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L’ergastolo ostativo alla luce delle pronunce delle Corti interne ed internazionali

L’ERGASTOLO OSTATIVO ALLA LUCE DELLE PRONUNCE DELLE CORTI INTERNE ED INTERNAZIONALI (*)

 

Prima di analizzare funditus le questioni inerenti al c.d. ergastolo ostativo, appare opportuno enucleare, seppure in estrema sintesi, i principali problemi dell’ergastolo come pena perpetua, che infatti si pone inevitabilmente in linea conflittuale con l’art. 27, co. 3 Cost., sia con riferimento al senso di umanità, sia con riguardo alla sostanziale inutilità di ri-educare un soggetto quando non potrà mai essere ri-socializzato, cioè reinserito nel contesto sociale. A questo proposito riteniamo opportuno riportare il pensiero di colui che non è stato solo un grande penalista e filosofo del diritto, ma soprattutto un vero e proprio uomo di Stato, che si caratterizzava soprattutto per la sua lungimiranza, tanto è vero che è stato ucciso barbaramente dalle Brigate Rosse proprio perché aveva capito, fra i primi, che era opportuno costituire un Governo nella Prima Repubblica con l’appoggio esterno del PCI, così rendendosi conto com’era necessario per l’interesse superiore del Paese, “sdoganare” il Partito comunista, in tal modo contribuendo all’ultimazione del lento e progressivo processo di democratizzazione. Stiamo, com’è ormai chiaro, parlando di Aldo Moro, che, in qualità di penalista, si è occupato anche dell’ergastolo, in relazione al quale il Nostro fornisce un giudizio negativo, in linea di principio, simile a quello rivolto alla pena capitale, in quanto anche l’ergastolo elimina dal consorzio sociale la figura del reo. È, però, necessario, a questo punto, lasciare la parola proprio ad Aldo Moro, che infatti così affermava: “L’ergastolo che, priva com’è di qualsiasi speranza, di qualsiasi prospettiva, di qualsiasi sollecitazione al pentimento ed al ritrovamento del soggetto, appare crudele e disumana non meno di quanto sia la pena di morte. Ed è, appunto, in corso nel nostro ordinamento -che conosce ancora la pena dell’ergastolo anche se non conosce più la pena di morte-  una riforma che tende a sostituire a questo fatto agghiacciante della pena perpetua – (“non finirà mai, finirà con la tua vita questa pena”) – una lunga detenzione, se volete, una lunghissima detenzione ma che non abbia le caratteristiche veramente pesanti della pena perpetua che conduce ad identificare la vita del soggetto con la vita priva di libertà. Questo, capite, quanto sia psicologicamente crudele e disumano” (corsivo aggiunto[1]). Sussistono, però, in relazione all’ergastolo tout court, diverse sentenze della Corte costituzionale[2], che, appunto, di fronte alla pena perpetua, hanno ritenuto di rinvenirvi una ovviamente, seppur parziale, legittimazione che, tuttavia avrebbe evitato uno scontro frontale con l’art. 27, co. 3 Cost., mediante il ricorso ad istituti che avrebbero, benché ab externo, ridotto la rigidità e fissità della pena in oggetto. Trattasi, com’è noto, della liberazione condizionale, della liberazione anticipata, della semilibertà e dei cc. dd. permessi-premio.  A dimostrazione, però, che non poteva che trattarsi di una legittimazione ab externo fornita, la ricaviamo proprio dalla problematica inerente al c.d. ergastolo ostativo, cioè a quel tipo di ergastolo di cui all’art. 41 bis ord. pen., per i reati indicati dal precedente art. 4 bis, integrato dalla Legge n. 3 del 2019 c.d. “Spazzacorrotti”, che ha esteso l’ambito di influenza dello stesso art. 4 bis anche ai diversi delitti di concussione e corruzione, comprese anche l’induzione indebita, l’istigazione alla corruzione ed infine il peculato, la concussione, l’induzione, la corruzione e l’istigazione alla stessa, ma di membri delle Corti internazionali o degli organi delle Comunità europee o delle Assemblee parlamentari internazionali etc.. Per i reati de quo, infatti, l’ergastolo ostativo comporta l’inibizione del ricorso a qualunque tipo di beneficio penitenziario, a meno che il soggetto stesso non abbia collaborato con le autorità inquirenti e/o giudicanti, così mostrando di aver rescisso i legami, in particolare, con la criminalità organizzata. Si tratta, in sostanza di un meccanismo c.d. ‘a forbice’, nel senso che il soggetto in ergastolo ostativo, per ottenere i benefici de quo, deve però fornire una collaborazione processuale, in relazione alla quale vanno tuttavia mossi alcuni rilievi critici. In primo luogo, il diritto penale diventa “servente” alle esigenze del processo e, quindi, probatorie, per cui si tratta di quella che già Tullio Padovani, nel lontano 1981, aveva icasticamente definito “la soave inquisizione”[3].

In secondo luogo, non è affatto assicurata la veridicità di quanto riferito dal collaborante, tanto ciò è vero che dopo il già ricordato e assai discusso caso Tortora, la giurisprudenza ha reagito richiedendo comunque la sussistenza di “riscontri esterni individualizzanti” che comprovino, cioè non solo la sussistenza del fatto di reato, ma anche la compartecipazione del soggetto accusato al fatto stesso[4].

In terzo luogo, questa volta da un punto di vista tipicamente del diritto penale sostanziale, non è affatto scontato che la collaborazione processuale riesca a disgregare dall’interno l’organizzazione criminale, per cui anche sotto questo profilo residuano riserve, questa volta in chiave funzionale, rispetto al modello c.d. a forbice. Stabilito ciò, la totale privazione, tranne l’eccezione da ultimo ricordata, di qualunque tipo, di beneficio penitenziario, ha però di recente indotto la Corte EDU con la sentenza Viola c. Italia n. 219[5] a ritenere l’ergastolo ostativo in ogni caso contrario al “senso di umanità” e, quindi, evidentemente, anche al principio di risocializzazione. La Corte costituzionale italiana, però, seppure in una sentenza ormai risalente[6], ha invece sostanzialmente ‘salvato’ l’ergastolo ostativo, nel senso che ha ritenuto legittima la subordinazione dell’ammissione ai benefici penitenziari, alle misure alternative ed alla liberazione condizionale all’avvenuta collaborazione processuale. In tal modo, però, la prevenzione generale prevale nettamente sulle esigenze legate alla prevenzione speciale. Di diverso avviso, come abbiamo potuto constatare, la CEDU, non solo nella sentenza Viola, ma anche nella successiva pronuncia della Grande Chambre che, in data 8 ottobre 2019, ha confermato i principi della sentenza Viola dichiarando ‘irricevibile’ il ricorso dello Stato italiano. La stessa Corte EDU si era mostrata anche di più ampio respiro rispetto al caso Viola in un’altra sentenza sempre del 2019, nel caso Petkhov v. Uckraine[7]. Per esaminare meglio la ‘risposta’ data alla Corte EDU dalla nostra Corte costituzionale, è però necessaria una premessa circa la possibilità o meno di bilanciare, nell’ambito del dialogo tra le Corti, concetti come quello relativo alla ‘dignità umana’, oppure al nostro ‘senso di umanità’. Esiste, infatti, un’importante corrente della filosofia del diritto, impersonata in particolare dal Collega Massimo La Torre, che ritiene come non siano affatto bilanciabili concetti come quelli su ricordati, perché, data la loro ritenuta assolutezza, non sarebbero correlabili con concetti di segno opposto[8].

Questa impostazione non appare, tuttavia, convincente, perché è proprio nell’essenza di Dike, cioè la dea della giustizia, rappresentata ideograficamente non a caso da una stadera[9], il bilanciamento tra opposte esigenze giacché, se così non fosse, non si saprebbe, anche nel caso di specie, spiegare come il successivo intervento della Corte costituzionale abbia solo in parte recepito il dictum della Corte EDU nel caso Viola[10]. La Corte costituzionale, infatti, con la sentenza n. 253 del 2019[11], non ha recepito in toto le argomentazioni della Corte EDU perché, se così si fosse condotta, avrebbe dovuto dichiarare l’integrale illegittimità costituzionale dell’ergastolo ostativo proprio perché contrario al ‘senso di umanità’, di cui all’art. 27, co. 3, Cost., per riferirsi alla norma costituzionale nostrana. Per comprendere, invece, appieno il senso ed i limiti della sentenza della Corte costituzionale, che sembra sia passata per un’esigua maggioranza ovverosia, nove giudici a favore ed otto contrari, bisogna partire dal caso concreto, che è poi quello che condizionerà fortemente il dictum della Corte nostrana. La Corte di Cassazione, con ordinanza del 20 dicembre 2018, aveva infatti sollevato questione di legittimità costituzionale dell’art. 4 bis, co. 1, L. 20 luglio 1975, n. 354 in riferimento agli artt. 3 e 27 Cost., non in linea generale, ma soltanto nella parte in cui esclude che il condannato all’ergastolo ostativo possa essere ammesso alla fruizione di un “permesso premio”.

Il petitum non riguarda l’intiero ergastolo ostativo e quindi l’esclusione da tutti i benefici penitenziari, ma soltanto l’esclusione da uno di essi, ovverosia il permesso premio. Da ciò si evince chiaramente come il caso concreto abbia influito grandemente sul dictum della Corte costituzionale, tanto è vero che la Corte medesima, pur essendo ben consapevole del più ampio pronunciamento espresso dalla Corte EDU in materia, non segue affatto tale ultimo pronunciamento, che menziona solamente, perché il problema non è, appunto, posto in linea generale, bensì solo con riferimento allo specifico beneficio di cui abbiamo in precedenza trattato. Chiarita questa actio finium regundorum, della sentenza della Corte costituzionale, che altrimenti non potrebbe essere compresa se non, appunto, nell’ambito di una prospettiva legata, in definitiva, al bilanciamento dei beni, veniamo però ora a ciò che accomuna la sentenza della Corte EDU alla sentenza della Corte costituzionale. Il tratto comune e quindi il principio di diritto che viene affermato da entrambe le Corti consiste nell’affermazione dell’illegittimità della presunzione assoluta di pericolosità e ciò, per venire alla sentenza della Corte costituzionale italiana, per contrasto proprio con gli artt. 3 e 27, co. 3, Cost.. L’art. 3 Cost. viene in considerazione in quanto la presunzione assoluta parifica irragionevolmente tutti i casi e l’art. 27, co. 3 Cost. perché, conseguentemente, essendo l’ergastolo ostativo contrario al senso di umanità, non può consentire quel processo di ‘individualizzazione’ che risulta funzionale, non solo al rispetto dello stesso senso di umanità ma anche, di conseguenza, alla stessa rieducazione del condannato.

Per tale ragione la Corte costituzionale dichiara illegittima la normativa di cui all’art. 4 bis o.p., seppure solo in riferimento alla inibizione della concessione dei permessi-premio, proprio perché fondata su di una presunzione assoluta di pericolosità che, invece, deve essere sostituita, affinché la norma risulti conforme alla Costituzione, nonché alla normativa comunitaria, con una presunzione relativa.

In tal modo si potranno concedere permessi-premio, non solo nell’ipotesi originaria relativa alla collaborazione processuale, ma anche in quella in cui il giudice dell’esecuzione, nel caso concreto, valuti, attraverso gli strumenti offertigli dall’ordinamento, dalla relazione del direttore del carcere, alla valutazione del comportamento del condannato ed anche mediante ausilio di una  perizia criminologica, esperibile sinora solo in sede di esecuzione, la mancanza di pericolosità del condannato. Va da sé che, così, la discrezionalità del giudice risulti notevolmente ampliata e ciò spiega, ma non giustifica, le reazioni, talvolta decisamente unidirezionali, di settori importanti della magistratura, soprattutto inquirente. Tali reazioni, infatti, sottolineano in definitiva soltanto la pericolosità soprattutto della criminalità organizzata che, sia detto per inciso, consiste in un’osservazione quasi scontata, senza tener conto che anche per criminali di così notevole caratura i principi costituzionali devono comunque valere. La sentenza della Corte costituzionale non si limita, però, alla legittimità della concessione dei permessi-premio nell’ambito dei reati associativi, ma anche con riguardo a quei delitti dei p.u. contro la P.A., che abbiamo ricordato precedentemente, proprio perché anch’essi inseriti nel novellato art. 4 bis o.p. dalla L. n. 3 del 2019.

In conclusione, siamo dell’avviso che la sentenza della Corte costituzionale costituisca un punto di partenza e non già di arrivo, non solo perché nel futuro prossimo ci si dovrà interrogare sulla legittimità dell’esclusione degli altri benefici penitenziari, ma, più in generale, in quanto prima o poi bisognerà pure domandarsi se lo stesso ergastolo, anche non ostativo, sia contrario o no alle norme costituzionali e/o comunitarie, tenendo conto che, in particolare, nei Paesi del nord Europa come, ad es., nella Repubblica federale tedesca, la pena detentiva non può superare i venti anni di reclusione e così pure si era orientato il Progetto di riforma Grosso-Pulitanò da noi, che infatti prevedeva, al posto dell’ergastolo, una detenzione di lunga durata, sino cioè a ben trenta anni di reclusione. Anche in questo caso, tuttavia, le esigenze di prevenzione speciale sono state sacrificate dalla generalprevenzione[12], espressa soprattutto dalla politica giudiziaria del Ministro della Giustizia di turno.

Qui il discorso si amplia nell’ambito di una riflessione sul carattere ancora “carcerocentrico” del sistema penologico italiano ove invece la pena detentiva dovrebbe essere limitata ai delitti di criminalità terroristica e organizzata, nonché ai delitti di sangue, mentre in altri settori dovrebbe incidere la pena pecuniaria, subordinata però alla commisurazione con il sistema c.d. a tassi giornalieri[13], nonché le sanzioni interdittive e le pene prescrittive, in rapporto alla c.d. “restorative justice[14], ma questo è un discorso molto più ampio, di sistema, che in questa sede può essere solo, ovviamente, enunciato.

 

(*) Testo, riveduto e con l’aggiunta delle note, della Relazione tenuta all’omonimo Convegno svolto presso il Tribunale penale di Roma il 27 gennaio 2020.

[1] MORO A., Lezioni di istituzioni di diritto e procedura penale – tenute nella facoltà di Scienze Politiche dell’Università degli Studi di Roma, raccolte e curate da F. TRITTO e con presentazione di G. VASSALLI, Bari, 2005, 115 ss. e, quivi, 116.

[2] Corte cost., n. 204/1974, con riguardo alla liberazione condizionale della pena; Corte cost., n. 274 del 27 settembre del 1983, in Foro it., 1983, I, 233, con nota di GREVI, con riguardo alla liberazione anticipata. Di recente, per una critica invece serrata all’ergastolo ostativo, cfr. NAPPI A., La crisi del sistema delle sanzioni penali, Napoli, 2010, 132 ss..

[3] PADOVANI, La soave inquisizione – Osservazioni e rilievi a proposito delle nuove ipotesi di ravvedimento, in RIDPP, 1981, 529 ss..

[4] Cfr., da ultimo, Cass., VI penale, sent. n. 45733 del 2018.

[5] CEDU, Sez. I, sent. 13 giugno 2019, Viola c. Italia, in RIDPP, 2019, 925 ss.; in argomento, per tutti, DOLCINI, Dalla Corte EDU una nuova condanna per l’Italia: l’ergastolo ostativo contraddice il principio di umanità della pena, in ibid, loc.ult. cit.; sull’ergastolo ostativo, da ultimo, cfr. anche DE FRANCESCO G.A., L’invito al diritto penale, Bologna, 2020, spec. 167 ss.; BERNARDI S., Per la Consulta la presunzione di pericolosità dei condannati per reati ostativi che non collaborano con la giustizia è legittima solo se relativa: cade la presunzione assoluta all’accesso ai permessi premio ex art. 4-bis, comma 1, ord. pen., in Sistema penale, 28 gennaio 2020; ID., L’ostatività ai benefici penitenziari non può operare nei confronti dei condannati minorenni: costituzionalmente illegittimo l’art. 2, comma 3, D.Lgs. 20 0ttobre 2018, n. 121, in ibid, 29 gennaio 2020 (nota a Corte cost., sent. 6 dicembre 2019, n. 263, (Pres. Carosi, Rel. Amato).

[6] Corte cost., sent. n. 135 del 2003, su cui sia consentito il rinvio a MANNA, Rapporti tra diritto penale sostantivo e processo penale a trent’anni dal Codice Vassalli, in Arch. pen. (web) , 2019, n. 3, 14-15.

[7] CEDU, sez IV, 12 marzo 2019, Petkhov v. Ukraine, in DPP, 2019, 1303 ss., con nota di BRUCALE, L’ergastolo in Europa e il “right to hope”. La sentenza “Petkhov c. Ukrain” nel panorama giurisprudenziale della Corte EDU, in ibis, loc. ult. cit.

[8] LA TORRE, I dibattiti sulla giustizia costituzionale. Tra teoria e storia. Relazione al Convegno dal titolo: “Dialogo tra Corti e bilanciamento: un approccio multidisciplinare”, Università di Foggia, Dipartimento di Giurisprudenza, 30 ottobre 2019 (Atti in corso di pubbl.).

[9] In argomento, cfr. di recente, CACCIARI; Destino di Dike, in CACCIARI-IRTI, Elogio del diritto, con un Saggio di Werner Jaeger, Milano, 2019, 65 ss.

[10] In quest’ultima prospettiva, in generale, TESAURO A., Corte EDU e Corte cost. tra operazioni di bilanciamento e precedente vincolante. Spunti teorico-generali e ricadute penalistiche – Parte prima: il bilanciamento ad hoc o caso per caso, in www.penalecontemporaneo.it, 24 giugno 2019; ID., Il gioco delle tre Corti: Corte CEDU, Corte costituzionale e Corti comuni tra teoria del bilanciamento e teoria del precedente, in AA. VV., Dialogo tra corti e bilanciamento, etc. loc. ult. cit.; sul bilanciamento degli interessi v. anche di recente, NISCO, Neokantismo e scienza del diritto penale -Sull’involuzione autoritaria del pensiero penalistico tedesco nel primo novecento, Torino, 2019, spec. 219 ss.

[11] Corte cost. sent. 4 dicembre 2019, n. 253 Pres. Lattanzi, Red. Zanon, in Eius, in www.eius.it/giurisprudenza/2019/699, 1 ss.; nonché in Guida al dir., 2020, n. 5, 18 gennaio, 64 ss., con osservazioni di FIORENTIN, La Consulta rimodella solo l’istituto previsto per i delitti “ostativi”, in ibid, 77 ss.; nonché ID, Condizioni stringenti per la concessione dei permessi-premio, in ibid, 85 ss..

[12] Sulle esigenze legate al c.d. diritto alla sicurezza, cfr. di recente, RISICATO, Diritto alla sicurezza e sicurezza dei diritti: un ossimoro invincibile?, Torino, 2019, spec. 73 e ss. proprio con riferimento al c.d. populismo penale, di cui è sicura espressione la L. n. 3 del 2019; sul populismo penale v. anche di recente, NISCO, op. cit., 207 ss.. Un’accezione del concetto di sicurezza diametralmente opposta a quella della vulgata ministeriale, è espressa recentemente pure da MOCCIA, La sicurezza è accesso ai diritti, in Il Manifesto, 8 febbraio 2019, nonché in Dis-crimen, 2019.

[13] Che consiste in una duplica operazione che deve effettuare il giudice penale, nel senso che nello stabilire il numero delle quote o dei tassi deve tener conto sia delle gravità del fatto, che del quantum di colpevolezza mostrato dal soggetto, mentre nel calcolare l’ammontare della quota o del tasso deve tener conto della capacità economico-finanziaria del reo. Tale modello in vigore soprattutto nei sistemi penali dei Paesi del nord Europa e introdotto anche da noi nella responsabilità da reato degli enti ha dato buona prova di sé, tanto che, ad esempio in Germania, l’85% delle sanzioni penali sono costituite da pene pecuniarie, mentre solo il 15% da pene detentive. Per i relativi riferimenti bibliografici, sia consentito il rinvio a MANNA, Corso di diritto penale, Parte generale, 4ᵃ, Milano, 2017, 645 ss. e, spec. 647 ss..

[14] In argomento, da ultimo, CERETTI, con NISIVOCCIA, Il diavolo mi accarezza i capelli – Memorie di un criminologo, Milano, 2020.

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