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Imprescrittibilità dei reati di terrorismo

«In nome e per conto del popolo italiano». Avrebbero dovuto pronunciarla questa frase, e con tono solenne, gli uomini de la police judiciaire nel mettere i ferri ai polsi dei latitanti dei nostri anni di piombo.
Il sentire degli italiani è sempre stato uno solo: condanna della violenza praticata dai terroristi sbandierando un credo rivoluzionario, ripudiato dalla coscienza popolare, e difesa dagli attacchi eversivi dietro i quali si intravedeva l’orizzonte di una feroce dittatura.
Ed è proprio vero che le vittime di quella tragica stagione non sono stati soltanto gli uomini politici, i magistrati e i poliziotti gambizzati o brutalmente abbattuti dalle raffiche di kalashnikov dei brigatisti.
Vittime della strategia del terrore siamo stati anche tutti noi cittadini di un Paese martoriato, costretti in quegli anni a subire l’assedio di un rituale di morte che voleva imporci la resa alle forze della eversione. Il terrorismo colpisce uomini in carne ed ossa per distruggere i simboli delle istituzioni democratiche e così come ammoniva il barbaro lessico dei brigatisti, si mirava ad «educare le masse».
A far male a noi tutti è stato anche lo spettacolo degli italiens reduci dalla lotta armata seduti ai tavoli dei caffè parigini quasi volessero esibire il privilegio di un esilio dorato.
La scudo della dottrina Mitterand è stato per il nostro Paese come un sale versato su una ferita aperta.
Ora – è vero – dobbiamo dire «grazie» ai francesi.
Ma la svolta di oggi conferma che non c’è spazio a livello internazionale per la protezione della libertà di chi ha commesso reati che hanno
leso il bene primario della convivenza civile.
Qualcuno non è oggi insensibile all’argomento del tempo trascorso e pensa che si dovrebbe tener conto che i terroristi di ieri sono oggi innocui vecchietti, lontani mille miglia dagli ideali rivoluzionari.
Non è vero però che oggi sopravvivono soltanto le «ombre rosse» del passato.
Il ricordo degli anni di terrore è ancora vivissimo nell’animo degli italiani.
Per chi ha sofferto con le vittime dirette quei tragici momenti, l’idea di fondo è che non si debba parlare di prescrizione dei reati e delle pene.
I delitti commessi per colpire una intera comunità devono essere imprescrittibili, proprio come il reato di genocidio.
La loro lesività ha infatti un raggio di azione larghissimo e si traduce in una forma di attentato permanente al vivere civile quotidiano, così da suscitare in ciascuno di noi l’ossessione di dover soccombere in ogni angolo della via e persino nelle nostre case all’attacco delle
forze eversive.
Non a caso la Convenzione europea sulla imprescrittibilità dei crimini contro l’umanità e dei crimini di guerra, entrata in vigore nel 2003, prevede espressamente che la prescrizione possa essere resa inoperante con riguardo ai delitti che offendono beni giuridici ormai affiorati sul piano della sensibilità internazionale, così da rendere percepibile che la loro lesione è della stessa natura di quella causata dai reati di genocidio e di guerra.
C’è quindi da fare un passo in questa direzione nel nostro sistema.
Per non dimenticare mai tutte le sofferenze generate dalla strategia del terrore.

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