Cerca
Close this search box.

Ammissione dell’istituto della messa alla prova per l’ente: meccanismo virtuoso con efficacia riparatoria e special-preventiva

Abstract

Il Tribunale di Perugia, in una recente ordinanza, è tornato ad animare il dibattito sulla possibile estensione dell’istituto della messa alla prova alla disciplina della responsabilità da reato degli enti ex d.lgs. 231/2001.Ribaltando le argomentazioni espresse sul tema dalla Suprema Corte e muovendo dal disconoscimento della natura di “trattamento sanzionatorio” in senso stretto della messa alla prova, il Giudice per le Indagini Preliminari rimarca la centralità assunta dalla volontà dell’imputato, chiamato ad esprimere espressamente il suo consenso, e la non eseguibilità in via coattiva del trattamento programmato. In questo senso viene valorizzato il principio di legalità delle norme premiali che, contribuendo al superamento delle incertezze applicative idonee a determinare i presupposti di accesso e del contenuto del programma, ha trovato conferma nella più recente valorizzazione dei percorsi riparatori e ripristinatori alternativi all’esito punitivo operata dalla Riforma Cartabia. A ciò deve aggiungersi, inoltre, anche la circostanza derivante dall’effetto estintivo dell’illecito contestato al verificarsi dell’esito positivo della prova, finendo con l’ampliare così il novero dei procedimenti speciali a disposizione dell’ente. Proprio l’assenza di effetti sfavorevoli in capo all’ente ha indotto il giudice perugino verso l’ammissibilità  dell’applicazione del procedimento speciale disciplinato dagli artt. 168bis, ter e quater c.p. e dagli artt. 464bis e s.s. c.p.p., che si candida così quale sede elettiva per la sperimentazione dei moduli della giustizia riparativa volti a consentire una ricomposizione del conflitto generato dall’illecito penale improntata ad una logica di mediazione e dialogo riparativo, secondo il più autentico spirito del D.lgs. 231/2001 che, per primo, contemplava ipotesi specifiche di condotte riparatorie.

In a recent order, the Court of Perugia has returned to animate the debate on the possible extension of the institution of probation to the regulation of the criminal liability of entities pursuant to Leg. 231/2001. The judge for preliminary investigations reverts the arguments expressed on the subject by the Supreme Court and moves from the disavowal of the nature of ‘punitive treatment’ in the strict sense of probation. It emphasizes the centrality assumed by the will of the defendant, called upon to express his consent, and the non-enforceability of the planned treatment. In this sense, the principle of legality of the reward rules is emphasised, which, contributing to the overcoming the applicative uncertainties that can determine the prerequisites for access and the content of the programme, has found confirmation in the more recent valorisation of the reparative and restorative paths alternative to the punitive outcome operated by the Cartabia Reform. To this must also be added the circumstance deriving from the extinction effect of the contested offence upon the occurrence of the positive outcome of the trial, thus expanding the range of special procedures available to the available to the Entity. It was precisely the absence of adverse effects to the Entity that led the Perugian judge towards the admissibility of the application of the special procedure governed by Articles 168bis, ter and quater of the Criminal Code and by Articles 464bis and s.s. c.p.,  which is thus a candidate as an elective seat for the experimentation of the modules of restorative justice modules aimed at enabling a recomposition of the conflict generated by the criminal offence marked by a logic of mediation and restorative dialogue, according to the most authentic spirit of Legislative Decree no. 231/2001, which first contemplated specific hypotheses of restorative conduct.

Sommario: 1. Introduzione. – 2. Il diverso thema decidendum rimesso alle Sezioni unite. – 3. Applicazione al sistema 231: problematiche interpretative. – 4. Conclusioni.

1. Introduzione

Con l’ordinanza in commento, il Tribunale di Perugia si è espresso favorevolmente rispetto alla vexata quaestio dell’applicabilità agli enti dell’istituto della messa alla prova[1], discostandosi in tal modo dalla posizione di recente espressa dalle Sezioni unite e dunque aderendo al minoritario indirizzo interpretativo già propugnato dalle corti territoriali di Modena[2] e Bari[3].

Il caso sottoposto all’esame del Tribunale di Perugia origina dalla richiesta di sospensione del procedimento con messa alla prova avanzata da una società imputata in relazione all’illecito amministrativo di cui all’art. 25-septies d.lgs. 8 giugno 2001, n. 231, richiesta rispetto alla quale il pubblico ministero aveva espresso il proprio consenso. La decisione fa leva sulla ritenuta compatibilità – seppur con gli adattamenti richiesti dalla peculiare natura del soggetto – tra messa alla prova e procedimento a carico degli enti.

Il giudice perugino, innanzitutto, chiarisce la possibilità di un discostamento dal dictum delle Sezioni unite, rilevando che il tema dell’applicabilità agli enti della disciplina della messa alla prova non è «in alcun modo collegato con l’oggetto del contrasto giurisprudenziale rimesso alla soluzione dell’organo di composizione dei contrasti, che atteneva a una questione prettamente processuale legata alla legittimazione da parte del Procuratore Generale della impugnazione dei provvedimenti emessi in materia di messa alla prova».

Acclarata l’efficacia non vincolante del principio espresso dalle Sezioni unite, l’ordinanza del Tribunale di Perugia ripercorre i passaggi argomentativi di quella sentenza, al fine di smentirne l’efficacia ostativa rispetto all’ammissione degli enti alla prova di cui all’art. 168bis c.p.

Le Sezioni unite, nella richiamata sentenza, muovono convintamente dall’assunto secondo il quale la qualificazione dell’istituto della messa alla prova costituisce «trattamento sanzionatorio penale». Trattasi di una qualificazione che la Suprema Corte ritiene evincibile da numerose pronunce del giudice delle leggi, tra le quali appare emblematica la sentenza n. 91 del 2018[4], nella quale la Corte costituzionale enuclea tutti gli indici rivelatori della natura sanzionatoria dell’istituto della messa alla prova. Ad avviso della Suprema Corte, l’indubbia connotazione sanzionatoria della messa alla prova risulta radicalmente incompatibile con la natura della responsabilità da reato degli enti, ormai pacificamente riconducibile non già al sistema penale, bensì ad un tertium genus che dal primo mutua solo i presidi di garanzia.

Le Sezioni unite, alla luce dell’inquadramento della responsabilità degli enti nell’ambito di un tertium genus, dell’affermata natura sanzionatoria della messa alla prova e della asserita incompatibilità tra le medesime, ha ritenuto inapplicabile l’istituto di cui agli artt. 168-bis ss. c.p. agli enti, in primo luogo in ossequio al principio della riserva di legge, quale corollario del fondamentale principio di legalità della pena di cui all’art. 25, comma 2, Cost. Siffatto principio, infatti, vieta l’applicazione, per il tramite di operazioni interpretative estensive o analogiche, di pene in senso sostanziale – quale, ad opinione delle Sezioni unite, la messa alla prova – a soggetti non espressamente contemplati dalla legge come destinatari delle medesime. Le Sezioni unite affermano che, a fortiori, il principio di legalità della pena osta all’innesto di un trattamento sanzionatorio penale in un sistema affatto assimilabile a quello penale e riguardante gli enti, i quali rappresentano «soggetti giammai indicati come destinatari di precetti penali».

Nell’impostazione teorica adottata dalle Sezioni unite, dunque, il risultato dell’estensione agli enti dell’istituto della messa alla prova, in assenza di norme di richiamo o coordinamento, non può essere raggiunto né attraverso una interpretazione estensiva, posto che difettano i presupposti di una simile opzione, né, tantomeno, attraverso una analogia in bonam partem, pur ammessa, a certe condizioni, in materia penale. L’operazione ermeneutica da ultimo citata risulterebbe preclusa tanto dalla natura disomogenea dei sistemi messi in relazione, quanto dal principio di tassatività – ulteriore corollario del principio di legalità della pena –, ostando tale principio alla possibilità che la perimetrazione dell’ambito applicativo di un trattamento sanzionatorio sia rimesso all’elaborazione giurisprudenziale.

Il Tribunale di Perugia ribalta le argomentazioni spese dalla Suprema Corte, muovendo, innanzitutto, da una diversa premessa teorica: ad essere revocata in dubbio è, infatti, già la natura di “trattamento sanzionatorio” in senso stretto della messa alla prova. Il Giudice per le Indagini Preliminari, a tal proposito, pone in evidenza la centralità assunta dalla volontà dell’imputato (il cui esplicito consenso è imprescindibile) e la non eseguibilità in via coattiva del trattamento programmato: l’ammissione al rito alternativo in argomento, in sostanza, «dà luogo ad un’attività rimessa alla spontanea osservanza delle prescrizioni da parte dell’imputato, il quale liberamente può farla cessare con l’unica conseguenza che il processo sospeso riprende il suo corso». A tali considerazioni si aggiunge, poi, quella per cui l’esito positivo della prova ha effetto estintivo dell’illecito contestato, offrendo, così, all’ente un ulteriore procedimento speciale a sua disposizione, in alternativa al giudizio.

La ricostruzione nei termini suesposti della messa alla prova di cui all’art. 168-bis c.p. restituisce l’immagine di un istituto privo di effetti sfavorevoli nei confronti dell’ente: è proprio il dato dell’assenza di effetti sfavorevoli per l’imputato che consente al giudice perugino di ammettere una applicazione analogica dell’istituto anche nei confronti degli enti. Il giudice per le Indagini Preliminari, infatti, accede ad una concezione del divieto di analogia in materia penale parzialmente divergente rispetto a quella propugnata dalle Sezioni unite: aderendo all’impostazione ormai prevalente in giurisprudenza, il giudice perugino valorizza la ratio garantistica alla base del divieto di analogia per affermare che lo stesso opera solo rispetto alle norme di sfavore per l’imputato, alle disposizioni stricto sensu punitive e non con riguardo a norme di favore. Il riconoscimento del carattere “relativo” del divieto di analogia consente di ammettere l’applicazione analogica in bonam partem della sospensione del procedimento con messa alla prova anche agli enti sottoposti ai procedimenti di cui al d.lgs. n. 231/2001.

Il Tribunale di Perugia, infine, supera anche l’ulteriore perplessità manifestata nella sentenza delle Sezioni iunite con riferimento alla sottoponibilità degli enti alla messa alla prova di cui all’art. 168-bis c.p.: tale preoccupazione riguarda la circostanza che, attraverso l’esperimento trattamentale della messa alla prova, ad espiare le colpe dell’ente siano nella sostanza i suoi organi, in quanto «chiamati a rieducarsi per conto di un diverso soggetto». Sul punto, l’ordinanza evidenzia che l’ente è responsabile per i reati commessi dalle persone fisiche che agiscono nel suo interesse o a suo vantaggio, per cui, nel caso in cui l’organizzazione del medesimo risulti inadeguata alla prevenzione del rischio di commissione di specifici illeciti penali, non vi è alcuna ragione per ritenere che una messa alla prova dell’ente, con il suo diretto coinvolgimento, possa determinare una immedesimazione rovesciata in cui le persone fisiche sono chiamate alla risocializzazione per conto della persona giuridica. Così come la responsabilità amministrativa da reato investe direttamente e “personalmente” l’ente, allo stesso modo il programma trattamentale idoneo alla sospensione con messa alla prova deve sostanziarsi in un impegno diretto della società in vista di un suo rientro sul mercato nel pieno rispetto della legalità.

Con specifico riferimento ai fatti oggetto del provvedimento giurisdizionale, l’ordinanza in commento, applicando la prospettiva teorica rassegnata, attribuisce rilievo determinate al fatto che l’ente ha intrapreso tutte le condotte esigibili in vista della riparazione dell’offesa arrecata dall’illecito, inserendosi in un effettivo e concreto percorso di appianamento del conflitto sociale conseguente alla condotta antigiuridica. In primo luogo, la società imputata ha provveduto al risarcimento integrale del danno subito non solo in via diretta e immediata dalla persona offesa, ma anche quello subito dai prossimi congiunti della medesima. Oltre all’adempimento degli obblighi risarcitori, la società ha adottato un valido modello di organizzazione, gestione e controllo e ha istituito un organismo di vigilanza deputato alla costante verifica dell’adeguatezza dello stesso. Proprio l’adozione di un modello organizzativo volto alla prevenzione del rischio di reati delle persone fisiche viene, in seno all’ordinanza, valorizzato come elemento su cui fondare una favorevole prognosi di astensione dell’ente dalla commissione di ulteriori illeciti.

Il Tribunale di Perugia ha, inoltre, ritenuto idoneo il programma trattamentale elaborato dall’U.E.P.E. di Perugia, in quanto contenente l’impegno della società in relazione ad una serie di attività, comportamenti e prescrizioni attinenti anche al volontariato e al lavoro di pubblica utilità. Tra queste, figura il finanziamento di un corso di formazione in materia di sicurezza e salute sui luoghi di lavoro.

Tutte le considerazioni svolte consentono di ritenere soddisfatte le condizioni per l’accesso alla sospensione con messa alla prova, declinando la preminente finalità rieducativa connaturata all’istituto in esame nei peculiari termini della compliance richiesta ai soggetti collettivi.

2. Il diverso thema decidendum rimesso alle Sezioni unite

La questione posta al vaglio delle Sezioni Unite era stata rimessa dalla Quarta sezione penale della Suprema Corte[5]: il contrasto interpretativo concerneva la questione se il procuratore generale fosse o no legittimato a proporre impugnazione per saltum avverso l’ordinanza che ammette l’imputato alla messa alla prova ai sensi dell’art. 464-bis c.p.p. nonché avverso la sentenza pronunciata ai sensi dell’art. 464-septies c.p.p. e quali fossero i vizi deducibili con il ricorso[6].

Il quesito rimesso alle Sezioni unite riguarda un aspetto diverso e la motivazione, per quanto articolata, non approfondisce la tematica dell’ammissibilità o meno della messa alla prova, non potendo convincere infatti il ragionamento sull’incompatibilità dell’istituto semplicemente definendo la responsabilità amministrativa quale tertium genus, lasciando così ampio spazio a decisioni giurisprudenziali diverse.

D’altro canto, il comma 1 bis dell’art. 618 c.p.p. non vincola direttamente il giudice di merito, ma rimane confinato ai rapporti interni alla Cassazione, in quanto impedisce alla sezione semplice della Cassazione di decidere in senso difforme a “un principio di diritto enunciato dalle Sezioni Unite”: se in disaccordo, la sezione semplice è piuttosto tenuta a rimettere il ricorso al massimo collegio, potendo offrire ed esplicare a mezzo della relativa ordinanza le ragioni della propria divergenza interpretativa[7]. È escluso, quindi, che il meccanismo di rimessione obbligatoria si possa applicare anche ai giudici di primo e secondo grado, sia per la natura eccezionale della predetta disposizione che per il principio di legalità processuale ex art. 111, comma 1, Cost.[8]

Su questa scia si colloca l’ordinanza del Tribunale di Perugia, che ritiene l’affermazione dell’inaccessibilità all’istituto della messa alla prova per l’ente non logicamente pregiudiziale o consequenziale rispetto al principio concernente la questione della legittimazione affrontata dalle Sezioni unite.

Resta fermo che tale ordinanza, laddove impugnata ex art. 606, comma 1, lett. b), c.p.p., sarebbe con ogni probabilità annullata dalla Cassazione, la quale si porrebbe in senso conforme alle Sezioni unite.

3. Applicazione al sistema 231: problematiche interpretative

La possibilità di estendere al procedimento a carico dell’ente istituti che non sono disciplinati nel d.lgs. n. 231/2001 ha posto dei problemi in dottrina e giurisprudenza, in particolare in merito alla costituzione di parte civile e la messa alla prova.

Entrambe le questioni vengono affrontate partendo da un presupposto: la giurisprudenza di legittimità sostiene che ente e imputato non sono figure assimilabili e i rispettivi procedimenti possono viaggiare su binari paralleli; alle volte hanno profili di intersezione ma rimangono comunque diversi. Di talché, ove il legislatore non abbia previsto l’applicazione nel d.lgs. n. 231/2001 di determinati istituti, questi ultimi, di principio, non possono essere applicati facendo leva sul criterio di compatibilità espresso negli artt. 34 e 35 del suddetto decreto. Sempre seguendo il ragionamento della Cassazione, l’illecito è amministrativo perché in tale direzione volge il dato normativo: più volte nel testo di legge c’è il riferimento alla responsabilità amministrativa e quindi si tratterebbe di un illecito amministrativo connesso a quello penale; è giudicato dal giudice penale semplicemente in ragione di quel rapporto di connessione, perché immaginare la separazione dei giudizi avrebbe creato il rischio di possibili conflitti fra decisioni differenti.

Si tratta di un illecito amministrativo “particolare”, complesso, che è correlato all’avvenuta commissione di un reato. Ed è su questa fattispecie complessa che è necessario ragionare: l’affermata natura di tertium genus della responsabilità ex crimine dell’ente – ribadita dalle Sezioni unite – non può valere di per sé a escludere la messa alla prova, perché è un’affermazione che implica si tratti di una responsabilità connotata in parte come penale e in parte come amministrativa[9]. Valorizzando il principio di legalità delle norme premiali, le eccessive incertezze applicative in sede di determinazione dei presupposti di accesso e del contenuto del programma di svolgimento della prova sono superabili, in quanto il giudice potrebbe rimodulare la disciplina pensata per la persona fisica in base alle caratteristiche della persona giuridica.

La questione interpretativa, in verità, appare limitata ai soli presupposti soggettivi, poiché nessun problema di adeguamento richiedono, invece, quelli oggettivi: l’applicazione dell’istituto della messa alla prova all’ente dovrebbe potersi affermare quando il reato presupposto rientri nei limiti edittali che sono previsti per l’istituto rispetto alla persona fisica[10]. Quindi, sarebbe consentito per diverse fattispecie, tra cui le lesioni colpose gravi e gravissime[11], le contravvenzioni ambientali ex art. 25 undecies[12] e i reati più vari quali ricettazione, frode in commercio, falsi informatici[13].

Più difficile appare il superamento dei presupposti soggettivi: come anticipato, l’ammissione alla sospensione ex art. 168-bis c.p. risulta preclusa ai delinquenti abituali, professionali o per tendenza e presuppone un favorevole giudizio prognostico attenente alla personalità del reo. In ogni caso, così come motivato nell’ordinanza del Tribunale di Perugia, le eccessive incertezze applicative in sede di determinazione dei presupposti di accesso e del contenuto del programma di svolgimento della prova appaiono completamente superabili, in quanto il giudice può rimodulare la disciplina pensata per la persona fisica in base alle caratteristiche della persona giuridica. Posto che, specularmente a quanto previsto nel codice di procedura penale, bisognerebbe limitare la messa alla prova a quelle società che non ne abbiano già usufruito in precedenza, uno spunto interpretativo potrebbe essere l’assenza di una reiterazione ex art. 20 d.lgs. n. 231/2001; non è un limite interpretativo insuperabile. Infatti, per la prognosi di mancata recidiva e affidabilità del soggetto che viene ammesso alla prova, se si valuta la gravità del reato anche nella sua dinamica completa e la capacità a delinquere del colpevole ecco che, traslando tali requisiti, si possono ammettere alla prova enti dotati ex ante di un modello organizzativo e di una politica d’impresa con una struttura preventiva rispetto al reato presupposto. Ancora, si possono prendere a riferimento le condotte riparatorie già adottate, valutare l’atteggiamento tenuto dall’ente nel corso del processo: se ha già risarcito il danno, se ha collaborato con le indagini, se l’Organismo di Vigilanza ha compiuto un’attività proattiva, gli eventuali procedimenti pregressi, e se operi in condizioni socioeconomiche che possano portare o meno alla recidiva nel corso della prova o anche successivamente.

In merito alle condotte riparatorie e restitutorie, il programma “riabilitativo” potrebbe consistere, ad esempio, nella rimodulazione dei modelli di organizzazione e controllo, insieme a una condotta consistente nel mettere a disposizione le risorse dell’ente ai fini sociali. Ciò che appare convincente nell’ammissione dell’ente all’istituto della messa alla prova è che, nel caso in cui il modello adottato ex art. 6 d.lgs. n. 231/2001 sia stato valutato inadeguato dal giudice, l’ente potrebbe chiedere fin dalle indagini, in modo da evitare anche il rinvio a giudizio, una “messa alla prova” che abbia ad oggetto una riorganizzazione effettivamente virtuosa, ottenendo l’estinzione dell’illecito[14].Superabile è anche il profilo dell’affidamento ai servizi sociali e il lavoro di pubblica utilità: il giudice del Tribunale di Perugia, nell’ordinanza in commento, ha ritenuto idoneo il programma di trattamento elaborato dall’U.E.P.E. insieme al rappresentante legale: «Da un’attenta analisi, poi, del programma di trattamento elaborato dall’U.E.P.E. di Perugia si ricava che lo stesso, in ossequio a quanto disposto dall’art. 464bis c.p.p., contempla una serie di attività, prescrizioni e condotte, che rispondono alle caratteristiche proprie della messa alla prova che si sostanziano in prescrizioni e altri impegni specifici (tra cui il volontariato), nonché prescrizioni attinenti al lavoro di pubblica utilità», lavoro di pubblica utilità che va inteso come percorso di risocializzazione e non come misura afflittiva[15]. In conclusione, l’ordinanza ritiene ampiamente superate le perplessità manifestate dalla Corte di cassazione.

4. Conclusioni

La decisa valorizzazione dei percorsi riparatori e ripristinatori alternativi all’esito punitivo operata dalla recente Riforma Cartabia ha attribuito un rilievo applicativo ancor più consistente all’istituto della sospensione del procedimento con messa alla prova dell’imputato. Il procedimento speciale disciplinato dagli artt. 168-bis, ter e quater c.p. e dagli artt. 464-bis e ss. c.p.p. si propone, infatti, quale sede elettiva per la sperimentazione dei moduli della giustizia riparativa volti a consentire una ricomposizione del conflitto generato dall’illecito penale improntata ad una logica di mediazione e dialogo riparativo[16]. È senza dubbio anche in considerazione di un simile risvolto operativo che la Riforma Cartabia ha ampliato le possibilità di accesso all’istituto in argomento, prevedendo, innanzitutto, che anche il pubblico ministero possa attivarsi per la richiesta di definizione del procedimento penale attraverso la sospensione con messa alla prova ed estendendo, inoltre, il novero dei reati con lo stesso compatibili.

Il ruolo cruciale rivestito dall’accesso al procedimento alternativo della sospensione con messa alla prova rispetto all’effettività del sistema di giustizia riparativa si riesce a cogliere, senza difficoltà, guardando alla connotazione del primo come fase incidentale, come vera e propria “parentesi” nel corso ordinario del processo, occupata da quello che viene definito nei termini di un “esperimento trattamentale”[17].

Attraverso la sospensione di cui all’art. 168-bis c.p. è, infatti, garantito uno spazio per il dipanarsi di un percorso rieducativo e riparatorio capace di obliterare la necessità non solo di un processo penale, ma, in caso di esito positivo della prova espletata, anche dell’irrogazione di una pena. Il significato ultimo dell’istituto, infatti, resta ancorato alla necessità di potenziare al massimo l’imprescindibile fine rieducativo, anche e soprattutto attraverso la rinuncia ad una pena non necessaria in vista del raggiungimento di tale scopo.

Indubitabile è inoltre l’effetto deflattivo dell’istituto, che trova conferma nell’ampliamento delle ipotesi applicative ad opera della recente riforma: come si è sostenuto, infatti, considerati gli ottimi risultati statisticamente rilevati, la sospensione del processo con messa alla prova «contribuisce poi a ridurre la durata media del processo e riveste, pertanto, una importanza strategica rispetto agli obiettivi del PNRR e di efficienza complessiva»[18]. In ordine all’applicabilità dell’istituto all’ente si ritiene non rilevino particolari difficoltà nel valorizzare la componente processuale dello stesso e nel definire il lavoro di pubblica utilità come un percorso di risocializzazione con finalità anche riparatorie[19].Superabile è il mancato richiamo espresso nel d.lgs n. 231/2001essendo di precedente emanazione rispetto alla legge che ha introdotto questo nuovo istituto nel codice di procedura penale; del resto, la disciplina degli enti manca anche del riferimento ad altri procedimenti penali speciali come l’immediato e il direttissimo, che sono stati estesi in via analogica[20]. Un importante appiglio interpretativo è rinvenibile nell’art. 49 d.lgs. n.231/2001, secondo il quale l’ente può ottenere la sospensione delle misure cautelari interdittive grazie agli adempimenti descritti nell’art. 17 d.lgs. n.231/2001 (condotte riparatorie, restitutorie, risarcitorie e disponibilità ad adottare un modello organizzativo adeguato). Lo scopo di tali misure è, quindi, proprio quello di far sì che l’ente adotti quell’organizzazione virtuosa che non aveva e che ha agevolato la commissione dell’illecito.

In linea con quanto affermato, si è parlato di una moderna “messa alla prova” aziendale per una tutela recuperatoria in occasione dell’introduzione dell’obbligo di “adottare ed efficacemente attuare misure organizzative, anche ai sensi degli artt. 6, 7 e 24ter del d.lgs. 231” di cui all’art. 34bis comma 3, lett. d) Codice Antimafia, rubricato come “Controllo giudiziario delle aziende”[21] In una prossima riforma della 231, sul piano dell’opportunità politico-criminale sarebbe quindi auspicabile un intervento legislativo specificamente volto a prevedere l’accesso alla messa alla prova in favore dell’ente: epilogo importante perché la funzione esimente del modello organizzativo ex art. 6 d.lgs. n.231/2001 è risultata e risulterà difficile da applicare[22].

In questo senso si è espressa di recente la Quinta sezione penale della Corte di cassazione, che ha esteso la nozione di controllo societario, allargando l’area delle possibili contestazioni alle imprese per violazioni del decreto 231 «anche per i reati commessi dai componenti formali del collegio sindacale, i quali in concreto svolgano, come attestato dalla ricorrenza degli indici disvelatori delle qualifiche ex art. 2639 del Codice Civile, anche il ruolo di amministratori di fatto dell’ente».[23]. Ovvio che le società saranno più portate a un patteggiamento che a difendersi in sede processuale, patteggiamento che nella piccola e media impresa diventa un costo e non porta alcun valore aggiunto. La messa alla prova consente invece di attivare un meccanismo virtuoso, molto più efficace non solo in un’ottica riparatoria ma anche in un’ottica social-preventiva. L’ente si spende in un percorso di miglioramento della propria organizzazione capitalizzando lo sforzo ed evitando le sanzioni interdittive [24].

Nel frattempo, la dottrina suggerisce de lege ferenda una possibile disciplina adeguata alla realtà ontologica e operativa della società[25] spingendo per la configurazione di questo illecito come penale; e la giurisprudenza di merito non si acquieta alle decisioni della Cassazione.

Entrambe, dottrina e giurisprudenza, provano a superare la lacuna del mancato intervento del legislatore.


[1]Sez. un., 27 ottobre 2022, n. 14840, Società La Sportiva, in Giur. it., 2023, p. 2744, con nota di Cascini, La negata estensione della sospensione del procedimento con messa alla prova alle società.

[2] G.I.P. Trib. Modena, ord.- 19 ottobre 2020, in Giur. pen. online, 25 ottobre 2020, con nota di Garuti – Trabace, Qualche nota a margine della esemplare decisione con cui il Tribunale ha ammesso la persona giuridica al probation, .

[3] Trib. Bari, ord. 22 giugno 2022, ivi, 1 luglio 2022, con nota di Martin, Sospensione del Procedimento con messa alla prova e D. lgs. 231/2001: quale futuro per l’ente? .

[4] Corte cost., 21 febbraio 2018, n. 91, in Cass. pen., 2018, p. 3194, con nota di Maffeo, Novità sistematiche in tema di messa alla prova. Per una riconsiderazione, costituzionalmente compatibile, del rapporto tra pena e processo.  

[5] Sez. IV, ord. 23 marzo 2022 n. 15493 in Cass. pen., 2022, p. 3646.

[6] Si è concluso che il Procuratore generale presso la Corte d’Appello è legittimato – al pari del Procuratore della Repubblica – a ricorrere immediatamente avverso l’ordinanza di ammissione alla prova ex art. 464-quater, comma 7, c.p.p., qualora gli sia stata ritualmente comunicata. L’impugnazione dell’ordinanza, pur se tempestiva, non sortisce effetti in merito al periodo di prova già trascorso, creando così un vulnus. Cessato il termine perentorio per impugnare, l’ammissione dell’ente alla prova non dovrebbe più essere messa in discussione. Addirittura, nel caso in cui l’ordinanza non sia stata ritualmente comunicata all’organo di accusa, quest’ultimo potrebbe impugnarla unitamente alla sentenza di proscioglimento, creando anche in questo caso una distonia nel sistema in merito alle condotte riparatorie già poste in essere

[7] Cfr. Damosso, Quali vincoli argomentativi per il giudice di merito di fronte al precedente di Cassazione? Cass. pen., 2023, p. 3833.”.

[8] Fidelbo, Verso un sistema del precedente? Sezioni unite e principio di diritto, in Dir. pen. cont. online, 28 gennaio 2018).

[9] Cfr. Trib. Bari, 15 giugno 2023; in questo senso, Damosso, op. cit. p. 3833, secondo cui avrebbe dovuto piuttosto valorizzarsi l’esclusione dell’applicazione analogica dell’istituto per come è attualmente formulato, discendendone a livello processuale l’abnormità c.d. strutturale dell’ordinanza di ammissione dell’ente e la conseguente sentenza di non doversi procedere a causa dell’estinzione del reato, trattandosi di atti radicalmente avulsi dal sistema penale, sebbene in astratto manifestazione di legittimo potere” ; v. anche Fidelbo – Ruggiero, “Procedimento a carico degli enti e messa alla prova: un possibile itinerario”, in Resp. amm. soc. enti, n. 4/2016, p. 9- 25.

[10] Reati puniti con la sola pena edittale pecuniaria o con la pena edittale detentiva non superiore nel massimo a quattro anni, nonché i delitti indicati dall’art. 550, co 2, c.p.p.

[11] Dal punto di vista dell’imputato persona fisica i precedenti in materia di sicurezza sul lavoro la messa alla prova è un istituto cui si ricorre in maniera diffusa.

[12] Eccezion fatta per i delitti ambientali più gravi previsti dalla legge 22 maggio 2015, n. 68, incluso il delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti.

[13] Indispensabile è il riferimento a un articolo anticipatore dell’applicazione della messa alla prova nei confronti delle persone giuridiche in una logica special-preventiva della normativa: Cfr. Fidelbo – Ruggiero,,  op. cit.,che propongono un ampliamento dell’ambito oggettivo di applicazione.

[14] In argomento, cfr. Bronzo, Altri procedimenti speciali e giudizio, in Responsabilità da reato degli enti, vol. II, Giappichelli, 2020, p 272, il quale ha osservato che «l’istituto offrirebbe anche un ulteriore vantaggio: oggi la circostanza che sia consentito all’ente, già nella fase investigativa, di mettere in atto condotte riparatorie ottenendo l’archiviazione da parte del pubblico ministero , fa temere un’autarchia dell’accusatore, che per un verso si trova a valutare, da solo, l’adeguatezza della riparazione e per altro verso potrebbe sollecitare – attraverso quest’allettamento – la delazione dell’ente nei confronti degli autori dei reati presupposto: questo rischio risulterebbe invece formalmente ridotto dalla formalizzazione processuale della riorganizzazione della società e dal coinvolgimento del giudice».

[15] In particolare la società, d’intesa con la Croce Rossa di Città di Castello, si è impegnata a finanziare un corso di formazione – svolto da esperti della Croce Rossa – della durata di venti ore in materia di primo soccorso e sicurezza e salute sui luoghi di lavoro, da svolgere presso l’Istituto Superiore Itis di Città di Castello, a seguito del quale verrà rilasciato un attestato di partecipazione del quale potranno beneficiare gli studenti per lo svolgimento dei programmi di alternanza scuola-lavoro. Oltre all’organizzazione del corso, la società si è impegnata a versare somme di denaro in favore della Croce Rossa.

[16] Lugli, Principali novità della riforma della giustizia penale “Cartabia” di particolare interesse per imprese e professionisti, in Riv. dei dottori comm. 1 febbraio 2023.

[17] Sez. un., 31 marzo 2016, n. 36272, Sorcinelli, in Cass. pen., 2016, 12, 4334.

[18] Rel. ill. d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, p. 303.

[19] Cfr. Maffeo, “I profili processuali della sospensione con messa alla prova”, Napoli, ESI, 2017, p. 103-104.

[20] Cfr. Bronzo, op. cit., p. 269-293.

[21] Cfr. Sez. VI, 4 aprile 2019, n. 22889, in C.E.D. Cass. n. 275531, secondo la quale  «le aziende e imprese costituiscono sia per la compagine soggettiva che per il dinamismo che ne caratterizza l’operatività, soggetti giuridici che possono attivare sinergie per la rimozione di quelle condizioni di infiltrazioni e di agevolazione criminale e che, pertanto, possono avviarsi sulla via della bonifica adottando modelli di organizzazione e gestione risanati».

[22] Cfr. Bronzo, op. cit., p. 272.”

[23] Cfr. Sez. V, 26 gennaio 2024, n. 3211, in C.E.D. Cass. n. 285847-02. che estende l’art. 5, primo comma, lett. a) ultimo periodo del d.lgs. n. 231/2001 al collegio sindacale.

[24] La sospensione con messa alla prova nel procedimento a carico degli enti, Workshop, Tavoli 231, Milano, 8 marzo 2018, su www.rivista231.it

[25] Cfr. Fidelbo-Ruggiero, op. cit., p. 9-25.

Condividi su:

Articoli Correlati
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore
Lorem ipsum dolor sit amet, consectetur adipiscing elit, sed do eiusmod tempor incididunt ut labore et dolore