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L’ergastolo ostativo nella sua attuale formulazione: le maggiori e persistenti criticità rispetto ad un’idea di pena come integrazione sociale

ABSTRACT

A più di un anno dall’ entrata in vigore del d.l. n.162/2022 si analizzano gli aspetti della riforma più critici rispetto ad un’idea di pena come integrazione sociale. Si vedrà che il nuovo art-4 bis ord.penit. si allontana ancor di più, rispetto alla precedente disciplina, dalla fisionomia della pena delineata in Costituzione; infatti, non basta l’eliminazione di una presunzione assoluta di non rieducazione, trasformata in una preclusione comunque semi- assoluta, per ritenere il nuovo ergastolo ostativo più vicino al principio rieducativo poiché, in cambio di ciò, sono adesso previsti, come si evidenzierà, tutta una serie di peggioramenti come, ad esempio, l’eliminazione della collaborazione impossibile.

More than a year after the legislative decree n.162/2022 came into effect, the aspects of the reform analyzed  are  more critical compared to an idea of ​​ integration as function of punishment. It will be seen, in fact, that the new art-4 bis  of the prison system moves away, in many aspects, even more than the previous discipline, from the description of the punishment outlined in the Constitution; the elimination of absolute presumption of non-re-education, transformed  it into a semi-absolute preclusion, to argue that the new art-4 bis  of the  Italian prison. system is closer to the re-educational principle since, in exchange for this, a whole series of worsening are now foreseen, such as, for example, the elimination of impossible collaboration, as will be highlighted.

Sommario: 1. Premessa. – 2. Le nuove condizioni di accesso ai benefici penitenziari: le vistose contraddizioni rispetto ad un’idea di pena come integrazione sociale. – 3. Le modifiche alla disciplina della liberazione condizionale e della libertà vigilata: un passo avanti e tantissimi indietro. – 4. L’eliminazione della collaborazione impossibile, inesigibile, irrilevante: un incredibile arretramento rispetto alla finalità rieducativa della pena. – 5. Ergastolo ostativo e art.41-bis: una nuova preclusione legale assoluta. – 6. Le modifiche al catalogo dei reati ostativi: ancora troppa timidezza da parte del legislatore nel perseguire le finalità preventive della pena.

1. Premessa

A più di un anno dall’entrata in vigore del d.l. n.162/2022, conv. con modif. dalla l. n.199/2022, risulta necessario soffermarsi su alcuni aspetti problematici dell’attuale disciplina dell’ergastolo ostativo rispetto ad un’idea di pena come integrazione sociale espressiva dei valori della Costituzione; ciò al fine di verificare se vi sono stati, effettivamente, passi in avanti rispetto alla funzione della pena delineata dai Costituenti o se, invece, ciò è avvenuto soltanto sulla carta, mentre, di fatto, permangono – se non, addirittura, per certi versi, aumentano – profili di incompatibilità dell’istituto di cui all’art. 4-bis ord. penit. rispetto ad un’idea di pena risocializzante.

Giova ricordare, brevemente, che negli ultimi anni vi era stato un cambio di passo da parte della Corte costituzionale in materia di ergastolo ostativo, dapprima con la sentenza n. 253/2019[1], che, tuttavia, aveva ad oggetto soltanto l’accesso ai permessi premio da parte dei condannati per reati di mafia. Per effetto della pronuncia della Corte costituzionale, per la prima volta a tale beneficio potevano avere accesso anche i condannati non collaboranti, a patto che fossero acquisiti elementi tale da escludere sia l’attualità che il pericolo di ripristino di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva. La sentenza del 2019, pur occupandosi soltanto dei permessi premio, ha rappresentato una prima svolta[2] rispetto all’ergastolo ostativo, soprattutto se si considera che pochi mesi prima, nello stesso anno, vi era stata la storica sentenza Viola c. Italia della Corte EDU[3] che aveva dichiarato l’ergastolo ostativo contrario al principio di umanità della pena di cui all’ art. 3 della CEDU.[4]

Tuttavia, le aspettative suscitate da queste pronunce venivano disattese, successivamente, dalla Corte costituzionale che, con l’ordinanza n. 97/2021[5],  accertava, ma non dichiarava contestualmente, l’illegittimità costituzionale dell’ergastolo ostativo in merito alla possibilità di accesso alla liberazione  condizionale per i condannati per reati di mafia.[6] La Corte, infatti, rinviava di un anno, al 10 maggio 2022, la trattazione nel merito della questione, ritenendo,  in una – discutibile – logica di collaborazione istituzionale, che un intervento demolitorio avrebbe pregiudicato la complessiva tenuta della normativa di contrasto alla mafia e sollecitando un rapido intervento del legislatore.

Com’è noto, il Parlamento ha cercato, in un primo momento, di rispondere al monito della Corte costituzionale attraverso una proposta di legge, frutto dell’unificazione di quattro proposte di iniziativa parlamentare presentate tra il 2019 e il 2021 da diverse forze politiche. Non essendosi completato l’iter parlamentare entro la data prefissata dalla Corte, quest’ultima, con ordinanza n. 122/2022, dispose un secondo rinvio all’8 novembre 2022 in virtù dello stato di avanzamento dell’iter di formazione della legge, approvato solo dalla Camera dei deputati il 31 marzo 2022.

Il 31 ottobre 2022, il nuovo Governo ha, poi, a sorpresa, riesumato il disegno di legge presentato nella precedente legislatura riproponendolo con pochissime variazioni, nella forma del d.l. n.162 del 31 ottobre 2022, poi convertito, con modifiche, dalla l. n.199/2022.[7]

Orbene, si vedrà che la nuova formulazione dell’art. 4-bis ord. penit. si presta a numerose critiche, non solo rispetto alle aspettative suscitate dalla Corte Costituzionale con l’ordinanza n. 97/2021, ma, soprattutto, rispetto alla fisionomia della pena delineata dalla Costituzione.

Infatti, per comprendere la coerenza di qualsiasi istituto e, dunque, anche dell’ergastolo ostativo, rispetto ai principi costituzionali non bisogna mai tralasciare i rapporti tra dommatica e politica criminale, in quanto è fondamentale che il diritto penale sia orientato ad un sistema di valori. Le istanze di politica criminale sono ricavabili, per quanto riguarda la pena, dalla Costituzione e, in particolare, i riferimenti teleologici sono individuabili nell’art. 27 commi 1 e 3, nell’art. 25 commi 2 e 3, nell’art. 3 della Costituzione e in tutti gli altri principi di quest’ultima espressivi dei valori di uno Stato sociale di diritto. Dalla Costituzione si ricavano, dunque, per la pena le finalità di prevenzione generale positiva, ovvero di orientamento dei consociati intorno ai valori dell’ordinamento e di prevenzione speciale positiva, cioè di risocializzazione.[8]

Orbene, è utile vagliare la coerenza delle principali novità introdotte in tema di ergastolo ostativo dal d.l. n. 162/2022 rispetto alle finalità preventive della pena per verificare se vi sia stato un effettivo allineamento dell’art. 4 bis alla fisionomia della pena delineata in Costituzione.

2. Le nuove condizioni di accesso ai benefici penitenziari: le vistose contraddizioni rispetto ad un’idea di pena come integrazione sociale.

Le prime contraddizioni rispetto ad un’idea di pena come integrazione sociale dell’attuale art. 4-bis ord. penit. riguardano le nuove condizioni di accesso ai benefici penitenziari introdotte dal d.l. n. 162/2022.

La rimodulazione dei requisiti di accesso ai benefici penitenziari ha rappresentato, sicuramente, una delle principali novità introdotte dalla riforma. Le modifiche hanno, in realtà, riguardato soltanto i condannati “ostativi” non collaboranti, rispetto ai quali la riforma ha previsto una suddivisione in due gruppi, a seconda che abbiano commesso (co. 1.bis e 1-bis.2) o meno (co. 1.bis.1) reati comunque riconducibili alla criminalità organizzata. In virtù di questa suddivisione sono previste condizioni di accesso ai benefici penitenziari e alle misure alternative parzialmente diverse.

Nel nuovo comma 1-bis sono ricompresi i delitti commessi per finalità di terrorismo, anche internazionale, o di eversione dell’ordine democratico mediante il compimento di atti di violenza; il reato di cui all’art. 416- bis c.p., nonché i delitti commessi avvalendosi delle condizioni previste dallo stesso articolo ovvero al fine di agevolare l’attività delle associazioni in esso previste, ed altri reati, come quello di cui all’ art. 416-ter c.p.

Il comma 1-bis.2 dell’art. 4-bis ord. penit. assoggetta, poi, alla disciplina di cui al comma 1-bis i condannati per il delitto di cui all’art. 416 c.p. finalizzato alla commissione di uno dei delitti elencati nel medesimo comma.  Il comma 1-bis.1, invece, annovera i condannati per i reati di cui all’art. 600, 600-bis, comma 1, 600-ter, co. 1 e 2, art. 601, 602, 609-octies e 630 c.p.

In virtù della distinzione suddetta, come si è anticipato, sono previste condizioni di accesso ai benefici penitenziari in parte diverse. Infatti, per i condannati per uno dei delitti indicati nell’attuale co.1-bis (e 1-bis.2) si richiede l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria conseguenti alla condanna o l’assoluta impossibilità di tale adempimento; l’allegazione di elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di ripristino di tali collegamenti, anche indiretti o tramite terzi, tenuto conto delle circostanze personali e ambientali, delle ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione, della revisione critica della condotta criminosa e di ogni altra informazione disponibile; nonchè la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sia nelle forme risarcitorie che in quelle della giustizia riparativa.

Per i condannati ad uno dei delitti indicati nell’attuale co. 1-bis.1 dell’art. 4-bis sono previste condizioni per la maggior parte identiche, fatta eccezione per la circostanza che non viene richiesta l’allegazione di elementi che consentano di escludere i collegamenti con gruppi criminali di appartenenza, né vi è spazio per dedurre ragioni a supporto della mancata collaborazione, in virtù del fatto che si è in presenza di reati che nulla hanno a che vedere con il contesto mafioso o terroristico.[9]

Dunque, illustrate, brevemente, le novità in tema di condizioni di accesso ai benefici penitenziari previste dal novellato art. 4-bis ord. penit. bisogna, innanzitutto, chiedersi se sia realmente stata eliminata quella presunzione legale assoluta di non rieducazione in assenza di collaborazione, che rappresentava un’aporia gravissima della precedente disciplina dell’ergastolo ostativo rispetto alla fisionomia della pena delineata in Costituzione.[10] A tal proposito va, preliminarmente, ricordato che, a differenza di ciò che spesso sembra emergere nel dibattito pubblico, l’art. 4 bis ord.penit., nella sua prima formulazione risalente al d.l. n. 152/1991, a cui diede un contributo Giovanni Falcone, allora Direttore generale degli affari penali al Ministero della Giustizia, non prevedeva ancora una preclusione legale assoluta di pericolosità in mancanza di collaborazione, ma soltanto diverse e meno favorevoli tempistiche per l’accesso ai benefici per i non collaboranti. Soltanto l’anno successivo, con il d.l. n. 306/1992 – in seguito alla strage di Capaci – fu introdotta nell’ordinamento una presunzione assoluta di pericolosità del condannato non collaborante.[11]

Orbene, si diceva, con il d.l. n. 162/2022, se sulla carta la presunzione è stata relativizzata, in concreto, come spesso accade rispetto a meccanismi presuntivi ‘etichettati’ come relativi, essa cela tuttora, in realtà, una presunzione, nella sostanza, semi-assoluta. Infatti, la richiesta di allegazione di elementi specifici, diversi e ulteriori rispetto ai progressi nel trattamento rieducativo, che consentano di escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata o terroristica e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il riferimento al pericolo di ripristino di tali collegamenti, rappresentano un meccanismo di allegazione probatoria diabolico, avendo ad oggetto una prova negativa del tutto indeterminata.[12] I requisiti richiesti dalla norma si sostanziano in un meccanismo presuntivo che, pur risultando in astratto relativo, risulta, de facto, assumere tutte le caratteristiche di una presunzione assoluta, o quasi. Infatti, l’acquisizione di elementi che escludono collegamenti attuali e anche futuri con la criminalità organizzata delinea un’ipotesi mascherata di inversione dell’onere probatorio, ponendo a carico del soggetto che richiede l’accesso al beneficio l’onere di fornire una prova dell’assenza di un fatto preclusivo che rappresenta una prova assolutamente diabolica.

Difatti, se già in generale, spesso, nasconde numerose insidie l’allegare una prova negativa, ciò vale a maggior ragione per le nuove condizioni di accesso previste dal decreto, dal momento che la situazione oggetto di prova (non attualità dei collegamenti ecc.) non è in alcun modo qualcosa di ben circoscritto e definito a cui si possa arrivare fornendo la prova di uno o più fatti risolutivamente compatibili con ciò che deve essere dimostrato. Tra l’altro, si aggiunga che, richiedendo la norma l’assunzione di “elementi” capaci di escludere collegamenti con la criminalità organizzata, si rischia che questi ultimi siano ritenuti sussistenti anche in conseguenza di meri sospetti, congetture – se non addirittura dicerie! – in quanto tali difficilmente suscettibili di prova contraria.

Dunque, svuotato di un chiaro e determinato contenuto l’oggetto della controprova, la nuova praesumptio iuris tantum nasconde, in realtà, un meccanismo semi-assoluto che risulta, indubbiamente, ancora inconciliabile con il volto costituzionale della pena.[13]

Il legislatore, poi, specificando che gli elementi da provare debbano essere «diversi e ulteriori rispetto alla regolare condotta carceraria, alla partecipazione del detenuto al percorso rieducativo e alla mera dichiarazione di dissociazione dall’organizzazione criminale di eventuale appartenenza» chiarisce, ancora una volta, il suo totale disinteresse per il percorso rieducativo del condannato, valutato in maniera assolutamente subordinata rispetto alle istanze di difesa sociale.

Altro aspetto critico è rappresentato dal requisito della rescissione rispetto al contesto nel quale il reato è stato commesso, che, se già risulta essere contrario al principio rieducativo per i reati di cui al co.1 bis dell’art. 4-bis ord. penit. – pur comprendendosene in parte le ragioni- appare assolutamente inconcepibile per i condannati per i reati di cui al co.1-bis.1., che scontano una pena per un reato “ostativo” che nulla ha a che fare con la criminalità mafiosa o terroristica. Ciò appare assolutamente incompatibile con le istanze di risocializzazione imposte dalla Costituzione, dal momento che  sradicare dal proprio contesto sociale e territoriale  di riferimento il condannato rende ancor più difficile una reintegrazione nella società.[14]

A ciò si aggiunga il fatto che il legislatore, nel nuovo art. 4-bis ord. penit., tra le nuove condizioni di accesso ricomprende non più solo elementi che si riferiscono al piano dell’ammissibilità della domanda, ma anche elementi che riguardano il piano della meritevolezza (come la revisione critica e l’attività riparatoria), con una, del tutto incongrua, parificazione tra i due piani. Infatti, agli oneri probatori già evidenziati, il legislatore aggiunge anche l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria, previsti, precedentemente, soltanto per l’accesso alla liberazione condizionale e alla riabilitazione e non anche per i permessi premio.

Orbene, un’ulteriore insanabile contraddizione rispetto ad una pena intesa in chiave di integrazione sociale è rappresentata dal fatto che l’adempimento delle obbligazioni civili, così come la revisione critica della condotta criminosa o la sussistenza di iniziative dell’interessato a favore delle vittime, sono previste senza alcuna differenziazione rispetto alla tipologia di beneficio richiesto. Ciò non appare rispettoso del principio di uguaglianza, in quanto riguardo ai permessi premio è in gioco la possibilità di uscire per qualche ora dal carcere, mentre, in riferimento ad un istituto come la liberazione condizionale viene in questione un effetto fondamentale come quello dell’estinzione della pena! Risulta, dunque, incompatibile con il volto costituzionale della sanzione penale la previsione di un complesso di condizioni valevoli, ugualmente, per la concessione di benefici penitenziari, misure alternative e liberazione condizionale, istituti assolutamente differenti tra loro e richiedenti livelli diversi di maturazione nel percorso rieducativo, in rapporto anche al grado di libertà che le singole misure comportano.

Vi è quindi una omologazione verso una maggiore severità delle condizioni di accesso per tutte le misure, in contrasto con il principio di progressione trattamentale, corollario diretto di quello rieducativo, imposto dalla Costituzione all’art. 27 co.3.

Risulta, in conclusione, incompatibile con tale principio, ma anche con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost.[15] che rispetto ad istituti così diversi tra loro come i permessi premio e la liberazione condizionale siano richieste le stesse severe condizioni per accedervi.

3. Le modifiche alla disciplina della liberazione condizionale e della libertà vigilata: un passo avanti e tantissimi indietro.

Alquanto criticabile, rispetto alle istanze di risocializzazione ricavabili dalla Costituzione, risulta, poi, la modifica di cui al secondo comma dell’art. 2 d.l. n.152/1991, con la quale viene elevata da ventisei a trenta anni di reclusione la soglia di pena necessaria per l’accesso alla liberazione condizionale da parte dell’ergastolano “ostativo” non collaborante, e dalla metà ai due terzi della pena inflitta per il condannato a pena temporanea.

Si è in presenza di un notevole passo indietro non solo rispetto al limite fissato dalla l. Gozzini, ma anche rispetto alla precedente l. n. 1634/1962 che, per la prima volta, aveva previsto per l’ergastolano ostativo la liberazione condizionale dopo ventotto anni di pena espiata.

L’arretramento rispetto ad un’idea di pena come integrazione sociale, tra l’altro, non si limita ai nuovi limiti edittali per accedere alla liberazione condizionale, ma riguarda anche la  libertà vigilata che sempre affianca quest’ultima. Infatti, la pena dell’ergastolo inflitta al condannato “ostativo” non collaborante si estingue in dieci anni dalla data del provvedimento di concessione della liberazione condizionale e la durata della libertà vigilata disposta ai sensi dell’art. 230 co. 1 n. 2 c.p. viene parallelamente aumentata a dieci anni. Per tutta la durata della libertà vigilata è, inoltre, previsto un divieto di incontrare o mantenere contatti con soggetti condannati per delitti di cui all’art. 51 co. 3-bis e 3-quater c.p.p. o sottoposti a misura di prevenzione in casi tassativamente indicati.

Prima facie, l’aumento di pena da ventisei a trent’anni per accedere alla liberazione condizionale potrebbe sembrare avere una sua ratio nella volontà di differenziare le condizioni di accesso alla liberazione condizionale in base alla condotta collaborativa o meno dell’ergastolano “ostativo” da cui deriverebbe un trattamento uguale per soggetti che si trovano in posizioni differenti.

Tuttavia, questa considerazione è priva di fondamento, dal momento che i casi in cui l’ergastolano “ostativo” collaborante acceda alla liberazione condizionale soltanto dopo ventisei anni risultano meramente ipotetici. Ciò in quanto quando il collaborante entra – praticamente sempre – nel sistema di protezione, ha diritto a presentare l’istanza di liberazione condizionale trascorsi dieci anni! (art. 16-nonies d.l. 15 gennaio 1991, n. 8, conv. in l. 15 marzo 1991, n. 82)[16].

Dunque, oltre all’ ulteriore allontanamento dalla fisionomia della pena delineata all’art. 27 co.3 Cost. si crea anche un enorme divario del tutto irragionevole, ex art. 3 Cost. tra condannato “ostativo” collaborante e non collaborante.

Tra l’altro, la Corte costituzionale, di recente, aveva efficacemente chiarito che la mancata collaborazione con la giustizia non deve assolutamente tradursi in un aggravamento delle modalità esecutive della pena, per il solo fatto che il detenuto esercita la facoltà di non prestare partecipazione attiva a una finalità di politica criminale e investigativa dello Stato. Quindi, secondo la Corte, se può esservi l’attribuzione di valenza premiale al comportamento di colui che, anche dopo la condanna, presti una collaborazione utile ed efficace, tutt’altro è, invece, l’inflizione di un trattamento peggiorativo al detenuto non collaborante[17].

Un limite edittale così elevato contrasta anche con la giurisprudenza della Corte di Strasburgo che, nella famosa sentenza Vinter e altri c. Regno Unito[18], ha indicato in venticinque anni il termine entro cui riesaminare i progressi del condannato a pena perpetua.

Un’ulteriore questione riguarda, poi, la mancanza di una disposizione transitoria che regoli la portata applicativa, da un punto di vista temporale, dell’innalzamento a trent’anni del quantum di pena utile per accedere alla liberazione condizionale. L’art. 3 d.l. n. 162/2022, infatti, ha mantenuto il limite dei ventisei anni solo per i casi di impossibilità, inesigibilità e irrilevanza della collaborazione con la giustizia, che permane rispetto a chi ha commesso il fatto prima dell’entrata in vigore del decreto-legge.

In mancanza di una disposizione transitoria, dunque, la soglia dei trent’anni sembra applicabile anche a coloro che hanno commesso il fatto prima del 1° novembre 2022. In realtà la nuova disciplina, da una parte, prevede un limite per accedere alla liberazione che sicuramente rappresenta una modifica deteriore rispetto alla precedente disciplina; dall’altra introduce anche una disciplina più favorevole, permettendo all’ergastolano “ostativo” non collaborante di accedere alla liberazione condizionale, eventualità prima assolutamente preclusa. Dunque la norma ha sicuramente un doppio volto, più favorevole e più sfavorevole allo stesso tempo, ma ciò non può escludere un’applicazione irretroattiva degli aspetti svantaggiosi.

Può dirsi che, pur ribadendo che la nuova disciplina si allontana dalla pena come integrazione sociale, se il legislatore ha scelto di disciplinare diversamente il quomodo dell’accesso alla liberazione condizionale per il non collaborante, alzando la soglia a 30 anni, in base ad un principio inderogabile come quello di cui all’art. 25 co.2 Cost, ciò può valere soltanto per il futuro[19].

4. L’eliminazione della collaborazione impossibile, inesigibile, irrilevante: un incredibile arretramento rispetto alla finalità rieducativa della pena.

Un’ altra rilevante novità della riforma del 2022 è rappresentata dall’eliminazione della figura della collaborazione impossibile, inesigibile o irrilevante. A tal proposito  va ricordato che l’art. 4-bis ord.penit., nella sua prima formulazione, risalente al d.l. n. 152/1991, subordinava l’accesso ai benefici e alle misure alternative all’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità di collegamenti con la criminalità organizzata e che solo l’anno successivo – in seguito all’escalation dello stragismo di stampo mafioso – per effetto delle modifiche apportate dal d.l. n. 306/1992, fu introdotta nell’ordinamento una presunzione assoluta di pericolosità del condannato non collaborante, prevedendo la preclusione dall’accesso ai benefici e alle misure alternative in assenza di ‘collaborazione utile’, ai sensi dell’art. 558-ter ord.penit. Il legislatore del 1992, per mitigare l’eccessivo rigore della preclusione dei benefici penitenziari, decise di equiparare alla collaborazione utile la collaborazione ‘oggettivamente irrilevante’, in ipotesi legislativamente predeterminate nelle quali il reato potesse considerarsi di scarsa gravità (ossia, nel caso di applicazione, nella sentenza definitiva di condanna, delle circostanze attenuanti previste dagli artt. 62 n. 6, 114, 116 n. 2 c.p.).  In questi casi il condannato poteva accedere ai benefici penitenziari sulla base della sola ‘offerta’ di collaborazione, anche se praticamente inutile, purché fosse accertatal’insussistenza di collegamenti attuali con le associazioni criminali di appartenenza. Per evitare ingiustificate discriminazioni, in ossequio all’art. 3 Cost., la Corte costituzionale in due successive sentenze, dichiarò l’illegittimità dell’art. 4-bis ord.penit. nella parte in cui non dava rilievo ad altre ipotesi, oltre a quelle previste dal legislatore, nelle quali la mancanza di collaborazione fosse da attribuire a ragioni indipendenti dalla volontà del condannato. In particolare, con la sentenza del 27 luglio 1994, n. 357[20], la Corte costituzionale estese la disciplina della collaborazione irrilevante ai casi di collaborazione inesigibile per la limitata partecipazione del condannato al fatto criminoso e, con la sentenza del 1 marzo 1995, n. 68[21], ai casi di collaborazione impossibile per l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità, operato con la sentenza irrevocabile. Il legislatore del 2002 recepì poi le indicazioni della Corte costituzionale, disciplinando i casi in cui la rottura dei collegamenti con la criminalità organizzata può essere accertata anche prescindendo dal requisito della collaborazione rilevante, pur sempre però subordinando la concessione dei benefici all’acquisizione di elementi tali da escludere l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva.[22]

Orbene, la scelta operata nel d.l. n. 162/2022, di eliminare la collaborazione impossibile, inesigibile e irrilevante, oltre a porsi in evidente antitesi rispetto alle indicazioni fornite recentemente dalla Consulta nella sentenza n. 20/2022[23] che aveva sottolineato la necessità di distinguere tra chi vuole collaborare ma non può -silente suo malgrado- e chi può collaborare, ma non vuole – silente per scelta – rappresenta un lampante allontanamento dai principi costituzionali.

L’eliminazione della distinzione tra silente suo malgrado e per scelta si pone, in primis, in contrasto con il principio di uguaglianza di cui all’art. 3 Cost., che esprime l’esigenza di trattare in modo diverso situazioni differenti.

La Corte costituzionale, nella sentenza n.20/2022, infatti, aveva ritenuto non irragionevole un trattamento differenziato dal punto di vista del profilo degli oneri di allegazione del condannato per reati ostativi che si trovi nella impossibilità di collaborare con la giustizia rispetto al condannato che, invece, possa collaborare, ma decida di non farlo.

La Consulta aveva evidenziato che il peso degli oneri dimostrativi da addossare al richiedente non può esclusivamente basarsi sul suo atteggiamento soggettivo, ma deve dipendere dalla situazione oggettiva all’esame della magistratura di sorveglianza. La Corte aveva, poi evidenziato anche che la scelta di serbare il silenzio in queste ipotesi sia di per sé suscettibile di produrre un «effetto di favore per la consorteria criminale», circostanza che avvalora l’esigenza di una «regola “probatoria” di maggiore rigore rispetto allo standard minimo».

Dunque, la Corte aveva concluso per la “ontologica diversità” della situazione oggettiva del condannato che, invece, si ritrovi in radice nell’impossibilità di prestare una collaborazione effettiva[24]: in queste condizioni, infatti, l’atteggiamento del detenuto assumerebbe «un significato del tutto neutro, ciò che consente di circoscrivere il tema di prova – ai fini del superamento del regime ostativo – all’esclusione di attualità dei collegamenti».[25]

Quindi, la situazione del non collaborante per impossibilità è assolutamente differente dalla posizione di chi, avendo la possibilità di collaborare, non lo fa. E questa evidente differenza tra le due posizioni impone, senza dubbio, che vi siano anche condizioni e procedure diverse per accedere ai benefici penitenziari. Rappresenta, perciò, davvero un passo indietro enorme la circostanza che, nella nuova disciplina, le ragioni della mancata collaborazione possano essere fatte  valere solo come uno degli  elementi specifici da allegare che permettano di escludere l’attualità dei collegamenti con la criminalità organizzata, terroristica o eversiva e con il contesto nel quale il reato è stato commesso, nonché il pericolo di un loro futuro ripristino, oltre a richiedersi anche in questo caso le altre condizioni, ovvero l’adempimento delle obbligazioni civili e degli obblighi di riparazione pecuniaria, la revisione critica, e le iniziative risarcitorie e riparative.[26]

 Dunque, se si pensa alla specifica figura del silente suo malgrado, rispetto all’orizzonte costituzionale dell’integrazione sociale, vi è stato un nettissimo peggioramento poiché, rispetto a questa figura, poco importa che sia caduta la preclusione assoluta di accesso ai benefici penitenziari. Infatti, colui che non può, ma vorrebbe collaborare, prima della riforma poteva giovarsi di una procedura ad hoc per far accertare alla magistratura di sorveglianza se versasse in una condizione di collaborazione impossibile, inesigibile o irrilevante, mentre adesso, per accedere ai benefici penitenziari, deve soddisfare gli stessi stringenti requisiti del non collaborante per scelta, nonostante l’evidente diversa posizione in cui queste due figure si vengono a trovare.

 Il legislatore, in particolare nell’attuale formulazione, parla di “ragioni eventualmente dedotte a sostegno della mancata collaborazione”, proprio per tutelare la libertà di non collaborare, che non può essere disconosciuta. Appare, però, evidente la contraddizione tra lo stabilire di “fornire eventualmente le ragioni” e l’obbligo di farlo nel caso in cui si intenda evidenziare l’oggettiva irrilevanza della collaborazione, la limitata partecipazione al fatto o l’integrale accertamento dei fatti e delle responsabilità! D’altronde, risulta davvero difficile da intuire, cosa abbia a che fare con la meritevolezza la collaborazione impossibile, dal momento che quest’ultima attiene alla libertà di non collaborare. Non basta assolutamente l’avverbio “eventualmente” per evitare lo sfregio del principio di uguaglianza, dal momento che vi è un trattamento uniforme rispetto a soggetti che si trovano in situazioni del tutto differenti.[27]

Orbene, va considerato che, anche rispetto a considerazioni inerenti alla finalità specialpreventiva della pena, per il condannato risulterà difficile accettare il percorso di risocializzazione, vista l’evidente ingiustizia di un trattamento parificato al non collaborante per scelta. E d’altronde l’opzione legislativa sembra essere contraria anche ad un’idea di prevenzione generale positiva; infatti sarà difficile ottenere il consenso dei consociati intorno ad una norma così profondamente discriminatoria.

L’art.3 d.l. n.162/2022 ha, perlomeno, introdotto una disposizione transitoria e, dunque, la collaborazione impossibile rimane almeno per il condannato non collaborante che abbia commesso il fatto “ostativo” prima dell’entrata in vigore della novella. Tra l’altro, inizialmente, il decreto faceva riferimento soltanto alle misure alternative e alla liberazione condizionale, con l’esclusione dei benefici penitenziari in senso stretto (permessi premio e lavoro all’esterno) ai quali, quindi, si sarebbe dovuta applicare fin da subito la nuova disciplina.

 La legge di conversione n.199/2022, ha, almeno e correttamente, posto rimedio a tale inconveniente sostituendo il riferimento alle misure alternative con un richiamo ai «benefìci di cui al comma 1 dell’articolo 4-bis della legge n. 354 del 1975», tra i quali vi sono anche i permessi premio e il lavoro all’esterno. L’insensatezza della prima versione del regime intertemporale si coglie ancora di più se si pensa che rispetto alle misure alternative o alla liberazione condizionale la disciplina della collaborazione impossibile, inesigibile o irrilevante avrebbe comunque continuato a trovare applicazione rispetto ai reati commessi prima dell’entrata in vigore del decreto-legge in base all’orientamento affermatosi nella sentenza costituzionale n.32/2020[28]. La norma risulta ben più importante rispetto ai permessi premio e agli altri benefici che sono, invece, esclusi dall’orizzonte della suddetta pronuncia e, per i quali, in mancanza di una norma transitoria, si sarebbe dovuto applicare da subito il nuovo regime più sfavorevole[29].

5. Ergastolo ostativo e art.41-bis: una nuova preclusione legale assoluta.

Un ulteriore profilo problematico della riforma è rappresentato dalla previsione, stabilita nella parte finale del co. 2 dell’art. 4-bis ord. penit., che i benefici penitenziari indicati al co.1 non sono concedibili ai detenuti sottoposti al regime speciale di cui all’art. 41 bis ord. penit. se non dopo che il provvedimento applicativo di tale regime sia stato revocato o non prorogato. L’istituto della sospensione delle regole di trattamento di cui all’art. 41 bis co.2 ord. penit. risponde a esigenze di sicurezza pubblica e di contenimento della pericolosità particolarmente spiccata. Infatti è previsto che a fronte di tale situazione possa essere disposta, con decreto motivato emesso dal Ministero della Giustizia, anche su richiesta del Ministro dell’interno, l’adozione di speciali limitazioni dell’offerta trattamentale, volte a rendere estremamente difficoltoso mantenere, se non a recidere, i legami del detenuto con i gruppi criminali sul territorio. La prima applicazione del decreto è per quattro anni, seguiti da successive eventuali proroghe per due anni[30].

L’art. 41 bis ord. penit., già di per sé, presenta numerosi profili problematici, dal momento che attribuisce al Ministro della Giustizia e dunque ad un organo dell’esecutivo, un rilevante potere sulla configurazione dell’esecuzione della pena, in evidente contrasto con il principio di legalità della pena di cui all’art. 25 co.2 Cost. che, pur nel rispetto delle esigenze di individualizzazione del trattamento, riguarda anche la fase dell’esecuzione della pena. L’esigenza di individualizzazione nell’ esecuzione della pena, tra l’altro, andrebbe perseguita in quanto strumentale ad esigenze di integrazione sociale e non per ledere, in nome di non ben specificate ragioni di ordine e sicurezza, i diritti fondamentali della persona.

Inoltre l’art. 41 bis ord.penit. si pone anche in contrasto con un fondamentale corollario del principio di legalità ovvero la determinatezza. Infatti, il regime speciale di cui all’art. 41 bis viene collegato ad un generico motivo di ordine e sicurezza pubblica la cui natura e gravità non sono facilmente misurabili. E certamente non basta a rendere compatibile la norma con il principio di legalità sub specie determinatezza, il riferimento alle restrizioni necessarie per il soddisfacimento delle esigenze di sicurezza e per impedire i collegamenti con associazioni criminali, in quanto anche questo risulta vago e quindi manipolabile. Inoltre, l’art. 41 bis ord. penit. risulta anche in evidente contrasto con l’art. 27 co.3 Cost. poiché consente di sospendere l’applicazione delle regole di trattamento ordinarie che sono funzionali alla risocializzazione in base a vaghissime ragioni di ordine e sicurezza. D’altronde sospendere il trattamento ordinario in nome delle ragioni predette sembra anche espressione di una pena orientata alla retribuzione e alla prevenzione generale negativa, se non addirittura alla neutralizzazione, piuttosto che ad una pena costituzionalmente orientata alla risocializzazione. Infine l’art. 41-bis sembra porsi in contrasto anche con il divieto di trattamenti inumani di cui all’art. 27 co.2 Cost[31].

Orbene, evidenziati brevemente i numerosi profili problematici che già di per sé pone l’art. 41 bis ord.penit., la riforma del 2022 introduce anche l’impossibilità de jure di accordare benefici e misure alternative ai detenuti sottoposti al regime detentivo differenziato.

La problematicità di questa novità introdotta dal decreto risiede nel dato per cui un conto è ritenere che, de facto, non sia possibile valutare compatibili le cause che giustificano il regime di cui all’art. 41 bis ord.penit. e la possibilità di provare l’assenza di attualità e pericolo di ripristino dei collegamenti con la criminalità organizzata; un altro è invece stabilire, de jure, questa incompatibilità, dato che il provvedimento che sottopone al regime differenziato è un decreto ministeriale[32].  Tra l’altro, come si è ricordato, il decreto prevede anche che i benefici possano essere concessi per il detenuto sottoposto al regime di cui all’ art. 41 bis soltanto dopo che il provvedimento applicativo di tale regime sia stato revocato o non prorogato. Risulta, quindi, esplicita la volontà del legislatore di far dipendere l’accesso ai benefici penitenziari soltanto da un decreto ministeriale di applicazione, di revoca o di non proroga. Tuttavia, non sembra opportuno privare la persona sottoposta al regime di cui all’art. 41 bis anche della sola possibilità, in astratto, di domandare un beneficio. Quindi, mentre prima alle domande veniva risposto nel merito che non era possibile accedere ai benefici per i detenuti sottoposti all’art. 41 bis, oggi la domanda è addirittura inammissibile in virtù di una – ancora, ci risiamo – nuova preclusione assoluta.

Appare, quindi davvero inaccettabile che anche a precludere l’accesso ai benefici penitenziari non sia un giudice, ma un Ministro poiché il reclamo al tribunale di sorveglianza di Roma è soltanto eventuale e comunque differito nel tempo.

Ne deriva una conseguenza rilevante in termini di qualità della pena detentiva che sembra, in primis, sottrarsi alla garanzia di cui all’art. 13 co.2 Cost, esorbitando dai limiti contenutistici del regime stabilito dall’ art. 41 bis ord.penit. perimetrati nel tempo anche dalla Corte Costituzionale.[33]

Inoltre le restrizioni imposte dal regime differenziato speciale dovrebbero quantomeno avere soltanto la finalità di contenere la pericolosità dei detenuti, impedendo collegamenti con i membri delle organizzazioni che si trovano fuori dal carcere, evitando di continuare a impartire ordini agli affiliati, senza vanificare, tuttavia, completamente la finalità rieducativa della pena. Precludere, invece, de jure, la concessione di ogni tipo di beneficio o misura alternativa vuol dire proprio vanificare, per legge, la finalità di risocializzazione.

Infatti, la problematicità di questa scelta legislativa non è soltanto legata alla impossibilità persino solo di chiedere ad un giudice un beneficio precluso in via assoluta, ma anche all’inconciliabilità di questa disciplina con l’attuazione della fisionomia costituzionale della pena. E ciò è ancor più grave se si pensa che il permesso di necessità non è invece precluso per legge ed è possibile, per esso, un vaglio di merito, non essendovi in tale ipotesi una preclusione assoluta[34]; nel caso del permesso di necessità vi è un giudice a Berlino, nel caso dell’accesso ai benefici e alle misure alternative vi è invece, soltanto, un Ministro.

6. Le modifiche al catalogo dei reati ostativi: ancora troppa timidezza da parte del legislatore nel perseguire le finalità preventive della pena.

Ulteriori considerazioni vanno svolte in rapporto all’ennesima scelta di non ‘sfoltire’ il catalogo dei reati di cui all’ art. 4-bis ord. penit. se non soltanto, in sede di conversione del decreto, rispetto ai reati contro la p.a. che sono stati espunti dall’orbita dell’ergastolo ostativo.

Per quanto riguarda, infatti, il catalogo dei reati ostativi vi è stato, per la prima volta dall’entrata in vigore dell’art. 4-bis ord. penit., finalmente, una prima scelta in termini di ridimensionamento. Ma, allo stesso tempo, non solo essa non è sufficiente, dal momento che bisognerebbe tornare alla vecchia dimensione originaria dell’ostatività, limitata ai reati associativi, ma vi è stato pure, ancora una volta, un ennesimo ampliamento ‘strisciante’ del catalogo.

L’effetto espansivo della riforma è, infatti, previsto nel nuovo primo comma dell’art. 4-bis ord. penit. in cui vi è una clausola generale che deroga al tradizionale principio dello scioglimento del cumulo, trasferendo la sfera dell’ostatività anche a reati comuni, quando sono legati da un nesso teleologico ex art. 61, n.2 c.p. ai delitti cd. di prima fascia.

Dunque, ancora una volta, vi è un allargamento della sfera di operatività dell’ostatività che copre, in seguito a questa modifica, anche reati che niente hanno a che vedere con l’originale nucleo dell’ergastolo ostativo, ovvero le fattispecie legate alla criminalità organizzata, terroristica ed eversiva.   L’estensione del perimetro applicativo dell’art. 4-bis ord.penit. si deve all’introduzione, in coda al primo comma, di una clausola generale che, in sostanza, deroga all’ormai pacifico criterio interpretativo dello “scioglimento del cumulo”, prevedendo che l’area di “ostatività” possa inghiottire anche reati “comuni”. Si apre così ad un’estensione potenzialmente indeterminata, e soprattutto ingiustificata, del regime “ostativo”, nel quale finiranno per confluire, ancora una volta, fattispecie che nulla hanno a che fare con la criminalità organizzata, terroristica od eversiva.

In realtà, può forse porsi in parte rimedio a questo ennesimo passo indietro della riforma ritenendola applicabile ai soli detenuti “ostativi” collaboranti ed escludendone l’applicazione ai non collaboranti,  dal momento che essa è inserita nel primo comma del nuovo art. 4-bis e non nei nuovi commi 1-bis, 1-bis.1 e 1.bis.2.

 Si può, inoltre, provare a sostenere, in base alla formulazione letterale della norma, che essa possa operare soltanto in direzione unilaterale e cioè solamente quando, per esempio,  il reato comune sia commesso per eseguirne od occultarne uno “ostativo” e non, invece, in senso contrario[35].

Come si è anticipato, invece, tra i pochi passi in avanti della riforma, introdotta tra l’altro solo in sede di conversione del decreto legge ad opera della l. n.199/2022, vi è stata  l’eliminazione dei reati contro la p.a. dal catalogo dei reati di cui all’art. 4-bis ord.penit.  il cui inserimento era stato previsto ad opera della c.d. legge spazza-corrotti ( l. 9 gennaio 2019, n. 3 ). Ovviamente, espunti dal catalogo dei reati ostativi i reati ai danni della p.a., viene a cadere anche il riferimento alla mancata collaborazione di cui all’art. 323-bis comma 2 c.p.

Orbene, questa modifica va, indubbiamente, valutata positivamente poiché, per la prima volta nella lunga storia di modifiche del catalogo di cui all’ art 4 bis ord. penit. vi è, finalmente, un intervento che va nella direzione di sfoltire e non di ampliare l’area dell’ostatività. Tuttavia, vi sono alcune osservazioni da fare.

 Innanzitutto, vi è la costante idea da parte della maggioranza di Governo di essere “forti” con alcune categorie di soggetti sgradite – si pensi ai migranti con il cd. decreto Cutro o ai ‘pericolosissimi’ rave party – e di essere invece molto più ‘garantisti’ soltanto con i cd. colletti bianchi – si pensi alla prospettata eliminazione dell’abuso d’ufficio. Sia chiaro, non si è assolutamente contrari ad una svolta ‘garantista’ rispetto ai reati contro la p.a., ma andrebbe preteso lo stesso scrupoloso rispetto delle garanzie di libertà anche in rapporto ai soggetti meno inclusi – o addirittura esclusi – dal patto sociale.

Inoltre, appare incoerente la scelta di eliminare dalla sfera di ostatività i reati contro la p.a. e di farvi rientrare invece potenzialmente qualsiasi reato tramite il nesso teleologico predetto.

Dunque, anche questa riforma dell’art. 4-bis ord. penit., per la verità in linea con le  precedenti scelte prese da tutte le forze politiche succedutesi negli ultimi anni, non imprime una svolta nella direzione di ridare la fisionomia originaria all’ostatività, ovvero quella del contrasto al crimine di stampo mafioso, terroristico ed eversivo.

Nel tempo, invece, il legislatore ha esteso, incredibilmente, l’operatività dell’ergastolo ostativo, nato come misura emergenziale per sconfiggere la mafia, includendo nell’ art 4-bis ord. penit., via via, la riduzione in schiavitù, la prostituzione minorile o la violenza sessuale di gruppo, per fare solo alcuni esempi.

 Insomma, nel tempo, l’ergastolo ostativo è diventato la scatola magica in cui inserire, di volta in volta, i fenomeni che più destano allarme sociale per placare, in base alle diverse sensibilità politiche che si sono succedute, la sensazione di insicurezza in quel momento prevalente, dettata ovviamente soprattutto dai media.

 Tutto ciò, non solo in spregio, innanzitutto, all’art. 3 Cost., poiché l’ostatività non può essere necessaria per ogni fenomeno criminoso, altrimenti tutto il meccanismo diventa ancora più irragionevole e contraddittorio, dal momento che non può trattarsi allo stesso modo un mafioso , un violentatore sessuale o un trafficante[36]. Ma anche violando, ancora una volta, i principi costituzionali relativi alla pena come integrazione sociale. Infatti, dal punto di vista della prevenzione speciale positiva, è difficile per il singolo soggetto che si vedrà negare l’accesso ai benefici penitenziari, pur non avendo commesso reati legati alla mafia o al terrorismo, percepire come giusto quel diniego e dunque risocializzarsi in carcere. Ma, anche dal punto di vista della prevenzione generale positiva, questa eccessiva e costante dilatazione del catalogo dei reati ostativi risulta inaccettabile. Sul piano dell’orientamento dei consociati intorno ai valori dell’ordinamento,  sarà, infatti, difficile ottenere un consenso rispetto a una così illogica dilatazione dei reati ostativi. Se vi può essere – fin troppo – consenso da parte dell’opinione pubblica rispetto al divieto di accesso ai benefici penitenziari per i condannati per reati di mafia non collaboranti, lo stesso non può dirsi, probabilmente, per tutta una serie di reati entrati via via, rispetto all’originaria formulazione del 1991, nel girone dell’inferno dell’ostatività del 4-bis ord.penit.[37].

Può, dunque, dirsi che il nuovo art. 4-bis ord. penit., oltre a disattendere le indicazioni della Corte costituzionale, si allontana, addirittura, per molti aspetti, ancor di più, rispetto alla disciplina previgente, dalla fisionomia della pena delineata in Costituzione. Non basta, infatti, aver eliminato una presunzione assoluta di non rieducatività trasformandola, come si è visto, in una preclusione comunque semi- assoluta, per sostenere che il nuovo ergastolo ostativo si avvicina di più al principio rieducativo, dal momento che, in cambio di ciò, sono adesso previsti, come evidenziato, tutta una serie di peggioramenti come, ad esempio, l’eliminazione della collaborazione impossibile.

In conclusione, può dirsi che se prima della riforma del 2022 l’ergastolo ostativo era lontano rispetto all’orizzonte di una pena come integrazione sociale, oggi lo è, ugualmente, per certi versi, e ancor di più per altri.


[1] Corte Cost., 23 ottobre 2019, n. 253, in www.cortecostituzionale.it.

[2]  Per un approfondimento della sentenza n. 253/2019 della Corte Cost. v. A. Pugiotto, La sent. n.253/2019 della Corte Costituzionale: una breccia nel muro dell’ostatività penitenziaria, in Il diritto alla speranza davanti alle Corti. Ergastolo ostativo e articolo 41 bis, a cura di E. Dolcini, F. Fiorentin, D. Galliani, R. Magi, A. Pugiotto, Torino 2020, p.117 ss.

[3] Corte Edu, 16 giugno 2019, Viola c. Italia, ric. n.77633/2016, in www.giustizia.it

[4]  Per un approfondimento della sentenza v. A. Pugiotto – D. Galliani, L’ ergastolo ostativo non supera l’esame a Strasburgo (a proposito della sentenza Viola v. Italia n.2 ), in Il diritto alla speranza davanti alle Corti. Ergastolo ostativo e articolo 41 bis, cit., p.97 ss.

[5] Corte cost., 11 maggio 2021, n. 97, in www.cortecostituzionale.it.

[6] Cfr. E. Dolcini, L’ergastolo ostativo riformato in articulo mortis, in Sistema penale, 7 novembre 2022, 2.

[7] Cfr. E. Dolcini, op. ult. cit., 2-3. Per un approfondimento dell’ordinanza n.97/2021 della Corte Cost. v. E. Dolcini, L’ordinanza della Corte Costituzionale n. 97 del 2021: eufonie, dissonanze, prospettive inquietanti, in Sistema penale, 25 maggio 2021.

[8] Cfr. per tutti G. Fiandaca, Commento all’art. 27 co.3 Cost., in Commentario della Costituzione, a cura di G. Branca, 1991, p.242 ss.; S. Moccia, Il diritto penale tra essere e valore, Napoli 1992, p. 97 ss.; Id., Sui principi normativi di riferimento per un sistema penale teleologicamente orientato, in Riv. it. dir. proc. 1989, 1008 ss.

[9] Cfr. E. Dolcini, L’ergastolo ostativo riformato in articulo mortis, cit., 4 ss.; A. Ricci, Osservazioni a prima lettura agli artt. 1-3 del decreto-legge n. 162 del 31.10.2022, in tema di «divieto di concessione dei benefici penitenziari nei confronti dei detenuti o internati che non collaborano con la giustizia», in Giurisprudenza Penale Web, 3 novembre 2022, 2 ss.

[10] Cfr. A. Pugiotto, La versione della Consulta. Gli ergastoli nella giurisprudenza Costituzionale, in Contro gli ergastoli, a cura di S. Anastasia, F. Corleone, A. Pugiotto, Roma, 2021, p. 29 ss.; A. Pugiotto, Due decisioni radicali della Corte Costituzionale in tema di ostatività penitenziaria, in Il Diritto alla speranza davanti alle Corti. Ergastolo ostativo e articolo 41 bis, cit., p.143 ss.

[11] Cfr. D. Galliani, Riflettere, insieme, sull’ergastolo ostativo, in Rivista di studi e ricerche sulla criminalità organizzata, Giugno 2019, 125.

[12] Cfr. F. Delvecchio, Presunzioni legali e rieducazione del condannato, Torino 2020, p.38 ss.; A. Pugiotto, op.ult.cit., pp.140-142.

[13] Cfr. F. Delvecchio, Presunzioni legali e rieducazione del condannato, cit., pp.38-39 e 102 ss.; A. Pugiotto, op.ult. cit., p.141.

[14] Cfr. E. Dolcini, op. ult. cit., 6.

[15] Cfr. D. Galliani, Il decreto legge 162/2022, il regime ostativo e l’ergastolo ostativo: i dubbi di costituzionalità non manifestamente infondati, in Sistema penale, 21 novembre 2022, par.8.

[16] Cfr. D. Galliani, op. ult. cit, par.8; E. Dolcini, op.ult.cit., 7.

[17] Corte cost., 4 dicembre 2019, n. 253, in www.cortecostituzionale.it.

[18] Corte EDU, Grande Camera, 9 luglio 2013, Vinter e altri c. Regno Unito, ric. nn. 66069/09, 130/10, 3896/10 in www.hudoc.echr.coe.int.

[19] Cfr. D. Galliani, op. ult. cit., par. 8.

[20] Corte Cost., 27 luglio 1994, n. 357, in www.cortecostituzionale.it

[21] Corte Cost., 1 marzo 1995, n. 68, in www.cortecostituzionale.it

[22] Cfr. A. Della Bella, La Cassazione dopo la sentenza 253 della Corte Costituzionale: il destino della collaborazione impossibile e lo standard probatorio richiesto per il superamento della presunzione assoluta di pericolosità, in Sistema penale, 16 aprile 2020, 1 ss.

[23] Corte cost., 25 gennaio 2022, n. 20, in www.cortecostituzionale.it.

[24] Cfr. S. Bernardi, La disciplina della collaborazione impossibile supera il vaglio della Consulta: legittima la previsione di uno standard probatorio diverso da quello richiesto per chi non collabori “per scelta”, in Sistema penale, 2 febbraio 2022, par. 6.

[25] Corte cost., 25 gennaio 2022, n. 20, in www.cortecostituzionale.it.

[26] Cfr. D. Galliani, op. ult. cit., par. 6; A. Pugiotto, op. ult.cit., pp 142-143.

[27] Cfr. D. Galliani, op. ult. cit., par. 6.

[28] Corte cost., 26 febbraio 2020, n. 32, in www.cortecostituzionale.it.

[29] Cfr. F. Gianfilippi, Il D.L. 162/2022 e il nuovo 4-bis: un percorso ad ostacoli per il condannato e per l’interprete , in Giustizia insieme, 2 novembre 2022, 12-14.

[30] Cfr. G. Giostra – F. Della Casa, Manuale di diritto penitenziario, Torino, 2023, p.159 ss.

[31] Cfr. A. Cavaliere, Associazione di tipo mafioso, in Trattato di diritto penale. Parte speciale. Delitti contro l’ordine pubblico, a cura di S. Moccia, Napoli 2007, p. 614 ss.; S. Moccia, La perenne emergenza, 2ª ed., Napoli 1997, pp. 181-182.

[32] Cfr. D. Galliani, op. ult. cit, par. 7; F. Gianfilippi, op.ult. cit., pp. 8-9.

[33] Cfr. G. Giostra, F. Della Casa, op.ult.cit., pp.166-167.

[34] Cfr. D. Galliani, op. ult. cit., par. 7; F. Gianfilippi, op.ult. cit., p. 9.

[35] Cfr. A. Ricci, op.ult.cit.,pp. 10-11.

[36] Cfr. D. Galliani, Riflettere, insieme, sull’ergastolo ostativo, cit., 118 ss.

[37] Per un approfondimento dei concetti di prevenzione generale e speciale positiva ricavabili dalla Costituzione cfr. S. Moccia, Il diritto penale tra essere e valore, Napoli, 1992, p.97 ss.; Id., Sui principi normativi di riferimento per un sistema penale teleologicamente orientato, in Riv. it. dir. proc. 1989, 1008 ss.

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