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Alle Sezioni unite due questioni in tema di indebita percezione di erogazioni pubbliche

Cass., sez. VI, 7 maggio 2024 (dep. 11 luglio 2024), n. 27639, Fidelbo, Presidente, Gallucci, Relatore

Il caso

Con sentenza del 17 maggio 2023 la Corte di appello di Lecce – in parziale riforma della decisione di primo grado emessa dal Tribunale del capoluogo salentino – ha riqualificato il reato presupposto dell’illecito ascritto alla società T.Z. (art. 24, 8 giugno 2001, n. 231) da truffa aggravata (art. 640-bis c.p.) a indebita percezione di erogazioni pubbliche (art. 316-ter c.p.). Avverso la sentenza è stato proposto un ricorso per Cassazione che deduceva la violazione di legge e il vizio di motivazione ed eccepiva, in particolare, la mancata declaratoria di prescrizione del reato presupposto (relativo all’illecita riduzione dei contributi pagati per 210 lavoratori assunti dalle liste di mobilità da giugno 2002 a fine dicembre 2008), considerato alla stregua di un’unica fattispecie “a consumazione prolungata”, anzichè come un reato continuato. 

La questione dibattuta 

Data la non illogicità delle motivazioni delle sentenze di merito, perciò insindacabili in sede di legittimità, la Suprema Corte si è soffermata sulle ulteriori eccezioni.

Per ciò che concerne la violazione di legge, i giudici di legittimità hanno ritenuto che la Corte d’appello abbia correttamente escluso la configurabilità del reato presupposto di truffa aggravata, non essendosi verificata un’induzione in errore dell’amministrazione pubblica per effetto di una condotta fraudolenta (attraverso artifici e raggiri), bensì una mera omissione di informazioni dovute per legge (Cass., sez. II, 21 settembre 2017, n. 47064, in C.E.D. Cass., n. 271242; Cass., sez. VI, 8 gennaio 2004, n. 17688, ivi, n. 228604; Cass., Sez. un., 19 aprile 2007, n. 16568, in Cass. Pen., 2007, p. 3213; Cass., sez. II, 13 maggio 2008, n. 22692, in C.E.D. Cass., n. 240413).  

La Corte di cassazione non concordava tuttavia con la riqualificazione del reato presupposto in traffico d’influenze illecite.

La decisione dei giudici di seconda istanza s’iscrive nell’orientamento che considera la tutela apprestata dall’art. 316-ter c.p. come aggiuntiva e “complementare” rispetto a quella di cui all’art. 640-bis c.p. Da ciò consegue l’applicabilità della prima fattispecie anche in presenza di una mera riduzione dell’importo dei contributi, conseguente alla mancata indicazione – imposta ex lege – di elementi rilevanti (da ultimo, Cass., sez. VI, 21 giugno 2022, n. 29674, in C.E.D. Cass., n. 283612). 

Rientrerebbero così nella nozione di “erogazione” tutte le attività di contribuzione degli enti pubblici, attraverso le quali il richiedente ottiene un beneficio economico a carico della comunità. In particolare, le Sezioni Unite Pizzuto hanno ritenuto che integri il delitto di cui all’art. 316-ter c.p. anche la indebita percezione di erogazioni pubbliche di natura assistenziale, proponendo una nozione di “contributo” quale «conferimento di un apporto per il raggiungimento di una finalità pubblicamente rilevante» (Cass., Sez. un, 16 dicembre 2010, n. 7537, in Cass. pen., 2012, p. 3402).

In senso contrario, la Sesta sezione ha rilevato come il caso di specie non possa essere ricondotto all’art. 316-ter c.p. che può essere violato da condotte sia attive (con l’utilizzo o la presentazione di dichiarazioni o di documenti falsi o attestanti cose non vere) sia omissive (con l’omissione di informazioni dovute), ma accomunate dall’indebito conseguimento da parte del soggetto attivo (per sé o per altri) di «contributi, finanziamenti, mutui agevolati o altre erogazioni dello stesso tipo, comunque denominate, concessi o erogati dallo Stato, da altri enti pubblici o dalle Comunità europee». In tal senso esulerebbe dall’àmbito applicativo dell’art. 316-ter c.p. il mero risparmio di spesa, come anche sembra suggerire l’attuale rubrica.

In breve, secondo i Giudici di Piazza Cavour l’incriminazione ai sensi dell’art. 316-ter c.p. comporterebbe una espansione non consentita dell’àmbito applicativo del reato, in contrasto con il principio di tassatività e determinatezza della fattispecie penale. 

A sostegno di quest’interpretazione sono richiamate due pronunce della Corte costituzionale.

In primo luogo, viene in rilievo la decisione di C. cost., 14 maggio 2021, n. 98, in Giur. Cost., 2021, p. 1193 (successiva alle SU Pizzuto) che ha ribadito come siano le norme incriminatrici a dover «fornire al consociato un chiaro avvertimento circa le conseguenze sanzionatorie delle proprie condotte», fissando il limite della (successiva) attività interpretativa dei giudici nel significato letterale delle espressioni utilizzate dal legislatore a cui non può essere assegnato un significato diverso da quello semantico, al fine di espandere il perimetro dell’illecito.

In secondo luogo, viene in rilievo la sentenza di C. cost., 30 luglio 2008, n. 327, in Giur. cost., 2008, p. 3529, che ha ritenuto non violative del principio di tassatività in materia penale le fattispecie “ad analogia esplicita” che, con una formula di chiusura, affermano l’applicazione della norma anche a casi simili o analoghi, ma ad alcune condizioni: ovvero quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta al giudice di esprimere un giudizio di corrispondenza tra la fattispecie concreta e quella astratta, sorretto da un fondamento ermeneutico controllabile, e permetta al destinatario di avere una percezione sufficientemente chiara e immediata del valore precettivo della norma. Con riferimento all’art. 316-ter c.p., il nucleo di tipicità è costituito dall’erogazione e la corrispettiva percezione che, sulla base del senso fatto palese dal significato proprio delle parole secondo la connessione di esse (art. 12 prel.), presuppongono un esborso a favore dell’interessato. Tale concetto normativo non sembra dilatabile sino a ricomprendere il risparmio di spesa.

Continuando ad argomentare nell’ottica della Cassazione si escluderebbe la sussistenza dell’art. 316-ter c.p. e sarebbero (eventualmente) configurabili altri reati aventi natura speciale rispetto a esso, ma non previsti tra i reati presupposto di cui all’art. 24 del d.lgs. 8 giugno 2001 n. 231. In tal caso, l’ente dovrebbe essere assolto.

Diversamente, qualora si riconosca come corretto l’inquadramento ai sensi dell’art. 316-ter c.p., verrebbe in rilievo la questione attinente alla prescrizione. 

In merito a questa, la sentenza impugnata dà atto che l’illecito si protrae sino al 31 dicembre 2008 e che l’atto interruttivo della prescrizione (disciplinata ex art. 22 del decreto 231) è costituito dalla richiesta di applicazione all’ente delle misure interdittive in via cautelare del 14 gennaio 2013.

Partendo da questo assunto, nel caso in cui l’art. 316-ter c.p. sia qualificato come delitto “a consumazione prolungata” la prescrizione decorrerebbe dall’ultimo risparmio di spesa, determinando la mancata prescrizione del reato alla verificazione dell’atto interruttivo, intervenuto entro il termine quinquennale (in quest’ottica Cass., sez. II, 23 ottobre 2013, n. 48820, in C.E.D. Cass., n. 257431; Cass., sez. VI, 23 settembre 2021, n. 45917, ivi, n. 282293; Cass., sez. VI, 8 gennaio 2021, n. 10790, ivi, n. 281084). Ove invece si propenda per la scissione dell’illecito in una serie di indebite percezioni, tutti i fatti precedenti al dicembre 2008 risulterebbero prescritti. 

In tal senso si richiama un orientamento giurisprudenziale secondo cui il superamento della soglia di punibilità indicata dall’art. 316-ter, comma 2, c.p. integra un elemento costitutivo del reato e non una condizione obiettiva di punibilità. Da ciò discende che, in caso di comportamenti reiterati nel tempo, ai fini della rilevanza penale occorre riferirsi al risultato economico derivato da ciascuna delle condotte produttive di erogazioni non dovute (integranti autonomamente reato) e non anche alla somma di esse (Cass., sez. VI, 4 giugno 2021, n. 31223, in C.E.D. Cass., n. 282105).

I quesiti

In definitiva, le Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi su due quesiti di diritto.

Il primo chiede se rientri o meno nell’àmbito applicativo dell’art. 316-ter c.p. il risparmio di spesa derivante dal versamento parziale dei contributi previdenziali dovuti in ordine ai lavoratori in mobilità assunti dall’impresa, a seguito della mancata comunicazione dell’esistenza di condizione ostativa all’applicazione della riduzione dell’ammontare dei contributi medesimi.

Il secondo chiede se, in caso di ripetute percezioni periodiche di contributi erogati dallo Stato, il reato previsto dall’art. 316-ter c.p. debba considerarsi unitario, con la conseguenza che la relativa consumazione cessa con la percezione dell’ultimo contributo ovvero se, in tali casi, si sia in presenza di una pluralità di reati (uno per ciascuna percezione), eventualmente unificati dal vincolo della continuazione».

L’udienza è fissata per il 28 novembre 2024 e il relatore designato è il Consigliere De Amicis.

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