Cass., sez. VI, 29 maggio 2024 (dep. 1 agosto 2024), n. 31605, Di Stefano, Presidente, Riccio, Relatore
Il caso
In parziale riforma della sentenza di primo grado del tribunale di Lecce, la Corte d’appello del capoluogo salentino ha ridotto la pena irrogata all’imputato, confermando l’applicazione delle pene accessorie, in quanto ritenuto colpevole di peculato continuato per essersi appropriato, quale responsabile della sala consulenze di Poste Italiane S.p.a., di somme provenienti dal riscatto di buoni fruttiferi postali destinate a essere investite in altri strumenti finanziari.
Avverso la pronuncia d’appello è stato proposto ricorso per Cassazione adducendo – nel quadro di una più ampia strategia difensiva – un motivo ritenuto meritevole dell’attenzione delle Sezioni Unite, inerente alla natura della cosiddetta raccolta del risparmio postale e della qualifica dell’operatore di Poste Italiane addetto alla vendita e gestione dei prodotti a essa collegati.
La questione dibattuta
Per comprendere le ragioni della rimessione è opportuno approfondire gli orientamenti contrapposti.
Secondo l’orientamento maggioritario, il dipendente di Poste Italiane rivestirebbe la qualità di incaricato di pubblico servizio in relazione all’attività di raccolta del risparmio postale, in quanto essa recherebbe una connotazione pubblicistica (sul punto Cass., sez. VI, 23 novembre 2016, n. 10875, in C.E.D. Cass., n. 272079; Cass., sez. VI, 13 gennaio 2017, n. 14227, ivi, n. 26948; Cass., sez. VI, 20 novembre 2018, n. 993, ivi, n. 274938; Cass., sez. VI, 7 marzo 2024, n. 22280, ivi, n. 286614). Tale ricostruzione si pone in linea di continuità con l’art. 12 d.P.R. 29 marzo 1973, n. 156 (codice postale e delle telecomunicazioni), secondo cui «Le persone addette ai servizi postali edi bancoposta, anche se dati in concessione a uso pubblico, sono considerate pubblici ufficiali o incaricati di pubblico servizio, secondo la natura delle funzioni loro affidate, in conformità degli artt. 357 e 358 c.p.».
Un diverso orientamento giurisprudenziale sottolinea invece che lo svolgimento di funzioni di tipo bancario da parte di Poste Italiane abbia assunto natura privatistica (al pari delle banche) col venir meno del sistema normativo delle banche pubbliche. Da ciò consegue che l’appropriazione di danaro dei risparmiatori con abuso del ruolo integra il reato di appropriazione indebita e che riservare ai dipendenti di Poste Italiane un trattamento più rigoroso di quello applicabile ai dipendenti degli istituti di credito (malgrado l’identica natura dall’attività svolta) violerebbe il principio di uguaglianza di cui all’art. 3Cost.
Non rileva quindi che Poste Italiane operi per conto della Cassa Depositi e Prestiti, essendo quest’ultima equiparabile a un comune azionista che non interviene nei rapporti con la clientela (Cass., sez. VI, 21 ottobre 2014, n. 18457, in C.E.D. Cass., n. 263359; Cass., sez. VI, 30 dicembre 2014, n.18457, ivi, n. 263359; Cass., sez. VI, 31 maggio 2018, n. 42657, ivi, n. 274289).
Con riguardo alla valorizzazione del rapporto di Poste Italiane con Cassa Depositi e Prestiti che emerge dal d. lgs. n. 284 del 1999, le sentenze dissentono dalla tesi che enfatizza la strumentalità del risparmio postale alla realizzazione delle finalità di Cassa Depositi e Prestiti, basandola sul contenuto dell’art. 2 del detto decreto. In ogni caso, né da tale norma, né da altre, è dato evincere che Poste Italiene operi anche “in nome” della Cassa Depositi e Prestiti, in forza di un rapporto di immedesimazione organica. Quand’anche agisse in rappresentanza diretta, non vi sono ragioni per sostenere che Poste Italiane operi secondo regole diverse dalle banche comuni. Alla stessa linea interpretativa si ascrive Cass., sez. II, 7 marzo 2018, n. 20437, Callea, in C.E.D. Cass., n. 272807.
La Corte di cassazione ritiene condivisibile il secondo orientamento, considerando il primo viziato da un’indebita confusione di piani. Ciò in quanto, sebbene costituisca esercizio di potestà pubbliche la decisione dello Stato o di altri enti pubblici di acquisire risorse dal mercato mediante l’emissione di titoli del debito pubblico, la fase (successiva) di negoziazione e gestione del c.d. risparmio postale demandata a Poste Italiane avviene secondo le regole del diritto civile. A conferma del dato per cui i rapporti scaturenti dal collocamento dei titoli di risparmio postale sono regolati da norme privatistiche si pone l’art. 3 del regolamento bancoposta, inerente ai rapporti con i clienti: se i rapporti con i risparmiatori hanno natura privatistica, non si comprende perché la negoziazione dei titoli al fine di immettere liquidità sul mercato acquisisca dimensione “pubblicistica”.
Il primo orientamento sembrerebbe individuare nella raccolta di risparmio postale una finalità ulteriore rispetto a quella di reperire liquidità, consistente nell’assicurare forme di investimento a tutela di investitori poco inclini al rischio.
A ben vedere, la “garanzia dello Stato” sui buoni postali fruttiferi e sui libretti di risparmio (non offerta dalla rete distributiva bancaria) ha sempre costituito un elemento attrattivo per il mercato, ma non è esclusiva del risparmio postale; si tratta, quindi, di un dato scarsamente significativo di una “funzione sociale” tale da differenziare il risparmio postale da altre attività analoghe. Non maggiore persuasività presenterebbero, ad avviso della Suprema Corte, gli altri suggestivi indicatori posti dall’orientamento maggioritario a sostegno del carattere “pubblicistico” dell’attività di risparmio postale.
La tesi maggioritaria, ritenendo che la raccolta del risparmio postale costituisca un servizio pubblico, attribuisce ai soggetti posti in ruoli quale quello del ricorrente una qualifica pubblicistica, svolgendo attività inquadrabile nell’àmbito degli artt. 358 o 357 c.p.
Ma le Sezione rimettente tuttavia dissente, in quanto ritiene le attività svolte dal ricorrente – esclusa la consulenza – essenzialmente esecutive (non diverse da quelle d’ordine) rispetto alla gestione dei prodotti finanziari, non richiedendo specifiche competenze ed essendo prive del carattere di autonomia e rientranti nella generale attività bancaria privata.
L’ordinanza sottolinea inoltre come non debba confondersi il rilascio di dichiarazioni scritte destinate a fare prova nei rapporti giuridici (comuni nei rapporti tra privati), con il rilascio di documenti o notazioni con valore certificativo e, quindi, di prova legale nell’ordinamento (non solo tra le parti). Sul punto, l’art. 2699 c.c. prevede che sia atto pubblico con funzione certificativa quello emanato da un soggetto autorizzato ad attribuirgli fede da una norma di legge.
Quindi si dovrebbe individuare la norma che attribuisce il potere certificativo.
In quest’ottica, Cass., sez. VI, 31 gennaio 2024, n. 22275, in C.E.D. Cass., n. 286613 ha osservato come la cosiddetta stampata dell’operazione non abbia più una funzione probatoria (essendo venuta meno la funzione fidefacente ex art. 2700 c.c.) e le disposizioni specifiche ex art. 2699 ss. c.c. escludono un’attribuzione di un simile valore, facendo venir meno la rilevanza delle annotazioni e/o ricevute degli addetti allo sportello.
Il quesito
In definitiva, le Sezioni Unite sono chiamate a pronunciarsi sul seguente quesito di diritto: «Se, nell’àmbito delle attività di “bancoposta” svolte da Poste Italiane S.p.a. ai sensi del d.P.R. 14 marzo 2001, n. 144, la “raccolta del risparmio postale” (raccolta di fondi attraverso libretti di risparmio postale e buoni postali fruttiferi effettuata da Poste per conto della Cassa depositi e prestiti – art. 2, comma 1, lett. b) reg. cit. e art. 2, comma 1, lett. b) d. lgs. 30 luglio 1999, n. 284) – abbia natura pubblicistica e, nel caso positivo, se l’operatore di Poste Italiane S.p.a. addetto alla vendita e gestione di tali prodotti rivesta la qualifica di pubblico ufficiale o di incaricato di pubblico servizio ai sensi degli artt. 357 e 358 c.p.».
L’udienza è fissata per il 12 dicembre 2024 e il relatore designato è il Consigliere Corbo.