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Qualche riflessione sui rapporti tra sistema penale e democrazia

1. Il diritto penale moderno, così come è stato forgiato attraverso il pensiero giuridico degli ultimi due secoli, è il frutto tardivo della Modernità; ne trasmette le ‘promesse’ (di libertà, umanità, giustizia ed eguaglianza) soprattutto sul piano ideologico. Tuttavia, il modello liberale classico elaborato dagli Illuministi e i principi di funzionamento che da esso discendono, consacrati spesso nella Costituzione degli stati di diritto, non hanno affatto regolato l’apparato punitivo in modo costante e sistematico. Sistematica e costante è stata invece, finora, la distanza tra il reale funzionamento della giustizia criminale e i propri programmi legislativi, tra la stessa produzione legislativa e i principi. Il modello liberale classico è rimasto valido, non senza gravi prolungate soluzioni di continuità (il fascismo in Europa), nella cultura accademica e nel discorso “ufficiale” del sistema, come l’espressione contrafattica di un dover essere che non è mai riuscito a determinare in modo significativo la realtà di quel sistema.

La logica dell’emergenza, quella che può essere anche descritta come la ‘amministrativizzazione’ o la ‘banalizzazione’ del diritto penale, non è una caratteristica esclusiva dell’attuale fase di sviluppo del sistema punitivo; non lo sono l’uso inflazionistico e simbolico della legislazione penale ed il sacrificio delle garanzie costituzionali a vantaggio di pretese ragioni di efficienza. Si tratta di elementi che, nella loro generalità descrittiva, sono costitutivi e ricorrenti nella storia del diritto penale moderno.

La ‘guerra’ alla criminalità: ecco un ulteriore elemento di realtà su cui bisogna riflettere. Nello stato sociale di diritto, il diritto penale non ha solamente la funzione di contenere la violenza delle aggressioni a diritti fondamentali, ma anche quella di contenere le limitazioni degli stessi, provocate dall’esercizio della penalità pubblica. Ma se nemmeno programmaticamente il legislatore prende in considerazione la seconda funzione, l’esercizio della prima entra in una logica di guerra. Il diritto penale ‘del cittadino’ si trasforma così nel diritto penale ‘del nemico’ e la tendenza autoritaria endemicanella funzione punitiva esce allo scoperto. Un segno emblematico di questa trasformazione è l’uso oggi dominante della terminologia bellica per definire i compiti della giustizia penale.

Un ulteriore elemento di riflessione si riferisce alla consistenza sistematica e alla stabilità rituale della legislazione penalistica. L’ideale della legislazione, in questo settore del diritto, è quello stesso che ha ispirato i codici moderni: edifici dall’architettura chiara ed armonica, costruiti attraverso una lunga elaborazione scientifica e politica, solennemente inaugurati dall’assemblea legislativa, atti a stabilizzare per un lungo periodo le aspettative reciproche di cittadini e organi dello Stato, in modo riconoscibile da chiunque. La codificazione moderna ha segnato anche il passaggio definitivo dal metodo casistico a quello sistematiconella produzione normativa. E invece, ad un esame attento della legislazione penale, ci si può rendere conto di quanto essa si sia allontanata da quel modello ideale e si svolga, al contrario, sulla falsariga delle ‘leggine’ e degli atti amministrativi, preferendo la via degli interventi immediati di risposta alle situazioni contingenti, spesso sull’onda del flussi dell’opinione pubblica. Il risultato è una esuberante produzione di nuove disposizioni, sovente a mero contenuto sanzionatorio (appendici penali della legiferazione in altri settori dell’ordinamento), accompagnata da continue modificazioni delle norme esistenti, che diventano in tal modo sempre più difettose tecnicamente e di difficile lettura anche per gli addetti ai lavori. Tra le conseguenze più gravi di questo stile legislativo vanno annoverate le frequenti deviazioni delle tecniche di imputazione da canoni ai quali il legislatore è vincolato in virtù di principi fondamentali (legalità, personalità della responsabilità penale, materialità, offensività, sussidiarietà e frammentarietà) o la commistione tra metodo sistematico e metodo casistico, con pregiudizio della certezza del diritto.

I processi sinora illustrati non appaiono tuttavia esclusivi di un solo ordinamento. Uno sguardo comparativo rivolto ad ordinamenti di altri Paesid’Europa e d’America sembra avvalorare l’ipotesi che quella degli ultimi due decenni sia piuttosto una mutazione strutturale del sistema punitivo, che interessa l’attuale fase di sviluppo dell’intera società capitalistica occidentale, una crisi di adattamento ai processi di trasformazione in atto in queste società.

I termini “efficientismo” o “funzionalismo” designano forme di perversione oggi diffuse in Europa e in America, cioè in Paesi le cui costituzioni contengono i principi dello stato sociale di diritto e del diritto penale liberale. L’efficientismo penale costituisce una forma nuova di diritto penale dell’emergenza, degenerazione che da sempre ha accompagnato la vita del diritto penale moderno.

Viceversa, il diritto penale sussidiario è, al tempo stesso, il diritto penale dello stato sociale di diritto. Esso rappresenta lo spazio residuale dell’intervento punitivo nel quadro di una politica integrale di protezione dei diritti, nel caso che gravi violazioni dei diritti fondamentali e una domanda sociale ineludibile lo rendano necessario. Come diritto penale delle garanzie, il diritto penale sussidiario presuppone uno sforzo continuo dell’immaginazione sociale per il controllo del sistema punitivo e dei meccanismi di criminalizzazione, per la riforma della legislazione, della giustizia, della polizia e del carcere. Un tale sforzo sarà rivolto alla realizzazione dei principi fondamentali in materia penale ed all’applicazione dei risultati delle più avanzate ricerche sul funzionamento dei sistemi penali e sulle politiche pubbliche di protezione dei diritti.

2. Non va dimenticato che il diritto è politica. Nell’ordinamento giuridico vengono formalizzate le scelte della politica. Altro è l’uso politico del diritto.

Nei rapporti di diritto penale si misura, infatti, con precisione millimetrica il livello qualitativo della tutela di libertà e personalità individuale in una determinata compagine statuale, in un particolare momento storico.

Se, in uno stato sociale di diritto, l’ordinamento penale non si fonda su assunti irrazionali di tipo fideistico, ma nasce dall’esigenza di consentire una pacifica coesistenza tra i consociati, intesi anche come titolari di diritti fondamentali, ciò significa che non tutte le scelte di politica criminale sono legittime, bensì solo quelle derivate con coerenza dalle opzioni fondamentali, di tipo normativo, sovente previste nelle Costituzioni.

Ed infatti, man mano che la tutela dei diritti dell’uomo si impone come processo storico, i limiti a questi apponibili, in uno stato sociale di diritto, vanno delineati con estremo rigore. A ben vedere, la ricerca di un complesso di regole affidabile, anche perché comprensibile, ed il privilegio di prospettive soggettive nella definizione dei titoli di responsabilità, in una parola l’impianto garantistico, formale e sostanziale, che contrassegna, o dovrebbe, il sistema penale, rappresenta una diretta conseguenza del fatto che quel sistema, in via di principio, è orientato ad incidere, anche in misura notevole, sui diritti di libertà e personalità individuale che, per definizione, sono posti all’apice dei valori sui quali si basa il patto sociale in democrazia. Ecco perché in democrazia si pretende un sistema penale che, in rapporto alla definizione dei presupposti per la sua applicazione, sia in fase generale ed astratta – le singole prescrizioni legislative – sia in fase individuale e concreta – il singolo giudizio e, eventualmente, la singola esecuzione della sanzione – dedichi una particolare attenzione al rispetto dei principi fondamentali: ogni deviazione da questi rappresenta, in termini politici, un ritrarsi della stessa democrazia.

Intendo per sistema l’unità di un molteplice di conoscenze sotto un complesso unitario di principi. Il sistema, dunque, postula i concetti di unità e di coerenza e dà vita ad un insieme relazionale di regole, criteri, con un forte nesso deduttivo. Da ciò consegue l’idea di un sistema giuridico come costruzione di una trama razionale, delineata per disporre i precetti in ordine logico e/o teleo-logico. Ma non deve trattarsi solo di un mero schema espositivo, bensì di un parametro alla cui stregua dedurre l’intera fenomenologia giuridica: legislazione ed interpretazione, su cui dovrà dispiegarsi l’opera costruttiva del giurista.

In particolare, il sistema del diritto penale, assiologicamente orientato ai principi fondamentali, e dunque ai valori della democrazia, tende a pervenire ad un’architettura normativa vicina alla realtà, connotata da ordine concettuale e chiarezza. E uno stretto collegamento tra disciplina giuridica e realtà sociale è, infatti, la premessa per la costruzione di un sistema che aspiri ad esprimere una logica afferrabile dal complesso dei destinatari e, coerentemente, persegua prospettive di effettiva praticabilità.

            Da tutto ciò consegue che la comprensione sia del sistema nella sua complessità che dei singoli istituti passa, innanzitutto, attraverso l’attenta considerazione di principi di fondo. Questo significa, in altri termini, che, ai fini della coerenza sistematica – che poi altro non è che spia di legittimità e funzionalità del sistema – la correzione o la rimozione di soluzioni normative risultanti aporetiche passi, necessariamente, attraverso rigorose operazioni di verificazione o di falsificazione, in rapporto alle opzioni normative fondamentali, delle singole scelte del legislatore; sarà compito dell’interprete – dottrina e giurisprudenza – segnalare l’errore e, quindi, la mancata coerenza sul piano della teleo-logica interna e/o la carenza di compiutezza della scelta normativa: mai, ovviamente, ‘rimediare’ alla singola questione, perseguendo ‘creativamente’, nei fatti, prospettive antitetiche ai principi di fondo.

Da tale assunto deriva che nella formulazione di concetti e nella prassi ermeneutica si dovrà guardare all’unità dell’ordinamento, preoccupandosi non solo di dominare la materia dal punto di vista puramente tecnicistico e/o interno alla singola norma, ma di cogliere con consapevolezza le relazioni normative di valore intrasistematiche, nonché la praticabilità di soluzioni offerte da altri sistemi di controllo sociale.

Specificamente, deve trattarsi di opzioni che siano espressione dello stato sociale di diritto e ciò, in via di estrema sintesi, sta, in concreto, a significare l’impegno ad assicurare, rendendole effettive, garanzie di tipo formale e sostanziale, singolarmente ed in combinazione tra di loro, come dovrebbe accadere in democrazia.

Il complesso di norme dotato di vincolatività, per legislatore ed interprete, che possa esprimere un valore di riferimento cogente, ai fini di una costruzione sistematica teleologicamente orientata, è individuabile in una Carta costituzionale che, sul piano sostanziale, esprima una complessità ideologico-culturale accentuatamente pluralistica e, sul piano formale sia investita di una posizione sovraordinata rispetto alle altre leggi. Si tratta, dunque, di elaborare un sistema che, avendo come riferimento prospettive assiologicamente unitarie – o, comunque, non disarmoniche – sovraordinate, utilizzi mezzi e scopi per una coerente, e funzionale, realizzazione delle finalità fondamentali.

Appare, a questo punto, imprescindibile il riferimento ai fondamentali principi normativi del sistema penale, che sono posti a tutela sia di diritti fondamentali della persona che dell’interesse pubblico alla difesa sociale. La loro conformazione assiologica e funzionale, pacifica in dottrina, non sembra attualmente configurarsi negli stessi termini per quanto concerne l’attività legislativa e la prassi giurisprudenziale.

In materia penale, l’assetto costituzionale dello stato sociale di diritto obbliga, anche di fronte ad aggressioni di estrema gravità, al rispetto dei principi di legalità, determinatezza e tassatività, di personalità della responsabilità penale, di proporzione e ragionevolezza e, quindi, di sussidiarietà, di offensività, di materialità, di tutela della dignità umana. La normativa andrebbe orientata, inoltre, anche alla funzione di integrazione sociale della sanzione criminale, comprensiva degli aspetti positivi della prevenzione speciale e generale, in combinazione con i principi di proporzione e ragionevolezza, di sussidiarietà e di tutela della dignità.

Ciò significa che, dal punto di vista delle funzioni della pena, risultano praticabili soltanto quegli interventi che, privilegiando la prospettiva del rispetto dei diritti fondamentali – e primo fra tutti quello della dignità dell’uomo – anche di chi abbia delinquito, si sforzino di offrire reali possibilità di reinserimento sociale o, comunque, di garantire la non (ulteriore) desocializzazione del soggetto.

I principi schematicamente riportati offrono i criteri utili alla definizione dei limiti, naturali, dei diritti fondamentali costituzionalmente garantiti quanto alle esigenze del controllo penale dei fatti socialmente dannosi.

In realtà, il moderno stato democratico deve limitarsi ad assicurare le condizioni ottimali per lo sviluppo della personalità dei singoli e per la pacifica convivenza in libertà. Ne deriva per il diritto penale che la sua finalità non può essere, diversamente da quella propria dello Stato, altra che quella di assicurare il singolo e la pacifica coesistenza tra i consociati, ma non di adottare qualsiasi mezzo ritenuto idoneo al suo perseguimento, altrimenti verrebbe in discussione uno dei due compiti fondamentali: la sicurezza del singolo. In altri termini, solo per le gravi offese ai fondamentali beni giuridici, del singolo o della collettività, lo stato sociale di diritto, da un lato, consente d’intervenire con il diritto penale, e, comunque, sempre nel rispetto assoluto di predeterminate condizioni che sono le garanzie; dall’altro, però, impone di intervenire in maniera coerente e, quindi, tendenzialmente uniforme, pur all’interno di notevoli differenziazioni legate a meccanismi di proporzione. Diversamente, sarà lo stesso diritto penale a costituire un fattore di violazione della legalità e quindi, sul piano sostanziale, dei diritti del singolo o della collettività che, in premessa, intendeva tutelare e così vulnerare la stessa democrazia.

Ciò di cui si discute non è, dunque, la convenienza dello scopo, ma la conformità dei mezzi adoperati rispetto all’assetto fondamentale dell’ordinamento giuridico. In questa prospettiva l’intervento penale si giustifica, allora, nella misura in cui si riesce ad armonizzare la sua necessità per il bene della società con il diritto, anch’esso da garantire, del soggetto al rispetto dell’autonomia e della dignità della sua persona. Giudicato per fatti offensivi di beni giuridici, secondo la misura della sua persona, e non in quanto strumento per la realizzazione di scopi altrui, il soggetto adempie agli obblighi di responsabilità che sorgono dalla commissione del fatto di reato, nell’interesse della società di cui fa parte, senza per questo degradare da ‘persona a cosa’.

3. Una volta, dunque, abbandonate prospettive irrazionalistiche e di mera repressione in rapporto ad ‘essenza’ e funzioni del sistema penale, ai fini della tutela delle garanzie individuali, ma anche dell’efficienza del controllo sociale di fatti socialmente dannosi, il legislatore deve scegliere tra intervento penale o extrapenale, tenendo presente che l’opzione del primo tipo è legittima soltanto se la sanzione penale è in grado di raggiungere gli scopi che essa può essere chiamata a perseguire e sempre che non sia disponibili strumenti di altro tipo ma di eguale efficacia che, tuttavia, meno incidano su libertà e personalità individuale.

Possiamo, quindi, affermare che il principio di sussidiarietà del diritto penale assume un rilievo fondamentale. Basti considerare che la sussidiarietà, ancor prima della stretta legalità, è un’aspirazione che circola nel pensiero giuspenalistico sin dall’epoca del giusrazionalismo improntato a laicità. Da quando, cioè, la difesa dei diritti dell’individuo e la ricerca di limiti al potere statuale d’intervento cominciarono ad essere avvertite come esigenze centrali del sistema giuridico. E un’emblematica descrizione di Ugo Grozio della sussidiarietà appare, ancora oggi, impeccabile: “Qui delinquit in eo statu est ut puniri licite possit: sed non ideo sequitur debere eam exigi: quia hoc pendet ex connexione finium, ob quos poena instituta est, cum ipsa poena. Quare si fines poenae propositi alia via obtinere possint, iam apparet, nihil esse quod ad poenam exigenda praecise obliget” (De jure lib. 2, cap. XX, tit. XX, n.10).

A ciò si aggiunga che l’opzione di extrema ratio spinge alla ricerca ed alla sperimentazione di forme efficienti di controllo, alternative a quella penale, ridimensionando pericolose illusioni panpenalistiche e/o pangiudizialiste, destinate il più delle volte a risolversi in sterili ed illiberali rigorismi di mera repressione.

A me sembra, inoltre, che il principio di extrema ratio debba essere preso in considerazione anche all’interno di una scelta di criminalizzazione; vale a dire, esso non opera unicamente in rapporto all’adozione di scelte di controllo trascendenti l’ordinamento penale, ma anche nell’utilizzazione dello stesso intervento penale: una volta intrapresa questa strada, bisogna controllare secondo criteri di stretta necessità, ragionevolezza e legalità anche le forme e la misura dell’intervento penale.

Pur in presenza dell’esigenza, sempre attuale, di una riconsiderazione complessiva della normativa nel senso dell’arretramento dell’intervento penale – per l’interazione dei principi di sussidiarietà, frammentarietà, proporzione, integrazione sociale e la valorizzazione di prospettive di efficienza – è innegabile che possa porsi il problema di rinnovate esigenze di tutela dovute a diversi fattori, anche ampiamente differenziati – dallo sviluppo scientifico-tecnologico all’economia – ma l’eventuale disciplina penalistica dovrà comunque essere adeguata ai principi fondamentali. Anche per quel che riguarda più da vicino eventuali ‘nuovi’ beni da tutelare, a ben riflettere, in molti casi, più che della considerazione di nuove oggettività giuridiche si tratta, in fondo, soltanto di enucleare diverse, magari molto più sofisticate, tecniche aggressive, ma pur sempre di ‘affidabili’ beni tradizionali.

In realtà, a destare maggiori preoccupazioni è il cosiddetto diritto penale del rischio, per il quale, a fronte di fenomeni a cui è possibile connettere gravi implicazioni sul piano della dannosità sociale, si discute se sia ammissibile, per finalità preventive, ipotizzare un controllo penale caratterizzato dalla rinuncia a talune garanzie o ad un loro notevole affievolimento. In particolare, il riferimento è al bene giuridico e, consequenzialmente, ad affidabili criteri di imputazione oggettiva e soggettiva, con quel che ne consegue in campo processuale in rapporto all’accertamento dei fatti e, dunque, in materia di prova. Ove tali garanzie non dovessero essere assicurate, appare evidente che il controllo penale non possa essere attivato.

In ogni caso, per esigenze non solo di garanzia, ma anche di effettività della tutela, è su altri piani – politico, amministrativo, di organizzazione interna ai vari settori d’interesse – che vanno ricercati ed attivati rimedi contro i rischi – anche gravissimi – derivanti da attività complesse legate allo sviluppo tecnologico, scientifico, economico. Certo, qualora dovessero emergere profili d’illiceità, quali il diritto penale è in grado di conoscere e gestire, è evidente che questo debba essere attivato, ma solo a tali condizioni: altrimenti il ‘rischio’, fondato, è quello, concreto, del consueto uso simbolico del diritto penale, strutturalmente inefficace, se non controproducente sul piano della tutela, perché in molti casi fornisce, con la sua mera presenza, un alibi per non affrontare ‘seriamente’, nelle sedi più consone, il problema.

4. “La giustizia penale è un male necessario, se essa supera i limiti della necessità resta soltanto il male” (Roxin, Radius 1966); questa profonda verità – che sintetizza le aspirazioni ad un diritto penale laico, liberale, sussidiario, ma anche razionale ed efficiente – rappresenta in maniera impeccabile una realtà normativa e culturale che vede nel rispetto dell’uomo e delle sue prerogative di autonomia e dignità, in un contesto di solidarietà, la realizzazione di un comune, alto ideale di civiltà e di democrazia.

Invero, una legislazione ed una prassi ispirate ad un eccesso di disinvolto empirismo, espressivo di una valorizzazione del pragmatismo tecnicistico di tipo postmoderno, poco attento al momento assiologico di derivazione normativo-costituzionale, reca con sé il duplice rischio di creare confusione dal punto di vista dell’assetto ordinamentale, con il noto corollario dell’inefficienza, e, inoltre, di trascurare l’aspetto delle garanzie, con grave pregiudizio anche dei diritti fondamentali.

A me sembra, invece, che il territorio in cui si mantengono pressanti le istanze della Modernità, ancora da realizzare, è forse proprio quello dei rapporti giuridici, con l’impegno a preservare dei valori di fondo, a costruire modelli nuovi di comportamento, a predisporre nuove modalità e procedure d’intervento, senza rinunciare a conquiste, essenziali, di tipo assiologico, come la fissazione e difesa solenne dei diritti fondamentali a cui la stessa civiltà nel suo complesso non può rinunciare. È questo il settore dove va cercato quel tanto di potenzialità, di esperienza positiva da recuperare e mantenere dal mondo della Modernità. Dobbiamo pensare che molte delle potenzialità della Modernità, molti dei suoi slanci – accanto anche a delle sconfitte – non sono mai stati davvero attuati e, forse, neanche tentati.

Bisogna, allora, ripensare ad una codificazione che, una volta eliminate inutili fattispecie di reato, bagattellari o meno, sotto la forma di una Legge penale fondamentale contenga chiare forme di imputazione dei fatti, un sistema di sanzioni razionale, mite ed efficiente, nonché un numero limitato di gravi figure di reato, riconoscibili ed accettabili dai consociati. Tutto il resto dovrà sparire o essere trasformato in altre, pur sempre numericamente contenute, figure d’illecito non penale; solo in tal modo riacquisteranno di significato principi essenziali in uno stato di diritto, della cui validità attualmente può parlarsi solo in termini di assoluta ipocrisia: ci riferiamo, tra gli altri, a principi basilari come, ad esempio, quelli di precisione, tassatività e determinatezza, di offensività, di materialità oltre che di sussidiarietà. Solo così sarà possibile anche ipotizzare per la creazione di nuove norme penali, oltre al divieto di una in sè illegittima decretazione governativa, procedimenti legislativi più complessi di quelli attuali, in considerazione dei beni essenziali, libertà e personalità, che vengono normalmente in questione con il diritto penale, e con ciò evitare il ricorso alluvionale ad una onnivora, quanto simbolica normativa penale. Naturalmente, il ‘momento penale’ dovrà essere solo un aspetto di un ampio progetto strategico multiagenziale di tipo politico-sociale, seriamente orientato alla rimozione di quei fattori di disagio di ordine socio-economico-culturale, che, di norma, tanta parte hanno nel processo di formazione della devianza criminale.

Ed invece le condizioni attuali della legislazione penale appaiono diffusamente caratterizzate da un’espansione ipertrofica, a cui, sovente, corrispondono, sul piano qualitativo, gravi carenze di orientamento politico-criminale, una tecnica dommaticamente scorretta ed una imprecisione formale, tali da rendere ardua la stessa ricostruzione di un sistema penale: e così si finisce per affidare i destini dell’individuo ad una giustizia indegna di una democrazia.

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