Con due sentenze la Cassazione ha affrontato la questione di legittimità costituzionale dell’articolo 581 comma 1-ter e 1-quater c.p.p.
Con la sentenza Cass., sez. II, del 13 settembre 2023, n. 40824 la questione è stata dichiarata irrilevante nel caso di specie, ma va sottolineato come la Corte escluda l’operatività che l’articolo 581 comma 1-quater che non opererebbe nel giudizio di Cassazione.
Con la seconda decisione (Cass. sez. V, del 28 settembre 2023 n. 42414) il Supremo Collegio, dopo aver ha affermato l’applicabilità dell’articolo 581 comma uno quater nel giudizio In Cassazione (ripercorrendo le argomentazioni di Cass. n. 39166 del 2023) dichiara la manifesta infondatezza della questione in relazione agli articoli 24, 27, 111 e 117 Cost e 6 e 7 CEDU.
Secondo la Corte: <<Il legislatore ha inteso realizzare un equo contemperamento tra il diritto di difesa dell’imputato -artt. 24 comma 2, 27 comma 2, 111 comma 1 e comma 2 primo alinea e 117 comma 1 Cost. – e l’esigenza, fondata precipuamente sul rispetto del principio di ragionevole durata del processo, che rinviene tutela nell’art. 111 comma 2 secondo alinea Cost., di una più celere ed efficiente organizzazione dello sviluppo del procedimento penale e degli strumenti dell’attività giurisdizionale propriamente detta, anche nella prospettiva di allontanare il pericolo della patologìa dell’abuso del diritto.
L’ “imputato rispetto al quale si è proceduto in assenza” è il soggetto a conoscenza del processo in base agli snodi di cui agli artt. 420 bis, 554 bis comma 2 e 484 comma 2 bis cod. proc. pen. – garanzie a presidio della legittimità dello svolgimento del processo in absentia in armonia con le direttive convenzionali di livello internazionale – sulla cui piena attuazione incombono i controlli dei giudizi d’impugnazione di cui agli artt. 604 comma 5 bis e 623 lett. b) bis cod. proc. pen.. E tale deve ritenersi il ricorrente, arrestato in flagranza, condotto dinanzi al giudice per l’interrogatorio e lo svolgimento del rito direttissimo, ed istante, in tale sede, per la celebrazione del processo con rito abbreviato. Laddove il processo non abbia rispettato le prudenti scansioni della disciplina sottesa alla formale dichiarazione di assenza, sono previsti i rimedi restitutori postumi, costituiti dalla rimessione in termini per impugnare – di cui all’art. 175 commi 2.1 e 2 bis cod. proc. pen. – e dalla rescissione del giudicato di cui all’art. 629 bis cod. proc. pen., modellata dalla riforma sull’evenienza della nullità del procedimento a causa dell’illegittima declaratoria di assenza dell’imputato. Reputa insomma il collegio che sia stato assicurato pieno e corretto equilibrio tra l'”inviolabilità” del diritto di difesa, di natura certamente primaria nel sistema ordinamentale – ma che non può espandersi oltre ogni confine di “buon senso” – e la misura della durata (appunto) “ragionevole” del processo connaturata anche a vincolanti canoni di efficienza e risparmio delle risorse e di cui è espressione il principio di economia degli atti processuali; in altre parole, il legislatore della riforma ha inteso conciliare, normandola, l’etica tra i due principi fondamentali, nell’ottica di evitare la proliferazione di giudizi d’impugnazione variamente dispendiosi – attivati per iniziativa del difensore, svincolata dall’avallo esplicito del diretto interessato – che potrebbero rivelarsi, anche dopo la formale irrevocabilità della pronuncia, del tutto inutili perché, qualora sfavorevoli all’imputato, potenzialmente obliterabili dall’indiscriminato riconoscimento, attraverso gli istituti processuali appena citati, di un diritto dell’imputato, che non abbia personalmente partecipato al processo, alla rinnovazione e duplicazione di tutti o parte dei gradi di giudizio. Si è ritenuto dunque di prevedere, equamente, che la scelta di impugnare la sentenza sia riservata all’imputato che sia stato posto in condizioni di partecipare al processo in virtù di uno scrupoloso complesso di precetti normativi e, per libera determinazione, non abbia coltivato tale sua facoltà, attribuendogli il consentaneo diritto, ove tali garanzie non siano state concretamente adottate, di ricorrere ai rimedi ripristinatori post iudicatum sopraindicati. 3 Corte di Cassazione – copia non ufficiale E, per concludere, si tratta di opzione di politica legislativa che ha tenuto conto dell’abbandono del principio di unicità dell’impugnazione, sancito dalla sentenza n. 317 del 2009 della Corte Costituzionale la quale, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 175 comma 2 cod. proc. pen. nella formulazione a quel tempo vigente, ha ritenuto che il diritto di difesa e al contraddittorio dell’imputato contumace “inconsapevole” – e dunque il suo diritto alla rimessione in termini per impugnare la sentenza contumaciale – non potesse essere compresso da un atto autonomamente compiuto dal difensore, che non avesse ricevuto un mandato “ad hoc” in tale direzione.>>
Da ultimo, la IV sezione ha ribadito la legittimità costituzionale della norma finalizzata a <<selezionare in entrata le impugnazioni>>. Tra gli argomenti a sostegno va segnalata la singolare interpretazione del principio affermata dalla sentenza della Corte Costituzionale n. 34/2020 sui limiti dell’appello della parte pubblica, che la Corte di legittimità così riporta: <<vi si ribadisce che il processo penale è caratterizzato da una asimmetria «strutturale» tra i due antagonisti principali, cosicché le differenze che connotano le rispettive posizioni impediscono di ritenere che il principio di parità debba (e possa) indefettibilmente tradursi, nella cornice di ogni singolo segmento dell’iter processuale, in un’assoluta simmetria di poteri e facoltà.>> sovvertendo di fatto il senso di garanzia del riequilibrio nel gioco tra le parti a fronte della posizione dominante assunta dal pubblico ministero nella sede investigativa.