La prima sezione penale ha affermato che soltanto la radicale mancanza dell’impugnazione e non una successiva rinuncia integra il presupposto necessario per fruire della riduzione ulteriore della pena contemplata dal comma 2-bis dell’art. 422 c.p.p.
La fattispecie è relativa ad una sentenza di condanna in primo grado impugnata prima dell’entrata in vigore del d.lgs. n. 150 del 2022, successivamente l’imputato aveva rinunciato all’appello, prima della trattazione nel merito, al fine di ottenere la riduzione di pena introdotta dalla novella.
Si legge in motivazione che << alla mancata impugnazione non può equipararsi la rinuncia all’impugnazione già proposta, poiché essa – non determinando l’effetto pienamente deflattivo perseguito dal riformatore – non è stata ritenuta condizione adeguata ad assicurare all’imputato rinunciante il conseguimento del beneficio in esame>>.
Non ravvisa la corte alcun vulnus al principio di retroattività della lex mitior, ritenendo, anche in virtù dell’interpretazione data in sede convenzionale dell’art. 7 CEDU, che il principio afferisca <<soltanto alle disposizioni, aventi natura sostanziale, che definiscono i reati e le pene che li sanzionano>>.
Neppure ravvisa un conflitto con i principi di uguaglianza e di responsabilità penale <<dal momento che la diversità del trattamento sanzionatorio determinata dalla riduzione ex art. 442, comma 2-bis, cod. proc. pen. trova causa nella diversità delle situazioni oggetto di regolazione ed essa non può essere recepita contra ius dal condannato che abbia inteso perseguire il medesimo obiettivo compiendo altre scelte processuali>>