Vannini murder case, the way to a new verdict of the Court of Assizes of Appeal, the third chapter of the saga. Italian Supreme Court judgement produces some consequences on the last but not final verdict.
La vicenda Ciontoli – Vannini continua ad essere fonte di dubbi e perplessità sia sulla ricostruzione del fatto che sulla qualificazione giuridica degli eventi. L’ultima sentenza pronunciata sul caso utilizza delle soluzioni giuridiche che non convincono pienamente e che meritano una più approfondita analisi.
In the Ciontoli – Vannini saga there is an uncertain and questionable reconstruction of the fact poured out of the investigations and trials. Secondly, everyone can found many questions about an ambiguous use of law interpretation in the case. The last verdict is not fully convincing in this regard, that’s the main reason of this paper.
SOMMARIO: 1. Introduzione. – 2. La coerente valutazione sul dolo ed una interpretazione sindacabile – 3. L’uso dell’articolo 116 c.p., alcune precisazioni. – 4. Conclusioni ed ipotesi alternative.
1.Introduzione.
La vicenda è ormai più che nota sia ai lettori di cronaca, sia ai giuristi che si interessano della materia, pertanto si eviterà, in questa sede, la pedissequa ricostruzione dell’accaduto processuale. Essa prende le mosse dalla morte di Marco Vannini, sopraggiunta dopo che il giovane è stato attinto, si ritiene per via di un gioco finito male, da un colpo di pistola esploso dal padre della propria fidanzata mentre questi si intratteneva con lui nel bagno di casa della famiglia Ciontoli. Successivamente a questo evento, il Ciontoli Antonio ed i familiari dello stesso, avrebbero omesso di contattare efficacemente i soccorsi, ritardando fatalmente l’intervento dei sanitari, nonché mentendo nelle telefonate rivolte al 118, per tentare di risolvere l’accaduto nelle mura domestiche ed evitare conseguenze pregiudizevoli al capofamiglia, tra l’altro militare del R.U.D. Brevemente, a seguito di una serie di decisioni che si sono smentite a vicenda, si è giunti all’appello bis dopo il rinvio della Corte di Cassazione. Sostanzialmente riconosciuta la responsabilità di Antonio Ciontoli e dei familiari presenti al momento delle vicende successive all’ormai tristemente famoso “colpo d’aria”, come in una prima versione dei fatti Antonio Ciontoli ha qualificato l’evento di sparo della propria pistola che ha attinto il Vannini, la Cassazione ha invitato la Corte di Appello a rivalutare l’elemento soggettivo. Su questo si è concentrata la censura della Suprema Corte, ritenendo errata la qualificazione colposa della condotta per tutti i concorrenti, così come qualificata dalla Corte di Assise di Appello. E ciò ha fatto in parte su argomentazioni sostenibili: ci si riferisce all’errato utilizzo della formula di Frank[1] per quanto attiene all’evento collaterale negativo per l’attore (cioè nel caso di specie, la morte del Vannini). Viceversa, la Corte di Cassazione ha compiuto delle affermazioni assiomatiche che non sembrano trovare riscontro in alcuna norma di legge e che, al contrario, incontrano il netto conflitto con una esperienza giurisprudenziale stratificata. Tali asserzioni hanno comportato delle rilevantissime conseguenze sulla sentenza di appello bis che ivi si commenta, in parte per il valore di giudicato di alcune prescrizioni, in parte per l’atteggiamento poco autonomo che il giudice di secondo grado pare aver dimostrato nei confronti di mere valutazioni in obiter compiute dalla Cassazione, come si spiegherà più innanzi.
In primo luogo è fondamentale, per la comprensione di quanto, si ritiene, non ha potuto fare a meno di sostenere la Corte di Assise di Appello di Roma nella sua sentenza n. 22/2020 che ivi si commenta, la qualificazione della vicenda come connotata da un comportamento omissivo degli attori tutti. Ciò sulla base di un non meglio specificato obbligo di garanzia che la Corte di Cassazione, Sez. II, nella precedente decisione del 6 marzo 2020, n. 9049, ha ritenuto di dover rintracciare nel rinvenimento del Vannini ferito e nella assunzione volontaria delle sue cure, compiendo un ragionamento che ha pochi e sparuti precedenti nella storia del diritto penale italiano.[2]
Per meglio dirla, l’obbligo di garanzia si è ritenuto esistente nel momento in cui il soggetto rinveniente il ferito si assuma la gestione delle conseguenze dell’evento infausto, costituito, nel caso, dal colpo di pistola. Per di più, in relazione a tale obbligo di garanzia, in spregio di ogni definizione teorica stratificata sul tema, la medesima Suprema Corte ha ritenuto che non fosse necessario che tale obbligo fosse prescritto per legge o per negozio (nei limiti della disponibilità dello stesso obbligo) o che preesistesse all’evento dannoso, cancellando in poche righe le centinaia di pagine che sul punto sono state scritte dalla migliore dottrina[3]. E ancora, obliterando quasi ogni utilità dell’art. 593 c.p. con una interpretatio che sostanzialmente sembra capace di abrogare il reato di omissione di soccorso.
Non è ignoto a chi scrive, infatti, che ben può concorrere l’omissione di soccorso con un reato colposo[4], così come ha chiaramente insegnato la disciplina dell’omissione di soccorso stradale ritenuta compatibile per legge con l’omicidio stradale colposo. Ne consegue che, quindi, all’atto colposo e fortuito dello sparo di Antonio Ciontoli che ha causato l’omicidio colposo del Vannini, potesse seguire per lui anche l’incriminazione per omissione di soccorso. A meno che gli atti successivi di omissione delle cure non venissero intesi come eccezionali ed imprevedibili tanto da essere capaci di recidere il nesso causale tra il colpo di arma da fuoco e la morte del Vannini. Eventualità che pure avrebbe meritato un vaglio, e che probabilmente avrebbe condotto alla interpretazione giuridica della vicenda secondo i seguenti termini: lesioni colpose, da qualificare come antefatto non punibile per bis in idem, a cui è seguito l’omicidio caratterizzato da un dolo anche eventuale. Soluzione che è pressoché quella cui giunge la sentenza di Appello bis ma rispetto alla quale questo iter razionale non è esplicitato.
Ad ogni modo, non vuole essere questa la sede della critica, pur feroce, che merita la decisione della Corte di Cassazione, ma è necessario partire da un altro dato letterale di tale pronuncia che pare oscuro, per addivenire alla comprensione di quanto è poi scaturito nel rinvio: cioè, lo si anticipa, dell’utilizzo dell’art. 116 c.p. per spiegare il diverso atteggiamento psicologico e soggettivo dei componenti della famiglia Ciontoli.
Ma procedendo per gradi, è opportuno partire dalla porzione della sentenza della Suprema Corte che sembra aver più influito sulla successiva decisione del Giudice di Appello. Ci si riferisce a questo passaggio: «54. Va infine precisato come non sia corretta, in riferimento alla posizione di questi imputati, la scelta di qualificazione – operata in primo grado – in termini di concorso colposo nel delitto doloso configurato a carico di Antonio Ciontoli. Come è noto, il concorso colposo nel delitto doloso ha riguardo al caso in cui un soggetto, pur potendo prevedere l’evento, tenga una condotta colposa di contributo alla realizzazione dei propositi deliberati e concretizzati da parte dell’autore diretto, il quale agisce in dolo. La figura concorsuale dovrebbe conferire, nella prospettiva di quanti la sostengono, la possibilità di attrarre nell’area della tipicità condotte che invero, autonomamente considerate, appaiono atipiche. Trattandosi però di condotte che si assumono colpose, pur a voler ritenere superato il principio dell’unicità del titolo soggettivo di responsabilità concorsuale e quindi ad ammettere che possa aversi concorso con una diversificazione di elemento soggettivo tra i partecipi, occorre pur sempre individuare, ai fini della punibilità di quei contributi, una previsione incriminatrice a titolo di colpa. E infatti, a norma dell’art. 42, comma secondo, cod. pen. la previsione generale di punibilità dei delitti attiene alla loro forma dolosa, occorrendo, per la 39 4 punibilità a titolo di colpa, una espressa previsione di legge; e la disposizione di cui all’art. 113 cod. pen. limita l’incriminazione della cooperazione al delitto colposo e non ammette forme di cooperazione ad delitto doloso – v. da ultimo, Sez. 5, n. 57006 del 05/10/2018, Curti, Rv. 274626-02 e Sez. 4, n. 7032 del 19/07/2018, dep. 2019, Zampi c/ Sabatini, Rv. 276624, secondo cui “non è configurabile il concorso colposo nel delitto doloso in assenza di una espressa previsione normativa, non ravvisabile nell’art. 113 cod. pen. che contempla esclusivamente la cooperazione colposa nel delitto colposo” Su queste premesse va allora ricordato, per quel che qui interessa, che il delitto di omicidio è espressamente previsto e punito anche nella forma colposa e sulla base di un paradigma oggettivo solo causalmente orientato, con la conseguenza che, ove siano plurimi i contributi causali di produzione dell’evento, sia dolosi che colposi, si assiste al concorso di fattori causali indipendenti e quindi al concorso di condotte causali autonome, punibili per titoli soggettivi differenziati. Se, invece, si afferma la partecipazione concorsuale nel fatto doloso di uno dei compartecipi, il paradigma normativo a cui fare riferimento è delineato dalla disposizione dell’art. 110 cod. pen., nel cui ambito l’apprezzamento di diversificazioni dell’elemento soggettivo di taluno dei concorrenti può essere valutato nei limiti posti dall’art. 116 stesso codice».
Quindi qui la Cassazione precisa che è certamente ormai sdoganata la possibilità di ammettere il concorso colposo nel delitto doloso[5]. Inoltre, si desumono i seguenti punti analitici: che purtuttavia è requisito imprescindibile che il singolo delitto colposo sia espressamente previsto dalla legge; che certamente è possibile che i due atti doloso e colposo diano luogo a decorsi causali indipendenti; che infine sia applicabile il 110 c.p.; che nell’ambito concorso, l’apprezzamento di diversificazioni dell’elemento psicologico di qualcuno dei concorrenti può essere valutato nei limiti del 116 c.p..
Pare che con quest’ultima asserzione si smentisca quello che si è detto poco più sopra: che cioè è possibile il concorso con elemento soggettivo differenziato.
Si afferma che l’elemento soggettivo differenziato può esistere ma nei limiti del 116 c.p., ove cioè un correo compia un reato diverso da quello voluto. In realtà già l’affermazione risulta non ben accordata al caso di specie: il 116 c.p. regola il caso in cui un concorrente trasmodi dal reato voluto dagli altri correi, compiendone uno diverso per titolo; nella vicenda de quo, a quanto pare, la Corte di Cassazione parte dal presupposto che l’agire dei familiari fosse colposo e che quindi essi non abbiano “voluto” alcun reato, bensì solo immettere la propria condotta nel solco di quella di Antonio Ciontoli, realizzando quella volontà di cooperare che è basilare presupposto del concorso, anche colposo, ma che non implica di certo volontà del reato colposamente commesso da altri, pena il travalicamento nel campo del dolo.
Ebbene, delle due l’una: o gli altri componenti della famiglia hanno voluto il reato, nella specie di lesioni, che poi è giunto ad una gravità tale da condurre all’omicidio, e quindi c’è dolo quantomeno eventuale di lesioni, oppure se c’è colpa, il 116 c.p. è inutilizzabile.
Di qui sembra partire la fallacia che si è trasferita sulla sentenza della Corte di Assise di Appello forse troppo pedissequa delle indicazioni della Cassazione. Se è vero, e ben lo evidenzia la medesima sentenza di secondo grado scaturente da rinvio, che sulla vicenda della natura omissiva della condotta e dell’obbligo di garanzia è caduto il giudicato, e quindi il giudice del rinvio non può che limitarsi a recepire la res iudicata sostanziale e conformarsi, viceversa quella sull’art. 116 c.p. è una mera indicazione priva di alcuna forza preclusiva. E’ un mero obiter esplicativo di come, secondo la Cassazione, possano coesistere due elementi soggettivi differenziati all’interno del concorso di persone del reato.
2. La coerente valutazione sul dolo ed una interpretazione sindacabile.
Di quell’obiter la Corte di Assise di Appello recepisce tutto in maniera probabilmente troppo passiva e realizza, si ritiene, un inquadramento giuridicamente opinabile della vicenda. L’inciso della Corte è infatti inserito nella parte in cui essa ritiene di rimettere al giudice di secondo grado la valutazione dell’elemento soggettivo degli attori, in virtù di ciò pare che il giudice rimesso si sia sentito in dovere di applicare al caso di specie quello che deve ritenersi un eminente ma pur sempre mero consilium del Massimo Consesso di Giustizia.
Più nello specifico, l’appello bis vaglia in maniera più precisa gli indicatori del dolo eventuale che ha fornito l’esperienza della sentenza Thyssenkrupp (Cass., SS.UU., 24/04/2014, n. 38343, Espenhahn) ed emenda il ragionamento del primo giudizio di secondo grado sulle conseguenze negative collaterali dell’agire di Antonio Ciontoli, consistenti nella morte del Vannini, ora non più considerate capaci di escludere il dolo eventuale. Infatti, spiega la corte di assise di appello, il fatto che persistendo nelle proprie azioni omissive avrebbe condotto alla morte il giovane ferito, non risulta logicamente persuasivo nel senso di precludere la possibilità che Ciontoli Antonio abbia effettivamente voluto la morte come conseguenza eventuale delle proprie azioni. A maggior ragione, la morte del Vannini non sarebbe stata un evento meno auspicabile delle lesioni dello stesso. Ove costui fosse morto non ci sarebbero stati testimoni, lasciando campo sostanzialmente libero alle ricostruzioni del Ciontoli. Viceversa se la vicenda si fosse risolta in semplici lesioni, la presenza di un testimone in prima persona dell’accaduto avrebbe potuto complicare la posizione del Ciontoli Antonio.
Quindi, ragionevolmente l’appello bis esclude che tale indicatore possa essere letto nel senso dell’esclusione del dolo eventuale, ed in virtù della concordanza di tutti gli altri elementi indizianti sulla natura dell’elemento soggettivo, riconosce la presenza di tale particolare elemento soggettivo in capo a Ciontoli Antonio.
I problemi si pongono relativamente alla valutazione della seconda parte della vicenda, quella che ha riguardato l’intervento dei familiari e che è consistita nell’omissione delle attività necessarie a salvare la vita al Vannini, prima su tutte il tempestivo avviso ai soccorsi.
3. L’uso dell’articolo 116 c.p., alcune precisazioni.
La sentenza di cui si tratta, decide quindi di percorrere la strada indicata dalla Cassazione: ritiene applicabile ai familiari la fattispecie dell’art. 116 c.p.
Si asserisce, quindi, che i familiari volessero compiere le lesioni in danno del Vannini una volta resisi conto dell’accaduto, o che almeno avessero accettato, non il rischio, ma l’evento delle lesioni come conseguenza possibile del proprio operato. Secondo l’applicazione della formula di Frank come modernamente interpretata, essi avrebbero previsto l’esito del loro agire come meramente possibile, od al massimo probabile, ma l’avrebbero considerato come un giusto prezzo da pagare. Avrebbero comunque tenuto la propria condotta omissiva anche ove fossero stati certi che da tale agire sarebbero di sicuro scaturite le lesioni.
Il che, seppure non esplicitato, risulta ancora sostenibile ove, come nel caso di specie, la Corte di Assise di Appello sia obbligata a non occuparsi più della possibilità di applicare la adiacente fattispecie di omissione di soccorso dolosa, la quale, come anticipato, sembrerebbe la fattispecie effettivamente più aderente al caso di specie.
Allo stesso modo, si è già preliminarmente evidenziato che l’art. 116 c.p. presuppone che ci sia una condotta del correo che travalichi i confini del reato a cui si è deciso di concorrere e superi il limite di quanto gli altri concorrenti nolenti hanno accettato di compiere nel momento in cui hanno associato la loro condotta a quella del coautore.
Nel caso di specie, la condotta subsequens allo sparo tenuta dal Ciontoli padre è riconosciuta di dolo eventuale di omicidio lì dove i familiari intervengono solo volendo le lesioni. A questi si addossa la responsabilità a titolo di omicidio attraverso l’art. 116 c.p. perché, sempre secondo la ricostruzione, era per loro prevedibile che Ciontoli padre potesse perseguire il fine dell’omicidio, stando al suo comportamento ab origine reticente ed omissivo.
Si delinea un quadro della vicenda tale che l’avvenimento imporrebbe di qualificare l’evento del colpo di pistola come antefatto che ha occasionato il successivo comportamento doloso del Ciontoli Antonio. Rispetto a tale frazione di condotta può riconoscersi un atteggiamento soggettivo di colpa oppure di dolo eventuale di lesioni cui segue un diverso elemento soggettivo, o meglio un elemento soggettivo dotato dello stesso livello di intensità ma orientato verso un evento diverso hic et nunc (lesioni da sparo nella prima parte della condotta; morte da omesse cure nella seconda parte). Le lesioni in tal modo procurate ed appartenenti ad un decorso causale diverso ed interrotto dalle omesse cure che hanno viceversa attivato il decorso causale che ha condotto alla morte, vengono pertanto assorbite dall’evento omicidiario per evitare il bis in idem sostanziale quanto all’evento di lesioni. I familiari hanno voluto le lesioni, o meglio il loro aggravamento e la loro persistenza. Essi però intervengono in un momento in cui il proposito di Ciontoli è già quello del dolo eventuale di omicidio e su una condotta connotata da tali caratteristiche, innestano la propria.
L’art. 116 c.p. è un articolo, lo si ricorda, che sanziona in maniera più grave il concorrente che sia solo in colpa e lo punisce come se fosse in dolo per il reato più grave commesso dal correo. Ciò accade per il sol fatto di aver posto la propria condotta nel solco di quella altrui, evento da cui discende la doverosa assunzione di un rischio maggiore per l’imprevedibilità e l’incontrollabilità dell’agire del correo[6]. E’ pertanto una norma di responsabilizzazione del concorrente che è stata, peraltro, investita di quella progressiva opera di spoliazione di tutte quelle ipotesi ritenute di responsabilità oggettiva presenti nel codice. Quindi anch’essa è stata sottoposta ad una lettura costituzionalmente orientata che prescrive quantomeno il minimo grado di colpevolezza, consistente nella colpa o, secondo altri, nella prevedibilità come frazione della colpa, quale prerequisito minimo per addossare una responsabilità penale. Per meglio dire, la responsabilità può essere addossata fingendo la presenza del dolo e nella misura ad esso parametrata, per ragioni di opportunità stabilite dal legislatore, solo lì dove ci sia quantomeno la colpa o la mera prevedibilità. Ove non ci sia questa minima porzione di colpevolezza si scade in una responsabilità oggettiva e incolpevole che l’ordinamento italiano ripugna e non è in grado di sostenere, pena l’eversione della sua completa impalcatura giuridica.[7]
Tornando al caso di specie, per l’applicazione dell’art. 116 c.p. non basta la volontà dell’evento diverso (di lesioni) ma è necessaria la contrapposizione nell’iter di una variazione del titolo di reato, a causa dell’agire del correo, la quale interviene a mutare l’esito delittuoso che tutti i concorrenti avevano messo in conto, determinandosi volontariamente e consapevolmente verso uno specifico reato. E’ opinione solida in dottrina[8] che è necessario, oltre al contributo causale ed alla prevedibilità da parte del concorrente nolente del reato da lui non voluto, anche l’accordo tra esecutore e concorrente o, quantomeno, la consapevolezza e volontà da parte di quest’ultimo di concorrere col primo nella realizzazione di un reato[9]. Ebbene, si ritiene che, ove pure non ci sia accordo espresso o tacito, tale consapevolezza e volontà non possa risolversi nell’errore di fatto in cui il concorrente cade, relativo alla natura del reato che il concorrente esecutore vuole compiere. Il concorrente nolente deve partecipare con consapevolezza ad un progetto criminoso, seppure tacito, che parte effettivamente come tale e poi muta per via della deviazione dell’esecutore. Siamo fuori dai casi di errore sul fatto derivante da errore di fatto consistente nella errata lettura e valutazione della volontà altrui. Il 116 c.p. non contempla né punisce l’errore di fatto sulla natura del reato che si sta compiendo, bensì soltanto il colpevole errore di valutazione su quanto il correo che ci si è scelti potrà effettivamente compiere una volta iniziata l’attività criminosa prestabilita.
Non può, per dirla in altro modo, sussumersi nell’area del 116 c.p. la vicenda in cui i concorrenti vogliano le lesioni ma non si accorgano, per errore, di contribuire non alle medesime lesioni bensì ad un omicidio che è ab origine nelle intenzioni del correo. Ed è eloquente quanto anche la migliore dottrina in tema afferma, non tanto sulla volontà, quanto sulla consapevolezza del reato cui si ritiene di concorrere. Tale requisito traducibile nel sintagma di “idonea rappresentazione” del reato che si andrà a compiere e che poi muterà titolo per via del tradimento di uno dei correi al proposito originale, impone che ci sia un qualche cambiamento di rotta, seppur prevedibile, nell’agire di uno dei concorrenti. Sembra anch’esso una applicazione lata del principio del versari in re illicita: una volta travalicato il confine del penalmente illecito, l’attore risponderà di tutte le conseguenze che derivano anche indirettamente dalla sua condotta per via dell’agire dei soggetti cui ha deciso di unirsi, per di più a titolo di dolo, con la seguente mitigazione: perché ciò accada è necessario il coefficiente di colpevolezza minima integrato dalla colpa o dalla prevedibilità in concreto. E il classico esempio paradigmatico del concorrente che durante l’esecuzione prestabilita di un furto o di una rapina eserciti violenza sessuale ai danni della donna rinvenuta sul luogo del delitto, è altrettanto eloquente a riguardo[10].
In questo caso non si riscontra un mutamento dell’agire o della volontà del Ciontoli Antonio tale che possa ritenersi applicabile l’art. 116 c.p. , o almeno questa variazione non si rinviene nella frazione di vicenda in cui intervengono anche i familiari. Non vi è un reato diverso che scaturisce dalla deviazione rispetto alla volontà dei compartecipi nolenti rispetto al reato diverso poi effettivamente realizzato. Non ci si pone nel caso in cui i concorrenti sono persuasi a cooperare dall’affidamento che hanno nell’obiettivo delittuoso, che è quello delle lesioni, il quale poi muta per opera di un altro concorrente. Non vi è, quindi, alcun mutamento prevedibile dell’azione di Ciontoli Antonio, la cui colposa mancata previsione possa essere addossata a titolo di dolo ai familiari concorrenti. Messo in atto il suo dolo eventuale di omicidio, presente già nel momento in cui iniziano le fasi di omissione dei soccorsi e la chiamata ai sanitari, da quello egli non si distacca né nelle azioni e né nella volontà, così come peraltro ha riconosciuto la sentenza in commento. Viceversa, differentemente si potrebbe inferire riguardo alla prima parte dell’azione rispetto alla seconda, come sopra evidenziato, perché potrebbe sostenersi che il proposito di Ciontoli Antonio potrebbe essere mutato una volta che il colpo abbia attinto il Vannini, determinandosi ad accettare non più solo un evento di lesioni ma l’evento della morte, utile a nascondere il più possibile il proprio operato.
Se c’è un mutamento prevedibile riguarda non l’azione del correo, ma proprio l’evento più grave che si verifica. Pertanto, sarebbe stato preferibile, in questa situazione in cui dalla Cassazione è escluso il ricorso all’art. 593 c.p. sia per Antonio Ciontoli (in concorso con l’omicidio colposo), sia per i familiari, fare ricorso per questi ultimi all’omicidio preterintenzionale piuttosto che all’inconferente art. 116 c.p. . I familiari intervengono nella vicenda volendo con dolo almeno eventuale le lesioni e tuttavia la vicenda trasmoda oltre l’intenzione nell’evento di morte, colposamente addossabile in quanto, si ritiene, prevedibile. Ancora, una soluzione ermeneutica che si ritiene più confacente al caso di specie, si sarebbe potuta rinvenire attraverso la valorizzazione della disciplina dell’errore.
4. Conclusioni ed ipotesi alternative.
Da qui è possibile tirare le fila del discorso paventando delle soluzioni probabilmente più accettabili e con minore capacità di detonazione all’interno del diritto penale.
Se è ormai pacificamente ammesso il concorso colposo nel delitto doloso, accogliendo la tesi dell’ammissibilità dell’elemento soggettivo differenziato nel concorso di persone nel reato, allora a maggior ragione sarà sostenibile il concorso preterintenzionale nel delitto doloso o meglio il concorso di reati tra omicidio preterintenzionale e omicidio doloso. La cornice di pena sarà quella del 584 c.p. da 10 a 18 anni, cui dovranno essere applicate le riconosciute attenuanti generiche, potendo così presumibilmente giungersi ad una pena più mite di quella irrogata.
Al contrario, ove si ritenesse più opportuno fare leva sull’errore ex art. 47 o, al limite, ex art. 48 c.p., errore in cui sono caduti i familiari rispetto alla volontà omicidiaria di Antonio Ciontoli credendo di partecipare ad un reato di lesioni che in realtà si prospettava dall’inizio come omicidio volontario, si dovrebbe ritenere che questi saranno punibili solo ove il loro errore di fatto sia colposo. Ed in tal caso ad essi sarebbe addebitabile unicamente l’omicidio colposo in quanto espressamente previsto dall’art. 589 c.p. . Nel caso in cui sia rinvenibile addirittura un inganno del Ciontoli Antonio ex art. 48 c.p., dovrà indagarsi comunque se l’errore derivante da altrui inganno sia o meno incolpevole[11].
Qualcuno in dottrina[12] ha paventato che la soluzione indicata dalla Cassazione di non perseguire la strada più semplice, logica e ragionevole della condotta attiva e dell’omissione di soccorso, abbia rappresentato un modo per evitare di punire con pene modeste una vicenda che non si è chiarita nei suoi particolari ma che comunque ha denotato un atteggiamento non solo fortemente antigiuridico ma anche crudele ed egoistico dei concorrenti tutti.
In realtà, questa pur persuasiva ipotesi paventata potrebbe risultare anche sostenibile alla luce della forza mediatica che ha avuto la vicenda e il tormentato processo che ne è derivato. Ciò si afferma anche in ragione della rilevanza che pure la Corte di Assise di Appello di Roma ha sentito la necessità di sottolineare in uno dei passaggi della sua pronuncia non certo più apprezzabili per rigore giuridico e aderenza al ruolo giurisdizionale.
La questione coinvolge il solito dilemma tra una giustizia aderente al testo e alla ratio delle norme e pro reo ma insoddisfacente rispetto alle esigenze di giustizia che spesso la società civile ritiene di avere, rispetto ad una giustizia magari più scollata dai dati normativi o più creativa, per così dire, però capace di saziare il bisogno di punizione che il caso concreto forse meriterebbe in ottica general e specialpreventiva…ma non è questa la sede per la discussione su tali massimi sistemi del mondo del diritto penale.
[1] La teoria appartiene all’esperienza penalistica teutonica e prende il nome dal primo autore che l’ha formulata, R. FRANK, Vorstellung und Wille in der modernen Doluslehre, in ZStW, 1890, p. 170, su cui poi F. VON LISZT, Lehrbuch des Deutschen Strafrechts3 , Berlin-Leipzig, 1888, p. 165. Nell’esperienza di diritto italiano che ha ripreso le antiche teorie di Frank, in concomitanza con l’emersione di un nuovo concetto di dolo eventuale più improntato sulla volontà piuttosto che sulla rappresentazione si vedano M. GALLO, Appunti di diritto penale, II-2, L’elemento psicologico,Torino, 2001, pp. 27 ss. ; D. PIVA, “Tesi” e “antitesi” sul dolo eventuale nel caso Thyssenkrupp, in Dir. pen. cont.-Riv. trim., n. 2/2013, pp. 204 ss. ; M. DONINI, Dolo eventuale e formula di Frank nella ricettazione. Le Sezioni unite riscoprono l’elemento psicologico, Cass., Sez. Un., 26 novembre 2009 (dep. 30 marzo 2010), Nocera, in Cass. pen., 2010, p. 2548; G. DEMURO, Il dolo eventuale: alla prova del delitto di ricettazione, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, p. 308 ss. ; G. FIANDACA, Sul dolo eventuale nella giurisprudenza più recente, tra approccio oggettivizzante-probatorio e messaggio generalpreventivo, in Dir. pen. cont.-Riv. trim., n. 1/2012; F. VIGANÒ, Il dolo eventuale nella giurisprudenza più recente, in Il libro dell’anno del diritto 2013.
[2] Si vedano, a riguardo, due pronunce che, in modo singolare, riguardano le attività pericolose svolte in ambiente montano: Cass, Sez. IV, 22/05/2007, n. 25527, che rinviene una posizione di garanzia in capo a colui il quale si è assunto l’incarico di guidare una gita in montagna con gli slittini; L. GIZZI, nota a ord. Ufficio Indagini preliminari Sondrio, 10 marzo 2005, in Giur. merito, fasc. 3, 2007, p. 742, in cui diversamente si valuta l’assunzione della posizione di garanzia da parte dello sci alpinista che si incarica di fare da guida ad altri avventori della montagna.
[3] Su tutti F. MANTOVANI, Manuale di Diritto Penale, Cedam, 2020, p. 174; G. MARINUCCI – E. DOLCINI – G.L. GATTA ( a cura di), Manuale di diritto penale. Parte generale, Giuffrè Francis Lefebvre, 8a ed., 2019, p. 261; F. MANTOVANI, Causalità, obbligo di garanzia e dolo nei reati omissivi, in Riv. it. dir. proc. pen., fasc. 4, 2004, p. 984. Contra si vedano M. ROMANO, Commentario sistematico del codice penale, I, Artt. 1-84, Milano, 1995; G. GRASSO, Il reato omissivo improprio, Milano, 1983, p. 275 secondo cui «…chi, trovando una persona priva di sensi e bisognosa di aiuto, non interviene in nessun modo risponde solo di omissione di soccorso, mentre il soccorritore che successivamente abbandona la vittima, in caso di morte di quest’ultima dovrebbe essere punito a titolo di omicidio, avendo acquisito una posizione di garanzia in virtù dell’intervento»; M .ROMANO- G.GRASSO (a cura di), Commento agli artt. 110-119 del codice penale, in Commentario sistematico del codice penale, II vol., 4 ed., Milano, Giuffrè, 2012.
[4]Esiste un filone giurisprudenziale in tal senso tra cui Cass., Sez. IV, 10/10/2014, n. 3783; Cass., Sez. IV, 09/11/2017, n. 52539; Cass., Sez. IV, 15/03/2019, n. 25842; Contrario ed aderente alla teoria più classica per cui l’attività pericolosa dell’agente non può dare luogo all’attivazione di un obbligo di garanzia si veda F. BASILE, Su alcune questioni controverse intorno all’omissione di soccorso (art. 593 c.p.). Un reato in cerca d’autore, in Riv. it. dir. proc. pen., 2013, pp. 643-689; I. LEONCINI, Obbligo di attivarsi, obbligo di garanzia e obbligo di sorveglianza, Torino, 1999, p. 37; F. GIUNTA, La posizione di garanzia nel contesto della fattispecie omissiva impropria, in Dir. pen. proc., 1999, pp. 620 ss. . Si vedano poi gli storici contributi in tema di causalità attiva od omissiva nel campo della responsabilità medica su cui C.E. PALIERO, La causalità dell’omissione: formule concettuali e paradigmi prasseologici, in Riv. it. med. leg., 1992, pp. 839-840; O. DI GIOVINE, La causalità omissiva in campo medico-chirurgico al vaglio delle Sezioni Unite, in Foro it., 2002, pp. 601 ss. .
[5] M. BORGHI, Nodi problematici e incertezze applicative dell’art. 113 c.p. In particolare, la controversa configurabilità di un concorso colposo in reato doloso, in Diritto Penale Contemporaneo, 14.3.2106, p. 28; 0. MARINUCCI, G.-DOLCINI, G.L. GATTA , op. cit., p. 550; F. COSTANTINI, Il concorso colposo nel delitto doloso, in sez. II della Rassegna della Giurisprudenza di legittimità. Gli orientamenti delle sezioni penali. Vol. I, A. 2019, pp. 57 e ss., consultabile sul sito web della Corte di Cassazione.it; A. CONTINIELLO, Il concorso di persone con coefficiente psicologico omogeneo e eterogeneo. Una questione ancora controversa, in www.giurisprudenzapenale.com.
Si vedano Cass., Sez. IV, 22/11/2002, n. 39680 e Cass., Sez. IV., 14/11/2007, n. 10795 ed infine Cass. Sez. IV 12/11/2008, n. 4107, secondo alcuni sarebbe contraria la più recente Cass., Sez. IV, 14/02/2019, n. 7032.
[6] A. PAGLIARO, La responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto, Milano, 1966, pp. 121 e ss.; A. PAGLIARO, Diversi titoli di responsabilità per uno stesso fatto concorsuale, Riv. Dir. Proc. Pen. 1994, 3.
[7] Si veda il fondamentale contributo G.D. PISAPIA – M. LENER, La responsabilità oggettiva, con particolare riguardo alla partecipazione a reato diverso da quello voluto ed alla nuova disciplina dei reati con mezzo stampa, in Convegno nazionale di studio su alcune fra le più urgenti riforme del diritto penale, Milano, 1961, p. 132; G. INSOLERA, Concorso di persone nel reato, in DDP, II, 1988, p. 483; A.GULLO, La responsabilità del partecipe per il reato diverso da quello voluto tra versari in re illecita e principio di colpevolezza, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, p. 1194; in merito alla funzione della pena riguardo alle paventate ipotesi di responsabilità oggettiva presenti nel codice penale si veda S. MOCCIA, Il diritto penale tra essere e valore, Funzione della pena e sistematica teleologica, Napoli, 1992, pp. 143 ss. .
[8] Su tutti, F. MANTOVANI, Manuale di diritto penale, op. cit.
[9] MANTOVANI, Manuale di diritto penale, op. cit., 542.
[10] Esplicativa in tal senso Cass., sez. VI, n. 15481/2004, secondo cui «Non ricorre la fattispecie del così detto «concorso anomalo» di cui all’art. 116 c.p., bensì quella prevista all’art. 48 c.p. nel caso in cui si accerti che i concorrenti non abbiano avuto ab origine un accordo criminoso comune – inteso come convergenza delle volontà dei soggetti in concorso – ed il reato sia stato realizzato in conformità della reale intenzione di un concorrente dissimulata all’altro». (Nella specie, la Corte ha escluso la responsabilità a titolo di concorso ai sensi dell’art 116 c.p. nel reato di traffico di stupefacenti, nel comportamento di un soggetto che, avendo offerto la propria collaborazione per l’importazione in Italia di merci in violazione di disposizioni doganali, quali diamanti e pelli di rettile, aveva invece trasportato cocaina per errore determinato dall’inganno dell’altro concorrente).
[11] Si veda la già citata Cass. pen., Se. VI, n. 15481/2004.
[12] B. FRAGASSO, La Cassazione sul caso Vannini: i rapporti tra omicidio mediante omissione e omissione di soccorso aggravata dall’evento morte in un noto caso di cronaca, in www.sistemapenale.it .