Abstract. Il presente contributo analizza il fenomeno del conflitto di interessi nell’ordinamento penale. Viene evidenziata, inizialmente, l’intrinseca correlazione fra l’incriminazione del conflitto di interessi e una distorta concezione di democrazia, che vorrebbe la totale esclusione degli interessi privati dai processi decisionali. Successivamente, alla luce di questa perenne tensione, si è tentato di esaminare il concetto di conflitto di interessi e alcune ipotesi di reato che lo contemplano. Ci si è dunque soffermati sul reato di abuso d’ufficio, nella sua variante “omissiva”, e, sul versante applicativo, sulla peculiare casistica dei concorsi pubblici accademici, connotati da ineliminabile discrezionalità amministrativa. A tal riguardo è stata analizzata altresì la recente Proposta di direttiva europea sulla corruzione, che, in virtù delle incriminazioni generiche e onnicomprensive ivi contenute, rischia di restituire nuova linfa all’incriminazione del conflitto di interessi. Si è, per converso, approfondita l’evoluzione della criminalizzazione del conflitto di interessi in ambito societario come modello di una rinnovata concezione “sostanzialista” del fenomeno, incentrata sul danno patrimoniale in concreto. In conclusione, si è evidenziato come l’analisi del conflitto di interessi porti a considerare il sistema punitivo in chiave unitaria, in ragione della inevitabile parificazione fra modelli decisionali privatistici e pubblicistici.
Abstract. This article analyses the phenomenon of conflict of interest in the criminal justice system. Initially, is highlighted the intrinsic correlation between the incrimination of conflict of interest and a distorted conception of democracy, which would like the total exclusion of private interests from decision-making processes. Subsequently, in the light of this perennial tension, an attempt was made to examine the concept of conflict of interest and some of the offence hypotheses that contemplate it. We therefore focused on the offence of abuse of functions, in its ‘omissive’ variant, and, on the application side, on the peculiar case history of academic public competitions, characterised by ineliminable administrative discretion. In this regard, the recent Proposal for a European Directive on Corruption was also analysed, which, by virtue of the generic and all-encompassing incriminations contained therein, is likely to breathe new life into the incrimination of conflict of interest. Conversely, the evolution of the criminalisation of conflict of interest in the corporate sphere was examined in depth, as a model of a renewed ‘substantive’ conception of the phenomenon, centred on the concrete pecuniary damage. In conclusion, it was highlighted how the analysis of conflict of interest leads to consider the punitive system in a unitary key, due to the inevitable parity between private and public decision-making models.
Sommario: 1. Conflitto di interessi e democrazia, una premessa necessaria. – 2. Il conflitto di interessi: un concetto astratto. – 3. Il conflitto di interessi nell’ordinamento penale: una presenza trasversale ma evanescente. – 4. Il conflitto di interessi nei concorsi pubblici: una peculiare ipotesi che merita attenzione alla luce dell’imminente abrogazione dell’abuso d’ufficio. – 5. Nuova linfa per il conflitto di interessi nella Proposta di direttiva Ue sulla corruzione: fra formulazioni generiche e incriminazioni privatistiche. – 6. Conflitto d’interessi nel diritto societario, un modello da seguire. – 7. Una prospettiva conclusiva: il conflitto di interessi come traccia dell’unitarietà del sistema punitivo.
1. Conflitto di interessi e democrazia, una premessa necessaria
Una buona parte dei dibattiti contemporanei in materia di conflitto d’interessi, con ricadute giuridiche tanto sul versante amministrativo quanto penale, dipende dalla difficoltà di confrontare la dialettica fra democrazia, sempre associata a qualcosa di necessariamente buono, e il libero mercato, identificato, al contrario, con l’egoismo predatorio del singolo.[1]
Da questa diffusa concezione discende l’inevitabile “chiamata alle armi” del diritto penale (con il suo arsenale giuridico, politico e morale), al fine di impedire e reprimere l’ingresso degli interessi privati nei processi decisionali, tanto, ad esempio, nelle scelte di reclutamento e disciplina della magistratura, quanto nei processi decisionali della pubblica amministrazione.[2]
La dialettica fra potere dei singoli (impregnati di interessi personali o in “conflitto di interessi”, come diremmo oggi) e sistema democratico (ossia di governo – apparentemente – del popolo) ha origini risalenti, ma è di costante attualità, poiché foriero di interpolazioni storiche e giuridiche. Basti pensare che i più sono ancora convinti che Atene democratica e Pericle siano sinonimi e che nella democrazia ateniese il potere fosse equamente esercitato solo dal popolo, senza intermediazioni. Eppure, il più grande storico di Atene, oltre che contemporaneo e ammiratore di Pericle, scrisse che il suo regime era stato in realtà una «democrazia solo a parole, di fatto un regime personale»[3]. Infatti, come oramai noto, il celebre predominio politico e culturale di Pericle fu frutto di un compromesso tra demagogia, potere personale e di clan.[4] Il ruolo dei clan, appunto, non estraneo alla forma prototipica di democrazia, può essere assimilato al concetto moderno di lobby, ossia di gruppo di persone che sono in grado di influenzare a proprio vantaggio l’attività del legislatore o di altri organi della pubblica amministrazione. Senza la pretesa di affrontare in questa sede un’analisi storico-politologica della questione, basti qui considerare che per analizzare il tema del conflitto di interessi e della sua tutela penale, si deve assumere consapevolezza della circolarità tra élite (aristocratiche o meramente plutarchiche, come ai giorni nostri) e masse, o, come si esprimeva Tucidide, tra «guidare» ed «essere guidati».[5] È questo un passaggio obbligato per comprendere il nocciolo di ogni ordinamento, poiché è dalla consapevolezza del necessario intrecciarsi fra dinamiche pubbliche e private, proprio di ogni democrazia, che si può definire quale sia il corretto ruolo del diritto penale nel garantire, disciplinare e reprimere la dialettica democratica, ossia la dialettica fra persone e potere.[6]
Del resto, ogni individuo (in quanto individŭus, i.e. ’indivisibile’) è portatore di specifici interessi e solo una società totalmente divisibile, cioè priva di indivisibili (individui), e quindi depersonalizzata, – se mai ciò fosse possibile – potrebbe condurci entro un orizzonte senza conflitti di interessi. In altri termini, è vero che le imprese hanno interessi privati che azionano sulla scena pubblica, ma questo vale egualmente per i dipendenti pubblici, le corporazioni organizzate, i professori universitari, i magistrati, le realtà regionali, i pensionati, i politici di professione e i singoli cittadini. Quanti accusano il prossimo in nome di un vero o presunto conflitto di interessi, di una vera o presunta «perenne emergenza»,[7] spesso non si avvedono di avere anch’essi interessi ben precisi e, in molti casi, di essere interpreti attivi proprio di quelle esigenze.[8]
Se è, dunque, impossibile evitare la presenza degli interessi e la loro azione condizionante, molti dibattiti contemporanei in materia non colgono come il problema fondamentale non siano tanto e in primo luogo gli interessi, di per sé legittimi, ma invece quel sistema politico che impone di limitare gli interessi privati nelle decisioni pubbliche attraverso il ricorso costante al diritto penale e, perciò, alla discrezionalità della magistratura, chiamata a determinare, ex post, la liceità dei processi decisionali amministrativi e, finanche, legislativi.[9]
2. Il conflitto di interessi: un concetto astratto.
Alla luce di queste brevi premesse, si intuisce come il ruolo del diritto penale, nel riconoscere e gestire il conflitto di interessi, rappresenti una sfida estremamente complessa in ogni ambito organizzativo, che si tratti di imprese, amministrazioni pubbliche o organizzazioni senza scopo di lucro, poiché la sua chiamata in causa dipende da differenti visioni di matrice politico-giuridica.
La complessità originaria di questo fenomeno risiede altresì nel rapporto di immedesimazione organica che spesso costituisce null’altro che una fictio iuris, difficilmente in grado di operare una reale scissione fra sfera giuridica del singolo agente e quella dell’ente rappresentato. Del resto, coloro che gestiscono e rappresentano gli enti, ancorché incardinati in un ruolo al quale sono preposti, sono spesso esposti a varie pressioni e tentazioni personali, perciò “indivisibili”, e non prevedibili a monte dall’ente. Talvolta, peraltro, l’influenza sui singoli operatori dell’ente viene esercitata senza che gli stessi ne abbiano piena consapevolezza, rendendoli per tale ragione intrinsecamente vulnerabili.[10] Ciò detto, ammesso che l’obiettivo dell’ente sia quello di avere una governance scevra da qualsivoglia pressione esterna, ossia, come detto, depersonalizzata, si rende evidentemente necessaria la presenza di un sistema di linee guida chiare e, nel caso della pubblica amministrazione, di chiarissime fonti di natura normativa. Non si potrebbe altrimenti pretendere alcun comportamento doveroso in assenza di una concreta e reale capacità del singolo di cogliere il significato giuridico della propria condotta, salvo minare il principio di prevedibilità che costituisce corollario essenziale della legalità.[11]
A tal proposito occorre, tuttavia, evidenziare come la definizione stessa di conflitto di interessi non sia univoca con molteplici proposte sia nella letteratura amministrativistica sia nella prassi, specialmente nei codici etici e nelle linee guida dedicati.[12] In prima approssimazione, ai fini della nostra riflessione, possiamo riportare alcune definizioni di conflitto di interessi che si rinvengono in ambito amministrativo ed europeo.[13] Il Consiglio di Stato ha di recente definito sinteticamente il conflitto di interessi come «il contrasto tra due interessi facenti capo alla stessa persona, uno dei quali di tipo “istituzionale” e un altro di tipo personale»[14]. In dottrina, più ampiamente, si è descritto il conflitto di interessi come la situazione in cui l’interesse secondario (finanziario o non finanziario) di una persona tende a interferire, in modo reale, potenziale e/o apparente, con l’interesse primario dell’azienda (ossia il bene comune), verso cui la prima ha precisi doveri e responsabilità.[15] Altri autori invece, più genericamente, riferiscono al conflitto di interessi ogni situazione in cui alla mente di taluno, chiamato a prendere una decisione per conto o in rappresentanza di un altro – non rileva se in ambito pubblico o privato -, in alternativa all’interesse del mandante si rappresentano, come possibili moventi o scopi, ulteriori interessi incompatibili con il primo.[16] A livello europeo, la definizione di conflitto di interessi sembra invece ancor più astratta, invero l’articolo 61 del Regolamento Finanziario del 2018 afferma che si ha un conflitto d’interessi quando «l’esercizio imparziale e obiettivo delle funzioni di un agente finanziario o di un’altra persona» che partecipa all’esecuzione del bilancio «è compromesso da motivi familiari, affettivi, da affinità politica o nazionale, da interesse economico o da qualsiasi altro interesse personale diretto o indiretto».
Tanto premesso, sembra potersi osservare che il dato comune alle definizioni qui riportate consiste, in primo luogo, nel profilo di alterità fra il primo e il secondo interesse, che si declina in termini di “interferenza” o “incompatibilità”, a prescindere dal contesto giuridico di riferimento. Il secondo elemento che si evince dalle definizioni riportate consiste invece nella possibilità che si abbia conflitto d’interessi anche se la persona non trae un beneficio effettivo dalla situazione, in quanto è sufficiente che le circostanze compromettano «l’esercizio obiettivo e imparziale delle sue funzioni», che non implica necessariamente un danno patrimoniale per l’ente.[17] Dello stesso tenore appare la definizione recentemente formulata nel codice dei contratti pubblici del 2023 che ha definito il conflitto d’interessi all’art. 16 come la situazione in cui «un soggetto che, a qualsiasi titolo, interviene con compiti funzionali nella procedura di aggiudicazione o nella fase di esecuzione degli appalti o delle concessioni e ne può influenzare, in qualsiasi modo, il risultato, gli esiti e la gestione, ha direttamente o indirettamente un interesse finanziario, economico o altro interesse personale che può essere percepito come una minaccia alla sua imparzialità e indipendenza nel contesto della procedura di aggiudicazione o nella fase di esecuzione». Attraverso questa breve rassegna di definizioni, si intuisce come il conflitto di interessi sia concepito prevalentemente come una situazione astratta, statica, da valutarsi in quanto tale, indipendentemente dai profili di danno susseguenti in concreto e dalle circostanze oggettive e soggettive che legano il soggetto al fatto dannoso. Questa concezione formalistica rende evidente peraltro come l’ordinamento amministrativo, in ragione dell’essenziale tutela dell’imparzialità – anche solo apparente – non sembri ammettere alcuna possibilità di una coincidenza di interessi fra soggetto ed ente, ancorché potenzialmente non dannosa, o persino vantaggiosa, per l’ente stesso.
É, dunque, immediatamente intuibile il profilo di ineliminabile tensione fra il concetto astratto di conflitto di interessi, proprio della legislazione amministrativa, ed i principi penalistici di offensività e determinatezza delle fattispecie incriminatrici.
3. Il conflitto di interessi nell’ordinamento penale: una presenza trasversale ma evanescente
Tanto premesso in chiave concettuale e definitoria, occorre soffermarsi sui referenti normativi del conflitto di interessi. Anzitutto, il concetto di conflitto di interessi non è estraneo al dettato costituzionale, ancorché non vi sia un espresso riferimento. Invero, il divieto di conflitto di interessi è stato ricondotto sia al generale principio del buon andamento e imparzialità di cui all’art. 97 Cost., sia all’obbligo dei pubblici impiegati di essere “al servizio esclusivo della Nazione” sancito dall’art. 98, c. 1, della Costituzione[18] (declinazione del dovere di fedeltà alla Repubblica di cui all’art. 54, c. 2, Cost.). In particolare, il principio di esclusività a favore della Nazione dei pubblici dipendenti sancisce l’indipendenza dell’apparato burocratico dalla politica, escludendo ogni interferenza di interessi personali o esterni, in linea con il principio di accesso all’impiego pubblico solo tramite concorso pubblico ex art. 97, c. 4, Cost. Si evidenzia, inoltre, che l’art. 98 Cost. esprime altresì l’esigenza di una amministrazione indipendente da altri poteri, finalizzata solo al buon andamento e all’imparzialità, sul presupposto del principio di separazione tra gestione amministrativa e gestione politica.[19] Tale esigenza, archetipo del divieto di conflitto di interessi, trova puntuale recepimento nell’art. 4 del d.lgs. n. 165/2001, che ha normativamente fissato la distinzione tra indirizzo politico, da un lato, e attuazione amministrativa, dall’altro. Il principio di esclusività dei pubblici funzionari al servizio della Nazione si pone, in sostanza, come un argine a possibili conflitti di interessi personali e trova puntuale recepimento sul piano amministrativo col regime di incompatibilità di cui agli artt. 60 ss. del d.p.r. 10 gennaio 1957, n. 3 (Tupi), richiamato dall’art. 53 del vigente d.lgs. n. 165/2001, nonché dal successivo art. 7 del d.p.r. 16 aprile 2013, n. 62.
Analizzando la questione sul versante penalistico, che più interessa in questa sede, risulta evidente l’assenza di una fattispecie incriminatrice generale che condanni direttamente il conflitto di interessi, previsione che richiederebbe un rigoroso sforzo di precisazione data la sua natura variegata e difficile da classificare. Esclusa, dunque, la possibilità di punire in linea di principio ogni forma di conflitto di interessi, è necessario esaminare attentamente le numerose disposizioni penali esistenti nel nostro ordinamento che contemplano questo fenomeno come parte della fattispecie. L’individuazione degli elementi caratterizzanti del conflitto di interessi ci permette invero di analizzare il fenomeno in una prospettiva trasversale all’ordinamento penale, nonché di valutare l’effettiva opportunità di abolizione dell’abuso d’ufficio ovvero di introdurre una normativa in materia autonoma e ad hoc.[20]
A tal scopo, il primo reato che deve essere considerato è certamente l’abuso d’ufficio. Infatti, come noto, il comportamento descritto dall’articolo 323 del Codice penale può verificarsi attraverso due modalità alternative: la violazione di specifiche regole di condotta previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non derivino margini di discrezionalità ovvero mediante l’omissione del dovere di astenersi in presenza di un proprio interesse o di un interesse di un prossimo congiunto o in altri casi specificati. Nonostante la norma non menzioni esplicitamente il conflitto di interessi, dottrina e giurisprudenza ritengono comunemente che sia proprio quest’ultima situazione a giustificare l’obbligo di astensione che, se violato, determina l’incriminazione ai sensi del suddetto articolo. In questo senso, la Corte di cassazione ha più volte ribadito che l’articolo 323 del codice penale ha introdotto nel sistema giuridico un dovere di astensione per i pubblici agenti che si trovino in una situazione di conflitto di interessi.[21] Se ne deduce che l’inosservanza del dovere di astenersi in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto costituisce reato anche in mancanza di una specifica disciplina sull’astensione nel procedimento in cui l’agente è coinvolto, o se ne esiste una che riguarda un numero più limitato di casi o è priva di carattere vincolante. Una certa giurisprudenza ritiene anche che la violazione dei principi generali fissati dagli artt. 97, 54, c. 2, e 98, c. 1, Cost. giustifichi l’intervento del giudice penale, in applicazione dell’art. 323 c.p., anche dopo la riforma del 2020,[22] posto che la l. 6 novembre 2012, n. 190 (c.d. “legge Severino”) ha riscritto l’art. 54 del d.lgs. n. 165/2001 (Tupi) stabilendo che tutti i dipendenti pubblici devono osservare la Costituzione e servire la Nazione «con disciplina e onore», conformando la propria condotta ai principi di buon andamento e imparzialità dell’azione amministrativa, cioè agendo sempre «in posizione di indipendenza e imparzialità, astenendosi in caso di conflitto di interessi».[23]
Le interpretazioni estensive menzionate, che fanno leva tanto sul versante della necessaria tutela dei principi costituzionali, quanto sulla configurabilità del reato di abuso d’ufficio per omissione, hanno conferito alla norma incriminatrice dell’art. 323 c.p. una portata estremamente ampia, talvolta eccessiva rispetto ai canoni di determinatezza che il diritto penale impone. Quasi a configurare una clausola generale di sanzione penale per il conflitto di interessi, ancorché mancante nel nostro sistema penale. [24] Sia detto, ad onor del vero, che la potenziale tensione di questa interpretazione estensiva dell’abuso d’ufficio con i principi di tassatività e determinatezza è mitigata dal contesto normativo in cui è inserita la previsione. In primo luogo, l’abuso d’ufficio è un reato proprio, che può essere commesso solo da chi ha una specifica qualifica normativa, in particolare un pubblico ufficiale o un incaricato di pubblico servizio; quindi, il rilievo penale del conflitto di interessi è limitato al conflitto pubblico (per quanto riguarda il conflitto privato, v., infra). In secondo luogo, il reato previsto e punito dall’articolo 323 del Codice penale presenta ulteriori elementi che stabiliscono chiaramente la condotta incriminata, impedendo che il semplice conflitto costituisca il fondamento della punizione; invero, affinché il reato possa dirsi configurato è necessario che dall’omessa astensione derivi un vantaggio patrimoniale ingiusto o un danno ingiusto (cosiddetta doppia ingiustizia, della condotta e dell’evento – duplice e alternativo). In terzo luogo, il doppio evento alternativo deve essere intenzionalmente causato dall’agente, il che ulteriormente restringe la sfera di punibilità sul versante dell’elemento soggettivo.[25]
Questi aspetti rendono evidente come il reato di abuso d’ufficio, anche per quanto riguarda l’obbligo di astensione, si differenzi dal reato di interesse privato in atti d’ufficio, un tempo previsto all’articolo 324 del Codice penale, che puniva «il pubblico ufficiale che, direttamente o tramite un intermediario o con atti simulati, perseguiva un interesse privato in qualsiasi atto della pubblica amministrazione». Quest’ultima fattispecie presentava, come evidente, un’incriminazione molto ampia del conflitto di interessi, potenzialmente in grado di includere comportamenti non dannosi né per l’interesse pubblico né per quello dei privati coinvolti e neppure sostenuti da dolo intenzionale. Si trattava, in altri termini, di un’incriminazione realmente rispondente all’istanza di tutela del conflitto di interessi, se per esso s’intende, come dalle definizioni sopra riportate, una situazione di mero rischio astratto antecedente ad un – eventuale – fenomeno corruttivo. Tuttavia, come noto, tale disposizione è stata abrogata dall’art. 20, L. 26 aprile 1990, n. 86., non risultando compatibile con il principio di determinatezza del precetto e con il principio di offensività. Non si può, dunque, trascurare la nitida volontà di politica criminale espressa dal legislatore sottesa alla scelta di espungere la principale norma di riferimento per la tutela diretta del conflitto di interessi in ambito penale, nonostante la chiara funzione, almeno potenziale, nel contrasto ai fenomeni di mala gestio della cosa pubblica.[26] Con l’abbandono della logica panpenalistica insita nella fattispecie di cui all’art. 324 c.p., il legislatore sembra, allora, aver volutamente costruito un sistema di contrasto al conflitto di interessi c.d. pubblico scarno e residuale, demandando, in un’ottica di sussidiarietà, la sanzione del fenomeno a strumenti repressivi di diritto amministrativo.[27]
Una simile logica di abbandono dell’incriminazione del conflitto di interessi in via autonoma anima anche il diritto penale societario. Anche qui, invero, manca una previsione generale e l’intervento del diritto penale è residuale, colpendo specifiche manifestazioni del conflitto in ambiti circoscritti. In particolare, le sanzioni penali per condotte compiute in conflitto di interessi sono riscontrabili nell’ambito del diritto penale societario in due disposizioni: articolo 2629 bis e articolo 2634 del Codice civile, mentre si è deciso di abbandonare l’incriminazione diretta prevista nel previgente art 2631 c.c.[28] Nel primo caso, di cui all’art 2929 bis, l’incriminazione del conflitto di interessi è palesata nella rubrica della disposizione, intitolata, infatti, “omessa comunicazione del conflitto d’interessi», tuttavia, nonostante tale esplicita terminologia, che farebbe pensare di primo acchito a una norma sanzionatoria di ampio respiro, il delitto è connotato da un ambito di applicabilità piuttosto circoscritto, trattandosi di un reato proprio in cui il soggetto attivo sono amministratori (o componenti del consiglio di gestione) di società quotate (e simili); oltretutto, la condotta, consistente nella violazione degli obblighi di cui all’art. 2391 c.c., è punita solo ove produttiva di danno.[29] In dottrina, peraltro, è stata criticata la tecnica di formulazione della norma incriminatrice in esame proprio con riferimento al principio di precisione, giacché il rinvio al citato art. 2391 c.c. non consentirebbe una facile determinazione del contegno vietato, atteso che suddetto articolo avrebbe, a propria volta, una portata troppo vasta, ponendosi in capo all’amministratore l’obbligo di informare gli altri componenti dell’organo gestorio e di quello sindacale di «ogni interesse che, per conto proprio o di terzi, abbia in una determinata operazione della società, precisandone la natura, i termini, l’origine e la portata».[30]
Nel delitto di c.d. infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.) il conflitto di interessi è, invece, il presupposto della condotta non consentita, posto che l’articolo in esame punisce «gli amministratori, i direttori generali e i liquidatori, che, avendo un interesse in conflitto con quello della società, al fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio, compiono o concorrono a deliberare atti di disposizione dei beni sociali, cagionando intenzionalmente alla società un danno patrimoniale».
Basti qui sottolineare che proprio con riferimento al conflitto di interessi considerato dalla disposizione di cui all’art. 2634 cc, la giurisprudenza di legittimità ha precisato che «ai fini della configurabilità del reato di infedeltà patrimoniale ex art. 2634 cod. civ., è necessario un antagonismo di interessi effettivo, attuale e oggettivamente valutabile tra l’amministratore agente e la società, a causa del quale il primo, nell’operazione economica che deve essere deliberata, si trova in una posizione antitetica rispetto a quella dell’ente, tale da pregiudicare gli interessi patrimoniali di quest’ultimo, non essendo sufficienti situazioni di mera sovrapposizione o commistione di interessi scaturenti dalla considerazione di rapporti diversi ed estranei all’operazione deliberata per conto della società».[31] Rispetto al concetto di conflitto di interessi rilevante ai fini dell’incriminazione dell’abuso d’ufficio, la Suprema Corte, in materia di infedeltà patrimoniale, sembra sposare un atteggiamento più prudente, incline a conferire alla nozione una portata maggiormente circoscritta, verosimilmente a causa della strutturale differenza tra le situazioni prese in esame dalle norme incriminatrici e, soprattutto, stante il diverso rilievo dei beni giuridici tutelati dalle due disposizioni penali (di rango tendenzialmente pubblicistico nell’art. 323 c.p., di stampo eminentemente privatistico nell’art. 2634 c.c.). Ancorché non si ritenga condivisibile tale discrasia, ciò spiegherebbe come mai per il delitto previsto e punito dall’art. 323 c.p. l’accezione di conflitto di interessi sposata dalla Suprema Corte sia più lata rispetto a quella adottata per il reato di cui all’art 2634 c.c.[32] Similmente all’abuso d’ufficio, tuttavia, la fattispecie del diritto penale societario qui in considerazione presenta numerosi elementi costitutivi, quali un evento di danno ed un dolo specifico, di modo che non sia tanto il conflitto in sé ad essere punito, quanto piuttosto la lesione del patrimonio sociale operata consapevolmente dal vertice infedele della società per proprio tornaconto.
Una completa riflessione sulla rilevanza penale del conflitto di interessi non può trascurare, infine, l’universo della responsabilità amministrativa da reato degli enti, in cui la problematica del conflitto di interessi emerge sotto almeno quattro profili che meritano di essere menzionati brevemente.
Il primo riguarda i reati presupposto della responsabilità ex d.lgs. 231/2001, che può scattare solo in presenza della commissione di illeciti penali espressamente elencati nel decreto legislativo in esame. Tra questi vi sono l’abuso d’ufficio e l’omessa comunicazione del conflitto di interessi, due delitti in cui, come visto, il conflitto di interessi è un elemento essenziale.
In secondo luogo, il conflitto di interessi può costituire una circostanza esimente per l’ente ai sensi dell’articolo 5, comma 2, del d.lgs. 231/2001. Questa disposizione consente all’ente di esimersi dalla responsabilità dimostrando che il vertice ha agito nell’interesse proprio o di terzi, ossia, sostanzialmente, in modo infedele poiché in conflitto di interessi.
In terzo luogo, il tema del conflitto di interessi emerge in relazione alla composizione dell’organismo di vigilanza (o.d.v.), che deve garantire la corretta attuazione dei modelli di organizzazione e gestione per la prevenzione dei reati. Gli interpreti concordano sul fatto che i membri dell’o.d.v. non possono ricoprire ruoli apicali nella società per evitare situazioni di conflitto di interessi che potrebbero compromettere il loro ruolo.
Infine, il conflitto di interessi è rilevante anche sotto il profilo processuale nell’ambito del procedimento di accertamento della responsabilità amministrativa. L’articolo 39 del d.lgs. 231/2001 si occupa della rappresentanza dell’ente in tale procedimento e affronta il tema del conflitto di interessi tra l’imputato e il rappresentante dell’ente, ogni volta che ci sia una sovrapposizione tra le due figure che potrebbe comportare un conflitto nella determinazione delle strategie difensive.
All’esito di questo rapido excursus normativo, possiamo affermare che il file rouge delle incriminazioni del conflitto di interessi sembra poter essere individuato nella costante attenzione del legislatore per i principi di determinatezza e offensività che inducono a non dare rilievo penale a questo fenomeno di per sé, ma solo quale elemento della fattispecie, a carattere tendenzialmente elastico, che si accompagna a ulteriori segmenti normativi in funzione di specificazione del precetto.
4. Il conflitto di interessi nei concorsi pubblici: una peculiare ipotesi che merita attenzione alla luce dell’imminente abrogazione dell’abuso d’ufficio.
Alla luce di quanto finora si è detto, emerge come il reato di abuso d’ufficio, nella sua modalità omissiva, costituisca la principale norma di riferimento per la tutela penale del conflitto di interessi, quantomeno sotto il profilo della prassi applicativa. Di talché, in ragione della sua imminente abrogazione, è doveroso soffermarsi su un’ipotesi significativa – e controversa – di applicazione del concetto di conflitto di interessi in ambito penale: quella inerente ai concorsi pubblici accademici. D’altra parte, la disciplina dei concorsi pubblici in materia universitaria negli ultimi anni è divenuta sempre più spesso oggetto di contenzioso, soprattutto con riferimento alla criticità del conflitto d’interessi sussistente tra commissari e candidati, ma anche con riferimento alla vincolatività del Piano Nazionale Anticorruzione per le Università italiane.
Tali criticità non sono state risolte con la riforma 76/2020 (che ha ristretto sensibilmente il “raggio di fuoco” dell’abuso d’ufficio) in quanto non è stata modificata la modalità alternativa di condotta meramente omissiva, consistente nella violazione dell’obbligo di astensione. In particolare, anche a seguito della riforma del 2020, la locuzione «negli altri casi prescritti» ha permesso alla fattispecie di abuso di ufficio di mantenere una eccessiva capacità estensiva. Si è correttamente rilevato, infatti, come questa formula fosse in grado di ricomprendere ipotesi di abuso d’ufficio in situazioni di conflitto di interesse disciplinate da fonti regolamentari e sub legislative e da regole, anche di fonte primaria, specifiche o meno, che lasciassero residuare margini di discrezionalità.[33] Ci si riferisce ai casi di omessa astensione in presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto o negli altri casi prescritti, non interessati dalla riformulazione del precetto poiché speciali rispetto alla generica violazione di norme di legge o di regolamento. L’abuso d’ufficio per omessa astensione in caso di conflitto di interessi, dunque, ha potuto costituire il “grimaldello” per riespandere la forza punitiva indeterminata che caratterizzava, ab origine, questa fattispecie di reato.[34] Le ipotesi applicative più ricorrenti hanno riguardato i “sodalizi professionali” nell’ambito dei concorsi per docenti universitari e gli avanzamenti di carriera dei magistrati ordinari, che sempre più spesso vengono impugnati. Si è giunti persino ad impugnare la nomina di Primo Presidente della Corte Suprema di Cassazione, annullata dal Consiglio di Stato e poi effettuata nuovamente dal Consiglio Superiore della Magistratura.[35] La copiosa casistica non stupisce affatto, giacché si tratta di ambiti in cui il concetto di conflitto di interessi è definito dalla mera interpretazione giurisprudenziale del lacunoso quadro normativo di riferimento. D’altra parte, in queste ipotesi la fonte normativa della violazione viene spesso individuata nella norma penale stessa, seppure mediante il rinvio (ma solo per i casi diversi dalla presenza di un interesse proprio o di un prossimo congiunto) ad altre fonti normative extra-penali che prescrivono lo stesso obbligo di astensione. Se ne deduce un’inammissibile tautologia giuridica di fondo. Nello specifico, la legge n. 240/2010, ai sensi della quale vengono bandite le procedure di selezione per i concorsi in ambito universitario, non contiene puntuali disposizioni che regolino le potenziali situazioni di conflitto di interessi relative alla composizione delle commissioni di concorso. Parimenti, il d.p.R. 4 aprile 2016, n. 95, concernente il conferimento dell’abilitazione scientifica nazionale per il passaggio a ruolo dei professori universitari di prima e seconda fascia, nel disciplinare le modalità di formazione e funzionamento della commissione nazionale per l’abilitazione, non annovera specifiche disposizioni in ordine ai casi di conflitto di interessi dei commissari. Pertanto, viene richiamato l’art. 11, comma 1 del d.P.R. n. 487/1994 secondo cui i componenti della Commissione sottoscrivono una dichiarazione di non sussistenza di incompatibilità come precisato ex lege dagli artt. 51 c.p.c. e 52 c.p., senza che le cause di incompatibilità ivi previste possano essere oggetto di estensione analogica.
Emerge nitidamente un grave deficit di fonti primarie e sub primarie, a tal riguardo si è espressa di sovente anche la giurisprudenza amministrativa che ha tentato di stabilire in via ermeneutica il concetto di “sodalizio professionale”, specificando le ipotesi nelle quali ricorre un conflitto di interessi giuridicamente rilevante.[36] Secondo l’orientamento prevalente si ha conflitto di interessi qualora il rapporto fra giudicante e giudicato assume una rilevanza di intensità “speciale”, poiché «connotato da caratteri di stabilità e reciprocità di interessi di carattere economico»[37]; mentre non assurgerebbe a conflitto di interessi giuridicamente rilevante il mero “coautoraggio”, trattandosi di una pratica ricorrente e talvolta inevitabile nella prassi accademica.[38] In sostanza, si configurerebbe un conflitto d’interessi quando si possa ritenere – in virtù di un criterio meramente teleologico – che il potere amministrativo sia stato orientato al perseguimento di interessi di natura personale, ulteriori e diversi rispetto all’interesse pubblico.[39] Con una recente sentenza il Consiglio di Stato ha confermato questo indirizzo, ribadendo come la procedura concorsuale sia da considerarsi illegittima qualora intercorra fra le parti un rapporto personale di tale intensità da far sorgere il sospetto che il giudizio non sia stato improntato al rispetto del principio di imparzialità.[40] Tuttavia, muovendo da questi arresti giurisprudenziali, che valorizzano evidentemente la portata precettiva dell’art. 97 Cost., si impone al pubblico funzionario una valutazione circa la legittimità della sua azione sulla base degli “inafferrabili” principi di imparzialità e buon andamento, certamente troppo ampi e discrezionali per poter orientare efficacemente la condotta del pubblico agente. In altri termini, alla luce di un lacunoso quadro normativo di riferimento, l’individuazione della situazione di conflitto di interesse viene rimessa alla discrezionalità amministrativa dell’organo investito del potere decisionale, di volta in volta chiamato ad effettuare una scelta amministrativa. Sul versante processuale ciò comporta che spetti al giudice penale, chiamato a valutare la configurazione del reato di abuso d’ufficio “per omissione”, il gravoso compito di definire – ex post – se nel caso portato alla sua attenzione ricorra o meno un’ipotesi di conflitto di interessi, in virtù del quale il pubblico funzionario si sarebbe dovuto astenere.[41] Tale assetto, come evidente, determina un grave vulnus in termini di prevedibilità e calcolabilità delle conseguenze del proprio agire da parte del pubblico agente, il quale si trova costretto a dover scegliere se procedere o meno all’adempimento delle sue funzioni senza alcun reale e certo parametro normativo di riferimento.[42]
A questo avviso, dunque, onde evitare gravi disparità di trattamento con riferimento alla responsabilità del pubblico funzionario in relazione alle condotte omissive rispetto a quelle commissive, e onde evitare di incorrere ancora una volta nell’indeterminatezza del precetto, il legislatore avrebbe potuto valutare un ulteriore sforzo di tipizzazione della disposizione dell’art. 323, segnatamente con riferimento alla seconda parte della norma inerente all’ipotesi di condotta omissiva, non interessata dalla restrittiva riformulazione del 2020.[43]
Per converso, occorre sottolineare come la scelta abolitiva avanzata dal legislatore ponga alcune criticità in termini di tutela delle situazioni pocanzidescritte, poiché, venuto meno l’abuso d’ufficio, non sembra facilmente sussumibile in altre fattispecie di reato la distorsione di potere perpetrata nell’ambito dei concorsi pubblici. Invero, la giurisprudenza, con alcuni recenti condivisibili arresti, non ritiene possibile assimilare le gare pubbliche a cui fa riferimento l’art. 353 cod. pen. e i concorsi per il reclutamento del personale da parte dello Stato e delle sue articolazioni, stante l’obiettiva diversità di materia e di disciplina di riferimento e, in particolare, dalla diversità strutturale tra le “offerte” che vengono in considerazione ai fini della configurazione del reato di turbata libertà degli incanti e quelle che attengono ai concorsi per il reclutamento dei professori universitari. Né può trovare applicazione il reato di cui all’art. 353 bis c.p. che punisce «chiunque con violenza o minaccia, o con doni, promesse, collusioni o altri mezzi fraudolenti, turba il procedimento amministrativo diretto a stabilire il contenuto del bando o di altro atto equipollente al fine di condizionare le modalità di scelta del contraente da parte della pubblica amministrazione», in quanto anche tale fattispecie è riferibile alle medesime procedure contrattuali oggetto della originaria previsione codicistica di cui all’art. 353 c.p. Del resto, come affermato anche da alcune recenti sentenze di legittimità, la ratio dell’art. 353-bis è stata individuata nella esigenza di anticipare la tutela penale rispetto al momento di effettiva indizione formale della gara e mira a prevenire la preparazione e l’approvazione di bandi personalizzati e calibrati proprio sulle caratteristiche di determinati operatori, preservando il principio di libertà di concorrenza e salvaguardando gli interessi della pubblica amministrazione.[44] Pertanto, applicare l’art. 353 c.p. o 353-bis alle procedure concorsuali e di mobilità del personale costituirebbe una operazione di interpretazione analogica in malam partem non consentita dal nostro ordinamento. Tale conclusione, avallata, come detto, dalla giurisprudenza recente, evidenzia una rinnovata sensibilità per il principio di legalità, tuttavia pone al legislatore – che ha il monopolio delle scelte politico-criminali – il problema della rilevanza penale delle condotte di “turbativa” dei concorsi universitari realizzate, fuori dai casi di corruzione, per avvantaggiare o per danneggiare un candidato.[45] Del resto, la tutela della libera concorrenza, e quindi dell’esigenza di una reale contesa tra le parti e di una libera formazione delle offerte, è funzionale all’acquisizione del bene o del servizio al prezzo e alle condizioni più vantaggiose per l’amministrazione: essa «impegna in maniera diretta la tutela del buon andamento e dell’imparzialità della pubblica amministrazione».[46] Una possibile soluzione, alla luce della volontà di abrogazione dell’art. 323 c.p., sembra quella di aggiornamento delle procedure espressamente considerate dall’art. 353, fino a ricomprendervi anche le procedure concorsuali, così risolvendo questo possibile vuoto di tutela. Tuttavia, se da un lato appare illogico che le manipolazioni commesse all’interno dei pubblici concorsi, pur foriere di danni per la P.A., debbano esser trattate diversamente dalle turbative realizzate nelle gare giustificandosi l’estensione dell’art. 353 cp, dall’altro va anche considerata la specificità dei concorsi accademici.[47] A tal proposito, non senza ragioni, autorevoli studiosi sostengono che il reclutamento universitario non debba passare dai tradizionali meccanismi del concorso pubblico, ma debba essere garantito con l’antico strumento della cooptazione; adottando cioè un modello che, invece di rifuggire (con scarso successo) dai conflitti di interessi, li affermi e li disciplini. Il problema di fondo è che in epoca contemporanea la cooptazione di un tempo non è più praticabile, non solo perché la Costituzione all’art. 97 comma 4 sancisce il principio del concorso, ma anche perché «l’albero si è ampliato all’inverosimile» e non è più possibile un controllo effettivo della comunità scientifica (e, d’altra parte, è bene che sia così). Ad ogni modo, i fautori delle tesi più critiche nei confronti dell’attuale sistema dei concorsi accademici ritengono che se concorso debba essere, tuttavia, la sola soluzione seria sia quella del ritorno al concorso nazionale, con elezioni dei commissari da parte della comunità scientifica ovvero tramite sorteggio.[48]
5. Nuova linfa per il conflitto di interessi nella Proposta di direttiva UE sulla corruzione: fra formulazioni generiche e incriminazioni privatistiche.
Il tema dei conflitti di interessi, e della sua incriminazione, coinvolge anche la dimensione europea, in particolare alla luce della recente Proposta di Direttiva sulla corruzione[49] che la Commissione europea ha avanzato per comporre organicamente il quadro normativo attualmente vigente.[50] L’obiettivo dichiarato è quello di «garantire che tutte le forme di corruzione siano perseguibili penalmente in tutti gli Stati membri, che anche le persone giuridiche possano essere ritenute responsabili di tali reati e che questi ultimi siano passibili di sanzioni effettive, proporzionate e dissuasive». L’atto legislativo dell’Unione è stato tuttavia sottoposto all’esame della XIV Commissione della Camera dei deputati (Politiche dell’Unione Europea) che ha redatto un “parere motivato” (ai sensi dell’art. 6, Protocollo n. 2, allegato al TUE e al TFUE), nel quale si evidenzia come la Direttiva proposta non sia conforme al principio di sussidiarietà ed a quello di proporzionalità. A parere della Commissione Politiche dell’UE, e di autorevole dottrina[51], la Proposta di direttiva esorbiterebbe dalla base giuridica richiamata a suo fondamento, nella misura in cui essa disciplina in modo assai generico reati ulteriori rispetto a quello di corruzione in senso stretto, privi peraltro del requisito della transnazionalità, relativamente ai quali l’UE non ha competenza ad adottare norme di armonizzazione. La Proposta di direttiva, inoltre, inciderebbe profondamente su normative quali quelle contenute nei codici penali e di procedura penale, senza tenere conto «delle specificità dei sistemi, dei dati statistici e delle culture giuridiche, economiche e sociali, nonché dell’ordinamento costituzionale e delle Pubbliche amministrazioni di ciascun Stato membro».[52] Del resto, è vero che l’art. 83 par. 1 e 2 del TFUE menziona la corruzione fra le “sfere criminali” ritenute particolarmente gravi da giustificare un intervento unionale, ma il margine d’intervento del Parlamento e del Consiglio europeo è subordinato dallo stesso articolo alle sole ipotesi di reato che denotino una «dimensione transnazionale». La corruzione in senso proprio, in particolare quella legata al settore degli appalti pubblici, ad esempio, può senz’altro rivelare una dimensione transnazionale, ma non è altrettanto certo che ricorra questo carattere per le altre forme di reato quali l’abuso d’ufficio e l’intralcio alla giustizia, inopinatamente ricondotte dalla Commissione europea alla corruzione tout court.
In secondo luogo, non sembra potersi trascurare il fatto che la proposta di direttiva in esame, oltre a sovrapporre fenomenologie criminali radicalmente dissimili, ponga sullo stesso piano mere raccomandazioni internazionali e veri e propri obblighi convenzionali. Al contrario, la Convenzione di Merida, ritenuta il più esaustivo strumento giuridico internazionale in questo campo, prevede un’incriminazione meramente facoltativa per quanto riguarda l’abuso d’ufficio, la corruzione nel settore privato e l’arricchimento illecito, ossia per quelle fattispecie fortemente influenzate dal contesto socio-giuridico nazionale e che vengono integrate da fenomeni di conflitto di interessi.[53] Peraltro, la scelta di introdurre obblighi incriminatori con riguardo a fattispecie di dimensione locale suscita forti perplessità in considerazione della recente proposta di abolizione del reato di abuso d’ufficio formulata con d.d.l. n. 808/2023. Con specifico riguardo all’abuso d’ufficio, appare evidente che occorra valutare in modo più approfondito l’opportunità di ricomprendere questa fattispecie così generale (e peculiare al contempo, per le ragioni anzidette) nel novero dei reati di corruzione transnazionale interessati dalla direttiva. Ciò anche in ragione del fatto che la Proposta di direttiva non si limita ad un’incriminazione dell’abuso d’ufficio sul modello attualmente vigente nel nostro ordinamento, ossia ancorato ad una serie tassativa di “filtri” di punibilità, bensì ne fornisce una definizione generica ed onnicomprensiva: «l’esecuzione o l’omissione di un atto, in violazione delle leggi, da parte di un funzionario pubblico nell’esercizio delle sue funzioni al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un terzo; l’esecuzione o l’omissione di un atto, in violazione di un dovere, da parte di una persona che svolge a qualsiasi titolo funzioni direttive o lavorative per un’entità del settore privato nell’ambito di attività economiche, finanziarie, imprenditoriali o commerciali al fine di ottenere un indebito vantaggio per sé o per un terzo».[54]
Da una prima lettura risulta evidente che si tratti di una formulazione estremamente ampia, in grado di assorbire condotte già previste dalla Proposta di direttiva (come la corruzione o il traffico di influenze), che però non potrebbero essere agevolmente provate processualmente. Inoltre, sembra chiaro che una disposizione così ampia, incentrata sull’elemento dell’intenzionalità dell’indebito vantaggio, anziché sull’effettivo concretarsi del vantaggio indebito, introdurrebbe la possibilità di reprimere azioni anche meramente potenziali, quale ad esempio la mancata comunicazione di un conflitto di interessi in un contratto o in una transazione a cui il funzionario partecipa nell’esercizio delle sue funzioni. A tal proposito, è doveroso constatare che, stando alla disposizione contenuta nella Proposta, l’indebito vantaggio verrebbe a configurare un elemento soggettivo di natura teleologica, anziché un evento di materiale e necessaria verificazione. Una simile formulazione renderebbe superflua la dimostrazione che l’imputato abbia effettivamente ottenuto un vantaggio indebito, poiché risulterebbe sufficiente provare che l’imputato abbia agito allo scopo di ottenere un vantaggio indebito.[55] Tale soluzione consentirebbe di perseguire in maniera arbitraria l’azione dei pubblici ufficiali, attraverso un’indagine subiettiva della condotta in conflitto di interessi e a prescindere dalla dimostrazione di un danno effettivo per la pubblica amministrazione, in palese contrasto con i principi di materialità e offensività del reato.
Infine, suscita perplessità anche la disposizione inerente all’abuso di funzioni nel settore privato (art. 11, comma 2), che equipara inopinatamente l’abuso di funzioni private a quello pubblico. L’unica spiegazione fornita nella relazione esplicativa appare decisamente tautologica: «al fine di combattere la corruzione in modo globale, questa Direttiva dovrebbe coprire anche questo reato». Basti evidenziare che la disposizione sull’abuso privatistico risulta particolarmente avventata poiché concerne tipologie di condotte che per lo più appaiono sussumibili in fattispecie criminose già presenti nel nostro ordinamento penale con altra intitolazione in differenti ambiti: si pensi ai settori del diritto penale societario o tributario oppure a quello della crisi di impresa, ai falsi o alle frodi. Deve, inoltre, considerarsi che nell’abuso d’ufficio nel settore privato il soggetto attivo del reato è una «persona che svolge funzioni apicali o subordinate per un ente privato”, ma nel nostro sistema penalistico, la qualifica soggettiva di «agente pubblico» (artt. 357-358 c.p.) può sussistere anche se l’individuo lavora in una impresa che opera in regime privatistico. In sintesi, sembra potersi affermare che tale fattispecie di reato descritta dalla Proposta di direttiva sia eccessivamente generica, il che potrebbe non solo ostacolare la certezza del diritto, ma anche avere un impatto negativo sulla ripresa economica dell’Unione, in evidente contraddizione con gli obiettivi del piano NextGenerationEu.[56]
Oltre alle criticità finora sottolineate, preme evidenziare come le scelte incriminatrici descritte conferirebbero nuova linfa al concetto di conflitto di interessi, ancorché, come visto ai paragrafi precedenti, il legislatore nazionale abbia espresso chiaramente la volontà di espungere ogni fattispecie incriminatrice generale di tale fenomeno, abolendo, dapprima, l’art. 324 c.p. e, da ultimo, l’art. 323 c.p.. La punibilità “diretta” del conflitto di interessi in astratto sarebbe invece ampiamente ricompresa nel precetto di abuso d’ufficio formulato dalla Proposta di direttiva europea, sia perché la formulazione è estremamente generica, finendo per ricomprendere le ipotesi di mero rischio corruttivo, cioè ipotesi corrispondenti alla definizione amministrativistica di conflitto di interessi, sia perché si è scelto inopinatamente di parificare la punibilità nel settore pubblico e privato, nonostante le strutturali differenze di interessi in gioco. Sotto un’altra prospettiva, la formulazione del reato di abuso d’ufficio contenuta nella Proposta, nonostante l’ampiezza, sembra paradossalmente non soddisfare appieno nemmeno le istanze di tutela dell’imparzialità amministrativa, poiché l’art. 11 non prende in considerazione l’abuso di funzioni allo scopo di arrecare un danno (cd. abuso per prevaricazione), che rappresenta uno dei casi di abuso più gravi, nonché la sua forma primigenia.
6. Conflitto d’interessi nel diritto societario, un modello da seguire.
Il fenomeno del conflitto di interessi in ambito societario presuppone un’indagine sul concetto a monte di interesse sociale, posto che, come evidente, quest’ultimo costituisce il prius logico per l’individuazione delle situazioni di conflitto. L’interesse sociale non è stato definito in modo univoco dalla dottrina e dalla giurisprudenza, poiché, tradizionalmente, si suole distinguere fra teorie istituzionalistiche e teorie contrattualistiche dell’interesse sociale.[57] La fondamentale differenza fra le due impostazioni risiede nel fatto che, secondo le teorie istituzionalistiche, l’interesse sociale riguarda l’impresa sociale – considerata come autonomo soggetto – e si caratterizza per essere indipendente e superiore sia all’interesse dei singoli soci sia alla somma degli interessi dei soci; diversamente, le teorie contrattualistiche spostano l’accento sull’identificazione di un interesse oggettivo e identificano l’interesse sociale con l’interesse dei soli soci proiettato sul raggiungimento dell’oggetto sociale.[58]
Nell’ambito del diritto penale societario, tuttavia, la nozione contrattualistica di interesse sociale si è progressivamente affermata, giacché si presta ad una migliore riferibilità degli eventi ai soci. Già con riguardo all’art. 2631 c.c. (previgente formulazione) si sottolineava come l’unica accezione di interesse sociale potesse essere quella incardinata sull’interesse dei singoli soci, valutato obiettivamente, ossia come ciò che rappresenti l’optimum per gli interessi particolari qualitativamente uguali dei soci stessi.[59] Del resto, adottando le teorie istituzionalistiche risulta molto complesso individuare il contenuto dell’interesse sociale, in particolare del quid pluris di interesse che non è riferibile ai soci ma solo alla società-istituzione[60]. Attraverso le teorie contrattualistiche, viceversa, è possibile identificare il contenuto dell’interesse sociale sul valore complessivo delle azioni (o quote) della società, valorizzando maggiormente l’apporto del singolo sull’attività dell’ente.[61] Una volta identificato con certezza l’interesse sociale non appare complesso in quest’ambito tratteggiare la nozione di conflitto di interessi, quantomeno in astratto, dovendosi ritenere sussistente il conflitto ogniqualvolta vi sia inconciliabilità fra l’interesse sociale e l’interesse perseguito dall’intraneus che si orienta verso il raggiungimento di un fine extrasociale.[62]
Le maggiori criticità, invece, risiedono nell’individuazione dei criteri per la valutazione del conflitto di interessi rilevante per l’integrazione del fatto tipico. A questo riguardo, come noto, il principale referente normativo del conflitto di interessi in ambito societario si rinveniva nell’art. 2631 c.c., che, in parallelo all’art. 324 c.p., nel testo originario del Codice civile, prevedeva un reato denominato «Conflitto d’interessi», così formulato: «L’amministratore, che, avendo in una determinata. operazione per conto proprio o di terzi un interesse in conflitto con quello della società, non si astiene dal partecipare alla deliberazione del consiglio relativa all’operazione stessa, è punito con la multa da lire quattrocentomila a quattro milioni. / Se dalla deliberazione è derivato un pregiudizio alla società, si applica, oltre la multa, la reclusione fino a tre anni». La norma presentava una valenza meramente sanzionatoria del precetto sancito dall’art. 2391 comma 1 c.c., che con un’identica rubrica stabiliva che l’«amministratore, che in una determinata operazione ha, per conto proprio o di terzi, interesse in conflitto con quello della società, deve darne notizia agli altri amministratori e al collegio sindacale, e deve astenersi dal partecipare alle deliberazioni riguardanti l’operazione stessa».
Traendo spunto dal dato letterale riportato, un primo orientamento, c.d. formalistico, sostenuto dalla giurisprudenza, riteneva che ogni deliberazione assunta dall’amministratore in presenza di un interesse divergente da quello sociale integrasse un conflitto di interessi che, pertanto, doveva essere valutato in astratto. Attraverso questo orientamento, peraltro a lungo maggioritario, l’art. 2631 c.c. veniva a configurare un reato di pericolo presunto, ove il danno per la società veniva relegato al ruolo di mera circostanza aggravante. In altri termini, così formulato e interpretato, il delitto di cui all’art. 2631 c.c. attribuiva rilevanza penalistica al mero conflitto di interessi astratto, o “statico”[63], a prescindere cioè dalla causazione di un pregiudizio per l’ente. Veniva, dunque, implicitamente escluso rilievo alla possibilità di una convergenza o “coincidenza” fra gli interessi personali del singolo e dell’ente, la cui ricorrenza avrebbe potuto addirittura determinare un vantaggio per la società.[64] Con un’analogia nel campo delle scienze economiche si potrebbe dire che, così configurato, il reato in parola trascurava, senza distinzioni, l’essenziale ruolo della “mano invisibile” teorizzata da Adam Smith, assimilando in un’unica fattispecie condotte dannose per l’ente e condotte che, per quanto ispirate da interessi personali, potevano risultare finanche vantaggiose per l’ente.[65]
A questo orientamento, c.d. formalistico, se ne contrappose uno c.d. sostanzialistico[66], che riteneva per converso indispensabile una valutazione in concreto della situazione di contrasto fra interesse perseguito dal soggetto attivo e interesse sociale, a questo scopo elaborando alcuni indici, quali: l’effettività, l’attualità, l’oggettività del conflitto. Questa tesi, nonostante la maggior aderenza ai principi costituzionali di offensività e materialità del reato (nulla poena sine iniuria, su tutti) fu comunque respinta dalla Corte di Cassazione[67]. Si comprende allora perché si sia reso necessario l’intervento del legislatore che con la riforma introdotta dal d.lgs. 11 aprile 2002, n. 61 ha cancellato l’art 2631 c.c. La soppressione di questa norma, priva di una dimensione lesiva, posta a presidio di mere regole formali di comportamento, neppure in grado di caratterizzare la reale essenza del conflitto di interessi, non aprì alcuna lacuna che il legislatore dovesse colmare. Invero, l’incriminazione scomparve senza lasciare traccia di sé fino al 2005, quando venne riproposta similmente all’art. 2629 bis, tuttavia scarsamente applicato.
Tanto premesso in relazione al previgente art. 2631 risulta più agevole delineare i tratti tipici del conflitto di interessi nell’ambito dell’art. 2634 c.c., che ne costituisce, ad oggi, il principale referente normativo di tutela in ambito societario. Anzitutto, occorre brevissimamente ricordare quali sono gli elementi costitutivi del delitto di infedeltà patrimoniale: sul piano oggettivo sono richiesti un preesistente ed oggettivo «interesse in conflitto con quello della società», il compimento o il concorso alla delibera di «atti di disposizione dei beni sociali» e la produzione di un «danno patrimoniale» per la società; sul piano psicologico, al dolo specifico di «procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto o altro vantaggio» si aggiunge il dolo intenzionale di cagionare il danno. Dalla breve rassegna degli elementi costitutivi del reato in parola, risulta evidente la costruzione in un’ottica privatistica della fattispecie, dimostrata altresì dalla perseguibilità a «querela della persona offesa»[68]. Questa considerazione appare decisiva per ritenere, come avvenuto per l’impostazione sostanzialistica del già previsto art. 2631 c.c., che il conflitto di interessi debba avere un carattere patrimoniale e, pertanto, richiedere una valutazione oggettiva di danno.[69]
Tale configurazione restrittiva emerge, come visto, già sul piano della formulazione normativa, poiché il conflitto di interessi, posto come un dato della realtà esterno all’agente, viene proiettato dinamicamente sul fine di procurare a sé o ad altri un ingiusto profitto, in modo da evidenziare al tempo stesso la necessaria consapevolezza degli interessi contrapposti e la scelta di assecondare quello privato sacrificando l’interesse societario. Inoltre, allo scopo di negare rilievo penale a condotte che potrebbero rivelarsi neutre e incolori, la formula normativa esclude le condotte omissive e tutti gli atti che non consistono in una disposizione di beni sociali. Infine, il requisito della produzione del danno patrimoniale relega al più nella sfera del tentativo le condotte i cui effetti non si siano ancora manifestati a causa della natura differita nel tempo della scadenza del relativo contratto.
Si tratta, come evidente, di un modello maggiormente garantista, poiché, non punendo il conflitto di interessi in astratto, bensì incentrando la fattispecie sul danno patrimoniale effettivo e intenzionale, non esclude aprioristicamente la possibilità di una coincidenza fra gli interessi del singolo e quelli dell’ente. Tale svolta normativa e interpretativa è il frutto di una concezione moderna e liberale di conflitto di interessi, in grado di concepire tale fenomeno come mera situazione antecedete al fatto tipico e solo eventualmente di pericolo per l’ente.
Nella prospettiva che in questa sede più ci interessa, occorre osservare come un’istanza restrittiva analoga pare aver ispirato l’attuale legislatore in ambito pubblicistico, il quale, orientandosi verso l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, ha manifestato (piuttosto radicalmente) l’intenzione di espungere dalla sfera di punibilità penale quelle condotte (in particolare omissive) il cui disvalore risultava difficilmente percepibile in concreto ed ex ante. Pertanto, se le fattispecie di conflitto di interessi devono essere effettivamente incentrate su un danno patrimoniale in concreto, tanto sul versante societario (ex art. 2634 c.c.), quanto pubblicistico (ex art. 323 c.p.), è altresì lecito domandarsi quale sia la ragione per collocarle rispettivamente tra i reati societari e quelli della pubblica amministrazione, anziché fra i reati comuni accanto all’appropriazione indebita (con l’eventuale aggravante soggettiva).[70]
7. Una prospettiva conclusiva: il conflitto di interessi come traccia dell’unitarietà del sistema punitivo.
Alla luce delle riflessioni finora compiute si può notare come il concetto di conflitto di interessi permei l’ordinamento tanto su un piano “governamentale”, con riguardo all’assetto democratico, quanto sul piano “ordinamentale”, con riguardo alle specifiche previsioni penalistiche che lo contemplano. Dall’intersecarsi di questi piani emerge la natura ontologicamente polimorfa di questo fenomeno, che si espande e si contrae sul piano giuridico in ragione della maggiore o minore capacità del sistema governativo di coinvolgere gli interessi personali nelle decisioni pubbliche. Ne è prova l’indubbia elasticità interpretativa del fenomeno, intrinsecamente soggetta alla sensibilità personale dell’interprete. In particolare, come visto al paragrafo 4, tale dimensione estremamente soggettivizzata presenta le maggiori criticità in contesti, quale quello dei concorsi in ambito accademico, ove la discrezionalità del singolo sembra inevitabile. Sotto il profilo normativo le fattispecie di abuso d’ufficio e di infedeltà patrimoniale rappresentano le due norme archetipo del fenomeno, sul piano pubblico e privato. Queste fattispecie incriminatrici vengono invero sottoposte alla tensione che intercorre fra letture formali e letture sostanziali dei loro elementi, scaturenti dalla maggiore o minor propensione dell’interprete all’inclusione delle prospettive privatistiche nelle decisioni pubbliche. Non stupisce allora notare come la presenza del conflitto di interessi nell’ordinamento presenti una conformazione tuttora evanescente. Tuttavia, si deve rilevare che, perlomeno nell’ambito del diritto penale societario, sulla scorta di alcuni decisivi interventi normativi, si è percorsa una strada volta a ridimensionare la portata incriminatrice del conflitto di interessi. Specificatamente, si è tentato di passare da formule incriminatrici generiche (come ad es. quella del previgente art. 2631 c.c.), che contemplavano la punibilità del conflitto di interessi ex sè, ossia staticamente ed in astratto, ad una dimensione di punibilità del conflitto di interessi esclusivamente dinamica, cioè collegata alla verificazione di un danno patrimoniale effettivo in concreto. Si è, in altri termini, cercato di affermare come il conflitto di interessi non assuma mai una dimensione autonomamente lesiva, non confondendo, come nella più classica delle sineddochi, la parte (il conflitto di interessi) con il tutto (il fatto tipico effettivamente lesivo). Tale mutamento di prospettiva, che si può evincere in maniera paradigmatica dalla formulazione dell’art. 2634 c.c. e dalla sua più recente interpretazione giurisprudenziale, evidenzia una rinnovata sensibilità per il fenomeno del conflitto di interessi. In particolare, preme precisare che questa nuova concezione possa essere ispirata non soltanto da inderogabili ragioni di rispetto dei principi di determinatezza e offensività propri del diritto penale, ma anche da una mutata concezione del ruolo degli interessi personali nelle decisioni pubbliche. Più precisamente, sembra potersi intravedere un atteggiamento legislativo e interpretativo in grado di cogliere le potenzialità finanche positive della presenza di interessi personali nelle decisioni societarie, con specifico riguardo alle ipotesi che abbiamo definito di coincidenza o convergenza di interessi. L’auspicio, in questo senso, è che la strada intrapresa sul versante privatistico possa essere emulata anche sul versante delle incriminazioni pubblicistiche (troppo spesso impregnate di pregiudizi moralistici), e la cui valutazione di offensività viene gravemente demandata al giudizio – imprevedibile ed ex post – dell’organo giudicante. Un segnale di segno inverso sembra invece arrivare dal contesto unionale, invero, come evidenziato, la Proposta di direttiva sulla corruzione presenta alcuni profili di insanabile criticità con i più recenti sviluppi della scienza penalistica, tanto in termini di rispetto dei principi di determinatezza ed offensività, quanto in termini di progressiva integrazione fra ordinamento penale ed amministrativo. Del resto, è proprio dall’osservazione dello sviluppo normativo sul versante amministrativo, in cui si nota una progressiva privatizzazione della disciplina degli enti pubblici, che appare chiaro come anche sul versante penalistico possa operarsi una parificazione fra le incriminazioni pubblicistiche e privatistiche. In questo senso, l’abolizione del reato di abuso d’ufficio, se concepito come tentativo di progressiva integrazione fra modello penalistico ed amministrativo, non stupisce affatto. D’altra parte, l’alternativa inevitabile ad una scelta così radicale, sarebbe stata quella di tipizzare ulteriormente l’art. 323 c.p. nella sua variante omissiva mutuando il modello dell’art. 2634 c.c., rendendolo parimenti di scarsa applicazione concreta. In conclusione, appare chiaro come l’analisi del conflitto di interessi porti a considerare il sistema punitivo in chiave unitaria, in ragione della inevitabile parificazione fra modelli decisionali privatistici e pubblicistici.
[1] LOTTIERI, Il Conflitto di interessi fa bene alla democrazia, Milano, 2017.
[2] Con riguardo al processo di strumentalizzazione moralistica del concetto di democrazia attraverso il diritto penale della corruzione, si veda: ALAGNA, Democracy in the Undertow: Models and Criticism of the Anti-Corruption Criminal Law, Torino, 2021.
[3] Alcuni critici, tra i quali il BURCKARDT, Storia della civiltà greca, vol. II, Firenze, 1974, 174, hanno affermato che Tucidide fosse favorevole piuttosto ad una forma di governo mista, cioè ad un compromesso di oligarchia e democrazia e questo sulla base di quanto lo storico dice in VIII, 97, 2.
[4] Su tutti, CANFORA, La democrazia di Pericle, Bari, 2012.
[5] TUCIDIDE, VIII, 97, 2, richiamato da CANFORA, cit.
[6] ALAGNA, op. cit.; specificatamente sul rapporto fra attività di lobbying e diritto penale, si veda anche ALAGNA, Lobbying e diritto penale. Interessi privati e decisioni pubbliche tra libertà e reato, Torino, 2018.
[7] MOCCIA, La perenne emergenza – Tendenze autoritarie nel sistema penale, Napoli, 2000.
[8] Riecheggia inevitabilmente il celebre passo del Vangelo secondo Giovanni: 8:7 «Qui sine peccato est vestrum, primus lapidem mittat»
[9] La considerazione è tratta dall’osservazione della pratica giuridica che si sostanzia in atti d’interpretazione e di argomentazione, spostando l’attenzione dall’origine della regola giuridica all’uso che di essa fanno gli utenti del diritto, siano essi funzionari pubblici o cittadini. Con riguardo a questo profilo la rigida separazione tra teoria giuridica e teoria politica viene meno, dato che le scelte interpretative e quelle deliberative non costituiscono atti isolati o a sé stanti, ma si inseriscono coerentemente all’interno della vita di una comunità politica nel rispetto dei diritti dei suoi membri. La conclusione è che la teoria giuridica ha solo un’autonomia relativa in quanto si inscrive pur sempre all’interno della filosofia politica, in cui trova il suo pieno compimento, vd. FERRAJOLI, La teoria generale del diritto: l’oggetto, il metodo, la funzione, Rivista di filosofia del diritto, 2012, 1, n. 2, 246. Per un’analisi penalistica della questione si veda, fra tutti, SILVA, Elementi normativi e sindacato del giudice penale, Padova, 2014, 97 ss.
Per un’analisi penalistica sul rapporto fra tipicità e discrezionalità, si veda, fra tutti: SILVA, Elementi normativi e sindacato del giudice penale, Padova, 2014.
[10] Alcuni studi di scienze psicologiche rilevano la tendenza delle persone a vedere e interpretare gli eventi con la lente dei propri interessi personali e a far prevalere in modo automatico e inconsapevole i propri interessi quando essi entrano in competizione con l’interesse istituzionale, cfr. DI CARLO, Il conflitto di interessi nelle aziende. Linee guida per imprese, amministrazioni pubbliche e non-profit, Torino, 2020, 102 ss.
[11] Sul tema della prevedibilità penale si vd. CONSULICH, Così è (se vi pare). Alla ricerca del volto dell’illecito penale, tra legge indeterminata e giurisprudenza imprevedibile, Sistema Penale, 2020.
[12] Tra le principiali linee guida, ad esempio, si vd. Commissione Europea, Orientamenti sulla prevenzione e sulla gestione dei conflitti d’interessi a norma del regolamento finanziario, 7 aprile 2021, 7. Mentre tra le fonti normative: UE Financial Regulation 2018, che ha perfezionato le misure esistenti a tutela degli interessi finanziari dell’UE. Ne è un esempio il rafforzamento delle norme sui conflitti d’interessi (articolo 61 del RF 2018). Oltre che alla gestione diretta e indiretta, queste si applicano ora anche alle autorità degli Stati membri e a tutti coloro che danno esecuzione ai fondi dell’UE in regime di gestione concorrente.
[13] Per una rassegna generale sul versante amministrativo, si rinvia, per tutti, a D’ANGELO, Conflitto di interessi ed esercizio della funzione amministrativa, Torino, 2020.
[14] Cons. Stato, Sez. V, 28 maggio 2012, n. 3133.; Sulla stesa linea di indirizzo la Commissione speciale istituita il 4 luglio 2022 nella Relazione del 05.01.2023 al nuovo Codice degli appalti ha asserito che il conflitto d’interessi «si determina le volte in cui a un soggetto sia affidata la funzione di cura di un interesse altrui (così detto interesse funzionalizzato) ed egli si trovi, al contempo, ad essere titolare (de iure vel de facto) di un diverso interesse la cui soddisfazione avviene aumentando i costi o diminuendo i benefici dell’interesse funzionalizzato. Il conflitto di interessi non consiste quindi in comportamenti dannosi per l’interesse funzionalizzato, ma in una condizione giuridica o di fatto dalla quale scaturisce un rischio di siffatti comportamenti, un rischio di danno»
[15] DI CARLO, l conflitto di interessi nelle aziende. Linee guida per imprese, amministrazioni pubbliche e non-profit, Torino, 2020, 102 ss..
[16] SEMINARA, Il conflitto di interessi nei reati contro la pubblica amministrazione, nei reati societari e nei reati finanziari, in Conflitto di interessi e interessi in conflitto in una prospettiva interdisciplinare, a cura di R. Sacchi, Milano, 2020, 195 ss.
[17] In questo senso cfr. UE Financial Regulation 2018, 3.2.1. Le circostanze pregiudizievoli devono tuttavia avere un determinato legame identificabile e individuale con aspetti concreti della condotta, del comportamento o dei rapporti della persona o avere un impatto su tali aspetti.
[18] TENORE, I pubblici impiegati sono al servizio esclusivo della Nazione: riflessioni sull’art. 98 Cost., in Rivista della Corte dei Conti, 2022, 1, 3; IMMORDINO, Brevi spunti sullo statuto costituzionale del pubblico impiego, in Rivista amministrativa della Repubblica Italiana, 2011, 277.
[19] Cons. Stato, Sez. VI, 16 novembre 2021, n. 7628: «L’interesse all’assenza di conflitto di interesse in capo ai dipendenti pubblici è, dal lato dei cittadini, “sostanziale” perché garantisce la giustizia attraverso la uguaglianza delle posizioni, la parità di trattamento…dal lato della pubblica amministrazione “immateriale”, perché tutela anche l’immagine imparziale del potere pubblico».
[20] Ancor prima dell’aspetto giuridico, ci si domanda se sia logicamente accettabile operare una reductio ad unum di un fenomeno che presenta manifestazioni tanto eterogenee.
[21] Ex multis, Cass., Sez VI, 27 marzo 2013, n. 14457, in CED.
[22] Cass., Sez. II, 25 maggio 2021, n. 20789, in CED; Cass., Sez. VI, 21 ottobre 2022, n. 40035, in CED; Cass., Sez. VI, 8 gennaio 2021, n. 42640, in Sistema Penale, 2021, in cui si conferma il sindacato penale quando «risultano perseguiti, nel concreto svolgimento delle funzioni o del servizio, interessi oggettivamente difformi e collidenti con quelli per i quali soltanto il potere discrezionale è attribuito»; Cass., Sez VI, 1 marzo 2021, n. 8057, in Giurisprudenza Penale, 2021, in cui si afferma il sindacato penale «nei casi in cui l’inosservanza della regola di condotta sia collegata allo svolgimento di un potere che, astrattamente previsto come discrezionale, sia divenuto in concreto, vincolato per le scelte fatte dal pubblico agente prima della adozione dell’atto (o del comportamento) in cui si sostanzia l’abuso d’ufficio»; Cass., Sez VI, 8 gennaio 2021, n. 442. In Sistema Penale, 2021 in cui si afferma il sindacato penale «nel caso in cui l’esercizio del potere trasmodi in una distorsione funzionale dei fini pubblici – c.d. sviamento di potere o violazione dei limiti esterni della discrezionalità»
[23] FAINI, La legge anticorruzione: analisi della legge n. 190/2012, in , 18 febbraio 2013; MARTINEZ, La legge n. 190/2012 sulla prevenzione e repressione dei comportamenti corruttivi nella pubblica amministrazione, in Federalismi , 11 marzo 2015.
[24] Si è per converso rilevato che l’abolizione del reato di abuso d’ufficio avrebbe privato i principi costituzionali di cui agli artt. 54, 97 e 98 della tutela penale prevista dall’ordinamento, restando a presidio di detti valori costituzionali solo la tutela offerta dal giudice amministrativo, che però può essere attivata soltanto dal soggetto che si ritenga leso in un suo diritto o interesse legittimo per atti illegittimi emessi dal funzionario infedele. Ovvero, dal giudice contabile che, tuttavia, è legittimato ad agire su impulso del p.m. soltanto se dalla condotta del funzionario derivi, in via causale o concausale, un danno per l’erario, oppure se l’azione sia stata iniziata dalla stessa p.a., nelle rare ipotesi di avvio di un procedimento di “responsabilità disciplinare” attivato dal superiore gerarchico, cfr. D’URSO, Riflessioni sulla proposta di abolizione del reato di abuso d’ufficio e la c.d. “paura della firma”, in Rivista della Corte dei Conti, 2023, 6.
[25] Per una disamina organica e completa sulla fattispecie e la sua evoluzione si rinvia, per tutti, al recente contributo di MATTEVI, L’abuso d’ufficio. Una questione aperta. Evoluzione e prospettive di una fattispecie discussa, Trento, 2022.
[26] MANNA, Abuso d’ufficio e conflitto d’interessi nel sistema penale, Torino, 2006, 16 ss.
[27] Si consideri, ad esempio, l’art. 6 bis della legge 7 agosto 1941, n. 241 che prevede, in via generale, che «il responsabile del procedimento e i titolari degli uffici competenti ad adottare i pareri, le valutazioni tecniche, gli atti endoprocedimentali e il provvedimento finale devono astenersi in caso di conflitto di interessi, segnalando ogni situazione di conflitto, anche potenziale»; ovvero la disposizione dell’articolo 6 del d.P.R. n. 62/2013 che impone altresì specifici obblighi in materia di conflitto di interessi per il dipendente pubblico, la cui violazione può comportare anche conseguenze disciplinari. Per una disamina approfondita sul rapporto fra illecito penale e amministrativo, si rinvia, per tutti, a: SILVA, Sistema punitivo e concorso apparente di illeciti, Torino, 2018.
[28] Per tutti, si veda: AMBROSETTI – MEZZETTI – RONCO, Diritto penale dell’impresa, Bologna, 2022, 182 ss.
[29] AMBROSETTI, ibid.; cfr. CONSULICH, Art. 2629-bis – Omessa comunicazione del conflitto di interessi, in in AA. VV., Disposizioni penali in materia di società, di consorzi e di altri enti privati, a cura di A. PERINI, in Commentario del Codice Civile e codici collegati Scialoja-Branca-Galgano, a cura di G. DE NOVA, Zanichelli, Bologna, 2018, p. 338 ss.
[30] AMBROSETTI – MEZZETTI – RONCO, cit.; vd. anche: MARINI, L’infedeltà patrimoniale ed il conflitto di interessi (artt. 2629-bis, 2634 c.c., 646 c.p.) in AA. VV., Reati in materia economica, a cura di A. ALESSANDRI, in Trattato teorico pratico di diritto penale, diretto da PALAZZO – PALIERO, Torino, 2012, p. 142.
[31] Ex multis, Cass., Sez. II, 12 dicembre 2018, n. 55412, in Euroconference Legal, 2018.
[32] Per un’analisi della casistica giurisprudenziale, si rinvia a MATTEVI, L’abuso d’ufficio, cit., 123 ss.
[33] cfr. GAMBARDELLA, Simul stabunt vel simul cadent. Discrezionalità amministrativa e sindacato del giudice penale: un binomio indissolubile per la sopravvivenza dell’abuso d’ufficio, in Sistema Penale, 2020, 7, 142 ss.; GATTA, Riforma dell’abuso d’ufficio: note metodologiche per l’accertamento della parziale abolitio criminis, in www.sistemapenale.it, 2 dicembre 2020.
[34] Sia permesso rinviare a: ZANIOLO, Abuso d’ufficio: a che punto siamo?, in Penale diritto e procedura, 2023, 3.
[35] Cons. Stato, Sez. V, 14 gennaio 2022, n. 268, in www.giustizia-amministrativa.it.
[36] Con specifico riferimento all’ambito accademico, si veda: LORUSSO, Concorsi per docenti universitari: il conflitto d’interesse dei commissari, in Il diritto amministrativo, 2023, 10.
[37] Cons. St., Sez. VI, 30 luglio 2013, n. 4015, in www.giustizia-amministrativa.it.
[38] Ex plurimis, recentemente, Cons. St., Sez. III, 17 gennaio 2020, n. 420, in www.giustizia-amministrativa.it.
[39] Non esiste, dunque, né un parametro di rango normativo né univoci criteri di matrice giurisprudenziale. Dello stesso tenore le indicazioni fornite da ANAC che con la delibera n. 25 del 15 gennaio 2020, avente ad oggetto le «indicazioni per la gestione di situazioni di conflitto di interessi a carico dei componenti delle commissioni giudicatrici di concorsi pubblici e dei componenti delle commissioni di gara per l’affidamento di contratti pubblici» si è limitata a fornire una rassegna organica della giurisprudenza di riferimento senza provvedere all’enucleazione di un tassativo elenco di elementi da cui poter desumere il “conflitto di interessi”.
[40] Da ultimo: Cons. St., 21 ottobre 2022, n. 8980, in il dir. amm., con nota di Lorusso. Precedentemente, ex multis: Cons. St., Sez VI, 27 aprile 2015, n. 2119; Cons. St., Sez III, 28 aprile 2016, n. 1628.
[41] Per tutti, si veda: SILVA, Elementi normativi e sindacato del giudice penale, cit.
[42] ZANIOLO, Abuso d’ufficio: a che punto siamo?, cit.
[43] Si ritiene condivisibile quanto affermato di recente dal Presidente dell’ANAC in sede di audizione presso la XIV° Commissione – Politiche dell’Unione europea della Camera dei Deputati in data 3 maggio 2023 sulla proposta di direttiva del Parlamento europeo e del Consiglio sulla lotta contro la corruzione, il quale ha ritenuto che l’obiettivo del legislatore doveva essere quello di intervenire su tale fattispecie di reato al fine di meglio puntualizzarlo e non abrogarlo: «tenuto conto della natura residuale e sussidiaria della fattispecie di abuso d’ufficio, che si configura sostanzialmente come “reato di chiusura” – si condivide (…) la necessità, da più parti espressa, che il Legislatore nazionale intervenga ulteriormente mediante una determinazione ancora più rigorosa e puntuale della fattispecie di cui all’art. 323 c.p. e del suo ambito applicativo, mediante una riscrittura della norma volta ad una migliore definizione del perimetro del reato, senza tuttavia pervenire all’abrogazione dell’istituto».
[44] Cass., Sez. VI, 28 ottobre 2021, n. 5536 in Giurisprudenza Penale, 2021. In dottrina, così: CANTISANI, Brevi riflessioni in tema di analogia a margine della recente casistica giurisprudenziale, in La legislazione penale, 2022, 25 ss; MADIA, La tutela penale della libertà di concorrenza nelle gare pubbliche, Napoli, 2012, 189.
[45] GATTA, La Cassazione sui concorsi universitari truccati: no alla turbativa d’asta, sì al (moribondo) abuso d’ufficio, in Sistema Penale, Milano, 2023, 7-8, 162-163.
[46] BORSARI, Reati contro la Pubblica Amministrazione e discrezionalità amministrativa. Dai casi in materia di pubblici appalti, Padova, 2012, 66. Cfr. A.F. MORONE, La tutela penale delle gare pubbliche, Torino, 2021, 45; MORMANDO, La tutela penale dei pubblici incanti, Padova, 1999, 88 ss.
[47] MADIA, La tutela penale della libertà di concorrenza nelle gare pubbliche, cit., 233.
[48] In questi termini, fra tutti, SANDULLI, L’immoto perpetuo: patologie del reclutamento locale dei docenti universitari, in Munus, Napoli, 2016, 3, 757.
[49] “Proposal for a directive of the European Parliament and of the Council on combating corruption, replacing Council Framework Decision 2003/568/JHA and the Convention on the fight against corruption involving officials of the European Communities or officials of Member States of the European Union and amending Directive (EU) 2017/1371 of the European Parliament and of the Council”, COM/2023/234, https://eur-lex.europa.eu/legal-content/EN/TXT/?uri=COM%3A2023%3A234%3AFIN.
[50] La corruzione è attualmente regolata solo in modo parziale e disomogeneo a livello UE, attraverso: la decisione quadro 2003/568/GAI del Consiglio che stabilisce requisiti relativi alla configurazione della corruzione come reato per quanto riguarda il settore privato; la convenzione del 1997 relativa alla lotta contro la corruzione nella quale sono coinvolti funzionari dell’UE o dei suoi Stati membri
[51] MONGILLO, Strengths and Weaknesses of the Proposal for a EU Directive on Combating Corruption, in Sistema Penale, 2023, 7.
[52] Nella seduta del 19 luglio 2023, la XIV Commissione (Politiche UE) della Camera, nell’ambito dell’esame di sussidiarietà, ha adottato il parere motivato (Doc. XVIII-bis, n. 10), ai sensi della procedura per la verifica di conformità al principio di sussidiarietà di cui al Protocollo n. 2 allegato al Trattato di Lisbona, sulla proposta di direttiva sulla lotta contro la corruzione. Il parere motivato è stato confermato dall’assemblea della Camera dei deputati nella seduta del 26 luglio 2023,www.camera.it/leg19/410?idSeduta=0147&tipo=stenografico#sed0147.stenografico.tit00030
[53] Art. 19, titolo III, Convenzione UNAC, 31 ottobre 2003, New York.
[54] Art. 11, Proposal for a directive of the European Parliament and of the Council, cit.
[55] MONGILLO, Strengths and Weaknesses, cit.
[56] «In line with the UNCAC, the proposed offence of bribery in the private sector (Art. 8) does not make any reference to the protection of competition, whereas the Council Framework Decision 2003/568/JHA allowed Member States to «limit the scope of [the offence] to such conduct which involves, or could involve, a distortion of competition in relation to the purchase of goods or commercial services» MONGILLO, op. cit.
[57] PREITE, Abuso di maggioranza e conflitto di interessi del socio nelle società per azioni, in AA. VV., Trattato delle società per azioni, diretto da COLOMBO – PORTALE, Torino, 1993, p. 8 ss
[58] CHIARAVIGLIO, Il delitto di infedeltà patrimoniale (art. 2634 c.c.), in Sistema Penale, 2022.
[59] CONTI, Artt. 2621-2642, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca. Legge fallimentare, a cura di GALGANO, Bologna-Roma, 1988, 270.
[60] PREITE, Abuso di maggioranza e conflitto di interessi, cit., 8 ss.
[61] JAEGER, L’interesse sociale rivisitato (quarant’anni dopo), in Giur comm., 2000, I, 804 ss. Secondo l’Autore, comunque siffatto valore (shareholder value) risulta dipendente dal valore dell’impresa societaria (p. 812) e, quindi, sensibile alla diminuzione del patrimonio sociale.
[62] In questo senso v. CONTI, Artt. 2621-2642, in Commentario del codice civile Scialoja-Branca. Legge fallimentare, cit., 194 ss.
[63] Secondo la terminologia proposta da parte della dottrina, mentre il vero conflitto di interessi, penalmente rilevante, dovrebbe essere “dinamico”, cfr. ALAGNA, Note sul concetto penalistico di conflitto di interessi, in Riv. it. dir. proc. pen., 2003, 743 ss.; AMBROSETTI – MEZZETTI – RONCO, Diritto penale dell’impresa, Bologna, 2022, 187 ss.
[64] Cfr. AMBROSETTI, ibid.; CONTI, Artt. 2621-2642, cit., 1988, 243 ss.
[65] L’espressione “la mano invisibile” viene frequentemente utilizzata dagli economisti e ricondotta ad Adam Smith che ne fece uso mutuandola dal Macbeth di Shakespeare nell’opera considerata l’origine della moderna scienza economica, La ricchezza delle nazioni, Londra, 1776.
[66] Cfr. M. ROMANO, Profili penalistici del conflitto di interessi, cit., p. 150 ss.; L. FOFFANI, La tutela della società commerciale contro le infedeltà patrimoniali degli amministratori. La problematica penalistica, in Giur. comm., 1987, I, p. 95 ss.; ACCINNI, Profili penali del conflitto di interessi nei gruppi di società, in Riv. soc., 1991, p. 1044 ss.; NAPOLEONI, I reati societari, cit., p. 69 ss.; E. MUSCO, La società per azioni nella disciplina penalistica, in AA. VV., Trattato delle società per azioni, diretto da G.E. COLOMBO – B. PORTALE, vol. XI, Utet, Torino, 1993, p. 375 ss. Aderiscono a questa tesi, in giurisprudenza, Cass. Sez. III, 25 febbraio 1959, Sansonetti e Torraca, cit.;
[67] cfr. FOFFANI, Reati societari, in Manuale di diritto penale dell’impresa, PEDRAZZI, ALESSANDRI, FOFFANI, SEMINARA, SPAGNOLO, 1999, Bologna, 361 e ss. La sentenza richiamata nel testo è Cass., 4 luglio 1989, in «CP», 1991, p. 307.
[68] Per tutti, si veda: AMBROSETTI – MEZZETTI – RONCO, Diritto penale dell’impresa, cit, 187 ss. In giurisprudenza v. Cass., Sez. II, 6 maggio 2011 n. 20062 in Cass. pen., 2012, 2585 ss.; Cass., Sez. II, 27 marzo 2008 n. 15879, in Cass. pen., 2009, 1237 ss.
[69] Sul requisito dell’oggettività del conflitto la dottrina appare unanime; cfr. AMBROSETTI – MEZZETTI – RONCO, Diritto penale dell’impresa, cit, 187 ss; MUSCO, I nuovi reati societari, Torino, 2007, 212 ss.; CHIARAVIGLIO, Il reato di infedeltà patrimoniale, cit.
[70] Solleva questo dubbio, con riferimento all’art. 2634 c.c., SEMINARA, Il conflitto di interessi nei reati contro la pubblica amministrazione, nei reati societari e nei reati finanziari, cit, 198.