevede l’art. 268, comma 3-bis c.p.p., può avvalersi di persone idonee di cui all’art. 348, comma 4.
Sebbene, come accennato, con l’entrata in vigore delle nuove norme in tutti i casi in cui sono ammissibili le intercettazioni di comunicazioni è possibile anche l’installazione in un dispositivo elettronico portatile del captatore informatico, tre sono, tuttavia, i regimi applicativi dello strumento di cui si tratta a seconda che si proceda: a) per i reati previsti dall’art. 51, comma 3-bis e 3-quater, c.p.p.; b) per i reati con pena massima non inferiore a cinque anni contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio; c) per i reati comuni.
- Reati di criminalità organizzata ed assimilati
Con riferimento ai reati di cui ai commi 3-bis e 3-quater dell’art. 51 c.p.p. il legislatore ha sostanzialmente recepito le indicazioni praeter legem provenienti dalla citata sentenza delle sezioni unite Scurato. Premesso che le intercettazioni tramite captatore informatico in dispositivo mobile sono assimilabili ad una intercettazione ambientale, nessun limite particolare è previsto per questa categoria di reati dall’art. 266, comma 2-bis, c.p.p. La nuova tecnologia, in particolare, potrà essere impiegata anche qualora il dispositivo mobile capti conversazioni in luoghi di cui all’art. 614 c.p. In questi casi, infatti, trovando applicazione la disciplina di cui all’art. 13 del d.l. n. 151 del 1991 che, in deroga ai presupposti fissati dall’art. 266, comma 2, c.p.p., permette la acquisizione di conversazioni che si svolgano anche nei luoghi di privata dimora senza che sia necessario che in essi vi siano attività criminose in atto, l’autorizzazione all’utilizzo del nuovo mezzo tecnologico può essere concessa (fermo restando ovviamente tutti gli altri presupposti) ancorché non sia possibile prevedere i luoghi nei quali il dispositivo elettronico potrebbe essere introdotto.
L’unica condizione è costituita dal fatto che, ai sensi dell’art. 267, comma 1, il decreto autorizzativo (che in caso di urgenza può essere adottato anche dal pubblico ministero il quale dovrà indicare, ai sensi dell’art. 266, comma 2-bis, anche le ragioni dell’urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice), deve contenere l’indicazione dei motivi che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini.
Dal confronto tra la nuova disciplina e quella applicabile fino al momento della sua entrata in vigore, emerge come mentre la sentenza Scurato, ritenendo utilizzabile il captatore informatico per tutti i reati di criminalità organizzata, comprendeva tra essi anche l’art. 416 c.p., il rinvio rigido operato dall’art. 268, comma 2-bis ai reati di cui ai commi 3-bis e 3-quater dell’art. 51 non sembrerebbe contemplare il reato associativo non qualificato.
Il principio di tassatività che in forza dell’art. 15 Cost. trova applicazione nella materia de qua dovrebbe condurre a ritenere che per il reato di cui all’art. 416 c.p. la disciplina applicabile sia quella prevista per i reati comuni (v. infra) e che un’ultrattività dei principi elaborati dalla citata sentenza Scurato si porrebbe, oggi, contra legem.
- Reati contro la pubblica amministrazione
Una delle principali novità (anche se, secondo talune decisioni, questa parte della normativa sarebbe già applicabile per effetto della entrata in vigore della l. 9 gennaio 2019, n. 3) è costituita dalla possibilità di eseguire le intercettazioni di comunicazione tra presenti mediante captatore informatico anche nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p. qualora si proceda per taluno dei delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (determinata a norma dell’art. 4 c.p.p.).
Si deve ricordare, a tale riguardo, che l’art. 6, comma 1, del d.lgs. 216 del 2017 (per questa parte già in vigore dal 26 gennaio 2018) aveva esteso la disciplina prevista dall’art. 13 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152 per i reati di criminalità organizzata, anche ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione (in pratica, occorre la “sufficienza” in luogo della “gravità” degli indizi; le operazioni devono essere “necessarie per lo svolgimento” e non già “assolutamente indispensabili per la prosecuzione” delle indagini ; la durata dell’autorizzazione è fissata in “quaranta” e non in “quindici” giorni e quella delle successive proroghe in “venti” e non in “quindici” giorni).
Dal 1° settembre 2020, dunque, qualora si proceda per reati contro la pubblica amministrazione puniti con pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni commessi da pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio è possibile l’intercettazione tramite captatore informatico in luoghi di privata dimora anche qualora in essi non vi sia un’attività criminosa in atto.
In questa ipotesi, tuttavia, il decreto autorizzativo (che nei casi di urgenza può essere adottato anche dal pubblico ministero il quale dovrà specificare, ai sensi dell’art. 266, comma 2-bis, anche le ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice), deve indicare tanto le motivazioni che, ai sensi dell’art. 267, comma 1, c.p.p., rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini, quanto quelle che, ai sensi dell’art. 266, comma 2-bis, ne giustificano l’utilizzo nei citati luoghi di privata dimora.
- Reati comuni
Per tutti i reati comuni il captatore informatico potrà essere impiegato sempre a condizione che le conversazioni non avvengano in luogo di privata dimora di cui all’art. 614 c.p. altrimenti l’intercettazione è consentita – in forza del principio contenuto nell’art. 266, comma 2, c.p.p. – solo se vi sia fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.
In pratica, i software (che come visto devono essere conformi agli standard previsti dal decreto ministeriale) devono essere in grado di consentire di agire da remoto sull’apparato dispositivo nel quale esso viene installato in modo da escluderne la capacità ricetrasmittente qualora si trovi in un luogo di privata dimora.
Dall’art. 267, comma 2-bis, c.p.p. si ricava che il pubblico ministero non può mai disporre, con decreto motivato d’urgenza, l’intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile.
In ogni caso, il decreto del giudice che autorizza l’intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile deve contenere, ai sensi dell’art. 267, comma 1, c.p.p., oltre l’indicazione delle ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini, anche quella dei luoghi e del tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono.
Lo scopo della previsione è quello di evitare che l’utilizzo del nuovo mezzo tecnologico possa eludere quanto statuito dall’art. 266, comma 2, c.p.p. che – si ribadisce – per la legittimità delle captazioni in luoghi domiciliari presuppone che sia in atto l’attività criminosa.
- Il procedimento di acquisizione delle conversazioni e delle comunicazioni e l’istituzione dell’archivio digitale
L’altra fondamentale novità della riforma a ben vedere è quella della completa rivisitazione della disciplina di acquisizione e conservazione delle conversazioni e comunicazioni che, a prescindere dallo strumento tecnologico attraverso il quale sono state intercettate, prevede oggi un meccanismo piuttosto complesso di ‘trattamento’ la cui ratio ispiratrice è quella di tutelare la riservatezza tanto delle persone estranee al procedimento (le cui conversazioni loro malgrado potrebbero confluire negli atti del processo) quanto dello stesso indagato che, nonostante sottoposto ad indagini, non perde il diritto a non vedersi violare la segretezza delle comunicazioni e di tutto quanto non abbia attinenza rispetto alle indagini.
Si tratta dell’aspetto certamente più delicato e con riferimento al quale forti sono stati i ripensamenti del legislatore nel passaggio tra la prima versione (quella contenuta nel d.lgs. 216 del 2017) e quella poi entrata in vigore (di cui al d.l. 161 del 2019).
Al fine di evitare il fenomeno della divulgazione e della pubblicazione di conversazioni prive di rilevanza ai fini dello svolgimento delle indagini, è stato previsto che per le operazioni di intercettazione siano osservate una serie di cautele che, in un quadro di estrema sintesi, possono essere così schematizzate: a) in apposito registro riservato (il c.d. R.I.T.) gestito, anche con modalità informatiche, e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica, sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l’inizio e il termine delle operazioni (art. 267, comma 5, c.p.p.); b) il pubblico ministero deve impartire indicazioni e vigilare affinché nei verbali redatti dalla polizia giudiziaria (nei quali, ai sensi dei commi 1 e 2, dell’art. 268 c.p.p., sono annotate le operazioni compiute e trascritte anche sommariamente i contenuti delle comunicazioni intercettate) non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge salvo, in quest’ultima evenienza, che risultino rilevanti ai fini delle indagini (art. 268, comma 2-bis, c.p.p.) ; c) il verbale delle operazioni previsto dall’art. 268 comma 1, c.p.p. deve contenere l’indicazione degli estremi del decreto che ha disposto l’intercettazione, la descrizione delle modalità di registrazione, l’annotazione del giorno e dell’ora di inizio e di cessazione della intercettazione nonché i nominativi delle persone che hanno preso parte alle operazioni; quando, poi, si procede ad intercettazione delle comunicazioni e conversazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, esso deve indicare anche il tipo di programma impiegato (che come visto deve essere conforme a quanto stabilito dal decreto ministeriale) e, ove possibile, i luoghi in cui si svolgono le comunicazioni o conversazioni (art. 89, comma 1, disp. att. c.p.p.); d) presso ogni ufficio della Procura della Repubblica, poi, è istituito, sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell’ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni, un apposito archivio digitale (artt. 169, comma 1, c.p.p. e 89-bis disp. att. c.p.p.); e) nell’archivio digitale sono custoditi i verbali, gli atti e le registrazioni delle intercettazioni a cui afferiscono (art. 269, comma 1, c.p.p.; art. 89-bis, comma 1, disp. att. c.p.p.); f) i verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi dalla polizia giudiziaria al pubblico ministero per la conservazione nell’archivio digitale (art. 268, comma 4, c.p.p.); g) l’archivio è gestito con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione relativa alle intercettazioni non necessarie per il procedimento, ed a quelle irrilevanti o di cui è vietata l’utilizzazione ovvero riguardanti categorie particolari di dati personali come definiti dalla legge o dal regolamento in materia; a tal fine il Procuratore della Repubblica impartisce, con particolare riguardo alle modalità di accesso, le prescrizioni necessarie a garantire la tutela del segreto su quanto ivi custodito (art. 89-bis, comma 2, disp. att. c.p.p.); h) all’archivio possono accedere il giudice che procede e i suoi ausiliari, il pubblico ministero e i suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati all’ascolto, i difensori delle parti, assistiti, se necessario, da un interprete solo nei casi previsti dal codice ed ogni accesso deve essere annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche nel quale sono indicate data, ora iniziale e finale, e gli atti specificamente consultati (art. 89-bis, comma 3, disp. att. c.p.p.); i) con decreto del Ministro della giustizia, non avente natura regolamentare, adottato sentito il Garante per la protezione dei dati personali, sono fissati i criteri a cui il Procuratore della Repubblica si attiene per regolare le modalità di accesso all’archivio digitale a tutela della riservatezza degli atti ivi custoditi.
L’applicazione di questa complessa procedura di acquisizione e conservazione dei dati dovrebbe costituire lo scheletro portante delle misure concepite per evitare che, come avvenuto in passato, attraverso le intercettazioni telefoniche possano essere violati oltre misura i principi costituzionali posti a salvaguardia della segretezza delle comunicazioni.
Il completamento di tale procedura avverrà anche quando il Ministro della Giustizia adotterà il decreto previsto dall’art. 2, comma 6, d.l. 161 del 2019 con il quale dovrà stabilire le modalità e i termini a decorrere dai quali il deposito degli atti e dei provvedimenti relativi alle intercettazioni sarà eseguito esclusivamente in forma telematica, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.
Quando anche questa fase del processo di trasformazione sarà completato, tutto il procedimento (e gli atti che lo compongono) sarà dematerializzato e attraverso adeguati sistemi di protezione potranno essere evitate fughe di notizie non controllabili come, purtroppo, sovente avveniva nel vigore della precedente disciplina.
- (segue). La selezione dei dati rilevanti
Le misure previste per la fase di acquisizione e conservazione dei dati emersi durante le operazioni di intercettazioni, si saldano con la disciplina introdotta per la selezione del materiale destinato ad entrare poi nel fascicolo del pubblico ministero ed in quello del dibattimento e, dunque, a perdere fisiologicamente i requisiti di riservatezza.
Una volta terminate le operazioni di intercettazione con la trasmissione dei verbali e delle registrazioni presso l’archivio digitale, infatti, si avvia il procedimento di acquisizione dei dati suscettibili di utilizzazione probatoria.
Il procedimento, a tale riguardo, è scandito in due fasi: ad una prima necessaria e sostanzialmente destinata alla selezione del materiale che dall’archivio digitale confluisce nel fascicolo delle indagini di cui all’art. 373, comma 5, c.p.p., segue una seconda, eventuale, destinata invece a far trasmigrare il materiale stesso nel fascicolo del dibattimento.
La prima fase può seguire tre differenti modelli a seconda delle scelte operate dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari.
- Avvio dell’udienza stralcio nel corso delle indagini preliminari
In via ordinaria è previsto che entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni (salvo provvedimento di autorizzazione al ritardo del deposito non oltre la chiusura delle indagini ai sensi dell’art. 268, comma 5, c.p.p.), i verbali e le registrazioni siano depositati presso l’archivio digitale insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero o prorogato dal giudice (art. 268, comma 4, c.p.p.). Ai difensori delle parti è immediatamente dato avviso della facoltà di esaminare per via telematica gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 268, comma 6, c.p.p.). In questa fase, ai difensori, per l’esercizio dei loro diritti e facoltà, è consentito, a norma dell’art. 269, comma 1, l’accesso presso all’archivio digitale e l’ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate con gli apparecchi a disposizione dell’archivio stesso senza, tuttavia, poter estrarre copia delle stesse (art. 89-bis, comma 4, disp. att., c.p.p.). Scaduto il termine previsto per l’ascolto delle registrazioni, il giudice dispone l’acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti a condizione che essi non appaiano irrilevanti procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione e di quelli che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza.
Quando si procede secondo il modello ordinario (che si può prevedere sarà raramente adottato), dunque, le parti hanno l’onere di formulare un elenco con l’esatta specificazione delle comunicazioni ritenute rilevanti e presentarlo al giudice il quale all’esito di un’udienza stralcio, alla quale il pubblico ministero e i difensori hanno diritto di partecipare previo avviso di almeno ventiquattro ore prima, (art. 268, comma 6), dispone l’acquisizione del materiale destinato a confluire nel fascicolo di cui all’art. 373, comma 5, c.p.p.
Da questo momento, le conversazioni e le comunicazioni acquisite ed i verbali ad esse relative, in base all’art. 269, comma 1, non sono più coperti da segreto ed i difensori delle parti, ai sensi dell’art. 89-bis, comma 4, disp. att. c.p.p., possono ottenere copia sia delle registrazioni che degli atti ad esse relativi. Sempre in forza della medesima disposizione, il rilascio delle copie è annotato in apposito registro gestito con modalità informatiche nel quale sono indicate data e ora di rilascio e gli atti consegnati in copia.
- Deposito delle intercettazioni con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari
Qualora non si sia proceduto ai sensi dei commi 4, 5 e 6 dell’art. 268 (e, dunque, qualora nel corso delle indagini non sia avvenuto il deposito delle intercettazioni e non si sia svolto il procedimento di acquisizione delle registrazione nel fascicolo delle indagini attraverso l’udienza stralcio), è con l’avviso di conclusione delle indagini di cui all’art. 415-bis c.p.p. che si avvia il procedimento di selezione del materiale rilevante.
Sebbene tale ipotesi sia apparentemente disciplinata come derogatoria rispetto a quella generale disciplinata dall’art. 268 c.p.p., è facile prevedere che essa rappresenterà in pratica quella più frequentemente utilizzata.
In base all’art. 415-bis, comma 2-bis¸ c.p.p. accanto a quelli consueti, l’avviso di conclusione delle indagini conterrà anche l’avvertimento che l’indagato e il suo difensore hanno facoltà sia di esaminare per via telematica gli atti depositati relativi alle intercettazioni ed ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche, sia di estrarre copia delle registrazioni o dei flussi indicati come rilevanti dal pubblico ministero.
In pratica, all’avviso di conclusione delle indagini, il pubblico ministero dovrà allegare l’elenco delle comunicazioni che ritiene rilevanti ai fini del successivo rinvio a giudizio e con riferimento a queste ultime la discovery sarà totale ed il difensore potrà ottenerne copia al pari degli altri atti depositati.
A seguito dell’avviso, il difensore, entro il termine di venti giorni, dopo aver eventualmente ascoltato le registrazioni ed esaminato gli atti non depositati dal pubblico ministero presso l’archivio digitale ed eventualmente ottenuto copia di quelle già selezionate dal pubblico ministero, ha facoltà di depositare un proprio elenco contenente le ulteriori registrazioni da lui ritenute rilevanti e di cui chiede copia.
Sull’istanza, secondo quanto dispone la nuova previsione, provvede il pubblico ministero con decreto motivato. In caso di rigetto dell’istanza o di contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti, il difensore può avanzare al giudice istanza affinché proceda, con le forme dell’udienza stralcio di cui all’art. 268, comma 6, c.p.p., alla selezione del materiale utilizzabile.
- Avviso di deposito a seguito di giudizio immediato
Un’ulteriore eventualità è quella prevista per il caso in cui il pubblico ministero, non avendo effettuato il deposito delle registrazioni nel corso delle indagini, abbia esercitato l’azione penale attraverso la richiesta di giudizio immediato.
Anche in questo caso, non essendo l’iniziativa dell’organo dell’accusa preceduta da alcun deposito di atti, è previsto che il pubblico ministero presenti, ai sensi dell’art. 454, comma 2-bis, c.p.p., l’elenco delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche che reputa rilevanti ai fini di prova e dei quali il difensore può ottenere copia. Quest’ultimo, poi, a sua volta, entro quindici giorni (termine eventualmente prorogabile di dieci giorni a seguito di richiesta) dalla notifica del decreto che dispone il giudizio immediato, può depositare l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia. Anche in questo caso sull’istanza provvede il pubblico ministero con decreto motivato. Il difensore, in caso di rigetto della sua richiesta da parte del pubblico ministero o di contestazione delle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti, può avanzare al giudice istanza affinché proceda attraverso udienza stralcio nelle forme di cui all’articolo 268, comma 6, alla selezione del materiale utilizzabile.
- L’acquisizione al fascicolo del dibattimento. La trascrizione
A differenza di quanto prevedeva la versione originale dell’art. 268 c.p.p. (che in via ordinaria affidava al giudice, all’esito dell’udienza stralcio, il compito di procedere alla trascrizione integrale delle registrazioni da acquisire osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie), il nuovo comma 7 della citata previsione statuisce oggi che anche nel corso delle attività di formazione del fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’art. 431, il giudice dispone la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie.
Nonostante la previsione alluda al fatto che la trascrizione non debba avvenire nel corso dell’udienza stralcio, nulla esclude che il giudice all’esito della attività di selezione delle comunicazioni informatiche o telematiche non irrilevanti, non inutilizzabili e che non riguardano categorie particolari di dati personali, possa anche disporre la perizia per la trascrizione delle intercettazioni acquisite.
La scelta di demandare ad un momento successivo (quello della formazione del fascicolo del dibattimento) la trascrizione delle intercettazioni acquisite dipende dal fatto che l’espletamento della perizia, che può comportare una dispendiosa attività, potrebbe rivelarsi del tutto inutile qualora l’imputato chieda di definire il processo con il giudizio abbreviato.
Per tale ragione, il legislatore ha optato per la individuazione del momento in cui procedere alla trascrizione delle intercettazioni in quello in cui avviene la formazione del fascicolo del dibattimento.
In applicazione di quanto, poi, statuisce l’art. 431, comma 2, c.p.p. (in forza del quale le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero), l’art. 268, comma 7, c.p.p. statuisce che, in luogo della perizia, può essere disposto, con il consenso delle parti, l’utilizzazione delle trascrizioni delle registrazioni ovvero delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche effettuate dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini.
La lettera del comma 7 dell’art. 268 c.p.p. (laddove prevede che anche nel corso delle attività di formazione del fascicolo del dibattimento è possibile l’espletamento della perizia) fa evidentemente salva la possibilità di effettuare perizia nel corso del dibattimento, oltre che in caso di contestazioni (ipotesi espressamente contemplata dalla disposizione in esame), sia per disporre l’acquisizione di conversazioni che dovessero risultare successivamente rilevanti, sia per acquisire le intercettazioni precedentemente selezionate ma delle quali non sia stata disposta o non si sia potuto disporre (come nel caso di giudizio immediato) perizia.
- Tecniche di redazione delle ordinanze cautelari ed esercizio del diritto di accesso agli atti
A tutela della riservatezza, che potrebbe essere pregiudicata dalla divulgazione del contenuto dei provvedimenti non più coperti da segreto una volta notificati all’interessato e che potrebbero contenere al loro interno la riproduzione di ampi brani di intercettazione, il d.lgs. n. 216 del 2017 ha introdotto due previsioni che regolano il modo di redazione delle ordinanze applicative delle misure cautelari.
In forza del comma 1-ter dell’art. 291 c.p.p., la richiesta di misura cautelare non può anzitutto contenere la riproduzione integrale delle intercettazioni, bensì solo quella dei brani essenziali. Corrispondentemente, anche l’ordinanza emessa dal giudice, in base al comma 2-quater dell’art. 292, può riprodurre soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate, quando necessario per l’esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi.
Piccoli ritocchi, per lo più resi necessari per coordinare la disciplina già in vigore con quella dell’archivio digitale di nuova introduzione, sono stati invece apportati dal d.l. 161 del 2019 con riferimento all’esercizio del diritto di accesso agli atti presentati dal pubblico ministero con la richiesta di applicazione della misura cautelare.
Come noto, ai sensi dell’art. 291, comma 1, c.p.p., il pubblico ministero deve presentare al giudice competente, oltre gli elementi su cui si fonda la richiesta, anche le conversazioni rilevanti che devono essere conferiti nell’archivio digitale; conseguentemente il difensore, ai sensi dell’art. 293, comma 3, c.p.p., ha diritto, oltre che di esaminare e di estrarre copia dei verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate di cui all’art. 291, comma 1, anche di ottenere la trasposizione, su supporto idoneo alla riproduzione dei dati e delle relative registrazioni secondo quanto disposto da Corte cost., 10 ottobre 2008, n. 336 (che ebbe a dichiarare l’illegittimità dell’art. 268 c.p.p. nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate).
L’art. 269, comma 1, c.p.p. a tale riguardo statuisce che non sono coperti da segreto, oltre i verbali e le registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo di cui all’art. 373, comma 5 (e di cui si è detto), anche quelli comunque utilizzati nel corso delle indagini preliminari e tale parte della disposizione allude evidentemente all’eventualità che, prima ancora dello svolgimento dell’udienza stralcio (o della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini), il pubblico ministero abbia utilizzato il materiale acquisito attraverso le intercettazioni per richiedere una misura cautelare, personale o reale, ovvero per motivare un qualunque altro mezzo di ricerca della prova del quale debba disporre il successivo deposito ai sensi dell’art. 366 c.p.p.
Inedita la previsione contenuta nell’art. 92, comma 1-bis, disp. att. c.p.p. a mente della quale, qualora a seguito dell’adozione dell’ordinanza cautelare rinvenga conversazioni ritenute non rilevanti o non utilizzabili, il giudice ne dispone la restituzione al pubblico ministero affinché le custodisca nell’archivio digitale di cui all’art. 89-bis disp. att. C.p.p.
- La tutela della riservatezza
La nuova disciplina ha, dunque, previsto una serie di misure dalla cui combinata applicazione dovrebbe uscire rafforzata la tutela della riservatezza.
In pratica, poiché alla luce di quanto dispone l’art. 329 c.p.p., tutta la documentazione conservata nell’archivio delle intercettazioni deve ritenersi coperta dal segreto e che, ai sensi dell’art. 269, comma 1, secondo periodo, non sono più coperti da segreto solo i verbali e le registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo di cui all’art. 373, comma 5, o comunque utilizzati nel corso delle indagini preliminari, solo con il completamento della fase di acquisizione delle conversazioni rilevanti, secondo uno dei tre diversi modelli, oltre che nel caso di conversazioni utilizzate ai fini della richiesta di applicazione di una misura cautelare o della motivazione di un provvedimento di perquisizione, ispezione o sequestro, viene meno il segreto ed i risultati delle operazioni di intercettazione potrebbero essere oggetto di divulgazione.
Tutto il materiale conservato nell’archivio digitale, invece, resta coperto da segreto e qualunque violazione, dolosa o colposa, potrà essere sanzionata ai sensi dell’art. 326 c.p.
Tra l’altro, poiché il Procuratore della Repubblica è il destinatario degli obblighi di adozione ed attuazione delle misure di protezione della sicurezza e segretezza dei dati presenti nell’archivio digitale e si tratta di obblighi non delegabili, in caso di indebita diffusione di notizie destinate a rimanere segrete non dovrebbe essere difficile l’individuazione del responsabile della violazione.
Le misure di protezione si saldano e si completano con quanto, poi, previsto dal nuovo comma 2-bis dell’art. 114 c.p.p. che prescrive il divieto assoluto – dalla cui violazione deriva l’integrazione della contravvenzione di cui all’art. 684 c.p. – di pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi degli artt. 268, 415-bis o 454, c.p.p.
Ai sensi dell’art. 269 c.p.p., infine, tutte le registrazioni sono in ogni caso conservate fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione; tuttavia agli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, è data la possibilità di chiederne la distruzione anche prima, a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato o convalidato l’intercettazione.
- L’utilizzabilità in altri procedimenti
Per effetto di quanto previsto dal d.l. n. 161 del 2019, il regime di utilizzabilità delle intercettazioni in altri procedimenti è subordinato a diverse condizioni.
Sul punto, come accennato, erano intervenute le sezioni unite Cavallo (Cass., Sez. Un., 28 novembre 2019, n. 51) secondo le quali, il divieto di cui all’art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento ai reati accertati in forza di tali risultati che risultano connessi ex art. 12 c.p.p. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 c.p.p.
Secondo la nuova versione dell’art. 270, comma 1, c.p.p. i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino oltre che indispensabili anche rilevanti per l’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’art. 266, comma 1, c.p.p.
Accanto alla deroga già contemplata nella versione originaria dell’art. 270 c.p.p. (l’indispensabilità delle intercettazioni ai fini dell’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza) è stato inserito, dunque, il requisito della rilevanza e la previsione della rilevanza (oltre che della indispensabilità) per l’accertamento dei reati di cui all’art. 266, comma 1, c.p.p.
Tenuto conto del fatto che in quest’ultima categoria rientra il catalogo dei reati per i quali è previsto come obbligatorio l’arresto in flagranza, in pratica non sarà facile definire come le due deroghe potranno operare se, cioè, congiuntamente (con l’effetto di ulteriormente restringere l’ambito di applicazione dell’utilizzo delle intercettazione nel procedimento diverso) ovvero disgiuntamente (con l’effetto di ampliare l’ambito di applicazione dell’utilizzo delle intercettazione nel procedimento diverso ma a costo di un’amputazione della prima parte della norma).
Una disciplina ad hoc è stata, poi, prevista per quanto concerne l’utilizzo dei risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile che in base, al comma 1-bis, possono essere utilizzati, fermo restando quanto previsto dal comma 1 del medesimo art. 270, anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti indicati dall’art.266, comma, 2-bis.
Anche in questo caso, la clausola di salvezza di quanto statuito dal comma 1, del medesimo art. 270, dischiude scenari interpretativi di non agevole soluzione.
- Conclusioni
La riforma delle intercettazioni telefoniche, dunque, è avvenuta in nome della protezione del diritto alla riservatezza ed in effetti, a ben vedere, essa sembra aver delineato un archivio digitale – vale a dire un data base protetto da adeguati sistemi di sicurezza – nel quale troveranno conservazione tutti gli atti concernenti le intercettazioni telefoniche e le registrazioni ottenute attraverso di esse e al quale – il giudice che procede e i suoi ausiliari, il pubblico ministero e i suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati all’ascolto, i difensori delle parti, assistiti, se necessario, da un interprete – potranno accedervi solo a determinati condizioni e nel rispetto dei criteri di sicurezza previsti per i dati esaminati.
L’individuazione del responsabile della sicurezza nella persona del Procuratore della Repubblica e la indelegabilità degli obblighi di tutela della segretezza dei dati conservati nell’archivio digitale, poi, dovrebbero costituire adeguate barriere per prevenire le intollerabili violazioni alla riservatezza a cui si è assistito nel corso degli ultimi anni.
Insufficiente, semmai, resta la previsione contenuta nell’art. 684 c.p. destinata a colpire gli operatori dell’informazione che entrati in possesso di dati conservati nell’archivio digitale ne diffondano il contenuto, trattandosi di una contravvenzione che, peraltro, potrebbe essere estinta tramite il pagamento di somme a titolo di oblazione di modestissima entità.
Se quella faticosamente attuata dal legislatore potrà dirsi una buona riforma solo il tempo lo potrà testimoniare.
Quello che, però, ad una visione di sintesi può subito emergere è che la riforma, in nome della tutela della riservatezza, ha sacrificato, completamente o in parte, altri principi fondamentale che pure dovrebbero essere inviolabili.
Non può sfuggire, infatti, come per il perseguimento dello scopo, il legislatore abbia sostanzialmente esautorato il difensore e l’imputato dall’esercizio delle facoltà di accesso al materiale conservato nell’archivio digitale.
A parte le difficoltà pratiche concernenti l’organizzazione (che dovrebbe avvenire senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica) di postazioni adeguate e sufficienti per consentire ai difensori di poter effettuare presso gli archivi digitali l’ascolto e l’esame degli atti relativi alle intercettazioni, secondo il nuovo sistema il difensore, entro il termine fissato dal pubblico ministero (se quest’ultimo ha optato per l’attivazione dell’udienza stralcio) ovvero nei canonici venti giorni (qualora l’organo dell’accusa abbia optato per la discovery delle intercettazioni all’esito delle indagini preliminari) o nei quindici giorni (eventualmente prorogabili di ulteriori dieci, qualora l’esercizio dell’azione penale sia avvenuto nelle forme del giudizio immediato), dovrebbe poter essere in condizione di accedere personalmente presso l’archivio digitale ed ascoltare intercettazioni disposte su decine (se non centinaia) di utenze, durate magari anni e senza poter disporre della copia dei verbali (che, ai sensi dell’art. 269, comma 1, secondo periodo, non sono più coperti da segreto solo quando relativi a comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo di cui all’art. 373, comma 5, o comunque utilizzate nel corso delle indagini preliminari).
Salvo quanto previsto dall’art. 415-bis, comma 2-bis, c.p.p., poi, l’indagato è completamente escluso dalla possibilità di accedere personalmente presso l’archivio digitale (l’art. 89-bis, comma 3, disp. att.c.p.p., peraltro, non lo contempla neppure tra i soggetti che potrebbero accedere all’archivio) il che sta a significare oltretutto che qualora lo stesso sia detenuto qualunque accesso diretto agli atti gli è praticamente inibito (non potendo né accedere all’archivio né poter disporre della copia delle intercettazioni e dei verbali) con grave violazione di quella garanzia, contenuta nell’art. 111, comma 3, Cost., di poter disporre, in quanto accusato, delle condizioni e del tempo necessari per poter preparare la difesa.
Al difensore, ancora, (stante la previsione contenuta nell’art. 89-bis, comma 3, disp. att.c.p.p.) sembrerebbe vietato di avvalersi di ausiliari (come consulenti tecnici e/o investigatori) ai quali eventualmente demandare – ammesso che tutto ciò possa sopperire alle esigenze difensive – le operazioni di ascolto e selezione del materiale utile ai fini della difesa.
Il legislatore ha probabilmente scritto la riforma movendo dall’idea, che però non trova alcuna corrispondenza nella prassi, che la selezione del materiale eseguita dalla polizia giudiziaria nel corso delle operazioni di ascolto sia totalmente esaustiva anche per la difesa e che quest’ultima non possa, attraverso una rilettura ed un’analisi complessiva del materiale acquisito, trovare elementi di prova diversi o scoprire, nelle conversazioni captate, significati reconditi e/o inediti e inconciliabili con quelli ricostruiti dagli inquirenti.
L’idea che le intercettazioni siano un patrimonio unilateralmente interpretabile, che debba rimanere nell’esclusiva disponibilità del pubblico ministero il quale può in ogni tempo riesaminarlo, anche avvalendosi della polizia giudiziaria (che a differenza degli ausiliari della difesa, l’art. 89-bis disp. att. c.p.p. ammette ad accedere presso l’archivio digitale) eventualmente anche alla luce delle risultanze processuali e che, per contro, la difesa non debba disporre di una analoga possibilità in condizioni compatibili con le normali organizzazioni degli studi professionali, rappresenta un vulnus del principio di parità delle armi.
* Professore Associato di Diritto Processuale Penale e di Diritto Penitenziario presso l’Università della Calabria
Le novità in materia di intercettazioni telefoniche
Alessandro Diddi*
Sommario: Premessa – 1. La nuova disciplina del captatore informatico: a) Reati di criminalità organizzata e assimilati – b) Reati contro la pubblica amministrazione – c) Reati comuni. – 2. Il procedimento di acquisizione delle conversazioni e delle comunicazioni e l’istituzione dell’archivio digitale. – 3. (segue) La selezione dei dati rilevanti: a) Avvio dell’udienza stralcio nel corso delle indagini preliminari – b) Deposito delle intercettazioni con l’avviso di conclusione delle indagini preliminari – c) Avviso di deposito a seguito di giudizio immediato. – 4. L’acquisizione al fascicolo del dibattimento. La trascrizione – 5. Tecniche di redazione delle ordinanze cautelari ed esercizio del diritto di accesso agli atti – 6. La tutela della riservatezza – 7. L’utilizzabilità in altri procedimenti. – 8. Conclusioni.
Premessa
Il 1° settembre 2020, dopo due successivi interventi normativi (il d.lgs. 29 dicembre 2017, n. 216 ed il d.l. 30 dicembre 2019, n. 161 convertito dalla l. 28 febbraio 2020, n. 7) ed una lunga serie di rinvii (la nuova disciplina doveva originariamente applicarsi ai procedimenti iscritti successivamente al 26 luglio 2018 ma il d.l. 25 luglio 2018, n. 91, la l. 30 dicembre 2018, n. 145, il d.l. 14 giugno 2019, n. 53, il d.l. 161 del 2019 ed il d.l. 30 aprile 2020, n. 28 hanno rispettivamente spostato il termine al 31 marzo 2019, al 31 luglio 2019, al 31 dicembre 2019, al 30 aprile 2020 e, da ultimo, al 31 agosto 2020) entra finalmente in vigore la tanto attesa riforma delle intercettazioni telefoniche.
Tante le novità introdotte soprattutto per quanto riguarda la disciplina del captatore informatico e del procedimento di acquisizione, conservazione e trascrizione del materiale acquisito tramite le intercettazioni. Il tutto, oltre che per dare copertura normativa ad una tecnica non prevista dalle norme originali, al fine di rafforzare le misure a protezione della riservatezza delle comunicazioni che, negli ultimi anni, avevano fatto emergere profili di criticità.
Piccoli ritocchi della disciplina, però, hanno riguardato anche aspetti non del tutto marginali, come ad esempio l’introduzione di una nuova ipotesi di intercettazione (quella prevista dalla lett. f) quinquies che contempla i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dall’art. 416-bis c.p.p. ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni previste dallo stesso articolo); il coordinamento delle previsioni contenenti il diritto di accesso alle intercettazioni telefoniche utilizzate per le misure cautelari con la nuova disciplina dell’archivio digitale, e, soprattutto, l’utilizzabilità dei risultati delle intercettazioni in procedimenti diversi da quelli nei quali esse sono state disposte, recentemente oggetto di una importante decisione delle sezioni unite della corte di cassazione (la sentenza n. 51 del 2020) che ha finalmente risolto un’annosa disputa interpretativa.
La principale novità in materia di intercettazioni telefoniche è certamente costituita dalla disciplina del captatore informatico che, dall’entrata in vigore delle nuove disposizioni, potrà essere utilizzato per tutti i reati per i quali è possibile eseguire le intercettazioni.
Come noto, in assenza di una disciplina ad hoc, le sezioni unite Scurato (cfr. Cass., Sez. Un., 28 aprile 2016, n. 26889) avevano ritenuto applicabile tale nuova tecnica di intercettazione ai soli reati di criminalità organizzata sia pur a costo di un ragionamento non del tutto convincente ove rapportato al principio di riserva di legge che governa l’intera materia.
Il legislatore, dunque, con l’introduzione del comma 2-bis nell’art. 268 c.p.p. ha finalmente dato copertura normativa all’utilizzo di tale strumento di captazione fino ad ora non disciplinato, sia rispetto alle conversazioni telefoniche e ambientali, che alla messaggistica non vocale.
A tale riguardo, si deve sottolineare che ai fini dell’installazione e dell’intercettazione attraverso captatore informatico in dispositivi elettronici portatili, il legislatore si è preoccupato di prevedere come obbligatorio l’impiego, ai sensi dell’art. 89 disp. att. c.p.p., di programmi conformi ai requisiti tecnici (stabiliti con decreto del Ministro della giustizia) di affidabilità, sicurezza ed efficacia ed in grado di limitare l’esecuzione delle intercettazioni alle sole operazioni autorizzate.
Viste poi le difficoltà per la inoculazione del software in grado di trasformare i dispositivi mobili in apparecchi ricetrasmittenti, per le operazioni di avvio e di cessazione delle registrazioni riguardanti comunicazioni e conversazioni tra presenti, l’ufficiale di polizia giudiziaria, in base a quanto prevede l’art. 268, comma 3-bis c.p.p., può avvalersi di persone idonee di cui all’art. 348, comma 4.
Sebbene, come accennato, con l’entrata in vigore delle nuove norme in tutti i casi in cui sono ammissibili le intercettazioni di comunicazioni è possibile anche l’installazione in un dispositivo elettronico portatile del captatore informatico, tre sono, tuttavia, i regimi applicativi dello strumento di cui si tratta a seconda che si proceda: a) per i reati previsti dall’art. 51, comma 3-bis e 3-quater, c.p.p.; b) per i reati con pena massima non inferiore a cinque anni contro la pubblica amministrazione commessi da pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio; c) per i reati comuni.
Con riferimento ai reati di cui ai commi 3-bis e 3-quater dell’art. 51 c.p.p. il legislatore ha sostanzialmente recepito le indicazioni praeter legem provenienti dalla citata sentenza delle sezioni unite Scurato. Premesso che le intercettazioni tramite captatore informatico in dispositivo mobile sono assimilabili ad una intercettazione ambientale, nessun limite particolare è previsto per questa categoria di reati dall’art. 266, comma 2-bis, c.p.p. La nuova tecnologia, in particolare, potrà essere impiegata anche qualora il dispositivo mobile capti conversazioni in luoghi di cui all’art. 614 c.p. In questi casi, infatti, trovando applicazione la disciplina di cui all’art. 13 del d.l. n. 151 del 1991 che, in deroga ai presupposti fissati dall’art. 266, comma 2, c.p.p., permette la acquisizione di conversazioni che si svolgano anche nei luoghi di privata dimora senza che sia necessario che in essi vi siano attività criminose in atto, l’autorizzazione all’utilizzo del nuovo mezzo tecnologico può essere concessa (fermo restando ovviamente tutti gli altri presupposti) ancorché non sia possibile prevedere i luoghi nei quali il dispositivo elettronico potrebbe essere introdotto.
L’unica condizione è costituita dal fatto che, ai sensi dell’art. 267, comma 1, il decreto autorizzativo (che in caso di urgenza può essere adottato anche dal pubblico ministero il quale dovrà indicare, ai sensi dell’art. 266, comma 2-bis, anche le ragioni dell’urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice), deve contenere l’indicazione dei motivi che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini.
Dal confronto tra la nuova disciplina e quella applicabile fino al momento della sua entrata in vigore, emerge come mentre la sentenza Scurato, ritenendo utilizzabile il captatore informatico per tutti i reati di criminalità organizzata, comprendeva tra essi anche l’art. 416 c.p., il rinvio rigido operato dall’art. 268, comma 2-bis ai reati di cui ai commi 3-bis e 3-quater dell’art. 51 non sembrerebbe contemplare il reato associativo non qualificato.
Il principio di tassatività che in forza dell’art. 15 Cost. trova applicazione nella materia de qua dovrebbe condurre a ritenere che per il reato di cui all’art. 416 c.p. la disciplina applicabile sia quella prevista per i reati comuni (v. infra) e che un’ultrattività dei principi elaborati dalla citata sentenza Scurato si porrebbe, oggi, contra legem.
Una delle principali novità (anche se, secondo talune decisioni, questa parte della normativa sarebbe già applicabile per effetto della entrata in vigore della l. 9 gennaio 2019, n. 3) è costituita dalla possibilità di eseguire le intercettazioni di comunicazione tra presenti mediante captatore informatico anche nei luoghi indicati dall’art. 614 c.p. qualora si proceda per taluno dei delitti dei pubblici ufficiali o degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione per i quali è prevista la pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni (determinata a norma dell’art. 4 c.p.p.).
Si deve ricordare, a tale riguardo, che l’art. 6, comma 1, del d.lgs. 216 del 2017 (per questa parte già in vigore dal 26 gennaio 2018) aveva esteso la disciplina prevista dall’art. 13 del d.l. 13 maggio 1991, n. 152 per i reati di criminalità organizzata, anche ai procedimenti per i delitti dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio contro la pubblica amministrazione (in pratica, occorre la “sufficienza” in luogo della “gravità” degli indizi; le operazioni devono essere “necessarie per lo svolgimento” e non già “assolutamente indispensabili per la prosecuzione” delle indagini ; la durata dell’autorizzazione è fissata in “quaranta” e non in “quindici” giorni e quella delle successive proroghe in “venti” e non in “quindici” giorni).
Dal 1° settembre 2020, dunque, qualora si proceda per reati contro la pubblica amministrazione puniti con pena della reclusione non inferiore nel massimo a cinque anni commessi da pubblici ufficiali ed incaricati di pubblico servizio è possibile l’intercettazione tramite captatore informatico in luoghi di privata dimora anche qualora in essi non vi sia un’attività criminosa in atto.
In questa ipotesi, tuttavia, il decreto autorizzativo (che nei casi di urgenza può essere adottato anche dal pubblico ministero il quale dovrà specificare, ai sensi dell’art. 266, comma 2-bis, anche le ragioni di urgenza che rendono impossibile attendere il provvedimento del giudice), deve indicare tanto le motivazioni che, ai sensi dell’art. 267, comma 1, c.p.p., rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini, quanto quelle che, ai sensi dell’art. 266, comma 2-bis, ne giustificano l’utilizzo nei citati luoghi di privata dimora.
Per tutti i reati comuni il captatore informatico potrà essere impiegato sempre a condizione che le conversazioni non avvengano in luogo di privata dimora di cui all’art. 614 c.p. altrimenti l’intercettazione è consentita – in forza del principio contenuto nell’art. 266, comma 2, c.p.p. – solo se vi sia fondato motivo di ritenere che ivi si stia svolgendo l’attività criminosa.
In pratica, i software (che come visto devono essere conformi agli standard previsti dal decreto ministeriale) devono essere in grado di consentire di agire da remoto sull’apparato dispositivo nel quale esso viene installato in modo da escluderne la capacità ricetrasmittente qualora si trovi in un luogo di privata dimora.
Dall’art. 267, comma 2-bis, c.p.p. si ricava che il pubblico ministero non può mai disporre, con decreto motivato d’urgenza, l’intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile.
In ogni caso, il decreto del giudice che autorizza l’intercettazione tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile deve contenere, ai sensi dell’art. 267, comma 1, c.p.p., oltre l’indicazione delle ragioni che rendono necessaria tale modalità per lo svolgimento delle indagini, anche quella dei luoghi e del tempo, anche indirettamente determinati, in relazione ai quali è consentita l’attivazione del microfono.
Lo scopo della previsione è quello di evitare che l’utilizzo del nuovo mezzo tecnologico possa eludere quanto statuito dall’art. 266, comma 2, c.p.p. che – si ribadisce – per la legittimità delle captazioni in luoghi domiciliari presuppone che sia in atto l’attività criminosa.
L’altra fondamentale novità della riforma a ben vedere è quella della completa rivisitazione della disciplina di acquisizione e conservazione delle conversazioni e comunicazioni che, a prescindere dallo strumento tecnologico attraverso il quale sono state intercettate, prevede oggi un meccanismo piuttosto complesso di ‘trattamento’ la cui ratio ispiratrice è quella di tutelare la riservatezza tanto delle persone estranee al procedimento (le cui conversazioni loro malgrado potrebbero confluire negli atti del processo) quanto dello stesso indagato che, nonostante sottoposto ad indagini, non perde il diritto a non vedersi violare la segretezza delle comunicazioni e di tutto quanto non abbia attinenza rispetto alle indagini.
Si tratta dell’aspetto certamente più delicato e con riferimento al quale forti sono stati i ripensamenti del legislatore nel passaggio tra la prima versione (quella contenuta nel d.lgs. 216 del 2017) e quella poi entrata in vigore (di cui al d.l. 161 del 2019).
Al fine di evitare il fenomeno della divulgazione e della pubblicazione di conversazioni prive di rilevanza ai fini dello svolgimento delle indagini, è stato previsto che per le operazioni di intercettazione siano osservate una serie di cautele che, in un quadro di estrema sintesi, possono essere così schematizzate: a) in apposito registro riservato (il c.d. R.I.T.) gestito, anche con modalità informatiche, e tenuto sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica, sono annotati, secondo un ordine cronologico, i decreti che dispongono, autorizzano, convalidano o prorogano le intercettazioni e, per ciascuna intercettazione, l’inizio e il termine delle operazioni (art. 267, comma 5, c.p.p.); b) il pubblico ministero deve impartire indicazioni e vigilare affinché nei verbali redatti dalla polizia giudiziaria (nei quali, ai sensi dei commi 1 e 2, dell’art. 268 c.p.p., sono annotate le operazioni compiute e trascritte anche sommariamente i contenuti delle comunicazioni intercettate) non siano riportate espressioni lesive della reputazione delle persone o quelle che riguardano dati personali definiti sensibili dalla legge salvo, in quest’ultima evenienza, che risultino rilevanti ai fini delle indagini (art. 268, comma 2-bis, c.p.p.) ; c) il verbale delle operazioni previsto dall’art. 268 comma 1, c.p.p. deve contenere l’indicazione degli estremi del decreto che ha disposto l’intercettazione, la descrizione delle modalità di registrazione, l’annotazione del giorno e dell’ora di inizio e di cessazione della intercettazione nonché i nominativi delle persone che hanno preso parte alle operazioni; quando, poi, si procede ad intercettazione delle comunicazioni e conversazioni tra presenti mediante inserimento di captatore informatico su dispositivo elettronico portatile, esso deve indicare anche il tipo di programma impiegato (che come visto deve essere conforme a quanto stabilito dal decreto ministeriale) e, ove possibile, i luoghi in cui si svolgono le comunicazioni o conversazioni (art. 89, comma 1, disp. att. c.p.p.); d) presso ogni ufficio della Procura della Repubblica, poi, è istituito, sotto la direzione e la sorveglianza del Procuratore della Repubblica dell’ufficio che ha richiesto ed eseguito le intercettazioni, un apposito archivio digitale (artt. 169, comma 1, c.p.p. e 89-bis disp. att. c.p.p.); e) nell’archivio digitale sono custoditi i verbali, gli atti e le registrazioni delle intercettazioni a cui afferiscono (art. 269, comma 1, c.p.p.; art. 89-bis, comma 1, disp. att. c.p.p.); f) i verbali e le registrazioni sono immediatamente trasmessi dalla polizia giudiziaria al pubblico ministero per la conservazione nell’archivio digitale (art. 268, comma 4, c.p.p.); g) l’archivio è gestito con modalità tali da assicurare la segretezza della documentazione relativa alle intercettazioni non necessarie per il procedimento, ed a quelle irrilevanti o di cui è vietata l’utilizzazione ovvero riguardanti categorie particolari di dati personali come definiti dalla legge o dal regolamento in materia; a tal fine il Procuratore della Repubblica impartisce, con particolare riguardo alle modalità di accesso, le prescrizioni necessarie a garantire la tutela del segreto su quanto ivi custodito (art. 89-bis, comma 2, disp. att. c.p.p.); h) all’archivio possono accedere il giudice che procede e i suoi ausiliari, il pubblico ministero e i suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati all’ascolto, i difensori delle parti, assistiti, se necessario, da un interprete solo nei casi previsti dal codice ed ogni accesso deve essere annotato in apposito registro, gestito con modalità informatiche nel quale sono indicate data, ora iniziale e finale, e gli atti specificamente consultati (art. 89-bis, comma 3, disp. att. c.p.p.); i) con decreto del Ministro della giustizia, non avente natura regolamentare, adottato sentito il Garante per la protezione dei dati personali, sono fissati i criteri a cui il Procuratore della Repubblica si attiene per regolare le modalità di accesso all’archivio digitale a tutela della riservatezza degli atti ivi custoditi.
L’applicazione di questa complessa procedura di acquisizione e conservazione dei dati dovrebbe costituire lo scheletro portante delle misure concepite per evitare che, come avvenuto in passato, attraverso le intercettazioni telefoniche possano essere violati oltre misura i principi costituzionali posti a salvaguardia della segretezza delle comunicazioni.
Il completamento di tale procedura avverrà anche quando il Ministro della Giustizia adotterà il decreto previsto dall’art. 2, comma 6, d.l. 161 del 2019 con il quale dovrà stabilire le modalità e i termini a decorrere dai quali il deposito degli atti e dei provvedimenti relativi alle intercettazioni sarà eseguito esclusivamente in forma telematica, nel rispetto della normativa, anche regolamentare, concernente la sottoscrizione, la trasmissione e la ricezione dei documenti informatici.
Quando anche questa fase del processo di trasformazione sarà completato, tutto il procedimento (e gli atti che lo compongono) sarà dematerializzato e attraverso adeguati sistemi di protezione potranno essere evitate fughe di notizie non controllabili come, purtroppo, sovente avveniva nel vigore della precedente disciplina.
Le misure previste per la fase di acquisizione e conservazione dei dati emersi durante le operazioni di intercettazioni, si saldano con la disciplina introdotta per la selezione del materiale destinato ad entrare poi nel fascicolo del pubblico ministero ed in quello del dibattimento e, dunque, a perdere fisiologicamente i requisiti di riservatezza.
Una volta terminate le operazioni di intercettazione con la trasmissione dei verbali e delle registrazioni presso l’archivio digitale, infatti, si avvia il procedimento di acquisizione dei dati suscettibili di utilizzazione probatoria.
Il procedimento, a tale riguardo, è scandito in due fasi: ad una prima necessaria e sostanzialmente destinata alla selezione del materiale che dall’archivio digitale confluisce nel fascicolo delle indagini di cui all’art. 373, comma 5, c.p.p., segue una seconda, eventuale, destinata invece a far trasmigrare il materiale stesso nel fascicolo del dibattimento.
La prima fase può seguire tre differenti modelli a seconda delle scelte operate dal pubblico ministero nel corso delle indagini preliminari.
In via ordinaria è previsto che entro cinque giorni dalla conclusione delle operazioni (salvo provvedimento di autorizzazione al ritardo del deposito non oltre la chiusura delle indagini ai sensi dell’art. 268, comma 5, c.p.p.), i verbali e le registrazioni siano depositati presso l’archivio digitale insieme ai decreti che hanno disposto, autorizzato, convalidato o prorogato l’intercettazione, rimanendovi per il tempo fissato dal pubblico ministero o prorogato dal giudice (art. 268, comma 4, c.p.p.). Ai difensori delle parti è immediatamente dato avviso della facoltà di esaminare per via telematica gli atti e ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche (art. 268, comma 6, c.p.p.). In questa fase, ai difensori, per l’esercizio dei loro diritti e facoltà, è consentito, a norma dell’art. 269, comma 1, l’accesso presso all’archivio digitale e l’ascolto delle conversazioni o comunicazioni registrate con gli apparecchi a disposizione dell’archivio stesso senza, tuttavia, poter estrarre copia delle stesse (art. 89-bis, comma 4, disp. att., c.p.p.). Scaduto il termine previsto per l’ascolto delle registrazioni, il giudice dispone l’acquisizione delle conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche indicati dalle parti a condizione che essi non appaiano irrilevanti procedendo anche di ufficio allo stralcio delle registrazioni e dei verbali di cui è vietata l’utilizzazione e di quelli che riguardano categorie particolari di dati personali, sempre che non ne sia dimostrata la rilevanza.
Quando si procede secondo il modello ordinario (che si può prevedere sarà raramente adottato), dunque, le parti hanno l’onere di formulare un elenco con l’esatta specificazione delle comunicazioni ritenute rilevanti e presentarlo al giudice il quale all’esito di un’udienza stralcio, alla quale il pubblico ministero e i difensori hanno diritto di partecipare previo avviso di almeno ventiquattro ore prima, (art. 268, comma 6), dispone l’acquisizione del materiale destinato a confluire nel fascicolo di cui all’art. 373, comma 5, c.p.p.
Da questo momento, le conversazioni e le comunicazioni acquisite ed i verbali ad esse relative, in base all’art. 269, comma 1, non sono più coperti da segreto ed i difensori delle parti, ai sensi dell’art. 89-bis, comma 4, disp. att. c.p.p., possono ottenere copia sia delle registrazioni che degli atti ad esse relativi. Sempre in forza della medesima disposizione, il rilascio delle copie è annotato in apposito registro gestito con modalità informatiche nel quale sono indicate data e ora di rilascio e gli atti consegnati in copia.
Qualora non si sia proceduto ai sensi dei commi 4, 5 e 6 dell’art. 268 (e, dunque, qualora nel corso delle indagini non sia avvenuto il deposito delle intercettazioni e non si sia svolto il procedimento di acquisizione delle registrazione nel fascicolo delle indagini attraverso l’udienza stralcio), è con l’avviso di conclusione delle indagini di cui all’art. 415-bis c.p.p. che si avvia il procedimento di selezione del materiale rilevante.
Sebbene tale ipotesi sia apparentemente disciplinata come derogatoria rispetto a quella generale disciplinata dall’art. 268 c.p.p., è facile prevedere che essa rappresenterà in pratica quella più frequentemente utilizzata.
In base all’art. 415-bis, comma 2-bis¸ c.p.p. accanto a quelli consueti, l’avviso di conclusione delle indagini conterrà anche l’avvertimento che l’indagato e il suo difensore hanno facoltà sia di esaminare per via telematica gli atti depositati relativi alle intercettazioni ed ascoltare le registrazioni ovvero di prendere cognizione dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche, sia di estrarre copia delle registrazioni o dei flussi indicati come rilevanti dal pubblico ministero.
In pratica, all’avviso di conclusione delle indagini, il pubblico ministero dovrà allegare l’elenco delle comunicazioni che ritiene rilevanti ai fini del successivo rinvio a giudizio e con riferimento a queste ultime la discovery sarà totale ed il difensore potrà ottenerne copia al pari degli altri atti depositati.
A seguito dell’avviso, il difensore, entro il termine di venti giorni, dopo aver eventualmente ascoltato le registrazioni ed esaminato gli atti non depositati dal pubblico ministero presso l’archivio digitale ed eventualmente ottenuto copia di quelle già selezionate dal pubblico ministero, ha facoltà di depositare un proprio elenco contenente le ulteriori registrazioni da lui ritenute rilevanti e di cui chiede copia.
Sull’istanza, secondo quanto dispone la nuova previsione, provvede il pubblico ministero con decreto motivato. In caso di rigetto dell’istanza o di contestazioni sulle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti, il difensore può avanzare al giudice istanza affinché proceda, con le forme dell’udienza stralcio di cui all’art. 268, comma 6, c.p.p., alla selezione del materiale utilizzabile.
Un’ulteriore eventualità è quella prevista per il caso in cui il pubblico ministero, non avendo effettuato il deposito delle registrazioni nel corso delle indagini, abbia esercitato l’azione penale attraverso la richiesta di giudizio immediato.
Anche in questo caso, non essendo l’iniziativa dell’organo dell’accusa preceduta da alcun deposito di atti, è previsto che il pubblico ministero presenti, ai sensi dell’art. 454, comma 2-bis, c.p.p., l’elenco delle intercettazioni di comunicazioni o conversazioni o dei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche che reputa rilevanti ai fini di prova e dei quali il difensore può ottenere copia. Quest’ultimo, poi, a sua volta, entro quindici giorni (termine eventualmente prorogabile di dieci giorni a seguito di richiesta) dalla notifica del decreto che dispone il giudizio immediato, può depositare l’elenco delle ulteriori registrazioni ritenute rilevanti e di cui chiede copia. Anche in questo caso sull’istanza provvede il pubblico ministero con decreto motivato. Il difensore, in caso di rigetto della sua richiesta da parte del pubblico ministero o di contestazione delle indicazioni relative alle registrazioni ritenute rilevanti, può avanzare al giudice istanza affinché proceda attraverso udienza stralcio nelle forme di cui all’articolo 268, comma 6, alla selezione del materiale utilizzabile.
A differenza di quanto prevedeva la versione originale dell’art. 268 c.p.p. (che in via ordinaria affidava al giudice, all’esito dell’udienza stralcio, il compito di procedere alla trascrizione integrale delle registrazioni da acquisire osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie), il nuovo comma 7 della citata previsione statuisce oggi che anche nel corso delle attività di formazione del fascicolo per il dibattimento ai sensi dell’art. 431, il giudice dispone la trascrizione integrale delle registrazioni ovvero la stampa in forma intellegibile delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche da acquisire, osservando le forme, i modi e le garanzie previsti per l’espletamento delle perizie.
Nonostante la previsione alluda al fatto che la trascrizione non debba avvenire nel corso dell’udienza stralcio, nulla esclude che il giudice all’esito della attività di selezione delle comunicazioni informatiche o telematiche non irrilevanti, non inutilizzabili e che non riguardano categorie particolari di dati personali, possa anche disporre la perizia per la trascrizione delle intercettazioni acquisite.
La scelta di demandare ad un momento successivo (quello della formazione del fascicolo del dibattimento) la trascrizione delle intercettazioni acquisite dipende dal fatto che l’espletamento della perizia, che può comportare una dispendiosa attività, potrebbe rivelarsi del tutto inutile qualora l’imputato chieda di definire il processo con il giudizio abbreviato.
Per tale ragione, il legislatore ha optato per la individuazione del momento in cui procedere alla trascrizione delle intercettazioni in quello in cui avviene la formazione del fascicolo del dibattimento.
In applicazione di quanto, poi, statuisce l’art. 431, comma 2, c.p.p. (in forza del quale le parti possono concordare l’acquisizione al fascicolo del dibattimento di atti contenuti nel fascicolo del pubblico ministero), l’art. 268, comma 7, c.p.p. statuisce che, in luogo della perizia, può essere disposto, con il consenso delle parti, l’utilizzazione delle trascrizioni delle registrazioni ovvero delle informazioni contenute nei flussi di comunicazioni informatiche o telematiche effettuate dalla polizia giudiziaria nel corso delle indagini.
La lettera del comma 7 dell’art. 268 c.p.p. (laddove prevede che anche nel corso delle attività di formazione del fascicolo del dibattimento è possibile l’espletamento della perizia) fa evidentemente salva la possibilità di effettuare perizia nel corso del dibattimento, oltre che in caso di contestazioni (ipotesi espressamente contemplata dalla disposizione in esame), sia per disporre l’acquisizione di conversazioni che dovessero risultare successivamente rilevanti, sia per acquisire le intercettazioni precedentemente selezionate ma delle quali non sia stata disposta o non si sia potuto disporre (come nel caso di giudizio immediato) perizia.
A tutela della riservatezza, che potrebbe essere pregiudicata dalla divulgazione del contenuto dei provvedimenti non più coperti da segreto una volta notificati all’interessato e che potrebbero contenere al loro interno la riproduzione di ampi brani di intercettazione, il d.lgs. n. 216 del 2017 ha introdotto due previsioni che regolano il modo di redazione delle ordinanze applicative delle misure cautelari.
In forza del comma 1-ter dell’art. 291 c.p.p., la richiesta di misura cautelare non può anzitutto contenere la riproduzione integrale delle intercettazioni, bensì solo quella dei brani essenziali. Corrispondentemente, anche l’ordinanza emessa dal giudice, in base al comma 2-quater dell’art. 292, può riprodurre soltanto i brani essenziali delle comunicazioni e conversazioni intercettate, quando necessario per l’esposizione delle esigenze cautelari e degli indizi.
Piccoli ritocchi, per lo più resi necessari per coordinare la disciplina già in vigore con quella dell’archivio digitale di nuova introduzione, sono stati invece apportati dal d.l. 161 del 2019 con riferimento all’esercizio del diritto di accesso agli atti presentati dal pubblico ministero con la richiesta di applicazione della misura cautelare.
Come noto, ai sensi dell’art. 291, comma 1, c.p.p., il pubblico ministero deve presentare al giudice competente, oltre gli elementi su cui si fonda la richiesta, anche le conversazioni rilevanti che devono essere conferiti nell’archivio digitale; conseguentemente il difensore, ai sensi dell’art. 293, comma 3, c.p.p., ha diritto, oltre che di esaminare e di estrarre copia dei verbali delle comunicazioni e conversazioni intercettate di cui all’art. 291, comma 1, anche di ottenere la trasposizione, su supporto idoneo alla riproduzione dei dati e delle relative registrazioni secondo quanto disposto da Corte cost., 10 ottobre 2008, n. 336 (che ebbe a dichiarare l’illegittimità dell’art. 268 c.p.p. nella parte in cui non prevede che, dopo la notificazione o l’esecuzione dell’ordinanza che dispone una misura cautelare personale, il difensore possa ottenere la trasposizione su nastro magnetico delle registrazioni di conversazioni o comunicazioni intercettate, utilizzate ai fini dell’adozione del provvedimento cautelare, anche se non depositate).
L’art. 269, comma 1, c.p.p. a tale riguardo statuisce che non sono coperti da segreto, oltre i verbali e le registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo di cui all’art. 373, comma 5 (e di cui si è detto), anche quelli comunque utilizzati nel corso delle indagini preliminari e tale parte della disposizione allude evidentemente all’eventualità che, prima ancora dello svolgimento dell’udienza stralcio (o della notificazione dell’avviso di conclusione delle indagini), il pubblico ministero abbia utilizzato il materiale acquisito attraverso le intercettazioni per richiedere una misura cautelare, personale o reale, ovvero per motivare un qualunque altro mezzo di ricerca della prova del quale debba disporre il successivo deposito ai sensi dell’art. 366 c.p.p.
Inedita la previsione contenuta nell’art. 92, comma 1-bis, disp. att. c.p.p. a mente della quale, qualora a seguito dell’adozione dell’ordinanza cautelare rinvenga conversazioni ritenute non rilevanti o non utilizzabili, il giudice ne dispone la restituzione al pubblico ministero affinché le custodisca nell’archivio digitale di cui all’art. 89-bis disp. att. C.p.p.
La nuova disciplina ha, dunque, previsto una serie di misure dalla cui combinata applicazione dovrebbe uscire rafforzata la tutela della riservatezza.
In pratica, poiché alla luce di quanto dispone l’art. 329 c.p.p., tutta la documentazione conservata nell’archivio delle intercettazioni deve ritenersi coperta dal segreto e che, ai sensi dell’art. 269, comma 1, secondo periodo, non sono più coperti da segreto solo i verbali e le registrazioni delle comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo di cui all’art. 373, comma 5, o comunque utilizzati nel corso delle indagini preliminari, solo con il completamento della fase di acquisizione delle conversazioni rilevanti, secondo uno dei tre diversi modelli, oltre che nel caso di conversazioni utilizzate ai fini della richiesta di applicazione di una misura cautelare o della motivazione di un provvedimento di perquisizione, ispezione o sequestro, viene meno il segreto ed i risultati delle operazioni di intercettazione potrebbero essere oggetto di divulgazione.
Tutto il materiale conservato nell’archivio digitale, invece, resta coperto da segreto e qualunque violazione, dolosa o colposa, potrà essere sanzionata ai sensi dell’art. 326 c.p.
Tra l’altro, poiché il Procuratore della Repubblica è il destinatario degli obblighi di adozione ed attuazione delle misure di protezione della sicurezza e segretezza dei dati presenti nell’archivio digitale e si tratta di obblighi non delegabili, in caso di indebita diffusione di notizie destinate a rimanere segrete non dovrebbe essere difficile l’individuazione del responsabile della violazione.
Le misure di protezione si saldano e si completano con quanto, poi, previsto dal nuovo comma 2-bis dell’art. 114 c.p.p. che prescrive il divieto assoluto – dalla cui violazione deriva l’integrazione della contravvenzione di cui all’art. 684 c.p. – di pubblicazione, anche parziale, del contenuto delle intercettazioni non acquisite ai sensi degli artt. 268, 415-bis o 454, c.p.p.
Ai sensi dell’art. 269 c.p.p., infine, tutte le registrazioni sono in ogni caso conservate fino alla sentenza non più soggetta a impugnazione; tuttavia agli interessati, quando la documentazione non è necessaria per il procedimento, è data la possibilità di chiederne la distruzione anche prima, a tutela della riservatezza, al giudice che ha autorizzato o convalidato l’intercettazione.
Per effetto di quanto previsto dal d.l. n. 161 del 2019, il regime di utilizzabilità delle intercettazioni in altri procedimenti è subordinato a diverse condizioni.
Sul punto, come accennato, erano intervenute le sezioni unite Cavallo (Cass., Sez. Un., 28 novembre 2019, n. 51) secondo le quali, il divieto di cui all’art. 270 c.p.p. di utilizzazione dei risultati delle captazioni in procedimenti diversi da quelli per i quali le stesse siano state autorizzate – salvo che risultino indispensabili per l’accertamento di delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza – non opera con riferimento ai reati accertati in forza di tali risultati che risultano connessi ex art. 12 c.p.p. a quelli in relazione ai quali l’autorizzazione era stata ab origine disposta, sempreché rientrino nei limiti di ammissibilità previsti dall’art. 266 c.p.p.
Secondo la nuova versione dell’art. 270, comma 1, c.p.p. i risultati delle intercettazioni non possono essere utilizzati in procedimenti diversi da quelli nei quali sono stati disposti, salvo che risultino oltre che indispensabili anche rilevanti per l’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza e dei reati di cui all’art. 266, comma 1, c.p.p.
Accanto alla deroga già contemplata nella versione originaria dell’art. 270 c.p.p. (l’indispensabilità delle intercettazioni ai fini dell’accertamento dei delitti per i quali è obbligatorio l’arresto in flagranza) è stato inserito, dunque, il requisito della rilevanza e la previsione della rilevanza (oltre che della indispensabilità) per l’accertamento dei reati di cui all’art. 266, comma 1, c.p.p.
Tenuto conto del fatto che in quest’ultima categoria rientra il catalogo dei reati per i quali è previsto come obbligatorio l’arresto in flagranza, in pratica non sarà facile definire come le due deroghe potranno operare se, cioè, congiuntamente (con l’effetto di ulteriormente restringere l’ambito di applicazione dell’utilizzo delle intercettazione nel procedimento diverso) ovvero disgiuntamente (con l’effetto di ampliare l’ambito di applicazione dell’utilizzo delle intercettazione nel procedimento diverso ma a costo di un’amputazione della prima parte della norma).
Una disciplina ad hoc è stata, poi, prevista per quanto concerne l’utilizzo dei risultati delle intercettazioni tra presenti operate con captatore informatico su dispositivo elettronico portatile che in base, al comma 1-bis, possono essere utilizzati, fermo restando quanto previsto dal comma 1 del medesimo art. 270, anche per la prova di reati diversi da quelli per i quali è stato emesso il decreto di autorizzazione qualora risultino indispensabili per l’accertamento dei delitti indicati dall’art.266, comma, 2-bis.
Anche in questo caso, la clausola di salvezza di quanto statuito dal comma 1, del medesimo art. 270, dischiude scenari interpretativi di non agevole soluzione.
La riforma delle intercettazioni telefoniche, dunque, è avvenuta in nome della protezione del diritto alla riservatezza ed in effetti, a ben vedere, essa sembra aver delineato un archivio digitale – vale a dire un data base protetto da adeguati sistemi di sicurezza – nel quale troveranno conservazione tutti gli atti concernenti le intercettazioni telefoniche e le registrazioni ottenute attraverso di esse e al quale – il giudice che procede e i suoi ausiliari, il pubblico ministero e i suoi ausiliari, ivi compresi gli ufficiali di polizia giudiziaria delegati all’ascolto, i difensori delle parti, assistiti, se necessario, da un interprete – potranno accedervi solo a determinati condizioni e nel rispetto dei criteri di sicurezza previsti per i dati esaminati.
L’individuazione del responsabile della sicurezza nella persona del Procuratore della Repubblica e la indelegabilità degli obblighi di tutela della segretezza dei dati conservati nell’archivio digitale, poi, dovrebbero costituire adeguate barriere per prevenire le intollerabili violazioni alla riservatezza a cui si è assistito nel corso degli ultimi anni.
Insufficiente, semmai, resta la previsione contenuta nell’art. 684 c.p. destinata a colpire gli operatori dell’informazione che entrati in possesso di dati conservati nell’archivio digitale ne diffondano il contenuto, trattandosi di una contravvenzione che, peraltro, potrebbe essere estinta tramite il pagamento di somme a titolo di oblazione di modestissima entità.
Se quella faticosamente attuata dal legislatore potrà dirsi una buona riforma solo il tempo lo potrà testimoniare.
Quello che, però, ad una visione di sintesi può subito emergere è che la riforma, in nome della tutela della riservatezza, ha sacrificato, completamente o in parte, altri principi fondamentale che pure dovrebbero essere inviolabili.
Non può sfuggire, infatti, come per il perseguimento dello scopo, il legislatore abbia sostanzialmente esautorato il difensore e l’imputato dall’esercizio delle facoltà di accesso al materiale conservato nell’archivio digitale.
A parte le difficoltà pratiche concernenti l’organizzazione (che dovrebbe avvenire senza nuovi o maggiori oneri a carico della finanza pubblica) di postazioni adeguate e sufficienti per consentire ai difensori di poter effettuare presso gli archivi digitali l’ascolto e l’esame degli atti relativi alle intercettazioni, secondo il nuovo sistema il difensore, entro il termine fissato dal pubblico ministero (se quest’ultimo ha optato per l’attivazione dell’udienza stralcio) ovvero nei canonici venti giorni (qualora l’organo dell’accusa abbia optato per la discovery delle intercettazioni all’esito delle indagini preliminari) o nei quindici giorni (eventualmente prorogabili di ulteriori dieci, qualora l’esercizio dell’azione penale sia avvenuto nelle forme del giudizio immediato), dovrebbe poter essere in condizione di accedere personalmente presso l’archivio digitale ed ascoltare intercettazioni disposte su decine (se non centinaia) di utenze, durate magari anni e senza poter disporre della copia dei verbali (che, ai sensi dell’art. 269, comma 1, secondo periodo, non sono più coperti da segreto solo quando relativi a comunicazioni e conversazioni acquisite al fascicolo di cui all’art. 373, comma 5, o comunque utilizzate nel corso delle indagini preliminari).
Salvo quanto previsto dall’art. 415-bis, comma 2-bis, c.p.p., poi, l’indagato è completamente escluso dalla possibilità di accedere personalmente presso l’archivio digitale (l’art. 89-bis, comma 3, disp. att.c.p.p., peraltro, non lo contempla neppure tra i soggetti che potrebbero accedere all’archivio) il che sta a significare oltretutto che qualora lo stesso sia detenuto qualunque accesso diretto agli atti gli è praticamente inibito (non potendo né accedere all’archivio né poter disporre della copia delle intercettazioni e dei verbali) con grave violazione di quella garanzia, contenuta nell’art. 111, comma 3, Cost., di poter disporre, in quanto accusato, delle condizioni e del tempo necessari per poter preparare la difesa.
Al difensore, ancora, (stante la previsione contenuta nell’art. 89-bis, comma 3, disp. att.c.p.p.) sembrerebbe vietato di avvalersi di ausiliari (come consulenti tecnici e/o investigatori) ai quali eventualmente demandare – ammesso che tutto ciò possa sopperire alle esigenze difensive – le operazioni di ascolto e selezione del materiale utile ai fini della difesa.
Il legislatore ha probabilmente scritto la riforma movendo dall’idea, che però non trova alcuna corrispondenza nella prassi, che la selezione del materiale eseguita dalla polizia giudiziaria nel corso delle operazioni di ascolto sia totalmente esaustiva anche per la difesa e che quest’ultima non possa, attraverso una rilettura ed un’analisi complessiva del materiale acquisito, trovare elementi di prova diversi o scoprire, nelle conversazioni captate, significati reconditi e/o inediti e inconciliabili con quelli ricostruiti dagli inquirenti.
L’idea che le intercettazioni siano un patrimonio unilateralmente interpretabile, che debba rimanere nell’esclusiva disponibilità del pubblico ministero il quale può in ogni tempo riesaminarlo, anche avvalendosi della polizia giudiziaria (che a differenza degli ausiliari della difesa, l’art. 89-bis disp. att. c.p.p. ammette ad accedere presso l’archivio digitale) eventualmente anche alla luce delle risultanze processuali e che, per contro, la difesa non debba disporre di una analoga possibilità in condizioni compatibili con le normali organizzazioni degli studi professionali, rappresenta un vulnus del principio di parità delle armi.
* Professore Associato di Diritto Processuale Penale e di Diritto Penitenziario presso l’Università della Calabria
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