Tribunale di Roma – G.U.P. Dr. Gaspare Sturzo 19.12.202 (dep. 17.02.2021), n. 1934
Abstract. Una recente decisione della XII sez. G.U.P. del Tribunale di Roma in tema di duplice omicidio stradale ricostruisce attentamente la fattispecie di cui all’art. 589 bis c.p., richiamando altresì la giurisprudenza di legittimità in materia senza trascurare i principi che reggono l’imputazione per colpa, comprese le “spinose” questioni attinenti al nesso eziologico ed ai suoi rapporti con la speciale ipotesi attenuante prevista al comma sette. La decisione offre lo spunto per riflettere sulla riforma del 2016, mettendo in luce talune sue criticità originarie, nonché alcuni aspetti problematici emersi nel diritto vivente. In particolare, a destare interesse è la speciale disciplina prevista nel comma 7 in materia di concause con cui si introduce un istituto che può consentire di valutare in termini favorevoli al reo il comportamento imprudente della vittima, che, invece, la tradizionale lettura “ribaltata” del principio di affidamento in subiecta materia non sembra consentire.
Abstract. A recent decision of the XII section G.U.P. of the Court of Rome on the subject of double street homicide carefully reconstructs the case referred to in art. 589 bis of the Criminal Code, also recalling the jurisprudence of legitimacy on the matter without neglecting the principles that govern the charge for negligence, including the “thorny” issues relating to the etiological link and its relationship with the special mitigating hypothesis provided for in paragraph seven. The decision offers an opportunity to reflect on the 2016 reform, highlighting some of its original criticalities, as well as some problematic aspects that have emerged in living law. In particular, to arouse interest is the special rules provided for in paragraph 7 relating to concurrent causes with which an institution is introduced that can allow the imprudent behavior of the victim to be assessed in terms favorable to the offender, which, instead, the traditional “overturned” reading of the principle of reliance in subiecta materia does not seem to allow.
Sommario: 1. La ricostruzione giudiziaria della vicenda. – 2. Una breve premessa in tema di delitti in tema di circolazione stradale: tra colpa cosciente e dolo eventuale. – 3. L’inquadramento sistematico del delitto di omicidio stradale a seguito della legge n. 41/2016. – 3.1. L’aggravante di cui al comma 2 dell’art 589 bis c.p. – 3.2. (Segue…) La causalità della colpa: il c.d. nesso di rischio. – 3.3. (Segue…) “La concausa attenuante” ex art. 589 bis, co. 7 c.p. – 4. L’ipotesi “speciale” di concorso formale. – 5. Conclusioni.
- La ricostruzione giudiziaria della vicenda.
Con la sentenza in epigrafe, la Dodicesima Sezione dell’Ufficio del Giudice per l’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Roma, afferma, in primo grado di giudizio, la penale responsabilità dell’imputato per il duplice omicidio in concorso formale, ex art. 589 bis, aggravato ai sensi del comma 4 e 8 c.p.
Nello specifico, l’imputato, percorrendo una delle vie principali della Capitale alla guida di un’autovettura, per colpa consistita in imprudenza e imperizia, aggravata dalla violazione delle norme sul codice della strada perché utilizzava il telefono cellulare e aveva assunto alcool – risulterà infatti positivo ai prelievi alcolemici per il valore di 1,40 G/L – [1] , investiva due vittime provocandone la morte.
L’accusa contestava all’imputato, per i motivi sopraindicati, l’omicidio stradale aggravato ai sensi del comma 4 e 8 dell’art. 589 bis c.p.
Inoltre, si contestava all’imputato anche l’addebito di cui all’189 co. 6 del CdS perché avendo causato il sinistro, proseguiva la corsa per circa 180 metri prima dell’arresto definitivo del veicolo.
Nel merito, poi, la vicenda era resa più complessa dal fatto che le due vittime attraversavano la strada correndo di notte, tenendosi per mano e nel momento in cui il semaforo segnava il rosso pedonale e il verde per le autovetture.
Per quest’ultimo motivo, quindi, la difesa dell’imputato chiedeva che fosse riconosciuta a questo l’attenuante speciale di cui al co. 7 dell’art. 589 bis c.p., ossia una diminuzione considerevole della pena – sino alla metà – perché l’evento non sarebbe stata esclusiva conseguenza dell’azione dell’odierno imputato[2]. La suddetta attenuante sarà poi disconosciuta dal giudice del merito laddove quest’ultimo riterrà la condotta dell’imputato essa stessa «la scaturigine prima» del comportamento imprudente delle vittime[3].
- Una breve premessa circa i delitti in tema di circolazione stradale: tra colpa cosciente e dolo eventuale.
Per affrontare il tema che qui ci occupa, occorre preliminarmente e sinteticamente dare conto di quella che era la precedente disciplina normativa. Ciò, anche e soprattutto al fine di poter svolgere una più attenta riflessione circa l’opportunità di una riforma come quella intervenuta nel 2016 con la legge n. 41, che, a parere della dottrina assolutamente dominante, appare figlia più di una valutazione di opportunità politica che di una ponderata riflessione giuridica[4].
L’art. 589 c.p., ora, dal canto suo, rinvia implicitamente all’art. 43 c.p., sicché in base al combinato disposto di entrambe le norme citate, l’omicidio colposo può essere definito come «la causazione involontaria di un evento letale caratterizzata dalla violazione di norme di condotta aventi finalità cautelari»[5].
Come emerso dalla prassi giurisprudenziale già prima dell’intervento riformatore del 2008, inoltre, la responsabilità colposa non sarebbe il frutto di un fenomeno unitario, bensì un istituto formato da “diverse tipologie di colpa” relative alle caratteristiche che la violazione della regola cautelare assume nei vari ambienti in cui essa viene in rilievo (ad es. colpa nell’ambito della circolazione stradale; colpa medica; colpa nel settore degli infortuni sul lavoro etc.)[6].
Per questo motivo, quindi, la condotta tipica dell’omicidio colposo non è rappresentata dalla semplice causazione dell’evento bensì dalla causazione della morte in violazione di una regola cautelare.
Nel 2008, poi, il legislatore è intervenuto a modificare l’omicidio colposo commesso a seguito della violazione delle norme sulla circolazione stradale inasprendo fortemente il rigore sanzionatorio. L’art. 589 c.p. passava, infatti, dalla previsione di un minimo edittale di 5 anni ad uno di 7 anni; e il massimo edittale era innalzato, nel caso di morte di più persone o morte di una o più persone e lesione di una o più persone, sino a 15 anni di reclusione. La ratio dell’intervento riformatore, dunque, fu dichiaratamente quella di apportare una maggiore efficacia deterrente alle norme che punivano i delitti commessi in violazione delle norme sulla circolazione stradale[7].
Con il citato decreto sicurezza n. 92/2008 si stabiliva, infatti, una vera e propria circostanza aggravante speciale dell’omicidio colposo, laddove quest’ultimo fosse stato commesso in violazione delle norme sulla circolazione stradale così come disposto all’art. 589 co. 2 e 3 c.p.[8]
Una parte della dottrina aveva già allora osservato che un tale inasprimento sanzionatorio, se da un lato correva il rischio di far perdere la proporzione tra pena, meritevolezza di pena e offensività del fatto; dall’altro lato rispondeva all’esigenza di ricalibrare il codice Rocco spostando l’attenzione sul bene vita e integrità fisica, come l’evoluzione storica e politica avrebbe richiesto di fare[9].
All’indomani dell’approvazione del c.d. “pacchetto sicurezza” la dottrina non tardò quindi ad evidenziare che l’intento legislativo – di inasprire le pene per i fatti di omicidio e lesioni stradali – palesasse un intento marcatamente repressivo, tale da sembrare più il frutto di una risposta ai malumori che questa tipologia di reato suscitava, che di una concreta valutazione dei fatti così come presentati nel caso concreto.
Nondimeno, però, da più parti se ne apprezzò anche l’aspetto positivo, ossia, vista la tendenza giurisprudenziale ad imputare spesso tali delitti a titolo di dolo eventuale per scopi di mera deterrenza, si ritenne che il rinnovato inasprimento sanzionatorio potesse calmierare questo filone interpretativo.
I fatti di omicidio o lesioni stradali, invero, soprattutto se causati a seguito di assunzione di sostanze che alteravano lo stato psico-fisico, si affermava, sembrerebbero evocare più correttamente un’imputazione a titolo di colpa cosciente, sulla base della considerazione che il soggetto molto spesso ha la convinzione di poter comunque evitare l’evento[10].
Nondimeno, però, l’intento politico-criminale di spostare il baricentro dell’imputazione più sulla colpa aggravata che sul dolo eventuale, con conseguente inasprimento di pena, poteva essere facilmente vanificato nella prassi giurisprudenziale laddove l’aggravante di cui al comma 2 dell’art. 589 c.p. fosse risultata soccombente a seguito del bilanciamento con le attenuanti operato ex art. 69 c.p.
Fu questo, in buona sostanza, il motivo per cui la giurisprudenza continuò anche dopo la riforma del 2008 ad utilizzare l’imputazione a titolo di dolo eventuale tutte le volte che la condotta dell’agente risultava particolarmente grave.
Ed invero, i confini tra le due categorie – dolo eventuale e colpa cosciente – almeno fino alla nota pronuncia delle Sez. Un. nel 2014[11], sono stati sempre labili, e, per molti anni, risolti sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina facendo applicazione di un acritico principio fondato sulla c.d. accettazione del rischio.
Nel corso degli ultimi anni, quindi, la tendenza giurisprudenziale a fare applicazione del dolo eventuale non solo in presenza di attività a rischio base totalmente illecito, ma anche per quelle a rischio base lecito, ha fatto riemergere la necessità di individuare un criterio più netto, idoneo a distinguere la dicotomia soggettiva senza scadere in “automatismi sanzionatori”.
Si è trattato, come è stato affermato, del più intenso dibattito sul tema dall’entrata in vigore del codice penale[12].
In passato, infatti, l’orientamento giurisprudenziale sull’argomento mostrava una costante: si escludeva l’applicabilità del dolo eventuale per i reati commessi nell’ambito delle attività c.d. a rischio base lecito (ad es. circolazione stradale, attività sportiva etc.), e, al contrario, se ne affermava l’esistenza se il fatto era cagionato nell’ambito di attività a rischio base totalmente illecito[13].
In altri termini, laddove l’attività fosse stata prevista dall’agente che agiva in un territorio illecito, si applicava in modo pressoché automatico il dolo eventuale; contrariamente, nelle ipotesi in cui l’attività dell’agente era ascritta nell’ambito di attività rischiose ma consentite, si contestava quasi sempre la colpa cosciente.
Il dolo eventuale diveniva così una sorta di versari in re illicita contrapposto alla colpa cosciente, laddove, viceversa, si versava in re licita, e il cui spartiacque era individuato dal principio dell’accettazione del rischio.
La rottura di questo equilibrio ha portato alla sempre maggiore tendenza ad estendere il rimprovero penale in aree prima coperte dal solo rischio lecito, come ad esempio l’attività medica, lavorativa oppure la circolazione stradale[14].
Nell’ambito del descritto orientamento espansivo dell’imputazione dolosa, quindi, si è assistito al rischioso tentativo di trasformare il dolo eventuale in uno strumento di prevenzione generale: così, ad esempio, si puniva a titolo di dolo eventuale la condotta dell’automobilista particolarmente incosciente.
Da qui la preoccupante tendenza a “strumentalizzare” fatti del passato per prevenire fatti futuri, accollando all’agente odierno una pena idonea a fargli scontare anche l’eventuale fatto futuro di un terzo secondo la logica della c.d. pena esemplare[15].
Si è assistito in tal modo all’emergere di due tendenze tra loro contrastanti, da un lato l’inasprimento della risposta sanzionatoria per il tramite del dolo eventuale rispetto a fatti che prima godevano di una sorta di «privilegio della colpa»[16]; dall’altro lato la conseguente emersione di esigenze garantiste volte a restringere l’ambito applicativo di tale imputazione, finendo per mettere in discussione la stessa configurabilità di taluni reati a titolo di dolo eventuale in contesti che sino ad allora erano invece pacificamente ricondotti in quel paradigma.
Tale dibattito, quindi, ha portato a mettere seriamente in discussione il criterio dell’accettazione del rischio per distinguere colpa cosciente e dolo eventuale, approdando ad altri criteri ritenuti più idonei a tal fine, come quello della formula di Frank che ha trovato avallo nella ricordata pronuncia a Sez. Un. resa nel noto caso Thyssenkrupp[17].
Una volta individuato nella volontà dell’agente e non nella rappresentazione dell’evento il discrimine per imputare l’evento a titolo di colpa cosciente o dolo eventuale, la giurisprudenza successiva ha dovuto applicare tale ultimo criterio anche in materia di omicidi e lesioni commessi in violazione delle regole sul codice della strada, non potendo certamente più utilizzare lo “strumento” del dolo eventuale pur una finalità meramente deterrente.
In quest’ottica, quindi, al fine di venire incontro alle esigenze repressive dell’opinione pubblica alimentate dall’amplificazione mediatica di gravi incidenti stradali, si spiega l’introduzione, da parte del legislatore, dei delitti di omicidio e lesioni stradali di cui agli artt. 589 bis e 590 bis c.p. ad opera della legge n. 41/2016.
- L’inquadramento sistematico del delitto di omicidio stradale a seguito della legge n. 41/2016.
Come già detto, quindi, l’allarme sociale suscitato dai gravi fatti che vedono coinvolte le c.d. vittime della strada, ha indotto il legislatore, con la legge 23 marzo 2016, n. 41, a modificare l’intervento penale al fine di contrastare le condotte colpevoli nella guida dei veicoli a motore.
La riforma ha abbandonato la fattispecie di reato meramente circostanziato facendo spazio a due nuove fattispecie delittuose speciali – l’omicidio e le lesioni commessi in violazione delle norme sulla circolazione stradale – , accompagnate da più ipotesi aggravanti c.d. privilegiate, in quanto per l’espressa previsione di cui all’art. 590 quater c.p., non possono essere ritenute equivalenti o soccombenti all’esito del giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.
La nuova disciplina quindi ha previsto ipotesi speciali di aggravamento della pena con riferimento ai casi in cui l’agente cagioni la morte o la lesione ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di alterazione alcolica o a seguito di assunzione di sostanze stupefacenti, con una pena che va da otto a dodici anni di reclusione. È previsto poi un cumulo giuridico e non materiale nelle ipotesi in cui l’agente cagioni la morte o la lesione di più persone, e in questo caso la regola è quella dell’art. 81 c.p. stabilendo un limite massimo di pena di diciotto anni.
La natura di fattispecie autonoma dei reati di omicidio e lesioni stradali, in uno con le aggravanti c.d. privilegiate, quindi, tradisce certamente l’intento (ancora più) repressivo che il legislatore ha voluto affidare alla riforma. Si evita in questo modo il pericolo del bilanciamento ex art. 69 c.p., che, come sopra osservato, correvano invece le precedenti formulazioni di tali fattispecie previste come aggravanti dell’omicidio colposo e delle lesioni colpose.
Le norme, però, si pongono senz’altro in continuità con le precedenti fattispecie a natura circostanziale, con la conseguenza che i fatti commessi prima del 2016 possono essere ancora puniti come omicidio e lesioni stradali, con il trattamento favorevole che deriva però dal precedente giudizio di bilanciamento[18].
3.1. L’aggravante di cui al comma 2 dell’art 589 bis c.p.
Il secondo comma dell’art. 589 bis c.p. sanziona con una cornice edittale da 8 a 12 anni, il comportamento di chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in condizioni di alterazione dovute all’assunzione di alcool – nelle ipotesi di cui alla lett. c) dell’art. 186 c.d.s. – o stupefacenti, cagioni per colpa la morte di una persona.
È lo stesso legislatore poi a specificare la natura speciale di tale aggravante all’art. 589 quater c.p.
L’aggravante in esame, oltre a innalzare significativamente la cornice edittale della fattispecie, non si presta ad una lettura che trova in dottrina tutti d’accordo: ed invero, taluni affermano che la ricostruzione del dato normativo non pare del tutto rispettosa del principio di colpevolezza, in particolar modo, ci si riferisce a coloro che si accontentano della prova dell’alterazione psico-fisica senza vagliarne il nesso eziologico che legherebbe quest’ultima e la violazione della regola cautelare: in altri termini, sarebbe una circostanza aggravante imputata oggettivamente contro i principi in tema di colpevolezza delle aggravanti così come previsto all’art. 59 c.p.
Si afferma, inoltre, che anche laddove voglia affermarsi rispettato il principio di colpevolezza nell’ipotesi in cui venga vagliato il duplice nesso causale, ossia quello tra stato di alterazione e violazione della regola cautelare, e tra quest’ultima e l’evento infausto, resterebbero vivi i profili di dubbia costituzionalità in tema di rispetto di principio di colpevolezza riguardo a quanto in generale previsto dall’art. 92, comma 1, c.p. per il caso in cui l’ebrezza sconfini in effetti in uno stato di ubriachezza in grado, in quanto tale, di incidere elidendola sulla capacità di intendere e volere[19].
Il modo per formulare un’imputazione rispettosa del principio di colpevolezza, si afferma, sarebbe di vagliare lo stato soggettivo dell’agente al momento del fatto, tenendo conto altresì se l’evento era prevedibile in concreto secondo l’id quod plaerumque accidit.
Brevemente, sul punto, può essere osservato che il legislatore disciplina tale fenomeno in maniera particolarmente severa. Invero, l’ubriaco ha una capacità di intendere e di volere, almeno nei casi più estremi, notevolmente ridotta. Cionondimeno, è parificato dalla legge al soggetto imputabile, e, anzi, la pena per i fatti da questo commessi è addirittura aggravata, ciò al fine di scoraggiare fortemente tali fenomeni.
La disciplina dell’ubriachezza (o della stupefazione) è suddivisa in quattro ipotesi particolari[20]: per quel che qui ci occupa, l’ipotesi dell’ubriachezza volontaria o colposa è senz’altro quella più controversa e dibattuta.
Si pensi, a titolo esemplificativo, che taluno si ubriachi perché vuole farlo, oppure perché beve troppo senza la primaria intenzione di ubriacarsi, e, ovviamente, senza l’intenzione di commettere alcun reato, ma, ciononostante, una volta ubriaco cagiona un delitto.
Orbene, secondo la disciplina del codice penale l’agente è equiparato al soggetto capace di intendere e di volere.
Per questo motivo una parte della dottrina avanza ragionevoli dubbi circa la costituzionalità di una disciplina così formulata. In tale ipotesi, si afferma, sarebbe difficile immaginare la capacità di intendere e di volere al momento del fatto, e, soprattutto, ci si chiede a che titolo imputare il reato.
La norma appare, ad una prima lettura, quindi, senz’altro in una relazione problematica con il principio di colpevolezza.
Una parte della dottrina ritiene che la contestazione del fatto all’imputato debba essere formulata a seconda dello stato psicologico in cui versava l’agente quando si è ubriacato.
Questo, però, porterebbe a situazioni paradossali in cui, ad esempio, chi si ubriaca colposamente e poi decide, da ubriaco, di fare un furto, non potrà essere punito perché il furto colposo non è previsto dal legislatore. E di contro, chi si ubriaca dolosamente e poi fa un incidente stradale colposo risponderebbe di un fatto doloso.
È questo il motivo per cui l’impostazione preferibile ritiene che debba essere tenuto in considerazione lo stato mentale, doloso o colposo, del soggetto al momento della commissione del fatto.
Una tesi intermedia, anch’essa in linea con la lettura costituzionalmente orientata di tutte le fattispecie c.d. oggettive, ritiene debba farsi riferimento alla categoria della c.d. prevedibilità in concreto dell’evento infausto. Il soggetto, in altri termini, al momento in cui si ubriaca dovrebbe poter ragionevolmente prevedere la possibilità o probabilità che in un momento successivo correrà il rischio della commissione di un reato[21].
Dopo questa breve ma necessaria digressione, appare quindi evidente come al fine di valorizzare il principio di colpevolezza sia necessario il vaglio del nesso causale che intercorre tra l’ubriachezza e la causazione dell’evento. Diversamente opinando, invero, si giungerebbe a contestare l’aggravante dell’alterazione psico-fisica dovuta ad alcool o droghe in modo oggettivo, in palese contrasto con il principio di colpevolezza, valevole anche per le aggravanti come espressamente previsto all’art. 59 c.p.[22]
Inoltre, se si addebitasse la mera alterazione alcolemica all’agente al fine di contestargli l’aggravate di cui all’art. 589 bis, comma 2, c.p., in nulla la norma penale si distinguerebbe dalla corrispettiva sanzione amministrativa di cui all’art. 186, comma 2, lett. c) c.d.s.
Appare ragionevole, infatti, chiedere nell’ambito di un omicidio colposo un quid in più rispetto a quanto previsto per la contestazione di un’ammenda e dell’arresto, ciò anche al fine di restituire alla materia penale il suo campo di elezione: cioè quello di punire un soggetto con la privazione della libertà solo in casi estremi. In tale ipotesi il quid pluris andrebbe senz’altro rinvenuto nel nesso eziologico che intercorre tra l’ubriachezza e la violazione della regola cautelare e tra questa e l’evento delittuoso.
E, infatti, a norma del codice della strada ex art. 186 co. 2, lett. c) è punito chiunque si ponga alla guida in stato di ebrezza, se il fatto non costituisce più grave reato. In altri termini, laddove non si accerti il nesso di causalità tra l’ubriachezza e l’evento lesivo, si dovrebbe contestare l’art. 186 co. 2, lett c) in concorso con l’omicidio stradale, e non la più grave fattispecie di cui all’art. 589 bis co. 2 c.p., con palesi risultati in bonam per l’imputato.
L’assorbimento della meno grave fattispecie amministrativa in quella penale, infatti, è certamente giustificato, e ragionevolmente punito più severamente, laddove il fatto dell’alterazione alcolica abbia contribuito a cagionare l’evento infausto. Contrariamente, si finirebbe per punire (più gravemente) un soggetto per il mero versari in re illicita.
In altri termini, il giudice dovrebbe vagliare l’ipotesi dell’agente modello sobrio, che posto alla guida dell’autovettura nella medesima situazione dell’agente concreto ubriaco, non avrebbe secondo la probabilità statistica e logico-razionale, causato l’evento.
Il problema, però, è che la causalità della colpa è diversa della causalità della condotta almeno sotto il profilo della “certezza logica” che la prova deve raggiungere, e ciò proprio per la presenza di regole cautelari, le quali dominano il campo delle attività ontologicamente rischiose ma ritenute socialmente utili. Laddove tale rischio aumenti (o sfoci nel danno che si intendeva evitare), la causalità della colpa è provata.
Ragione per cui provare che lo stato di alterazione alcolica o da stupefacenti non abbia, quanto meno, aumentato il rischio della violazione della regola cautelare, e, quindi, della causazione dell’evento, sarà compito tutt’altro che agevole per l’interprete.
3.2 (Segue…) La causalità della colpa: il c.d. nesso di rischio.
Nel reato colposo di evento il risultato lesivo è la conseguenza della condotta illecita, ossia la conseguenza del comportamento che esce dal campo del rischio consentito di cui la regola cautelare segna il confine.
Anche nell’ambito dei delitti colposi la teoria che presiede all’accertamento del nesso causale è quella c.d. condizionalistica.
È opportuno precisare però che, nel paradigma della responsabilità colposa, l’evento deve essere la conseguenza necessaria non tanto o non solo della sola azione materiale, bensì di un’azione caratterizzata da specifici requisiti: deve contrastare con il dovere oggettivo di diligenza[23]. In altri termini, l’evento deve concretizzare proprio il rischio che la regola cautelare mirava a prevenire.
È in questo senso che si parla del c.d. nesso di rischio: ossia l’evento deve essere espressione proprio di quel rischio o pericolo che l’agente avrebbe dovuto (e potuto) evitare o ridurre, adottando le cautele doverose e di fatto omesse.
Il c.d. nesso di rischio ha dunque una duplice implicazione: da un lato l’evento cagionato deve appartenere a quel tipo di eventi che la norma cautelare mirava ex ante ad evitare o ridurre. Dall’altro lato, poi, tale nesso tra condotta ed evento induce a chiedersi cosa sarebbe successo se l’agente avesse adottato le cautele che la norma imponeva di adottare e lui di fatto ha omesso. In altri termini, l’interprete dovrà domandarsi se il c.d. comportamento alternativo lecito imposto ex ante dalla regola cautelare sarebbe risultato davvero idoneo a scongiurare l’evento, tenendo conto, ex post, di tutte le circostanze del caso concreto.
Una simile verifica ipotetica serve a capire se l’evitabilità astratta della regola cautelare si accompagna anche all’evitabilità concreta dell’evento grazie al comportamento alternativo lecito. Laddove il giudice dovesse rendersi conto che l’evento si sarebbe verificato lo stesso, verrebbe meno il c.d. nesso di rischio, cioè l’evento cagionato dall’agente non sarebbe la concretizzazione del rischio che la regola cautelare mirava ad evitare.
Il problema sta nel fatto che, pur accedendo all’ormai consolidato orientamento secondo cui il nesso di rischio deve essere vagliato in concreto, rimane da stabilire se questo sia ascrivibile alla categoria della causalità oppure alla categoria della colpa.
La questione non è di poco momento, perché a seconda dell’impostazione che si intenda seguire, la responsabilità colposa sarà esclusa, nella prima ipotesi quando è certo, e nella seconda ipotesi quando solo probabile o possibile che il comportamento alternativo lecito non avrebbe di fatto scongiurato l’evento.
Una parte della dottrina collocando la problematica del comportamento alternativo lecito nel campo della causalità quale criterio d’imputazione oggettiva dell’evento, afferma che occorrerebbe dimostrare con particolare rigore l’efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito: occorrerebbe cioè verificare che la condotta doverosa avrebbe scongiurato l’evento con una probabilità vicina alla certezza[24].
Al fine di evitare un eccessivo restringimento dell’ambito della responsabilità penale sacrificando le esigenze di prevenzione generale, la parte tendenzialmente maggioritaria della dottrina ritiene che il c.d. nesso di rischio e la problematica del comportamento alternativo lecito sia più ragionevolmente da ascrivere al campo della colpa. Così ragionando si fa impiego del criterio dell’aumento o della mancata diminuzione del rischio.
In altri termini, nei reati colposi, una volta accertato il nesso di causalità materiale (guida spericolata-morte del passante), ai fini del successivo giudizio di colpa si ritiene sufficiente supporre che la condotta alternativa lecita avrebbe diminuito il rischio di verificazione dell’evento.
La possibilità che un tale criterio sia ritenuto soddisfacente ai fini della contestazione di un reato colposo viene spiegata dagli interpreti con il fatto che la c.d. teoria del rischio non sostituisce, bensì integra la teoria della causalità materiale, che deve essere stata già accertata[25].
A ben vedere, quindi, vi è da chiedersi se in settori delicati come quello della responsabilità del medico o della circolazione stradale sia giusto o meno privilegiare le ragioni dell’imputato al punto da escludere la responsabilità per colpa laddove non si provi che la condotta omessa avrebbe impedito (quasi) certamente l’evento; oppure, privilegiare esigenze di prevenzione generale, e confermare la penale responsabilità anche a fronte di comportamenti omessi che avrebbero (solo) diminuito il rischio di verificazione dell’evento lesivo.
Forse, il legislatore, proprio resosi conto dell’impostazione maggioritaria accolta anche dalla giurisprudenza, ha previsto, per quanto qui interessa, una speciale attenuante prevista al comma sette dell’art. 589 bis c.p. nelle ipotesi in cui l’evento lesivo non sia esclusivamente imputabile all’agente.
3.3 (Segue…) “La concausa attenuante” ex 589 bis, co. 7 c.p.
Con l’attenuante in esame, si prende in considerazione il fatto che possano esservi condotte che, sebbene legate causalmente all’evento infausto, possono in concreto avere un’efficienza causale non esclusiva. Come già osservato in precedenza, il legislatore resosi conto da un lato del severo regime sanzionatorio che caratterizza il delitto di omicidio stradale, e, dall’altro lato, consapevole delle regole che dominano la causalità della colpa, ha introdotto con la legge n. 41/2016, al comma 7 dell’art. 589 bis c.p., un’inedita circostanza attenuante ad effetto speciale. Tale attenuante ha natura eccezionale laddove, si afferma, deroga al generale principio dell’equivalenza delle concause ex art. 41 c.p.[26]
Nei reati colposi, invero, l’eventuale concorso della vittima non esclude né interrompe il nesso causale e neppure vale come circostanza attenuante, potrà al più essere tenuto in conto dal giudice solo nella quantificazione della pena secondo i criteri di cui all’art. 133 c.p.
Ai fini dell’applicabilità di detta attenuante, quindi, non si richiede un’interruzione del nesso causale idonea a escludere la penale responsabilità ex art. 41 co. 2 c.p., quanto più semplicemente un contributo rilevante idoneo ad essere ritenuto concausa: dunque una circostanza che si pone a metà strada tra l’art. 41 co. 1 e 3 e l’art. 41 co. 2 c.p.: quella che verrebbe definita nel codice penale spagnolo “un’esimente incompleta”[27].
Inoltre, sul punto, può essere ancora osservato che la norma non richiede una condotta della vittima ai fini dell’applicazione del comma sette, anzi, parla genericamente dell’evento e richiede che questo non sia la conseguenza «esclusiva» della condotta dell’agente.
Per questo motivo si può essere portati a ritenere, ragionevolmente, che concausa dell’evento non sia solo la condotta della vittima, bensì anche fattori estranei al comportamento umano, quali, ad esempio, fattori meteorologici oppure di terzi.
Questa speciale attenuante, inoltre, sembra dare anche una risposta al rigore con cui la giurisprudenza negli ultimi anni ha letto il c.d. principio di affidamento[28], così, di fatto, innalzando l’onere di diligenza.
Molti sono i casi in cui, infatti, si rimprovera all’agente di non aver osservato ulteriori regole di prudenza, pur avendo rispettato le regole cautelari tipizzate[29].
Ciò non toglie, in ogni caso, che il nesso eziologico difetterebbe tutte le volte in cui la condotta della vittima si presenti come del tutto imprevedibile ed eccezionale da parte dell’agente, e, se così non fosse, tale ipotesi delittuosa si trasformerebbe in una malcelata forma di responsabilità oggettiva[30].
Questa fattispecie introdotta dal legislatore del 2016, quindi, ha un contenuto del tutto eterogeneo rispetto alle circostanze attenuanti conosciute dal codice penale.
Il legislatore ha poi però, forse per evitare l’eccessivo favor che da questa circostanza sarebbe derivato, sottratto l’attenuante in esame al bilanciamento con le aggravanti c.d. privilegiate, suscitando non poche perplessità sino al punto di sottoporre la questione alla Corte costituzionale.
In buona sostanza, coloro che ritenevano che l’attenuante afferisse all’area dell’offensività eccepivano un vizio di legittimità costituzionale laddove l’aggravante privilegiata finiva per essere nient’altro che la (più severa) punizione dell’agente per ciò che è e non per ciò che ha commesso.
Sulla questione è poi recentemente intervenuta la Corte costituzionale a specificare che l’attenuante non attiene al campo dell’offensività. Si afferma che l’omicidio stradale, così come le lesioni stradali, anche laddove vengano in rilievo nella loro forma attenuata, offendono in ogni caso il bene protetto. Il comma sette non identifica, quindi, un fatto meno offensivo, ma si colloca sul piano della causalità in cui non opera il principio di proporzionalità, bensì quello dell’equivalenza causale, quindi, la discrezionalità del legislatore sarebbe maggiore nel determinare l’incidenza della circostanza nel computo della pena[31].
In tema di circolazione stradale, quindi, questo tipo di attenuante ha uno specifico e ragionato scopo politico-criminale. E, infatti, se come osservato anche dalla Corte costituzionale l’attenuante non afferisce al piano dell’offensività perché i fatti commessi con il “concorso colposo” della vittima restano offensivi e meritevoli di pena, dall’altro lato, però, lo speciale regime sanzionatorio viene notevolmente modificato per controbilanciare il principio di affidamento in tema di circolazione stradale, che, in tal modo, “torna” a ritenere apprezzabile in termini favorevoli al reo anche le condotte della persona offesa del reato.
L’utilità politico-criminale del comma sette, dunque, in un settore in cui il principio di affidamento è interpretato in maniera ribaltata, non operando mai come limite della colpa, è quella di riportare in armonia la disciplina penalistica della circolazione stradale col principio secondo cui la responsabilità penale è personale a norma dell’art. 27 Cost.
La tendenza giurisprudenziale è, infatti, quella di escludere o limitare fortemente la possibilità di poter fare affidamento sul comportamento altrui, a differenza di quanto accade, invece, ad esempio, nel settore sanitario in occasione dell’attività medico-chirurgica di equipe.
In buona sostanza, quindi, il comma sette funge da contraltare all’assenza del principio di affidamento in materia di circolazione stradale.
In altri termini, è come se si affermasse che in tale ambito non si può pressoché mai fare affidamento sulla condotta lecita altrui, ma, nondimeno, laddove tale condotta o qualsiasi altra circostanza abbia contribuito alla causazione dell’evento, la pena è diminuita della metà.
- L’ipotesi “speciale” di concorso formale.
L’ultimo comma dell’art. 589 bis c.p., infine, disciplina l’ipotesi in cui l’agente cagioni la morte di più persone o la morte e le lesioni di più persone, prevedendo il cumulo giuridico della pena e stabilendo il tetto massimo di diciotto anni. La sanzione così stabilita appare fortemente elevata, e, forse, sperequata rispetto ad un reato base colposo.
Invero, il legislatore prevede un tetto massimo così elevato anche per l’omicidio preterintenzionale, e, poi, rispetto alla previsione dell’ultimo comma dell’art. 589 bis potrebbe risultare finanche più favorevole la disciplina dell’art. 586 c.p.
L’irragionevolezza deriva dal fatto che con l’omicidio preterintenzionale si punisce con un massimo edittale uguale a quello dell’omicidio (colposo) stradale, chi, volendo ledere, anche gravemente, taluno, casualmente ne provoca la morte.
Sul punto, quindi, è opportuno svolgere qualche considerazione.
La prima deriva dal fatto che la formulazione della norma è tale da prevedere un simile massimo edittale anche per il fatto di chi cagioni la morte di una persona e le lesioni, anche lievissime, di un’altra persona. Il comma in esame fa riferimento genericamente alle lesioni[32].
Inoltre, almeno testualmente, non pare applicabile il limite del cumulo materiale previsto dall’art. 81, co. 3 c.p., laddove la norma si pone in rapporto di specialità con l’omicidio colposo. Ragioni di ragionevolezza e legittimità costituzionale della disciplina, nondimeno, impongono di ritenere insuperabile il limite della pena che si potrebbe applicare facendo ricorso al cumulo materiale dei delitti commessi, ad esempio, omicidio più lesione (magari lieve) stradale.
- Conclusioni
I brevi rilievi sin qui svolti offrono lo spunto per una riflessione in merito alla scelta del giudice a quo di non applicare l’attenuante speciale nel caso di specie.
Nel merito, infatti, l’interprete ha ritenuto non doversi applicare il comma sette dell’art. 589 bis c.p. laddove la serie causale che ha motivato la condotta delle vittime deve essere complessivamente valutata nel contesto della condotta illecita dell’imputato. In altri termini, è stata la stessa condotta illecita che ha determinato le vittime a tenere un comportamento che ha causalmente contribuito all’evento: l’attraversamento con il rosso pedonale[33].
Ora, anche in virtù delle considerazioni svolte in precedenza, ci si deve chiedere in primo luogo se la condotta illecita possa in qualche modo influire sulla condotta (che dovrebbe in ogni caso essere) lecita di terzi; e, poi, dato il tenore letterale del comma sette, se sia o meno corretto, al fine di non applicare l’attenuante, prendere in considerazione solo la condotta umana, e, in particolare, solo la condotta del colpevole che ha concausato l’evento infausto[34]: addossandogli così causa e concause dell’evento.
Ora, in primo luogo, in merito al comportamento che deve tenere il conducente al fine di salvaguardare i pedoni, si deve fare riferimento all’art. 191 c.d.s., e, in particolare, all’obbligo di «prevedere tutte le situazioni che la comune esperienza comprende», sì da non costituire intralcio e pericolo alla circolazione. In altri termini, la norma chiede al conducente di prestare attenzione sia ai comportamenti irregolari genericamente imprudenti (il pedone che si attarda nell’attraversamento), sia ai comportamenti irregolari specifici dettati dall’art. 190 c.d.s.
A questo punto, come il caso di specie richiederebbe, ci si deve domandare se la c.d. comune esperienza richieda all’automobilista anche di figurarsi la possibilità che un pedone attraversi una strada a traffico veloce, di notte, in un giorno di pioggia e nei pressi dell’ingresso di una tangenziale, inoltre, in presenza di due vicini sottopassaggi pedonali.
Non volendo certamente entrare nel merito della vicenda ci si limiterà sul punto solo ad osservare la più recente giurisprudenza in materia.
La Cassazione è conforme nel ritenere che una situazione del genere sia da considerarsi ragionevolmente prevedibile, e ciò, anche in virtù della lata interpretazione che spesso soffre il c.d. principio di affidamento, che, come detto, nello specifico campo della circolazione stradale trova il proprio limite nel principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità[35]: altrimenti detto, nel campo della circolazione stradale non ci si può fidare degli altri fintantoché il loro comportamento sia prevedibile.
Tale ragionamento, però, appare essere assunto nelle aule dei tribunali in modo pressoché apodittico, laddove, invece, il limite al principio di affidamento è proprio la «prevedibilità» della condotta altrui.
Ora, la prevedibilità, in materia di colpa, attiene alla sfera soggettiva dell’agente: oltre alla violazione della regola cautelare (elemento normativo della colpa), quindi, è necessario che il fatto cagionato fosse anche prevedibile ed evitabile (oltre a che l’evento rappresenti la concretizzazione del rischio che la regola tendeva ad arginare).
La prevedibilità dell’evento, però, non può rimanere una petizione di principio, necessita senz’altro di essere calata nel caso concreto in relazione al c.d. agente modello, ed è in questi termini che si parla di prevedibilità in concreto[36].
Date le premesse, con le quali la giurisprudenza è in armonia, quindi, residua qualche perplessità in merito alla «prevedibilità concreta» della condotta delle vittime nel caso che qui ci occupa.
Ancora, anche a voler ritenere prevedibile il comportamento delle vittime, poi, ci si deve chiedere se questo non fosse egualmente idoneo a inserirsi nella serie causale che ha condotto all’evento.
E, infatti, così parrebbe essere.
Invero, la giurisprudenza ritiene che in tema di omicidio stradale la circostanza attenuante di cui al co. 7 dell’art. 589 bis c.p., non ricorra nell’ipotesi in cui sia stato accertato un comportamento «perfettamente lecito e completamente estraneo al decorso causale dell’evento colposo»[37].
Inoltre, ancora sul punto, la circostanza attenuante ad effetto speciale ricorre «non solo nelle ipotesi costituite dal contributo concorrente fornito dalla vittima nella determinazione dell’evento, ma anche in ogni altra ipotesi che sia dipesa dalla condotta di altri conducenti e da altri fattori esterni da individuarsi di volta in volta»[38].
Poi, anche in merito all’accertamento del comportamento colposo che la vittima deve tenere affinché sia riconosciuta l’attenuante, è sempre la giurisprudenza a ritenere che in tema di omicidio stradale, il regime speciale di cui al comma sette ricorra nel caso in cui sia stato accertato un comportamento colposo, anche di minima rilevanza, della vittima o di terzi, o qualunque concorrente causa esterna, anche non costituita da condotta umana, al di fuori delle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore[39].
Ora, il giudice del caso concreto ritiene che la condotta dell’imputato sia stata essa stessa a causare il comportamento imprudente delle vittime, che, per capire se «queste auto»[40], tra cui quella dell’imputato, avrebbero rallentato per fermarsi nel momento in cui era per loro verde pedonale, si sono attardate nell’attraversamento per poi decidere di eseguirlo durante il rosso pedonale, laddove una terza autovettura si era fermata al fine di dar loro la precedenza.
Ora, tralasciando la tragicità degli eventi che ne sono scaturiti e volendosi solo soffermare sui fatti come penalmente descrivibili, appare di tutta evidenza che nel caso concreto hanno contribuito all’evento morte una terza autovettura e il comportamento imprudente delle vittime.
In altri termini, se la macchina ignota non avesse deliberatamente frenato mentre era verde per le autovetture al fine di far attraversare le vittime nel momento in cui era rosso per i pedoni, e se queste non si fossero determinate in ogni caso in un comportamento contra legem; nonostante il superamento del limite di velocità e l’assunzione di alcol prima di mettersi al volante, l’odierno imputato non avrebbe investito le vittime.
Il giudice che non ha riconosciuto l’attenuante speciale, in altri termini, ha ritenuto che l’agente fosse causa e concausa dell’evento addossandogli la responsabilità del comportamento (altrettanto) imprudente dell’autovettura ignota – ossia quello di fermarsi per lasciar attraversare i pedoni durante il rosso pedonale in una strada percorribile a velocità elevata, in tarda notte, nei pressi dell’ingresso di una tangenziale e in presenza di due vicini sottopassaggi pedonali –; e, non solo, addossandogli anche la responsabilità dell’autonoma scelta delle vittime di attraversare, nonostante il verde per le autovetture, perché una macchina si era fermata per dar loro questa possibilità.
Il giudice, inoltre, motiva la sua decisione sul punto affermando testualmente che «la condotta» delle vittime «non può essere inserita in un contesto di autonomia causale» perché il comportamento di queste appartiene all’esclusiva azione colposa dell’imputato, in quanto «ad avviso di questo Giudice, la condotta di questi è la scaturigine prima della gara di sorpassi che ha necessitato l’azione» delle vittime[41].
Anche qui, quindi, il giudice riconosce la presenza di un «gara» tra autovetture, poco conta chi vi abbia dato inizio, ché, d’altronde, equivarrebbe a dire che in una rissa il colpevole è solo chi vi dà inizio. Nel contesto di una gara tra autovetture, quindi, può certamente essere affermato che poco conta quale tra queste abbia dato l’inizio al comportamento illecito.
Quanto brevemente riassunto e, lo si ripete, senza entrare nel merito della questione ma soltanto attenendosi alla più recente impostazione giurisprudenziale sul tema, dunque, lascerebbe poco spazio a dubbi circa il positivo riconoscimento del comma sette dell’art. 589 bis c.p.
D’altronde se la stessa Cassazione riconosce l’attenuante in esame nell’ipotesi in cui a concorrere nell’evento infausto sia il fatto di un terzo od anche non umano, ci si chiede come sia possibile che in tale ipotesi non sia stato riconosciuto.
In conclusione, se da un lato ci si rende conto certo della drammaticità di taluni episodi che si consumano nell’ambito della circolazione stradale imprudente, dall’altro lato però ci si deve necessariamente chiedere se il diritto penale si presti ad essere uno strumento repressivo tutte le volte che la giustizia sociale ne invoca l’intervento. In altri termini, ritenere taluno responsabile per la gravità della condotta tenuta – guida ad alta velocità e a seguito dell’assunzione di alcol – senza però vagliarne la concreta influenza sull’accadimento concreto, oppure senza considerare la compresenza di accadimenti e circostanze che hanno contribuito indiscutibilmente all’evento infausto, vuol dire punire l’agente a mo’ di esempio per scopi deterrenti da un lato, e per placare l’animo dell’opinione pubblica che vede soddisfatto l’atavico bisogno di giustizia dall’altro lato.
Inoltre, punire gravemente taluno anche per la condotta di terzi, rischia sicuramente di essere controproducente per la finalità rieducativa che la pena, invece, ha il compito di svolgere.
Si può dunque senz’altro apprezzare lo sforzo ricostruttivo, sia della vicenda che della disciplina, operato da questo Tribunale al fine di risolvere la delicatissima questione di cui è stato investito. Nondimeno però si può trascurare qualche rilievo critico nell’aver deciso il giudice di negare la speciale attenuante di cui poteva, si ritiene, senz’altro fare applicazione, e, paradossalmente, anche e soprattutto alla luce della ricostruzione giurisprudenziale che egli stesso ha fornito in sentenza.
Le brevi considerazioni sin qui svolte, in generale e in merito al caso concreto, dunque, offrono nuovamente lo spunto per chiedersi se la normativa sull’omicidio stradale sia o meno in grado di soddisfare al contempo esigenze di prevenzione generale e speciale, oppure, al contrario, sia maggiormente calibrata al soddisfacimento di esigenze di giustizia sostanziale suscitate dall’allarme sociale che il fenomeno delle c.d. vittime della strada ha suscitato.
A questo punto dovrebbero apparire chiare le motivazioni che hanno condotto all’approvazione della legge n. 46/2016 e alla creazione di una norma ad hoc dedicata all’omicidio e alle lesioni stradali.
Ragione per cui, se da un lato il legislatore ha sottratto la fattispecie alla critica dicotomia colpa cosciente-dolo eventuale, dall’altro lato ha certamente fatto maggiore attenzione al malcontento sociale che ai principi che reggono il diritto penale in generale e l’imputazione colposa in particolare, almeno per ciò che attiene alla dosimetria sanzionatoria.
Si è già avuto modo di osservare, inoltre, che tale decisione può risultare finanche positiva se guardata dall’angolo visuale di un legislatore che si sforza di ricalibrare il codice Rocco ponendo l’accento sul bene vita e sulla integrità fisica. Purtroppo, però, come spesso accade, l’obiettivo astrattamente positivo passa in secondo piano laddove lo strumento per raggiungerlo diventa la repressione, e, quindi, la sproporzione tra offensività del fatto e meritevolezza della pena.
Ciò nondimeno, volendo andare oltre l’astratta sproporzione che può verificarsi tra un fatto di omicidio stradale e la sua pena, senza quindi revocare in dubbio la riprovevolezza di determinate condotte tanto gravi, resta egualmente da chiedersi il motivo per cui ancora oggi esista uno iato sì evidente tra la colpa stradale e quella, ad esempio del medico, oppure rispetto alla responsabilità colposa in materia di sicurezza sul lavoro.
A titolo esemplificativo, infatti, si immagini la condotta di chi, non ubriaco conduca la sua autovettura rispettando i limiti di velocità, ma preso da un momento di distrazione, e, quindi, negligenza, investa un pedone che rispetta tutte le regole della circolazione stradale, provocandone la morte. Ora, per il fatto appena descritto il conducente sarà punito per omicidio stradale “semplice” con una sanzione che va da due a sette anni.
Si prenda ora ad esempio la condotta di un medico che, invece, ubriaco o a seguito di assunzione di sostanze stupefacenti (ipotesi assolutamente plausibile), azzardi nondimeno un’operazione chirurgica delicata, provocando così la morte del paziente. Per il fatto descritto, il sanitario, ex art 590 sexies c.p., sarà passibile di una pena che va da sei mesi a cinque anni.
Dagli esempi riportati ci si rende immediatamente conto di come tali scelte legislative siano state dettate più da esigenze morali che di reale allarme sociale.
Nell’immaginario collettivo, infatti, è più riprovevole la condotta di chi uccida taluno investendolo con l’autovettura per una distrazione, certo grave ma umanamente possibile; della condotta del medico che uccida il paziente perché azzardi un’operazione chirurgica in stato di alterazione psico-fisica: a ben vedere è una questione morale (rectius di politica-criminale influenzata da esigenze elettorali) prima che di diritto penale.
Ancora una volta, quindi, il legislatore si è lasciato influenzare dalle pressioni politiche e dall’approvazione sociale che non da vere esigenze di giustizia, sia formale che sostanziale, nel rispetto della Costituzione come ha più volte ricordato la stessa Corte costituzionale.
La Consulta, invero, ha già esortato il legislatore a prestare particolare attenzione ai canoni di giusta proporzionalità e ragionevolezza della risposta sanzionatoria, sì da rispettare gli artt. 3 e 27, co. 3, Cost.
La Corte ha evidenziato come una sproporzione tra fatto e pena, e quindi l’irragionevolezza di quest’ultima, si apprezza proprio comparando situazioni omogenee o analoghe, richiamabili come tertium comparationis[42].
Un’eventuale questione di legittimità costituzionale riguardo alle scelte sanzionatorie interne al settore della circolazione stradale, quindi, avrebbe senz’altro fondamento[43].
Ci si deve chiedere poi, infine, se tale parcellizzazione del diritto penale non sia stata portata con tale ultima riforma alle estreme conseguenze, tanto che taluno in dottrina ha parlato del passaggio da un diritto penale «frammentario» a un diritto penale «frammentato»[44].
Rimandando ad altre sedi la disamina sulle possibili alternative che potevano essere vagliate dal legislatore in tema di omicidio stradale, si può concludere osservando che il giudice del caso concreto che ci ha occupato, stante il considerevole sforzo ricostruttivo sia della normativa che della giurisprudenza, avrebbe certamente potuto prendere in considerazione in modo più coerente la possibilità di applicare in concreto l’attenuante di cui al comma sette dell’art. 589 bis c.p.
Il problema sta proprio nel fatto che, se da un lato il comma sette dell’art. 589 bis c.p. pare dare ampio spazio all’astratta riconoscibilità dell’attenuante in parola, dall’altro lato, in concreto, però, troppo spesso quest’ultima è disconosciuta nelle aule dei tribunali per dare spazio a esigenze di repressione avvertite dall’opinione pubblica.
L’attenuante in parola, però, a ben guardare, è il solo strumento di cui oggi il giudice disporrebbe per riportare la fattispecie concreta nei parametri della proporzione e della ragionevolezza rispetto al fatto.
Invero, la mancata applicazione di quest’ultima rischia di trasformare il fatto nient’altro che in una malcelata ipotesi di imputazione per il mero versari in re illicita.
Al fine di imputare l’evento morte a seguito di un incidente stradale, il giudice dovrebbe vagliare sempre tutti i principi dell’imputazione colposa, e, in particolare, il nesso di causalità che lega la condotta all’evento, senza ovviamente trascurare l’elemento soggettivo delle aggravanti e il nesso di causa che lega queste alla violazione della regola cautelare, per poi, infine, sempre considerare tutte ed ogni circostanza del caso concreto per stabilire se una qualsiasi concausa, umana o meno, abbia contribuito all’accadimento infausto: solo così, infatti, a dispetto della draconiana cornice edittale, i principi di prevenzione generale e speciale sarebbero rispettati.
Talvolta, però, e questa è forse stata una di quelle, l’interprete si sforza in una ricostruzione della fattispecie in grado di soddisfare più il malumore sociale che un accadimento, certo grave, ha provocato, che le esigenze di prevenzione speciale che l’applicazione del diritto penale sempre richiederebbero.
[1] Cfr. G.U.P., sez. XII, (ud. 19.12.2020), sent. n.1934/20, dep. 17.02.21.
[2] Cfr. G.U.P., op. cit., 7.
[3] Cfr. G.U.P., op. cit., 180.
[4] Cfr. Menghini, L’omicidio stradale. Scelte di politica criminale e frammentazione del sistema, Trento, 2016, 38.
[5] Cfr. Fiandaca – Musco, Diritto penale. Parte speciale, Vol. II, tomo primo, I delitti contro la persona, Bologna, 2012, 19.
[6] Cfr. Fiandaca – Musco, op. cit., 19.
[7] Cfr. Relazione al disegno di legge di conversione n. 125/2008 del d.l. n. 92/2008, in http://www.giustizia.it, in cui si può leggere che in relazione ai fatti di omicidio o lesioni legati alla violazione delle norme sulla circolazione stradale «le attuali risposte sanzionatorie siano sostanzialmente prive di adeguata efficacia deterrente e che pertanto si renda indispensabile un loro inasprimento, sia sul piano penale che su quello delle sanzioni amministrative accessorie».
[8] Per completezza può essere ricordato che una parte della dottrina riteneva non trattarsi di una vera e propria circostanza aggravante, quanto piuttosto di una forma particolare di concorso formale di reati: per effetto della riforma, infatti, quel medesimo fatto che integrerebbe altrimenti un reato contravvenzionale (art. 186 codice della strada) rimane assorbito dalla fattispecie aggravata di omicidio colposo. In questi termini, cfr. Fiandaca – Musco, op. cit., 24, in nota, Veneziani, I delitti contro la vita, cit., 94 ss.
[9] Cfr. Fiandaca – Musco, op. cit., Add., 2008, 4.
[10] Cfr. Potetti, I nuovi lineamenti dei reati di omicidio colposo o lesioni colpose, conseguenti al cosiddetto “Pacchetto sicurezza”, cit., 4809 ss.
[11] Cfr. Cass., Sez. Un., sent. 18.09.2014.
[12] Cfr. Donini, Il dolo eventuale: fatto-illecito e colpevolezza, in, www.penalecontemporaneo.it, 21.02.2014.
[13] Cfr. Canestrari, La distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente nei contesti a rischio base “consentito”, in, www.penalecontemporaneo.it, 06.02.2013.
[14] Cfr. Canestrari, op. cit.
[15] Cfr. Donini, op. cit.
[16] Cfr. Donini, op. cit.
[17] Cfr. Cass., Sez. Un., sent. 18.09.2014. La distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente non riguarda l’aspetto rappresentativo, presente anche nella forma aggravata della colpa, ma piuttosto quello volitivo, presente invece solo nel dolo. Nel dolo eventuale, in altri termini, afferma la giurisprudenza, sebbene l’evento non sia propriamente voluto vi è comunque un atteggiamento soggettivo assimilabile alla volontà. Le Sez. Un. attraverso l’utilizzo della c.d. formula di Frank spiegano che nel dolo eventuale, il soggetto, anche se avesse avuto la certezza che l’evento si fosse verificato, avrebbe agito allo stesso modo laddove la realizzazione di quest’ultimo è il “prezzo” che l’agente è disposto a pagare pur di raggiungere il suo scopo.
[18] È infatti pacifico che debba ritenersi sussistere una successione di leggi nel tempo e non un’abolitio criminis nell’ipotesi in cui una fattispecie circostanziata venga ad essere trasformata in una fattispecie autonoma, stante l’identità strutturale tra le due previsioni. In questi termini, cfr. Cass. pen. 10 settembre 2007, n. 34216.
[19] Cfr. Menghini, op. cit., cit., 60.
[20]Il combinato disposto degli artt. 91, 92, 94 e 86 c.p. prevede quattro diverse tipologie di ubriachezza: involontaria, volontaria o colposa, abituale e preordinata (c.d. actio libera in causa).
[21] Cfr. diffusamente, Fiandaca – Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2014, 355 ss.
[22] Del resto a tale conclusione giunge anche la Cassazione laddove afferma che «l’esigenza dell’inequivoco riscontro di un obiettivo nesso di strumentalità-occasionalità tra lo stato di ebrezza del reo e l’incidente dallo stesso provocato, non potendo certamente giustificarsi l’inflizione di un deteriore trattamento sanzionatorio a carico del guidatore che, pur procedendo illecitamente in stato di ebrezza, sia stato coinvolto in un incidente stradale di per sé oggettivamente imprevedibile e in ogni caso privo di alcuna connessione con lo stato di ebrezza del soggetto». Cfr. Cass. pen., 14 marzo 2014, n. 15050.
[23] Cfr. diffusamente, Fiandaca – Musco, op. cit., 588.
[24] Cfr. Tra gli altri, Eusebi, Appunti sul confine tra dolo e colpa nella teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 1057 ss.; Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Milano, 346 ss.
[25] Cfr. diffusamente, Fiandaca – Musco, op. cit., 588 ss.
[26] Come affermato dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 88 del 2019, si tratta di un’attenuante speciale nel panorama delle circostanze del reato, proprio perché afferisce al rapporto casuale, retto dal generale principio di equivalenza delle cause, il quale vuole che le concause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tra l’azione od omissione e l’evento; e ciò è vero anche quando la causa preesistente, simultanea o sopravvenuta consista nel fatto illecito altrui. In questi termini, cfr. Corte cost., 19 febbraio 2019, n. 88.
[27] Cfr. Menghini, op. cit., 94.
[28] Cfr. Cass. pen., 9 gennaio 2015, n. 12260, secondo cui «il principio di affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova opportuno temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché rientri nel limite della prevedibilità».
[29] A titolo esemplificativo si pensi alla casistica in tema di manovre di emergenza o attraversamento improvviso dei pedoni in prossimità delle strisce pedonali. Cfr. Cass. pen. 20 febbraio 2013, n. 10635.
[30] Cfr. Padovani, Codice penale. Tomo II. Artt. 414-734 bis.
[31] Cfr. Corte cost., 19 febbraio 2019 (dep. 17 aprile 2019), n. 88, secondo cui «il maggior rigore sanzionatorio conseguente al divieto di bilanciamento di tale circostanza attenuante a effetto speciale trova ragione nel più incisivo contrasto di condotte altamente pericolose e che da tempo – come già rilevato – creano diffuso allarme sociale per il grave pregiudizio che arrecano alla sicurezza stradale, quale appunto la guida di veicoli a motore in stato di ebrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope».
[32] Cfr. Losappio, Dei nuovi delitti di omicidio e lesioni “stradali”, in www.dirittopenale contemporaneo.it, 30 giugno 2016.
[33] Cfr. G.U.P., op. cit., in motivazione, 180.
[34] Nel caso di specie da cui prende spunto il contributo, si ricorda quanto riportato dalla ricostruzione in sentenza, il fatto è avvenuto in tarda notte, in un giorno di pioggia e in prossimità di una rampa di accesso alla tangenziale.
[35] Cfr. Cass. pen. sez. 4, 27 aprile 2017, secondo cui «in tema di responsabilità colposa da sinistri stradali, l’obbligo di moderare adeguatamente la velocità (…) va inteso ne senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purché ragionevolmente prevedibili».
[36] Cfr. Cass. pen., sez. 4, 29 novembre 2018, n. 53455, secondo cui «nei reati colposi l’accertamento della prevedibilità del fatto va effettuato in concreto, riportandosi al momento in cui la condotta, commissiva od omissiva, è stata posta in essere ed avendo riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno. ne consegue che tale giudizio deve essere fondato su tutte le circostanze in cui il soggetto si trova ad operare».
[37] Cfr. Cass. pen., sez. 4, 26 febbraio 2019, n. 13587.
[38] Cfr. Cass. pen., sez. 4, 21 dicembre 2018, n. 13103.
[39] Cfr. Cass. pen., sez. 4, 7 novembre 2018, n. 54576.
[40] G.U.P., sez. XII, (ud. 19.12.2020), sent. n.1934/20, dep. 17.02.21., 180.
[41] G.U.P., op. cit., 180.
[42] Cfr. Corte cost., 9 ottobre 2015, n. 198.
[43] Cfr. Amato, Innalzamento delle punizioni poco proporzionato, in Guida al Diritto, 9 aprile 2016.
[44] Cfr. Massaro, Omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime: da un diritto penale “frammentario” a un diritto penale “frammentato”, in www.penalecontemporaneo.it, 20 maggio 2016.
L’omicidio stradale e la peculiare rilevanza delle concause
Tribunale di Roma – G.U.P. Dr. Gaspare Sturzo 19.12.202 (dep. 17.02.2021), n. 1934
Abstract. Una recente decisione della XII sez. G.U.P. del Tribunale di Roma in tema di duplice omicidio stradale ricostruisce attentamente la fattispecie di cui all’art. 589 bis c.p., richiamando altresì la giurisprudenza di legittimità in materia senza trascurare i principi che reggono l’imputazione per colpa, comprese le “spinose” questioni attinenti al nesso eziologico ed ai suoi rapporti con la speciale ipotesi attenuante prevista al comma sette. La decisione offre lo spunto per riflettere sulla riforma del 2016, mettendo in luce talune sue criticità originarie, nonché alcuni aspetti problematici emersi nel diritto vivente. In particolare, a destare interesse è la speciale disciplina prevista nel comma 7 in materia di concause con cui si introduce un istituto che può consentire di valutare in termini favorevoli al reo il comportamento imprudente della vittima, che, invece, la tradizionale lettura “ribaltata” del principio di affidamento in subiecta materia non sembra consentire.
Abstract. A recent decision of the XII section G.U.P. of the Court of Rome on the subject of double street homicide carefully reconstructs the case referred to in art. 589 bis of the Criminal Code, also recalling the jurisprudence of legitimacy on the matter without neglecting the principles that govern the charge for negligence, including the “thorny” issues relating to the etiological link and its relationship with the special mitigating hypothesis provided for in paragraph seven. The decision offers an opportunity to reflect on the 2016 reform, highlighting some of its original criticalities, as well as some problematic aspects that have emerged in living law. In particular, to arouse interest is the special rules provided for in paragraph 7 relating to concurrent causes with which an institution is introduced that can allow the imprudent behavior of the victim to be assessed in terms favorable to the offender, which, instead, the traditional “overturned” reading of the principle of reliance in subiecta materia does not seem to allow.
Sommario: 1. La ricostruzione giudiziaria della vicenda. – 2. Una breve premessa in tema di delitti in tema di circolazione stradale: tra colpa cosciente e dolo eventuale. – 3. L’inquadramento sistematico del delitto di omicidio stradale a seguito della legge n. 41/2016. – 3.1. L’aggravante di cui al comma 2 dell’art 589 bis c.p. – 3.2. (Segue…) La causalità della colpa: il c.d. nesso di rischio. – 3.3. (Segue…) “La concausa attenuante” ex art. 589 bis, co. 7 c.p. – 4. L’ipotesi “speciale” di concorso formale. – 5. Conclusioni.
Con la sentenza in epigrafe, la Dodicesima Sezione dell’Ufficio del Giudice per l’Udienza Preliminare presso il Tribunale di Roma, afferma, in primo grado di giudizio, la penale responsabilità dell’imputato per il duplice omicidio in concorso formale, ex art. 589 bis, aggravato ai sensi del comma 4 e 8 c.p.
Nello specifico, l’imputato, percorrendo una delle vie principali della Capitale alla guida di un’autovettura, per colpa consistita in imprudenza e imperizia, aggravata dalla violazione delle norme sul codice della strada perché utilizzava il telefono cellulare e aveva assunto alcool – risulterà infatti positivo ai prelievi alcolemici per il valore di 1,40 G/L – [1] , investiva due vittime provocandone la morte.
L’accusa contestava all’imputato, per i motivi sopraindicati, l’omicidio stradale aggravato ai sensi del comma 4 e 8 dell’art. 589 bis c.p.
Inoltre, si contestava all’imputato anche l’addebito di cui all’189 co. 6 del CdS perché avendo causato il sinistro, proseguiva la corsa per circa 180 metri prima dell’arresto definitivo del veicolo.
Nel merito, poi, la vicenda era resa più complessa dal fatto che le due vittime attraversavano la strada correndo di notte, tenendosi per mano e nel momento in cui il semaforo segnava il rosso pedonale e il verde per le autovetture.
Per quest’ultimo motivo, quindi, la difesa dell’imputato chiedeva che fosse riconosciuta a questo l’attenuante speciale di cui al co. 7 dell’art. 589 bis c.p., ossia una diminuzione considerevole della pena – sino alla metà – perché l’evento non sarebbe stata esclusiva conseguenza dell’azione dell’odierno imputato[2]. La suddetta attenuante sarà poi disconosciuta dal giudice del merito laddove quest’ultimo riterrà la condotta dell’imputato essa stessa «la scaturigine prima» del comportamento imprudente delle vittime[3].
Per affrontare il tema che qui ci occupa, occorre preliminarmente e sinteticamente dare conto di quella che era la precedente disciplina normativa. Ciò, anche e soprattutto al fine di poter svolgere una più attenta riflessione circa l’opportunità di una riforma come quella intervenuta nel 2016 con la legge n. 41, che, a parere della dottrina assolutamente dominante, appare figlia più di una valutazione di opportunità politica che di una ponderata riflessione giuridica[4].
L’art. 589 c.p., ora, dal canto suo, rinvia implicitamente all’art. 43 c.p., sicché in base al combinato disposto di entrambe le norme citate, l’omicidio colposo può essere definito come «la causazione involontaria di un evento letale caratterizzata dalla violazione di norme di condotta aventi finalità cautelari»[5].
Come emerso dalla prassi giurisprudenziale già prima dell’intervento riformatore del 2008, inoltre, la responsabilità colposa non sarebbe il frutto di un fenomeno unitario, bensì un istituto formato da “diverse tipologie di colpa” relative alle caratteristiche che la violazione della regola cautelare assume nei vari ambienti in cui essa viene in rilievo (ad es. colpa nell’ambito della circolazione stradale; colpa medica; colpa nel settore degli infortuni sul lavoro etc.)[6].
Per questo motivo, quindi, la condotta tipica dell’omicidio colposo non è rappresentata dalla semplice causazione dell’evento bensì dalla causazione della morte in violazione di una regola cautelare.
Nel 2008, poi, il legislatore è intervenuto a modificare l’omicidio colposo commesso a seguito della violazione delle norme sulla circolazione stradale inasprendo fortemente il rigore sanzionatorio. L’art. 589 c.p. passava, infatti, dalla previsione di un minimo edittale di 5 anni ad uno di 7 anni; e il massimo edittale era innalzato, nel caso di morte di più persone o morte di una o più persone e lesione di una o più persone, sino a 15 anni di reclusione. La ratio dell’intervento riformatore, dunque, fu dichiaratamente quella di apportare una maggiore efficacia deterrente alle norme che punivano i delitti commessi in violazione delle norme sulla circolazione stradale[7].
Con il citato decreto sicurezza n. 92/2008 si stabiliva, infatti, una vera e propria circostanza aggravante speciale dell’omicidio colposo, laddove quest’ultimo fosse stato commesso in violazione delle norme sulla circolazione stradale così come disposto all’art. 589 co. 2 e 3 c.p.[8]
Una parte della dottrina aveva già allora osservato che un tale inasprimento sanzionatorio, se da un lato correva il rischio di far perdere la proporzione tra pena, meritevolezza di pena e offensività del fatto; dall’altro lato rispondeva all’esigenza di ricalibrare il codice Rocco spostando l’attenzione sul bene vita e integrità fisica, come l’evoluzione storica e politica avrebbe richiesto di fare[9].
All’indomani dell’approvazione del c.d. “pacchetto sicurezza” la dottrina non tardò quindi ad evidenziare che l’intento legislativo – di inasprire le pene per i fatti di omicidio e lesioni stradali – palesasse un intento marcatamente repressivo, tale da sembrare più il frutto di una risposta ai malumori che questa tipologia di reato suscitava, che di una concreta valutazione dei fatti così come presentati nel caso concreto.
Nondimeno, però, da più parti se ne apprezzò anche l’aspetto positivo, ossia, vista la tendenza giurisprudenziale ad imputare spesso tali delitti a titolo di dolo eventuale per scopi di mera deterrenza, si ritenne che il rinnovato inasprimento sanzionatorio potesse calmierare questo filone interpretativo.
I fatti di omicidio o lesioni stradali, invero, soprattutto se causati a seguito di assunzione di sostanze che alteravano lo stato psico-fisico, si affermava, sembrerebbero evocare più correttamente un’imputazione a titolo di colpa cosciente, sulla base della considerazione che il soggetto molto spesso ha la convinzione di poter comunque evitare l’evento[10].
Nondimeno, però, l’intento politico-criminale di spostare il baricentro dell’imputazione più sulla colpa aggravata che sul dolo eventuale, con conseguente inasprimento di pena, poteva essere facilmente vanificato nella prassi giurisprudenziale laddove l’aggravante di cui al comma 2 dell’art. 589 c.p. fosse risultata soccombente a seguito del bilanciamento con le attenuanti operato ex art. 69 c.p.
Fu questo, in buona sostanza, il motivo per cui la giurisprudenza continuò anche dopo la riforma del 2008 ad utilizzare l’imputazione a titolo di dolo eventuale tutte le volte che la condotta dell’agente risultava particolarmente grave.
Ed invero, i confini tra le due categorie – dolo eventuale e colpa cosciente – almeno fino alla nota pronuncia delle Sez. Un. nel 2014[11], sono stati sempre labili, e, per molti anni, risolti sia dalla giurisprudenza che dalla dottrina facendo applicazione di un acritico principio fondato sulla c.d. accettazione del rischio.
Nel corso degli ultimi anni, quindi, la tendenza giurisprudenziale a fare applicazione del dolo eventuale non solo in presenza di attività a rischio base totalmente illecito, ma anche per quelle a rischio base lecito, ha fatto riemergere la necessità di individuare un criterio più netto, idoneo a distinguere la dicotomia soggettiva senza scadere in “automatismi sanzionatori”.
Si è trattato, come è stato affermato, del più intenso dibattito sul tema dall’entrata in vigore del codice penale[12].
In passato, infatti, l’orientamento giurisprudenziale sull’argomento mostrava una costante: si escludeva l’applicabilità del dolo eventuale per i reati commessi nell’ambito delle attività c.d. a rischio base lecito (ad es. circolazione stradale, attività sportiva etc.), e, al contrario, se ne affermava l’esistenza se il fatto era cagionato nell’ambito di attività a rischio base totalmente illecito[13].
In altri termini, laddove l’attività fosse stata prevista dall’agente che agiva in un territorio illecito, si applicava in modo pressoché automatico il dolo eventuale; contrariamente, nelle ipotesi in cui l’attività dell’agente era ascritta nell’ambito di attività rischiose ma consentite, si contestava quasi sempre la colpa cosciente.
Il dolo eventuale diveniva così una sorta di versari in re illicita contrapposto alla colpa cosciente, laddove, viceversa, si versava in re licita, e il cui spartiacque era individuato dal principio dell’accettazione del rischio.
La rottura di questo equilibrio ha portato alla sempre maggiore tendenza ad estendere il rimprovero penale in aree prima coperte dal solo rischio lecito, come ad esempio l’attività medica, lavorativa oppure la circolazione stradale[14].
Nell’ambito del descritto orientamento espansivo dell’imputazione dolosa, quindi, si è assistito al rischioso tentativo di trasformare il dolo eventuale in uno strumento di prevenzione generale: così, ad esempio, si puniva a titolo di dolo eventuale la condotta dell’automobilista particolarmente incosciente.
Da qui la preoccupante tendenza a “strumentalizzare” fatti del passato per prevenire fatti futuri, accollando all’agente odierno una pena idonea a fargli scontare anche l’eventuale fatto futuro di un terzo secondo la logica della c.d. pena esemplare[15].
Si è assistito in tal modo all’emergere di due tendenze tra loro contrastanti, da un lato l’inasprimento della risposta sanzionatoria per il tramite del dolo eventuale rispetto a fatti che prima godevano di una sorta di «privilegio della colpa»[16]; dall’altro lato la conseguente emersione di esigenze garantiste volte a restringere l’ambito applicativo di tale imputazione, finendo per mettere in discussione la stessa configurabilità di taluni reati a titolo di dolo eventuale in contesti che sino ad allora erano invece pacificamente ricondotti in quel paradigma.
Tale dibattito, quindi, ha portato a mettere seriamente in discussione il criterio dell’accettazione del rischio per distinguere colpa cosciente e dolo eventuale, approdando ad altri criteri ritenuti più idonei a tal fine, come quello della formula di Frank che ha trovato avallo nella ricordata pronuncia a Sez. Un. resa nel noto caso Thyssenkrupp[17].
Una volta individuato nella volontà dell’agente e non nella rappresentazione dell’evento il discrimine per imputare l’evento a titolo di colpa cosciente o dolo eventuale, la giurisprudenza successiva ha dovuto applicare tale ultimo criterio anche in materia di omicidi e lesioni commessi in violazione delle regole sul codice della strada, non potendo certamente più utilizzare lo “strumento” del dolo eventuale pur una finalità meramente deterrente.
In quest’ottica, quindi, al fine di venire incontro alle esigenze repressive dell’opinione pubblica alimentate dall’amplificazione mediatica di gravi incidenti stradali, si spiega l’introduzione, da parte del legislatore, dei delitti di omicidio e lesioni stradali di cui agli artt. 589 bis e 590 bis c.p. ad opera della legge n. 41/2016.
Come già detto, quindi, l’allarme sociale suscitato dai gravi fatti che vedono coinvolte le c.d. vittime della strada, ha indotto il legislatore, con la legge 23 marzo 2016, n. 41, a modificare l’intervento penale al fine di contrastare le condotte colpevoli nella guida dei veicoli a motore.
La riforma ha abbandonato la fattispecie di reato meramente circostanziato facendo spazio a due nuove fattispecie delittuose speciali – l’omicidio e le lesioni commessi in violazione delle norme sulla circolazione stradale – , accompagnate da più ipotesi aggravanti c.d. privilegiate, in quanto per l’espressa previsione di cui all’art. 590 quater c.p., non possono essere ritenute equivalenti o soccombenti all’esito del giudizio di bilanciamento ex art. 69 c.p.
La nuova disciplina quindi ha previsto ipotesi speciali di aggravamento della pena con riferimento ai casi in cui l’agente cagioni la morte o la lesione ponendosi alla guida di un veicolo a motore in stato di alterazione alcolica o a seguito di assunzione di sostanze stupefacenti, con una pena che va da otto a dodici anni di reclusione. È previsto poi un cumulo giuridico e non materiale nelle ipotesi in cui l’agente cagioni la morte o la lesione di più persone, e in questo caso la regola è quella dell’art. 81 c.p. stabilendo un limite massimo di pena di diciotto anni.
La natura di fattispecie autonoma dei reati di omicidio e lesioni stradali, in uno con le aggravanti c.d. privilegiate, quindi, tradisce certamente l’intento (ancora più) repressivo che il legislatore ha voluto affidare alla riforma. Si evita in questo modo il pericolo del bilanciamento ex art. 69 c.p., che, come sopra osservato, correvano invece le precedenti formulazioni di tali fattispecie previste come aggravanti dell’omicidio colposo e delle lesioni colpose.
Le norme, però, si pongono senz’altro in continuità con le precedenti fattispecie a natura circostanziale, con la conseguenza che i fatti commessi prima del 2016 possono essere ancora puniti come omicidio e lesioni stradali, con il trattamento favorevole che deriva però dal precedente giudizio di bilanciamento[18].
3.1. L’aggravante di cui al comma 2 dell’art 589 bis c.p.
Il secondo comma dell’art. 589 bis c.p. sanziona con una cornice edittale da 8 a 12 anni, il comportamento di chiunque, ponendosi alla guida di un veicolo a motore in condizioni di alterazione dovute all’assunzione di alcool – nelle ipotesi di cui alla lett. c) dell’art. 186 c.d.s. – o stupefacenti, cagioni per colpa la morte di una persona.
È lo stesso legislatore poi a specificare la natura speciale di tale aggravante all’art. 589 quater c.p.
L’aggravante in esame, oltre a innalzare significativamente la cornice edittale della fattispecie, non si presta ad una lettura che trova in dottrina tutti d’accordo: ed invero, taluni affermano che la ricostruzione del dato normativo non pare del tutto rispettosa del principio di colpevolezza, in particolar modo, ci si riferisce a coloro che si accontentano della prova dell’alterazione psico-fisica senza vagliarne il nesso eziologico che legherebbe quest’ultima e la violazione della regola cautelare: in altri termini, sarebbe una circostanza aggravante imputata oggettivamente contro i principi in tema di colpevolezza delle aggravanti così come previsto all’art. 59 c.p.
Si afferma, inoltre, che anche laddove voglia affermarsi rispettato il principio di colpevolezza nell’ipotesi in cui venga vagliato il duplice nesso causale, ossia quello tra stato di alterazione e violazione della regola cautelare, e tra quest’ultima e l’evento infausto, resterebbero vivi i profili di dubbia costituzionalità in tema di rispetto di principio di colpevolezza riguardo a quanto in generale previsto dall’art. 92, comma 1, c.p. per il caso in cui l’ebrezza sconfini in effetti in uno stato di ubriachezza in grado, in quanto tale, di incidere elidendola sulla capacità di intendere e volere[19].
Il modo per formulare un’imputazione rispettosa del principio di colpevolezza, si afferma, sarebbe di vagliare lo stato soggettivo dell’agente al momento del fatto, tenendo conto altresì se l’evento era prevedibile in concreto secondo l’id quod plaerumque accidit.
Brevemente, sul punto, può essere osservato che il legislatore disciplina tale fenomeno in maniera particolarmente severa. Invero, l’ubriaco ha una capacità di intendere e di volere, almeno nei casi più estremi, notevolmente ridotta. Cionondimeno, è parificato dalla legge al soggetto imputabile, e, anzi, la pena per i fatti da questo commessi è addirittura aggravata, ciò al fine di scoraggiare fortemente tali fenomeni.
La disciplina dell’ubriachezza (o della stupefazione) è suddivisa in quattro ipotesi particolari[20]: per quel che qui ci occupa, l’ipotesi dell’ubriachezza volontaria o colposa è senz’altro quella più controversa e dibattuta.
Si pensi, a titolo esemplificativo, che taluno si ubriachi perché vuole farlo, oppure perché beve troppo senza la primaria intenzione di ubriacarsi, e, ovviamente, senza l’intenzione di commettere alcun reato, ma, ciononostante, una volta ubriaco cagiona un delitto.
Orbene, secondo la disciplina del codice penale l’agente è equiparato al soggetto capace di intendere e di volere.
Per questo motivo una parte della dottrina avanza ragionevoli dubbi circa la costituzionalità di una disciplina così formulata. In tale ipotesi, si afferma, sarebbe difficile immaginare la capacità di intendere e di volere al momento del fatto, e, soprattutto, ci si chiede a che titolo imputare il reato.
La norma appare, ad una prima lettura, quindi, senz’altro in una relazione problematica con il principio di colpevolezza.
Una parte della dottrina ritiene che la contestazione del fatto all’imputato debba essere formulata a seconda dello stato psicologico in cui versava l’agente quando si è ubriacato.
Questo, però, porterebbe a situazioni paradossali in cui, ad esempio, chi si ubriaca colposamente e poi decide, da ubriaco, di fare un furto, non potrà essere punito perché il furto colposo non è previsto dal legislatore. E di contro, chi si ubriaca dolosamente e poi fa un incidente stradale colposo risponderebbe di un fatto doloso.
È questo il motivo per cui l’impostazione preferibile ritiene che debba essere tenuto in considerazione lo stato mentale, doloso o colposo, del soggetto al momento della commissione del fatto.
Una tesi intermedia, anch’essa in linea con la lettura costituzionalmente orientata di tutte le fattispecie c.d. oggettive, ritiene debba farsi riferimento alla categoria della c.d. prevedibilità in concreto dell’evento infausto. Il soggetto, in altri termini, al momento in cui si ubriaca dovrebbe poter ragionevolmente prevedere la possibilità o probabilità che in un momento successivo correrà il rischio della commissione di un reato[21].
Dopo questa breve ma necessaria digressione, appare quindi evidente come al fine di valorizzare il principio di colpevolezza sia necessario il vaglio del nesso causale che intercorre tra l’ubriachezza e la causazione dell’evento. Diversamente opinando, invero, si giungerebbe a contestare l’aggravante dell’alterazione psico-fisica dovuta ad alcool o droghe in modo oggettivo, in palese contrasto con il principio di colpevolezza, valevole anche per le aggravanti come espressamente previsto all’art. 59 c.p.[22]
Inoltre, se si addebitasse la mera alterazione alcolemica all’agente al fine di contestargli l’aggravate di cui all’art. 589 bis, comma 2, c.p., in nulla la norma penale si distinguerebbe dalla corrispettiva sanzione amministrativa di cui all’art. 186, comma 2, lett. c) c.d.s.
Appare ragionevole, infatti, chiedere nell’ambito di un omicidio colposo un quid in più rispetto a quanto previsto per la contestazione di un’ammenda e dell’arresto, ciò anche al fine di restituire alla materia penale il suo campo di elezione: cioè quello di punire un soggetto con la privazione della libertà solo in casi estremi. In tale ipotesi il quid pluris andrebbe senz’altro rinvenuto nel nesso eziologico che intercorre tra l’ubriachezza e la violazione della regola cautelare e tra questa e l’evento delittuoso.
E, infatti, a norma del codice della strada ex art. 186 co. 2, lett. c) è punito chiunque si ponga alla guida in stato di ebrezza, se il fatto non costituisce più grave reato. In altri termini, laddove non si accerti il nesso di causalità tra l’ubriachezza e l’evento lesivo, si dovrebbe contestare l’art. 186 co. 2, lett c) in concorso con l’omicidio stradale, e non la più grave fattispecie di cui all’art. 589 bis co. 2 c.p., con palesi risultati in bonam per l’imputato.
L’assorbimento della meno grave fattispecie amministrativa in quella penale, infatti, è certamente giustificato, e ragionevolmente punito più severamente, laddove il fatto dell’alterazione alcolica abbia contribuito a cagionare l’evento infausto. Contrariamente, si finirebbe per punire (più gravemente) un soggetto per il mero versari in re illicita.
In altri termini, il giudice dovrebbe vagliare l’ipotesi dell’agente modello sobrio, che posto alla guida dell’autovettura nella medesima situazione dell’agente concreto ubriaco, non avrebbe secondo la probabilità statistica e logico-razionale, causato l’evento.
Il problema, però, è che la causalità della colpa è diversa della causalità della condotta almeno sotto il profilo della “certezza logica” che la prova deve raggiungere, e ciò proprio per la presenza di regole cautelari, le quali dominano il campo delle attività ontologicamente rischiose ma ritenute socialmente utili. Laddove tale rischio aumenti (o sfoci nel danno che si intendeva evitare), la causalità della colpa è provata.
Ragione per cui provare che lo stato di alterazione alcolica o da stupefacenti non abbia, quanto meno, aumentato il rischio della violazione della regola cautelare, e, quindi, della causazione dell’evento, sarà compito tutt’altro che agevole per l’interprete.
3.2 (Segue…) La causalità della colpa: il c.d. nesso di rischio.
Nel reato colposo di evento il risultato lesivo è la conseguenza della condotta illecita, ossia la conseguenza del comportamento che esce dal campo del rischio consentito di cui la regola cautelare segna il confine.
Anche nell’ambito dei delitti colposi la teoria che presiede all’accertamento del nesso causale è quella c.d. condizionalistica.
È opportuno precisare però che, nel paradigma della responsabilità colposa, l’evento deve essere la conseguenza necessaria non tanto o non solo della sola azione materiale, bensì di un’azione caratterizzata da specifici requisiti: deve contrastare con il dovere oggettivo di diligenza[23]. In altri termini, l’evento deve concretizzare proprio il rischio che la regola cautelare mirava a prevenire.
È in questo senso che si parla del c.d. nesso di rischio: ossia l’evento deve essere espressione proprio di quel rischio o pericolo che l’agente avrebbe dovuto (e potuto) evitare o ridurre, adottando le cautele doverose e di fatto omesse.
Il c.d. nesso di rischio ha dunque una duplice implicazione: da un lato l’evento cagionato deve appartenere a quel tipo di eventi che la norma cautelare mirava ex ante ad evitare o ridurre. Dall’altro lato, poi, tale nesso tra condotta ed evento induce a chiedersi cosa sarebbe successo se l’agente avesse adottato le cautele che la norma imponeva di adottare e lui di fatto ha omesso. In altri termini, l’interprete dovrà domandarsi se il c.d. comportamento alternativo lecito imposto ex ante dalla regola cautelare sarebbe risultato davvero idoneo a scongiurare l’evento, tenendo conto, ex post, di tutte le circostanze del caso concreto.
Una simile verifica ipotetica serve a capire se l’evitabilità astratta della regola cautelare si accompagna anche all’evitabilità concreta dell’evento grazie al comportamento alternativo lecito. Laddove il giudice dovesse rendersi conto che l’evento si sarebbe verificato lo stesso, verrebbe meno il c.d. nesso di rischio, cioè l’evento cagionato dall’agente non sarebbe la concretizzazione del rischio che la regola cautelare mirava ad evitare.
Il problema sta nel fatto che, pur accedendo all’ormai consolidato orientamento secondo cui il nesso di rischio deve essere vagliato in concreto, rimane da stabilire se questo sia ascrivibile alla categoria della causalità oppure alla categoria della colpa.
La questione non è di poco momento, perché a seconda dell’impostazione che si intenda seguire, la responsabilità colposa sarà esclusa, nella prima ipotesi quando è certo, e nella seconda ipotesi quando solo probabile o possibile che il comportamento alternativo lecito non avrebbe di fatto scongiurato l’evento.
Una parte della dottrina collocando la problematica del comportamento alternativo lecito nel campo della causalità quale criterio d’imputazione oggettiva dell’evento, afferma che occorrerebbe dimostrare con particolare rigore l’efficacia impeditiva del comportamento alternativo lecito: occorrerebbe cioè verificare che la condotta doverosa avrebbe scongiurato l’evento con una probabilità vicina alla certezza[24].
Al fine di evitare un eccessivo restringimento dell’ambito della responsabilità penale sacrificando le esigenze di prevenzione generale, la parte tendenzialmente maggioritaria della dottrina ritiene che il c.d. nesso di rischio e la problematica del comportamento alternativo lecito sia più ragionevolmente da ascrivere al campo della colpa. Così ragionando si fa impiego del criterio dell’aumento o della mancata diminuzione del rischio.
In altri termini, nei reati colposi, una volta accertato il nesso di causalità materiale (guida spericolata-morte del passante), ai fini del successivo giudizio di colpa si ritiene sufficiente supporre che la condotta alternativa lecita avrebbe diminuito il rischio di verificazione dell’evento.
La possibilità che un tale criterio sia ritenuto soddisfacente ai fini della contestazione di un reato colposo viene spiegata dagli interpreti con il fatto che la c.d. teoria del rischio non sostituisce, bensì integra la teoria della causalità materiale, che deve essere stata già accertata[25].
A ben vedere, quindi, vi è da chiedersi se in settori delicati come quello della responsabilità del medico o della circolazione stradale sia giusto o meno privilegiare le ragioni dell’imputato al punto da escludere la responsabilità per colpa laddove non si provi che la condotta omessa avrebbe impedito (quasi) certamente l’evento; oppure, privilegiare esigenze di prevenzione generale, e confermare la penale responsabilità anche a fronte di comportamenti omessi che avrebbero (solo) diminuito il rischio di verificazione dell’evento lesivo.
Forse, il legislatore, proprio resosi conto dell’impostazione maggioritaria accolta anche dalla giurisprudenza, ha previsto, per quanto qui interessa, una speciale attenuante prevista al comma sette dell’art. 589 bis c.p. nelle ipotesi in cui l’evento lesivo non sia esclusivamente imputabile all’agente.
3.3 (Segue…) “La concausa attenuante” ex 589 bis, co. 7 c.p.
Con l’attenuante in esame, si prende in considerazione il fatto che possano esservi condotte che, sebbene legate causalmente all’evento infausto, possono in concreto avere un’efficienza causale non esclusiva. Come già osservato in precedenza, il legislatore resosi conto da un lato del severo regime sanzionatorio che caratterizza il delitto di omicidio stradale, e, dall’altro lato, consapevole delle regole che dominano la causalità della colpa, ha introdotto con la legge n. 41/2016, al comma 7 dell’art. 589 bis c.p., un’inedita circostanza attenuante ad effetto speciale. Tale attenuante ha natura eccezionale laddove, si afferma, deroga al generale principio dell’equivalenza delle concause ex art. 41 c.p.[26]
Nei reati colposi, invero, l’eventuale concorso della vittima non esclude né interrompe il nesso causale e neppure vale come circostanza attenuante, potrà al più essere tenuto in conto dal giudice solo nella quantificazione della pena secondo i criteri di cui all’art. 133 c.p.
Ai fini dell’applicabilità di detta attenuante, quindi, non si richiede un’interruzione del nesso causale idonea a escludere la penale responsabilità ex art. 41 co. 2 c.p., quanto più semplicemente un contributo rilevante idoneo ad essere ritenuto concausa: dunque una circostanza che si pone a metà strada tra l’art. 41 co. 1 e 3 e l’art. 41 co. 2 c.p.: quella che verrebbe definita nel codice penale spagnolo “un’esimente incompleta”[27].
Inoltre, sul punto, può essere ancora osservato che la norma non richiede una condotta della vittima ai fini dell’applicazione del comma sette, anzi, parla genericamente dell’evento e richiede che questo non sia la conseguenza «esclusiva» della condotta dell’agente.
Per questo motivo si può essere portati a ritenere, ragionevolmente, che concausa dell’evento non sia solo la condotta della vittima, bensì anche fattori estranei al comportamento umano, quali, ad esempio, fattori meteorologici oppure di terzi.
Questa speciale attenuante, inoltre, sembra dare anche una risposta al rigore con cui la giurisprudenza negli ultimi anni ha letto il c.d. principio di affidamento[28], così, di fatto, innalzando l’onere di diligenza.
Molti sono i casi in cui, infatti, si rimprovera all’agente di non aver osservato ulteriori regole di prudenza, pur avendo rispettato le regole cautelari tipizzate[29].
Ciò non toglie, in ogni caso, che il nesso eziologico difetterebbe tutte le volte in cui la condotta della vittima si presenti come del tutto imprevedibile ed eccezionale da parte dell’agente, e, se così non fosse, tale ipotesi delittuosa si trasformerebbe in una malcelata forma di responsabilità oggettiva[30].
Questa fattispecie introdotta dal legislatore del 2016, quindi, ha un contenuto del tutto eterogeneo rispetto alle circostanze attenuanti conosciute dal codice penale.
Il legislatore ha poi però, forse per evitare l’eccessivo favor che da questa circostanza sarebbe derivato, sottratto l’attenuante in esame al bilanciamento con le aggravanti c.d. privilegiate, suscitando non poche perplessità sino al punto di sottoporre la questione alla Corte costituzionale.
In buona sostanza, coloro che ritenevano che l’attenuante afferisse all’area dell’offensività eccepivano un vizio di legittimità costituzionale laddove l’aggravante privilegiata finiva per essere nient’altro che la (più severa) punizione dell’agente per ciò che è e non per ciò che ha commesso.
Sulla questione è poi recentemente intervenuta la Corte costituzionale a specificare che l’attenuante non attiene al campo dell’offensività. Si afferma che l’omicidio stradale, così come le lesioni stradali, anche laddove vengano in rilievo nella loro forma attenuata, offendono in ogni caso il bene protetto. Il comma sette non identifica, quindi, un fatto meno offensivo, ma si colloca sul piano della causalità in cui non opera il principio di proporzionalità, bensì quello dell’equivalenza causale, quindi, la discrezionalità del legislatore sarebbe maggiore nel determinare l’incidenza della circostanza nel computo della pena[31].
In tema di circolazione stradale, quindi, questo tipo di attenuante ha uno specifico e ragionato scopo politico-criminale. E, infatti, se come osservato anche dalla Corte costituzionale l’attenuante non afferisce al piano dell’offensività perché i fatti commessi con il “concorso colposo” della vittima restano offensivi e meritevoli di pena, dall’altro lato, però, lo speciale regime sanzionatorio viene notevolmente modificato per controbilanciare il principio di affidamento in tema di circolazione stradale, che, in tal modo, “torna” a ritenere apprezzabile in termini favorevoli al reo anche le condotte della persona offesa del reato.
L’utilità politico-criminale del comma sette, dunque, in un settore in cui il principio di affidamento è interpretato in maniera ribaltata, non operando mai come limite della colpa, è quella di riportare in armonia la disciplina penalistica della circolazione stradale col principio secondo cui la responsabilità penale è personale a norma dell’art. 27 Cost.
La tendenza giurisprudenziale è, infatti, quella di escludere o limitare fortemente la possibilità di poter fare affidamento sul comportamento altrui, a differenza di quanto accade, invece, ad esempio, nel settore sanitario in occasione dell’attività medico-chirurgica di equipe.
In buona sostanza, quindi, il comma sette funge da contraltare all’assenza del principio di affidamento in materia di circolazione stradale.
In altri termini, è come se si affermasse che in tale ambito non si può pressoché mai fare affidamento sulla condotta lecita altrui, ma, nondimeno, laddove tale condotta o qualsiasi altra circostanza abbia contribuito alla causazione dell’evento, la pena è diminuita della metà.
L’ultimo comma dell’art. 589 bis c.p., infine, disciplina l’ipotesi in cui l’agente cagioni la morte di più persone o la morte e le lesioni di più persone, prevedendo il cumulo giuridico della pena e stabilendo il tetto massimo di diciotto anni. La sanzione così stabilita appare fortemente elevata, e, forse, sperequata rispetto ad un reato base colposo.
Invero, il legislatore prevede un tetto massimo così elevato anche per l’omicidio preterintenzionale, e, poi, rispetto alla previsione dell’ultimo comma dell’art. 589 bis potrebbe risultare finanche più favorevole la disciplina dell’art. 586 c.p.
L’irragionevolezza deriva dal fatto che con l’omicidio preterintenzionale si punisce con un massimo edittale uguale a quello dell’omicidio (colposo) stradale, chi, volendo ledere, anche gravemente, taluno, casualmente ne provoca la morte.
Sul punto, quindi, è opportuno svolgere qualche considerazione.
La prima deriva dal fatto che la formulazione della norma è tale da prevedere un simile massimo edittale anche per il fatto di chi cagioni la morte di una persona e le lesioni, anche lievissime, di un’altra persona. Il comma in esame fa riferimento genericamente alle lesioni[32].
Inoltre, almeno testualmente, non pare applicabile il limite del cumulo materiale previsto dall’art. 81, co. 3 c.p., laddove la norma si pone in rapporto di specialità con l’omicidio colposo. Ragioni di ragionevolezza e legittimità costituzionale della disciplina, nondimeno, impongono di ritenere insuperabile il limite della pena che si potrebbe applicare facendo ricorso al cumulo materiale dei delitti commessi, ad esempio, omicidio più lesione (magari lieve) stradale.
I brevi rilievi sin qui svolti offrono lo spunto per una riflessione in merito alla scelta del giudice a quo di non applicare l’attenuante speciale nel caso di specie.
Nel merito, infatti, l’interprete ha ritenuto non doversi applicare il comma sette dell’art. 589 bis c.p. laddove la serie causale che ha motivato la condotta delle vittime deve essere complessivamente valutata nel contesto della condotta illecita dell’imputato. In altri termini, è stata la stessa condotta illecita che ha determinato le vittime a tenere un comportamento che ha causalmente contribuito all’evento: l’attraversamento con il rosso pedonale[33].
Ora, anche in virtù delle considerazioni svolte in precedenza, ci si deve chiedere in primo luogo se la condotta illecita possa in qualche modo influire sulla condotta (che dovrebbe in ogni caso essere) lecita di terzi; e, poi, dato il tenore letterale del comma sette, se sia o meno corretto, al fine di non applicare l’attenuante, prendere in considerazione solo la condotta umana, e, in particolare, solo la condotta del colpevole che ha concausato l’evento infausto[34]: addossandogli così causa e concause dell’evento.
Ora, in primo luogo, in merito al comportamento che deve tenere il conducente al fine di salvaguardare i pedoni, si deve fare riferimento all’art. 191 c.d.s., e, in particolare, all’obbligo di «prevedere tutte le situazioni che la comune esperienza comprende», sì da non costituire intralcio e pericolo alla circolazione. In altri termini, la norma chiede al conducente di prestare attenzione sia ai comportamenti irregolari genericamente imprudenti (il pedone che si attarda nell’attraversamento), sia ai comportamenti irregolari specifici dettati dall’art. 190 c.d.s.
A questo punto, come il caso di specie richiederebbe, ci si deve domandare se la c.d. comune esperienza richieda all’automobilista anche di figurarsi la possibilità che un pedone attraversi una strada a traffico veloce, di notte, in un giorno di pioggia e nei pressi dell’ingresso di una tangenziale, inoltre, in presenza di due vicini sottopassaggi pedonali.
Non volendo certamente entrare nel merito della vicenda ci si limiterà sul punto solo ad osservare la più recente giurisprudenza in materia.
La Cassazione è conforme nel ritenere che una situazione del genere sia da considerarsi ragionevolmente prevedibile, e ciò, anche in virtù della lata interpretazione che spesso soffre il c.d. principio di affidamento, che, come detto, nello specifico campo della circolazione stradale trova il proprio limite nel principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui, purché rientri nel limite della prevedibilità[35]: altrimenti detto, nel campo della circolazione stradale non ci si può fidare degli altri fintantoché il loro comportamento sia prevedibile.
Tale ragionamento, però, appare essere assunto nelle aule dei tribunali in modo pressoché apodittico, laddove, invece, il limite al principio di affidamento è proprio la «prevedibilità» della condotta altrui.
Ora, la prevedibilità, in materia di colpa, attiene alla sfera soggettiva dell’agente: oltre alla violazione della regola cautelare (elemento normativo della colpa), quindi, è necessario che il fatto cagionato fosse anche prevedibile ed evitabile (oltre a che l’evento rappresenti la concretizzazione del rischio che la regola tendeva ad arginare).
La prevedibilità dell’evento, però, non può rimanere una petizione di principio, necessita senz’altro di essere calata nel caso concreto in relazione al c.d. agente modello, ed è in questi termini che si parla di prevedibilità in concreto[36].
Date le premesse, con le quali la giurisprudenza è in armonia, quindi, residua qualche perplessità in merito alla «prevedibilità concreta» della condotta delle vittime nel caso che qui ci occupa.
Ancora, anche a voler ritenere prevedibile il comportamento delle vittime, poi, ci si deve chiedere se questo non fosse egualmente idoneo a inserirsi nella serie causale che ha condotto all’evento.
E, infatti, così parrebbe essere.
Invero, la giurisprudenza ritiene che in tema di omicidio stradale la circostanza attenuante di cui al co. 7 dell’art. 589 bis c.p., non ricorra nell’ipotesi in cui sia stato accertato un comportamento «perfettamente lecito e completamente estraneo al decorso causale dell’evento colposo»[37].
Inoltre, ancora sul punto, la circostanza attenuante ad effetto speciale ricorre «non solo nelle ipotesi costituite dal contributo concorrente fornito dalla vittima nella determinazione dell’evento, ma anche in ogni altra ipotesi che sia dipesa dalla condotta di altri conducenti e da altri fattori esterni da individuarsi di volta in volta»[38].
Poi, anche in merito all’accertamento del comportamento colposo che la vittima deve tenere affinché sia riconosciuta l’attenuante, è sempre la giurisprudenza a ritenere che in tema di omicidio stradale, il regime speciale di cui al comma sette ricorra nel caso in cui sia stato accertato un comportamento colposo, anche di minima rilevanza, della vittima o di terzi, o qualunque concorrente causa esterna, anche non costituita da condotta umana, al di fuori delle ipotesi di caso fortuito o forza maggiore[39].
Ora, il giudice del caso concreto ritiene che la condotta dell’imputato sia stata essa stessa a causare il comportamento imprudente delle vittime, che, per capire se «queste auto»[40], tra cui quella dell’imputato, avrebbero rallentato per fermarsi nel momento in cui era per loro verde pedonale, si sono attardate nell’attraversamento per poi decidere di eseguirlo durante il rosso pedonale, laddove una terza autovettura si era fermata al fine di dar loro la precedenza.
Ora, tralasciando la tragicità degli eventi che ne sono scaturiti e volendosi solo soffermare sui fatti come penalmente descrivibili, appare di tutta evidenza che nel caso concreto hanno contribuito all’evento morte una terza autovettura e il comportamento imprudente delle vittime.
In altri termini, se la macchina ignota non avesse deliberatamente frenato mentre era verde per le autovetture al fine di far attraversare le vittime nel momento in cui era rosso per i pedoni, e se queste non si fossero determinate in ogni caso in un comportamento contra legem; nonostante il superamento del limite di velocità e l’assunzione di alcol prima di mettersi al volante, l’odierno imputato non avrebbe investito le vittime.
Il giudice che non ha riconosciuto l’attenuante speciale, in altri termini, ha ritenuto che l’agente fosse causa e concausa dell’evento addossandogli la responsabilità del comportamento (altrettanto) imprudente dell’autovettura ignota – ossia quello di fermarsi per lasciar attraversare i pedoni durante il rosso pedonale in una strada percorribile a velocità elevata, in tarda notte, nei pressi dell’ingresso di una tangenziale e in presenza di due vicini sottopassaggi pedonali –; e, non solo, addossandogli anche la responsabilità dell’autonoma scelta delle vittime di attraversare, nonostante il verde per le autovetture, perché una macchina si era fermata per dar loro questa possibilità.
Il giudice, inoltre, motiva la sua decisione sul punto affermando testualmente che «la condotta» delle vittime «non può essere inserita in un contesto di autonomia causale» perché il comportamento di queste appartiene all’esclusiva azione colposa dell’imputato, in quanto «ad avviso di questo Giudice, la condotta di questi è la scaturigine prima della gara di sorpassi che ha necessitato l’azione» delle vittime[41].
Anche qui, quindi, il giudice riconosce la presenza di un «gara» tra autovetture, poco conta chi vi abbia dato inizio, ché, d’altronde, equivarrebbe a dire che in una rissa il colpevole è solo chi vi dà inizio. Nel contesto di una gara tra autovetture, quindi, può certamente essere affermato che poco conta quale tra queste abbia dato l’inizio al comportamento illecito.
Quanto brevemente riassunto e, lo si ripete, senza entrare nel merito della questione ma soltanto attenendosi alla più recente impostazione giurisprudenziale sul tema, dunque, lascerebbe poco spazio a dubbi circa il positivo riconoscimento del comma sette dell’art. 589 bis c.p.
D’altronde se la stessa Cassazione riconosce l’attenuante in esame nell’ipotesi in cui a concorrere nell’evento infausto sia il fatto di un terzo od anche non umano, ci si chiede come sia possibile che in tale ipotesi non sia stato riconosciuto.
In conclusione, se da un lato ci si rende conto certo della drammaticità di taluni episodi che si consumano nell’ambito della circolazione stradale imprudente, dall’altro lato però ci si deve necessariamente chiedere se il diritto penale si presti ad essere uno strumento repressivo tutte le volte che la giustizia sociale ne invoca l’intervento. In altri termini, ritenere taluno responsabile per la gravità della condotta tenuta – guida ad alta velocità e a seguito dell’assunzione di alcol – senza però vagliarne la concreta influenza sull’accadimento concreto, oppure senza considerare la compresenza di accadimenti e circostanze che hanno contribuito indiscutibilmente all’evento infausto, vuol dire punire l’agente a mo’ di esempio per scopi deterrenti da un lato, e per placare l’animo dell’opinione pubblica che vede soddisfatto l’atavico bisogno di giustizia dall’altro lato.
Inoltre, punire gravemente taluno anche per la condotta di terzi, rischia sicuramente di essere controproducente per la finalità rieducativa che la pena, invece, ha il compito di svolgere.
Si può dunque senz’altro apprezzare lo sforzo ricostruttivo, sia della vicenda che della disciplina, operato da questo Tribunale al fine di risolvere la delicatissima questione di cui è stato investito. Nondimeno però si può trascurare qualche rilievo critico nell’aver deciso il giudice di negare la speciale attenuante di cui poteva, si ritiene, senz’altro fare applicazione, e, paradossalmente, anche e soprattutto alla luce della ricostruzione giurisprudenziale che egli stesso ha fornito in sentenza.
Le brevi considerazioni sin qui svolte, in generale e in merito al caso concreto, dunque, offrono nuovamente lo spunto per chiedersi se la normativa sull’omicidio stradale sia o meno in grado di soddisfare al contempo esigenze di prevenzione generale e speciale, oppure, al contrario, sia maggiormente calibrata al soddisfacimento di esigenze di giustizia sostanziale suscitate dall’allarme sociale che il fenomeno delle c.d. vittime della strada ha suscitato.
A questo punto dovrebbero apparire chiare le motivazioni che hanno condotto all’approvazione della legge n. 46/2016 e alla creazione di una norma ad hoc dedicata all’omicidio e alle lesioni stradali.
Ragione per cui, se da un lato il legislatore ha sottratto la fattispecie alla critica dicotomia colpa cosciente-dolo eventuale, dall’altro lato ha certamente fatto maggiore attenzione al malcontento sociale che ai principi che reggono il diritto penale in generale e l’imputazione colposa in particolare, almeno per ciò che attiene alla dosimetria sanzionatoria.
Si è già avuto modo di osservare, inoltre, che tale decisione può risultare finanche positiva se guardata dall’angolo visuale di un legislatore che si sforza di ricalibrare il codice Rocco ponendo l’accento sul bene vita e sulla integrità fisica. Purtroppo, però, come spesso accade, l’obiettivo astrattamente positivo passa in secondo piano laddove lo strumento per raggiungerlo diventa la repressione, e, quindi, la sproporzione tra offensività del fatto e meritevolezza della pena.
Ciò nondimeno, volendo andare oltre l’astratta sproporzione che può verificarsi tra un fatto di omicidio stradale e la sua pena, senza quindi revocare in dubbio la riprovevolezza di determinate condotte tanto gravi, resta egualmente da chiedersi il motivo per cui ancora oggi esista uno iato sì evidente tra la colpa stradale e quella, ad esempio del medico, oppure rispetto alla responsabilità colposa in materia di sicurezza sul lavoro.
A titolo esemplificativo, infatti, si immagini la condotta di chi, non ubriaco conduca la sua autovettura rispettando i limiti di velocità, ma preso da un momento di distrazione, e, quindi, negligenza, investa un pedone che rispetta tutte le regole della circolazione stradale, provocandone la morte. Ora, per il fatto appena descritto il conducente sarà punito per omicidio stradale “semplice” con una sanzione che va da due a sette anni.
Si prenda ora ad esempio la condotta di un medico che, invece, ubriaco o a seguito di assunzione di sostanze stupefacenti (ipotesi assolutamente plausibile), azzardi nondimeno un’operazione chirurgica delicata, provocando così la morte del paziente. Per il fatto descritto, il sanitario, ex art 590 sexies c.p., sarà passibile di una pena che va da sei mesi a cinque anni.
Dagli esempi riportati ci si rende immediatamente conto di come tali scelte legislative siano state dettate più da esigenze morali che di reale allarme sociale.
Nell’immaginario collettivo, infatti, è più riprovevole la condotta di chi uccida taluno investendolo con l’autovettura per una distrazione, certo grave ma umanamente possibile; della condotta del medico che uccida il paziente perché azzardi un’operazione chirurgica in stato di alterazione psico-fisica: a ben vedere è una questione morale (rectius di politica-criminale influenzata da esigenze elettorali) prima che di diritto penale.
Ancora una volta, quindi, il legislatore si è lasciato influenzare dalle pressioni politiche e dall’approvazione sociale che non da vere esigenze di giustizia, sia formale che sostanziale, nel rispetto della Costituzione come ha più volte ricordato la stessa Corte costituzionale.
La Consulta, invero, ha già esortato il legislatore a prestare particolare attenzione ai canoni di giusta proporzionalità e ragionevolezza della risposta sanzionatoria, sì da rispettare gli artt. 3 e 27, co. 3, Cost.
La Corte ha evidenziato come una sproporzione tra fatto e pena, e quindi l’irragionevolezza di quest’ultima, si apprezza proprio comparando situazioni omogenee o analoghe, richiamabili come tertium comparationis[42].
Un’eventuale questione di legittimità costituzionale riguardo alle scelte sanzionatorie interne al settore della circolazione stradale, quindi, avrebbe senz’altro fondamento[43].
Ci si deve chiedere poi, infine, se tale parcellizzazione del diritto penale non sia stata portata con tale ultima riforma alle estreme conseguenze, tanto che taluno in dottrina ha parlato del passaggio da un diritto penale «frammentario» a un diritto penale «frammentato»[44].
Rimandando ad altre sedi la disamina sulle possibili alternative che potevano essere vagliate dal legislatore in tema di omicidio stradale, si può concludere osservando che il giudice del caso concreto che ci ha occupato, stante il considerevole sforzo ricostruttivo sia della normativa che della giurisprudenza, avrebbe certamente potuto prendere in considerazione in modo più coerente la possibilità di applicare in concreto l’attenuante di cui al comma sette dell’art. 589 bis c.p.
Il problema sta proprio nel fatto che, se da un lato il comma sette dell’art. 589 bis c.p. pare dare ampio spazio all’astratta riconoscibilità dell’attenuante in parola, dall’altro lato, in concreto, però, troppo spesso quest’ultima è disconosciuta nelle aule dei tribunali per dare spazio a esigenze di repressione avvertite dall’opinione pubblica.
L’attenuante in parola, però, a ben guardare, è il solo strumento di cui oggi il giudice disporrebbe per riportare la fattispecie concreta nei parametri della proporzione e della ragionevolezza rispetto al fatto.
Invero, la mancata applicazione di quest’ultima rischia di trasformare il fatto nient’altro che in una malcelata ipotesi di imputazione per il mero versari in re illicita.
Al fine di imputare l’evento morte a seguito di un incidente stradale, il giudice dovrebbe vagliare sempre tutti i principi dell’imputazione colposa, e, in particolare, il nesso di causalità che lega la condotta all’evento, senza ovviamente trascurare l’elemento soggettivo delle aggravanti e il nesso di causa che lega queste alla violazione della regola cautelare, per poi, infine, sempre considerare tutte ed ogni circostanza del caso concreto per stabilire se una qualsiasi concausa, umana o meno, abbia contribuito all’accadimento infausto: solo così, infatti, a dispetto della draconiana cornice edittale, i principi di prevenzione generale e speciale sarebbero rispettati.
Talvolta, però, e questa è forse stata una di quelle, l’interprete si sforza in una ricostruzione della fattispecie in grado di soddisfare più il malumore sociale che un accadimento, certo grave, ha provocato, che le esigenze di prevenzione speciale che l’applicazione del diritto penale sempre richiederebbero.
[1] Cfr. G.U.P., sez. XII, (ud. 19.12.2020), sent. n.1934/20, dep. 17.02.21.
[2] Cfr. G.U.P., op. cit., 7.
[3] Cfr. G.U.P., op. cit., 180.
[4] Cfr. Menghini, L’omicidio stradale. Scelte di politica criminale e frammentazione del sistema, Trento, 2016, 38.
[5] Cfr. Fiandaca – Musco, Diritto penale. Parte speciale, Vol. II, tomo primo, I delitti contro la persona, Bologna, 2012, 19.
[6] Cfr. Fiandaca – Musco, op. cit., 19.
[7] Cfr. Relazione al disegno di legge di conversione n. 125/2008 del d.l. n. 92/2008, in http://www.giustizia.it, in cui si può leggere che in relazione ai fatti di omicidio o lesioni legati alla violazione delle norme sulla circolazione stradale «le attuali risposte sanzionatorie siano sostanzialmente prive di adeguata efficacia deterrente e che pertanto si renda indispensabile un loro inasprimento, sia sul piano penale che su quello delle sanzioni amministrative accessorie».
[8] Per completezza può essere ricordato che una parte della dottrina riteneva non trattarsi di una vera e propria circostanza aggravante, quanto piuttosto di una forma particolare di concorso formale di reati: per effetto della riforma, infatti, quel medesimo fatto che integrerebbe altrimenti un reato contravvenzionale (art. 186 codice della strada) rimane assorbito dalla fattispecie aggravata di omicidio colposo. In questi termini, cfr. Fiandaca – Musco, op. cit., 24, in nota, Veneziani, I delitti contro la vita, cit., 94 ss.
[9] Cfr. Fiandaca – Musco, op. cit., Add., 2008, 4.
[10] Cfr. Potetti, I nuovi lineamenti dei reati di omicidio colposo o lesioni colpose, conseguenti al cosiddetto “Pacchetto sicurezza”, cit., 4809 ss.
[11] Cfr. Cass., Sez. Un., sent. 18.09.2014.
[12] Cfr. Donini, Il dolo eventuale: fatto-illecito e colpevolezza, in, www.penalecontemporaneo.it, 21.02.2014.
[13] Cfr. Canestrari, La distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente nei contesti a rischio base “consentito”, in, www.penalecontemporaneo.it, 06.02.2013.
[14] Cfr. Canestrari, op. cit.
[15] Cfr. Donini, op. cit.
[16] Cfr. Donini, op. cit.
[17] Cfr. Cass., Sez. Un., sent. 18.09.2014. La distinzione tra dolo eventuale e colpa cosciente non riguarda l’aspetto rappresentativo, presente anche nella forma aggravata della colpa, ma piuttosto quello volitivo, presente invece solo nel dolo. Nel dolo eventuale, in altri termini, afferma la giurisprudenza, sebbene l’evento non sia propriamente voluto vi è comunque un atteggiamento soggettivo assimilabile alla volontà. Le Sez. Un. attraverso l’utilizzo della c.d. formula di Frank spiegano che nel dolo eventuale, il soggetto, anche se avesse avuto la certezza che l’evento si fosse verificato, avrebbe agito allo stesso modo laddove la realizzazione di quest’ultimo è il “prezzo” che l’agente è disposto a pagare pur di raggiungere il suo scopo.
[18] È infatti pacifico che debba ritenersi sussistere una successione di leggi nel tempo e non un’abolitio criminis nell’ipotesi in cui una fattispecie circostanziata venga ad essere trasformata in una fattispecie autonoma, stante l’identità strutturale tra le due previsioni. In questi termini, cfr. Cass. pen. 10 settembre 2007, n. 34216.
[19] Cfr. Menghini, op. cit., cit., 60.
[20]Il combinato disposto degli artt. 91, 92, 94 e 86 c.p. prevede quattro diverse tipologie di ubriachezza: involontaria, volontaria o colposa, abituale e preordinata (c.d. actio libera in causa).
[21] Cfr. diffusamente, Fiandaca – Musco, Diritto penale. Parte generale, Bologna, 2014, 355 ss.
[22] Del resto a tale conclusione giunge anche la Cassazione laddove afferma che «l’esigenza dell’inequivoco riscontro di un obiettivo nesso di strumentalità-occasionalità tra lo stato di ebrezza del reo e l’incidente dallo stesso provocato, non potendo certamente giustificarsi l’inflizione di un deteriore trattamento sanzionatorio a carico del guidatore che, pur procedendo illecitamente in stato di ebrezza, sia stato coinvolto in un incidente stradale di per sé oggettivamente imprevedibile e in ogni caso privo di alcuna connessione con lo stato di ebrezza del soggetto». Cfr. Cass. pen., 14 marzo 2014, n. 15050.
[23] Cfr. diffusamente, Fiandaca – Musco, op. cit., 588.
[24] Cfr. Tra gli altri, Eusebi, Appunti sul confine tra dolo e colpa nella teoria del reato, in Riv. it. dir. proc. pen., 2000, 1057 ss.; Mantovani, Diritto penale. Parte generale, Milano, 346 ss.
[25] Cfr. diffusamente, Fiandaca – Musco, op. cit., 588 ss.
[26] Come affermato dalla Corte costituzionale con la pronuncia n. 88 del 2019, si tratta di un’attenuante speciale nel panorama delle circostanze del reato, proprio perché afferisce al rapporto casuale, retto dal generale principio di equivalenza delle cause, il quale vuole che le concause preesistenti o simultanee o sopravvenute, anche se indipendenti dall’azione od omissione del colpevole, non esclude il rapporto di causalità tra l’azione od omissione e l’evento; e ciò è vero anche quando la causa preesistente, simultanea o sopravvenuta consista nel fatto illecito altrui. In questi termini, cfr. Corte cost., 19 febbraio 2019, n. 88.
[27] Cfr. Menghini, op. cit., 94.
[28] Cfr. Cass. pen., 9 gennaio 2015, n. 12260, secondo cui «il principio di affidamento, nello specifico campo della circolazione stradale, trova opportuno temperamento nell’opposto principio secondo il quale l’utente della strada è responsabile anche del comportamento imprudente altrui purché rientri nel limite della prevedibilità».
[29] A titolo esemplificativo si pensi alla casistica in tema di manovre di emergenza o attraversamento improvviso dei pedoni in prossimità delle strisce pedonali. Cfr. Cass. pen. 20 febbraio 2013, n. 10635.
[30] Cfr. Padovani, Codice penale. Tomo II. Artt. 414-734 bis.
[31] Cfr. Corte cost., 19 febbraio 2019 (dep. 17 aprile 2019), n. 88, secondo cui «il maggior rigore sanzionatorio conseguente al divieto di bilanciamento di tale circostanza attenuante a effetto speciale trova ragione nel più incisivo contrasto di condotte altamente pericolose e che da tempo – come già rilevato – creano diffuso allarme sociale per il grave pregiudizio che arrecano alla sicurezza stradale, quale appunto la guida di veicoli a motore in stato di ebrezza alcolica o di alterazione psico-fisica conseguente all’assunzione di sostanze stupefacenti o psicotrope».
[32] Cfr. Losappio, Dei nuovi delitti di omicidio e lesioni “stradali”, in www.dirittopenale contemporaneo.it, 30 giugno 2016.
[33] Cfr. G.U.P., op. cit., in motivazione, 180.
[34] Nel caso di specie da cui prende spunto il contributo, si ricorda quanto riportato dalla ricostruzione in sentenza, il fatto è avvenuto in tarda notte, in un giorno di pioggia e in prossimità di una rampa di accesso alla tangenziale.
[35] Cfr. Cass. pen. sez. 4, 27 aprile 2017, secondo cui «in tema di responsabilità colposa da sinistri stradali, l’obbligo di moderare adeguatamente la velocità (…) va inteso ne senso che il conducente deve essere in grado di padroneggiare il veicolo in ogni situazione, tenendo altresì conto di eventuali imprudenze altrui, purché ragionevolmente prevedibili».
[36] Cfr. Cass. pen., sez. 4, 29 novembre 2018, n. 53455, secondo cui «nei reati colposi l’accertamento della prevedibilità del fatto va effettuato in concreto, riportandosi al momento in cui la condotta, commissiva od omissiva, è stata posta in essere ed avendo riguardo alla potenziale idoneità della condotta a dar vita ad una situazione di danno. ne consegue che tale giudizio deve essere fondato su tutte le circostanze in cui il soggetto si trova ad operare».
[37] Cfr. Cass. pen., sez. 4, 26 febbraio 2019, n. 13587.
[38] Cfr. Cass. pen., sez. 4, 21 dicembre 2018, n. 13103.
[39] Cfr. Cass. pen., sez. 4, 7 novembre 2018, n. 54576.
[40] G.U.P., sez. XII, (ud. 19.12.2020), sent. n.1934/20, dep. 17.02.21., 180.
[41] G.U.P., op. cit., 180.
[42] Cfr. Corte cost., 9 ottobre 2015, n. 198.
[43] Cfr. Amato, Innalzamento delle punizioni poco proporzionato, in Guida al Diritto, 9 aprile 2016.
[44] Cfr. Massaro, Omicidio stradale e lesioni personali stradali gravi o gravissime: da un diritto penale “frammentario” a un diritto penale “frammentato”, in www.penalecontemporaneo.it, 20 maggio 2016.
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