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La tutela della corrispondenza tra atipicità della prova e tentativi di riforma

Abstract

Il progresso tecnologico determina un costante aggiornamento della normativa in tema di formazione e acquisizione della prova nel processo penale. A tal proposito, in seguito alla sentenza della Corte costituzionale, è in discussione una proposta di legge di riforma del sequestro di corrispondenza e dei dispositivi informatici, già approvata dal Senato, volta a garantire maggiori tutele per i consociati. Il contributo si pone l’obiettivo di evidenziare luci ed ombre della giurisprudenza, nonché delle possibili riforme.

Technological progress results in the constant updating of regulations on the formation and acquisition of evidence in criminal trials. In this regard, following the ruling of the Constitutional Court, a proposed law on the reform of the seizure of correspondence and computer devices, already approved by the Senate, is under discussion, aimed at ensuring greater protections for consociates. The contribution aims to highlight lights and shadows of the case law, as well as possible reforms.

Sommario: 1. Premessa. – 2. Il principio di non sostituibilità tra legalità della prova e limitazioni dei diritti fondamentali. –  3. (Segue) L’acquisizione delle prove lesive dei diritti fondamentali. – 4. I diritti c.d. emergenti. – 5. La tutela della corrispondenza dei detenuti. – 6. La prova incostituzionale. – 7. La sentenza n. 170/2023 della Consulta. – 8. (Segue) L’estratto conto bancario al crocevia tra corrispondenza e documento. – 9. Le ripercussioni della sentenza costituzionale e qualche nota critica. – 10. Riflessioni conclusive: verso nuovi progetti di riforma dell’istituto del sequestro di corrispondenza.

1. Premessa

La società nella quale viviamo è sempre più complessa e dominata dalle nuove tecnologie, connotate da un’evoluzione rapidissima e aventi una grande capacità espansiva[1]. Non a caso, da tempo si parla di «rivoluzione informatica»[2], dovuta all’eccessivo utilizzo della tecnologia che porta, innanzitutto, ad un ampliamento dei mezzi di comunicazione, accessibili da chiunque e in ogni momento, in più, tali strumenti, hanno investito – potremmo dire, travolto – completamente ogni sfera della nostra vita[3]. Gli ultimi anni, inoltre, si caratterizzano per la crescita esponenziale della telefonia digitale, tant’è che l’accesso alla rete può essere considerato un diritto fondamentale – addirittura costituzionale[4] – della persona, ovverosia una condizione per il pieno suo sviluppo individuale.

Il processo penale, dunque, non può restare insensibile rispetto ai cambiamenti della società. In particolare, l’evoluzione tecnologica ha indicato nuovi itinerari per l’attività di ricerca e raccolta della prova penale[5]: le indagini preliminari sono ormai intrise di dati probatori precostituiti e digitali, pertanto il giurista non può sottrarsi a una compiuta analisi sulla compatibilità dei nuovi mezzi di ricerca della prova con il sistema processuale, invocando senza indugi la sanzione dell’inutilizzabilità di quegli elementi raccolti con modalità non disciplinate dal codice di rito e lesive dei diritti fondamentali[6]. Sempre con maggiore frequenza, nel teatro del processo penale si affacciano nuovi diritti – come la riservatezza informatica – che sono diversi da quelli “tradizionali”, ma parimenti meritevoli di tutela normativa e giurisdizionale. Un tema che da moltissimi anni assume rilevanza costituzionale[7]: al diritto di vivere in una società libera – che non faccia uso della digitalizzazione come mezzo di sorveglianza – si affianca la necessità di garantire l’accertamento giudiziale attraverso gli efficaci mezzi a disposizione. Ecco perché, recentemente, tali mezzi di ricerca della prova sono al centro del dibattito dottrinale e della giurisprudenza, persino sovranazionale[8].

2. Il principio di non sostituibilità tra legalità della prova e limitazioni dei diritti fondamentali

            La finalità cognitiva e l’accertamento della responsabilità dell’imputato devono essere bilanciate con la garanzia dei diritti fondamentali. Il processo penale – a fortiori quello di stampo accusatorio – non può limitarsi a svolgere una funzione meramente strumentale di applicazione della legge punitiva; ma deve tendere a realizzare uno scopo ben più dignitoso, ossia quello di tutelare tutti i valori che vengono in gioco, come i diritti inviolabili della persona sottoposta al giudizio. Per raggiungere questo obiettivo, il «processo penale può essere descritto come la disciplina dei limiti imposti dalla legge (processuale) al potere statuale dell’amministrazione della giustizia penale per garantire il rispetto di diritti pari o addirittura superiori al valore rappresentato dall’accertamento delle responsabilità»[9]. Nel nostro ordinamento per pervenire a tale finalità «la giurisdizione si attua mediante il giusto processo regolato dalla legge»[10], che si realizza quando non si ignorano i diritti fondamentali dell’individuo; come insegna la giurisprudenza della Corte costituzionale, secondo la quale «un processo non ‘giusto’, perché carente sotto il profilo delle garanzie, non è conforme al modello costituzionale»[11].

Invero, il precipitato che possiamo desumere alla riforma costituzionale del 1999, con la quale si sono introdotti nell’ordinamento italiano i principi legati al giusto processo, è il necessario rispetto della legalità processuale[12], unica garanzia in grado di consentire una ricostruzione dei fatti da provare rispettosa delle garanzie poste a tutela della libertà dei singoli[13]. Difatti, sulla base della consolidata giurisprudenza del Giudice delle leggi e della Cassazione, qualora nel corso del processo occorra incidere su un diritto riconosciuto dalla Costituzione – si pensi agli artt. 13, 14 e 15 Cost. – non sarà possibile eludere il rispetto della riserva di legge e di giurisdizione previste dalla Carta. Per comprimere tali diritti, definiti inviolabili, bisogna seguire un paradigma acquisitivo direttamente previsto dai Padri Costituenti, frutto di un bilanciamento tra l’esigenza pubblica di accertamento dei reati e la tutela individuale del singolo[14]. Pertanto, si può affermare che il principio di legalità costituisce un principio generale del diritto[15] e che il diritto processuale penale è qual complesso di norme che definiscono la procedura[16] da rispettare per giungere all’accertamento di quella che possiamo definire verità processuale[17]. Dunque, se tutto ciò è vero, le disposizioni che regolano il processo penale sono norme superiori, di diretta derivazione costituzionale, e rappresentano un limite anche al potere del magistrato[18].

Tuttavia, il processo penale, a maggior ragione le indagini preliminari, per realizzare efficacemente la loro funzione accertativa, si imbattono in una serie di informazioni che attengono alla personalità di soggetti che a vario titolo ruotano intorno agli attori protagonisti delle vicende giudiziarie. Inoltre, considerato che gli strumenti investigativi di ultima generazione sono estremamente invasivi, emergono numerosi problemi anche di inquadramento normativo. In effetti, il passaggio che occorre effettuare prima di addentrarci nella complessa teoria della prova incostituzionale, riguarda una valutazione preliminare sull’atipicità della prova; in quanto, non risulta possibile invocare l’art. 189 c.p.p. per consentire l’ingresso di prove atipiche lesive dei diritti costituzionalmente garantiti da riserva di legge e di giurisdizione. La Consulta ha correttamente evidenziato che un atto può comportare un maggiore o minore sacrificio al nucleo duro dei diritti fondamentali; pertanto, occorre approfondire l’entità della lesione. In presenza di un atto non disciplinato dalla legge, qualora si ritenga che l’attività intrusiva comporti un sacrificio totale dell’istanza costituzionale, esso non può essere ammesso. La Costituzione, infatti, salvo rarissime eccezioni, pone un limine tendenzialmente non superabile – quindi non bilanciabile – neanche di fronte ad altre esigenze di pari rango costituzionale[19].

3. (Segue) L’acquisizione delle prove lesive dei diritti fondamentali

Innanzitutto, per quanto attiene alle prove lesive dei diritti fondamentali, casomai si giunga a ritenere atipico l’atto di indagine, non resta altra strada se non l’inutilizzabilità, non essendo rispettati i paradigmi acquisitivi previsti dalla Carta costituzionale. Diversamente, negli altri casi, sarà necessario indagare per trovare un inquadramento nel codice di rito in grado di supportare l’attività in questione[20]. Una ricerca del “tipo legale” nel quale poter sovrapporre l’atto investigativo. In questa delicata attività discrezionale si innesta il principio di non sostituibilità, a mente del quale un atto, tipico o atipico, non può essere utilizzato per superare le regole o i divieti probatori previsti da una specifica disciplina. In proposito, un terreno sul quale si è dibattuto a lungo è quello delle ricognizioni informali effettuati nel corso delle indagini preliminari o, addirittura, durante il dibattimento che finiscono per aggirare costantemente la disciplina sulla ricognizione[21]. Come ampiamente confermato dalla giurisprudenza più illuminata, proprio nelle disposizioni che disciplinano la formazione della prova occorre calare il principio di non sostituibilità, il quale svolge la funzione di presidio dei limiti ricavabili dal sistema, essendo strettamente collegato alla legalità probatoria[22]. Ebbene, parte della dottrina sostiene addirittura che il bilanciamento tra riservatezza e processo penale sia una tematica che «non attiene ad una asettica scelta di modello processuale, ma tocca il cuore del quadro istituzionale nel suo complesso, al di là delle ideologie classificatorie»[23]. Sono sicuramente scelte politico-legislative complesse, ma la ragionevolezza deve essere il criterio in grado di guidare ogni bilanciamento fra tutti gli interessi in gioco.

Questo connotato possiamo coglierlo meglio osservando l’iter logico e giuridico seguito dal legislatore con riguardo al delicato utilizzo del captatore informatico durante le indagini preliminari. Per esemplificare possiamo elencare le principali funzioni[24] che il c.d. virus trojan riesce a svolgere entrando nella sfera riservata dell’individuo bersaglio. Una volta inoculato il malware in un device sarà possibile attivare il microfono e/o la videocamera del dispositivo per effettuare riprese; perquisire l’hard disk,oppure fare copia del suo contenuto; oltre a decifrare ciò che viene digitato sulla tastiera (keylogger); infine, visualizzare e acquisire tutto il materiale che viene visionato sullo schermo del dispositivo (screenshot e screencast).  Elencando le funzioni più invasive che il captatore informatico può compiere, si può ben comprendere come i diritti costituzionali possono subire gravi compressioni: emerge chiaramente la necessità di rispettare il principio di proporzionalità[25]. Questi sono limiti rivolti principalmente al legislatore, il quale deve individuare una disciplina che stabilisca i casi e i modi nei quali un diritto inviolabile può essere limitato, solo così verrà rispettata la riserva di legge che la Costituzione impone. Se questo è vero, ogni atto limitativo dei beni giuridici costituzionali non disciplinato dalla legge – nell’an enel quamodo – non può essere consentito. Non solo, un legislatore silente esprime una posizione di valore: siamo, comunque, di fronte a un limite probatorio, e, qualora fosse oltrepassato, non resta altra strada che l’inutilizzabilità degli elementi raccolti in violazione il divieto.

Piu volte, analizzando i beni costituzionali aggrediti dai nuovi strumenti tecnologici, abbiamo fatto riferimento agli artt. 14 e 15 Cost. nei quali si parla di libertà di domicilio[26], e di libertà e segretezza della corrispondenza, ma la tutela costituzionale ben può invocarsi anche per il c.d. domicilio informatico[27], come se fosse una sorta di proiezione immateriale della persona, fino ad arrivare a ricomprendere l’inviolabilità della psiche[28]. Ci possiamo spingere oltre, addirittura, ove si ritenga che la tutela di questo bene immateriale costituisca un bene-presupposto per il godimento di altri diritti. Occorre, dunque, interpretare la Carta costituzionale in modo da farla vivere nell’oggi, adeguando il concetto di domicilio e tutelando anche la personalità immateriale.

Nonostante qualche difficoltà, anche la giurisprudenza tenta di aumentare le garanzie individuali nell’ambito dei mezzi di ricerca della prova. Di notevole interesse sono le pronunce della Corte costituzionale tedesca che hanno innovato un filone giurisprudenziale volto a vagliare le scelte decisionali del legislatore. La Corte tedesca si è concentrata sul “criterio dello scopo”: per considerare legittima una scelta politico-legislativa occorre valutare se lo scopo perseguito può essere raggiunto mediante la misura adottata; inoltre, una seconda valutazione riguarda l’indispensabilità a raggiungere lo scopo; l’ultimo scrutinio deve, infine, avere ad oggetto la “giustificabilità” del sacrificio imposto ai diritti individuali, tenuto conto della gravità del reato[29]. Anche sul captatore elettronico si è pronunciata la Corte federale tedesca, affermando che determinati diritti – come la segretezza delle comunicazioni o l’inviolabilità del domicilio – non possono tollerare un’incidenza totalizzante delle nuove tecnologie. Si è così creato un nuovo “diritto fondamentale alla garanzia dell’integrità della riservatezza dei sistemi informatici”, ricollegandolo al generale diritto alla dignità, radicato e tutelato all’art. 1.1 della Costituzione federale[30]. Così facendo, il Bundesverfassungsgericht, anche recentemente, ha ribadito la necessità di effettuare un bilanciamento sulla scorta del principio di proporzionalità, introducendo persino un riferimento alla natura del dato raccolto, al tipo di trattamento effettuato, nonché al fine perseguito[31].

Questo è un classico esempio di come – anche oltre i confini italiani – si cristallizza la necessità di effettuare bilanciamenti guidati dal criterio della proporzionalità. Parimenti, la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha affermato che tutte le restrizioni ai diritti che tutelano i dati personali debbono sottostare al principio di proporzionalità e che spetta al legislatore nazionale il compito di creare una disciplina – attraverso norme chiare e precise – che neutralizzi il rischio di eventuali abusi da parte dell’autorità[32].

4. I diritti c.d. emergenti

            Ancora più interessante appare l’orientamento della giurisprudenza volto a delineare una disciplina che possa tener conto della minore intrusività dell’attività di indagine, non in grado di sacrificare l’essenza di un diritto fondamentale, bensì di “diritti emergenti”. In tali casi, la Cassazione ha individuato il fondamento costituzionale nella clausola aperta dell’art. 2 Cost.[33], non ritenendo necessaria una legge ordinaria che disciplini i casi e i modi dell’acquisizione, e ben potendo essere sufficiente un provvedimento adeguatamente motivato dell’autorità giudiziaria, ossia del pubblico ministero[34]. A titolo esemplificativo, può essere utile invocare la disciplina delle videoriprese. Chiamate a pronunciarsi, le Sezioni Unite hanno prospettato una inedita interpretazione del concetto di domicilio e da tale esegesi hanno fatto discendere una conseguenziale disciplina delle videoriprese di mere immagini[35]. Il Collegio esteso, infatti, ha creato la categoria dei luoghi riservati, i quali si distinguono dai luoghi privati e da quelli pubblici. Orbene, la captazione delle immagini registrate negli ambienti privati, come i bagni pubblici, necessita di una maggiore cautela, in virtù della maggiore aspettativa di riservatezza, oltre al c.d. ius excludendi alios. Benché detti luoghi non rientrano nel concetto “crudo” di domicilio, ex art. 14 Cost., meritano comunque una tutela più tenue e un paradigma acquisitivo semplificato. Così opinando, la giurisprudenza ha introdotto nell’ordinamento prove che potremmo definire “atipiche rafforzate”[36].

Esistono, infine, prove atipiche che non ledono diritti fondamentali, neppure emergenti. Non avendo ripercussioni su diritti costituzionalmente garantiti, è possibile introdurre nel procedimento l’attività utilizzando l’atto atipico. Anche in questo frangente, possiamo richiamare l’insegnamento delle Sezioni Unite Prisco, in quanto, secondo gli Ermellini, le videoriprese di mere immagini non comunicative registrate in luoghi pubblici non hanno necessità di una previsione normativa espressa. Ad ogni modo, la Corte costituzionale ha esteso tale disciplina anche alle videoriprese all’interno del domicilio, le quali si riferiscono a comportamenti che possiamo definire “non riservati”, purché la polizia operante abbia utilizzato strumenti captativi senza oltrepassare le barriere funzionali all’impedimento dell’altrui osservazione[37].

5. La tutela della corrispondenza dei detenuti

Un altro grande banco di prova del principio di non sostituibilità riguarda la tutela della corrispondenza in entrata e in uscita dei soggetti reclusi negli istituti penitenziari. Nonostante nella “società libera” sia uno strumento quasi desueto, la corrispondenza epistolare svolge un ruolo di fondamentale importanza per i detenuti, difatti la legge n. 354 del 1975, contrariamente a quanto avviene per le telefonate e per i colloqui, non pone limiti quantitativi alle lettere che il detenuto può inviare o ricevere[38]. La corrispondenza dei detenuti rientra a pieno titolo nell’art. 15 Cost. e negli artt. 8 e 13 Cedu, per cui le limitazioni dovranno avvenire nei casi e nelle modalità indicati dal legislatore[39]. Garanzie introdotte solo con la legge n. 95 del 2004, con la quale il legislatore ha introdotto l’art. 18-ter nella legge penitenziaria, per precisare il grado della limitazione, i presupposti, i tempi e le autorità giurisdizionali preposte alla tutela dei diritti dei detenuti.

L’inescusabile ritardo del legislatore penitenziario nell’approvazione della legge del 2004 è principalmente dovuto alla carenza di una cultura costituzionale per i diritti dei detenuti. Anche la giurisprudenza della Corte costituzionale, in un primo periodo, è stata influenzata da un approccio poco garantista che prende le mosse da una capitis deminutio riconosciuta ai reclusi una volta varcato il cancello del carcere. Tuttavia, con la riforma Gozzini[40], pure la Consulta avvia una distinzione tra gli atti che incidono sulla qualità della pena, dagli atti puramente e semplicemente amministrativi, arrivando ad affermare che la sanzione detentiva «non può comportare una totale ed assoluta privazione della libertà della persona; ne costituisce certo una grave limitazione, ma non la soppressione. Chi si trova in stato di detenzione, pur privato della maggior parte della sua libertà, ne conserva sempre un residuo, che è tanto più prezioso in quanto costituisce l’ultimo ambito nel quale può espandersi la sua personalità individuale»[41]. Nel 1997 sono sempre i giudici del Palazzo della Consulta a scrivere che negli istituti penitenziari, prima ancora che detenuti, ci sono persone; e che «pur trovandosi in una situazione di privazione della libertà personale in forza della sentenza di condanna [il detenuto] è pur sempre titolare di diritti incomprimibili, il cui esercizio non è rimesso alla semplice discrezionalità dell’autorità amministrativa preposta all’esecuzione della pena detentiva e la cui tutela non sfugge al giudice dei diritti»[42]. L’introduzione dell’art. 18-ter nella legge penitenziaria consente una limitazione del diritto alla corrispondenza epistolare che può consistere in un controllo materiale della busta, senza lettura dello scritto in essa contenuto; oppure, in un controllo con lettura del contenuto ed un eventuale trattenimento (c.d. visto di censura); infine, in un blocco della corrispondenza in entrata e in uscita dall’istituto penitenziario[43]. Va segnato che, dopo l’entrata in vigore della riforma del 2004, si è sviluppata una prassi investigativa lesiva dei diritti costituzionale, «sconfessata prima dalle Sezioni Unite della Corte di cassazione e poi dalla Corte costituzionale»[44]. Il controllo occulto delle lettere con la scansione del contenuto e la consegna al detenuto, tenuto all’oscuro dell’ispezione, non è più ammesso dal nostro ordinamento. Sul punto la Cassazione sottolinea l’impossibilità di invocare il concetto di prova atipica quando si tratta di attività vietate, le quali non possono essere considerate “prove non disciplinate dalla legge”. La prassi investigativa sul controllo occulto è illegittima – secondo gli Ermellini – non perché incostituzionale, ma in quanto attuata in violazione delle norme processuali previste dall’ordinamento penitenziario.

La questione è trattata anche dalle Sezioni Unite nel 2012[45]. Il Collegio esteso, fra le tante considerazioni, puntualizza ciò che né prima né dopo le novità introdotte mediante l’art. 18-ter ord. pen., «poteva e può essere disposto dall’autorità giudiziaria è l’apprensione in forma occulta del contenuto della corrispondenza dei detenuti (neppure di quelli sottoposti al regime dell’art. 41-bis ord. pen.)»[46]. Pertanto, viste le peculiarità legate allo status della persona ristretta, «i poteri di intrusione dell’autorità giudiziaria nella corrispondenza che transita per gli istituti penitenziari ricevono apposita regolamentazione», a fortiori quando si tratta di materia presidiata da riserva di legge e di giurisdizione. Di conseguenza, «non è consentita un’interpretazione analogica o estensiva di discipline specificamente dettate per singoli settori»[47]. La Cassazione riunita prende posizione anche sul tema della prova atipica, ribadendo che la copia della corrispondenza deve ritenersi vietata, ove non acquisita nel rispetto delle garanzie[48]. Un passaggio fondamentale della sentenza è il richiamo al principio di non sostituibilità: ogniqualvolta un’acquisizione trovi nel codice di rito la sua disciplina, è ineludibile fare riferimento al dettato legislativo, altrimenti si rischia di perdere l’identità del sistema probatorio[49]. La categoria concettuale delle prove non disciplinate dalla legge, infine, non può essere un escamotage per introdurre nel processo prove vietate. Ebbene, per quanto concerne il visto di controllo, la Cassazione chiarisce che non ci possono essere controlli occulti: l’incaricato deve – al momento dell’apertura della missiva – imprimere un segno riconoscibile per attestare l’avvenuta lettura. Pertanto, la documentazione illegittimamente intercettata è inutilizzabile ai sensi dell’art. 191 c.p.p.

A simili conclusioni giunge anche la Corte costituzionale, secondo la quale l’interpretazione dalla Cassazione costituisce un approdo ineluttabile, poiché, «la materia delle intrusioni investigative sulla corrispondenza postale è regolata dall’art. 254 c.p.p. e, nel caso di detenuti [anche] dall’art. 18-ter ord. pen.». La Consulta specifica che «il sequestro e il visto di controllo si atteggiano quale disciplina speciale incidente su aspetti presidiati dalla riserva di legge dell’art. 15 Cost., così da impedire l’applicazione analogica delle disposizioni di cui all’art. 266 c.p.p., in materia di intercettazioni, ovvero dall’art. 189 dello stesso codice in materia di prove atipiche»[50]. Il Giudice delle leggi non ritiene irragionevole – anzi, condivide – la scelta del legislatore: le differenze strutturali tra i due mezzi di comunicazione (postale e telefonico) hanno portato a due discipline e due modalità di ricerca della prova[51]. Con la sentenza del 2017, la Corte ribadisce il percorso logico da effettuare nel rispetto del principio di non sostituibilità: preliminarmente occorre individuare il lese costituzionale leso e, dopo aver effettuato una valutazione circa l’atipicità dello strumento utilizzato, è necessario procedere con l’esame della disciplina vigente per individuare una somiglianza.

Infine, un ulteriore allargamento dei diritti lo abbiamo avuto nel 2022, a seguito della dichiarazione di incostituzionalità del visto di controllo sulla corrispondenza dei detenuti sottoposti al regime dell’art. 41-bis ord. pen. con il proprio difensore[52]. La ratio di tale limitazione mira ad impedire che l’internato possa intrattenere rapporti con l’organizzazione criminale di appartenenza, tuttavia siffatta misura risulta del tutto inidonea ed eccessiva rispetto allo scopo perseguito dal legislatore, «dal momento che il temuto scambio di informazioni tra difensori e detenuti o internati potrebbe comunque avvenire nel contesto dei colloqui visivi o telefonici, oggi consentiti con il difensore in numero illimitato, e rispetto al cui contenuto non può essere operato alcun controllo»[53].

In conclusione, ancora una volta, è la Corte costituzionale che si attribuisce il ruolo di «garante della legalità»[54], tenendo in considerazione le numerose potenzialità dei nuovi strumenti tecnologici, ma, utilizzando tutta la prudenza che il compito richiede.

6. La prova incostituzionale

            Da molti anni, sia in dottrina che in giurisprudenza, si è acceso il dibattito sulla configurabilità della prova incostituzionale, ossia quella prova assunta con modalità lesive dei diritti fondamentali della persona umana garantiti dalla Costituzione. La categoria concettuale della prova incostituzionale entra in scena, soprattutto, quando il codice di rito non disciplina le modalità di raccolta degli elementi probatori.

Il dibattito dottrinale si sviluppa durante i primi anni del periodo repubblicano, sotto la vigenza del codice di procedura penale del 1930, in quanto il nuovo assetto costituzionale richiedeva agli operatori giuridici inedite riflessioni circa la compatibilità delle disposizioni processuali con la tutela dei diritti fondamentali. Il dibattito evolve negli anni Settanta, allorquando la Corte costituzionale in una nota sentenza del 1973 prova a dar vita ad un nuovo bilanciamento tra interessi contrapposti: da un lato, troviamo la tutela dei diritti costituzionali dell’individuo e, dall’altro, l’esigenza di prevenzione e repressione dei reati. La Corte riconosce copertura costituzionale ad entrambe le istanze, precisamente negli artt. 2 e 112 della Costituzione. Difatti, il compito dell’interprete è quello di escogitare una soluzione che possa consentire all’autorità giudiziaria di assolvere allo scopo attribuito al processo penale, nel rispetto dei diritti individuali.

Effettivamente, una parte della dottrina ha tentato di interpretare estensivamente il concetto di “legge”, fino a ricomprendere anche la Carta costituzionale, allo scopo di invocare l’inutilizzabilità ex art. 191, comma 1, c.p.p.[55]. Pertanto, sulla base di questa ricostruzione, sono vietati tutti gli atti che incidono sui diritti involabili, se non sono disciplinati nei casi e nei modi dalla legge ordinaria[56]. Effettivamente, qualora la Costituzione impegni il legislatore per fissare i casi e i modi nei quali si possono limitare i diritti fondamentali, e quest’ultimo – nella discrezionalità che gli è propria – scelga di non adempiere al mandato costituzionale, fissa comunque un limite invalicabile. Considerate le numerose difficoltà – anche lessicali dell’art. 191 del codice – che presenta questa ricostruzione, la dottrina ha sviluppato anche un’altra tesi, valorizzando una lettura del concetto di inviolabilità dei diritti, attraverso la quale si arriva a sostenere che il bene giuridico protetto sia leso non tanto dal comportamento umano, ma dall’utilizzazione dei dati che sono stati raccolti[57].

Infine, un’altra tesi evidenzia come la prova può essere incostituzionale per violazione di divieti probatori (costituzionali) espliciti, ma anche impliciti. La dottrina richiama l’art. 111, quarto comma, Cost., secondo il quale la colpevolezza dell’imputato non può essere provata dalle dichiarazioni di colui che si è sottratto al contraddittorio[58]. Diversamente, altri ritengono impraticabile questa ricostruzione, ritenendo necessaria una norma ordinaria che dia attuazione al dettato costituzionale, arrivando a prospettare che un’eventuale illegittimità costituzionale a causa di un vuoto normativo, in quanto consentirebbe l’utilizzo di un dato probatorio che viola la Carta[59].

Le difficoltà che abbiamo tentato di esemplificare e le numerose interpretazioni sulla prova incostituzionale non sono questioni squisitamente dottrinali, ma – avendo determinato una serie di contrasti giurisprudenziali – incidono sull’utilizzabilità di elementi probatori, spesso determinanti, e di riflesso sui diritti fondamentali delle persone a vario titolo coinvolte nel procedimento penale. Sul punto può essere interessante osservare come la Corte costituzionale ha motivato la non fondatezza di alcune censure di incostituzionalità delle norme del codice di rito sulle intercettazioni di comunicazioni. Per il giudice a quo tale mezzo di ricerca della prova sarebbe lesivo della facoltà di non rispondere agli inquirenti da parte della persona sottoposta alle indagini; al contrario il redattore della sentenza n. 34 del 1973 – nel ribadire il fondamento costituzionale del bene tutelato attraverso la repressione dei reati[60] – evidenzia che l’art. 15 Cost. al secondo comma prevede espressamente la possibilità per il legislatore di limitare il diritto inviolabile della libertà e segretezza della corrispondenza; nonché, nel nostro ordinamento, il potere di intercettare ai fini di un’indagine penale è sottoposto ad autorizzazione dell’autorità giudiziaria. Autorizzando l’intercettazione, essendo inevitabile il sacrificio della segretezza, «il giudice deve tendere al contemperamento dei due interessi costituzionali protetti onde impedire che il diritto alla riservatezza delle comunicazioni telefoniche venga ad essere sproporzionatamente sacrificato dalla necessità di garantire una efficace repressione degli illeciti penali»[61]. Dal momento che l’obbligo di motivazione dei provvedimenti giurisdizionali è coessenziale al principio di legalità e soggezione del giudice alla legge, tutti i ragionamenti effettuati dal giudice dovranno sfociare nel decreto che autorizza l’intercettazione. Una motivazione chiara e precisa consentirà ad eventuali altri giudici e alle parti di controllare e seguire il percorso logico che ha portato ad accogliere la richiesta formulata dal pubblico ministero.

La Consulta torna a pronunciarsi, nuovamente sulle norme dedicate alle intercettazioni, nel 1993, allorquando la pretura di Siena solleva questione di legittimità dell’art. 270 c.p.p.; in particolare, la Corte costituzionale precisa la portata del diritto alla libertà e segretezza della corrispondenza. Siamo di fronte ad un diritto che dobbiamo annoverare fra i valori supremi; pertanto, «il suo contenuto essenziale non può essere oggetto di revisione costituzionale, in quanto incorpora un valore della personalità avente un carattere fondante rispetto al sistema democratico voluto dal Costituente»[62].  

Sulla configurabilità della prova incostituzionale, infine, si è pronunciata anche la Cassazione, in particolare con le Sezioni Unite del 1996. Per la Suprema Corte rientrano nelle prove sanzionate con l’inutilizzabilità «non solo le “prove oggettivamente vietate”, ma le prove formate o acquisite in violazione dei diritti soggettivi tutelati dalla “legge”, ed, a maggior ragione, quindi, quelle acquisite in violazione dei diritti tutelati in modo specifico dalla Costituzione»[63]. In conclusione, l’analisi della giurisprudenza porta ad affermare che, ormai, la prova incostituzionale è una categoria concettuale riconosciuta e la sanzione processuale che viene invocata qualora una prova si formi violando i diritti costituzionali è l’inutilizzabilità. La dottrina più autorevole ritiene, in effetti, che la totale caducazione si impone quale unica sanzione adeguata all’interesse protetto dalla Carta: solo con l’inutilizzabilità si elimina qualsiasi effetto che quella prova potrebbe essere in grado di produrre all’interno del processo. La violazione di questi divieti trova la sua disciplina normativa nell’art. 191, comma 1, c.p.p.[64], tant’è che oggi il tema fondamentale non è più quello di stabilire se una prova incostituzionale sia utilizzabile, ma stabilire quando e se siamo di fronte a una prova incostituzionale[65]. Dunque, ancora una volta, la tematica della prova incostituzionale s’interseca con il principio di non sostituibilità, il quale opera, non solo laddove vi sia una lesione di un diritto fondamentale, ma si prefigge l’obiettivo di scongiurare un uso eccessivo – nonché deprecabile – della prova atipica, al solo fine di eludere le regole processuali poste a tutela della legalità probatoria[66].

Seguendo i precedenti delle Corti europee, la Consulta ha recentemente rimesso l’attenzione sulla determinatezza e precisione della legge penale[67]: pertanto, se la formulazione linguistica delle disposizioni legislative è afflitta da una inintelligibilità assoluta, allora il testo normativo contraddice la sua stessa ragion d’essere. In tal caso, una legge particolarmente oscura[68] viola il canone di ragionevolezza espresso dall’art. 3 Cost., risultando inoltre foriera di intollerabile incertezza nella sua applicazione concreta. Una sentenza che si prefigge l’obiettivo di non limitare i suoi insegnamenti esclusivamente alla materia penale[69], avendo tratto spunto dalla giurisprudenza delle altre Corti europee. Ad ogni modo, il Collegio italiano richiama il precedente del Conseil constitutionnel francese, secondo cui «l’accessibilità e l’intellegibilità della legge rappresentano principi di rango costituzionale, che impongono al legislatore di adottare disposizioni sufficientemente precise al fine di proteggere gli individui dal rischio di applicazioni arbitrarie delle leggi, evitando di addossare alle autorità amministrative e giurisdizionali il compito di stabilire regole che spettano invece al legislatore»[70]. Non di meno, il Tribunale costituzionale federale tedesco da molti decenni ormai riconosce l’esistenza di un mandato costituzionale di “precisione” e “chiarezza normativa”, un vincolo per il legislatore da rispettare ai fini della legittimità dei provvedimenti: un limite all’oscurità, introdotto dalla giurisprudenza, valevole per ogni branca del diritto[71].

7. La sentenza n. 170/2023 della Consulta

            Un’altra recente pronuncia rilevante che consente di ribadire l’attualità del principio di non sostituibilità è della Corte costituzionale. La sentenza n. 170 del 2023 trae origine dal conflitto di attribuzioni tra poteri dello Stato, depositato il giorno 11 maggio 2022[72], da parte del Senato della Repubblica nei confronti della Procura della Repubblica presso il Tribunale ordinario di Firenze. Il conflitto di attribuzioni è sorto a seguito dell’acquisizione di plurime comunicazioni del senatore Renzi e altri soggetti, disposte dalla Procura fiorentina, nell’ambito del procedimento penale iscritto a carico dello stesso senatore, in assenza di una previa richiesta di autorizzazione (perché mai richiesta) alla Camera alta del parlamento italiano, violando – secondo la prospettazione del ricorrente – le guarentigie spettanti ai parlamentari ai sensi dell’art. 68, comma 3, Cost.[73] Il procedimento penale è avviato dagli inquirenti per accertare eventuali reati commessi dagli indagati in ordine al sostegno economico prestato ad una fondazione di diritto privato (la Fondazione Open) e, di conseguenza, all’attività politica degli esponenti del partito di riferimento del sen. Renzi, in quanto il sostegno avrebbe integrato – secondo la ricostruzione accusatoria – il delitto di finanziamento illecito di partiti politici, di cui all’art. 7 della l. 195/1974 e l’art. 4 della l. 659/1981.

La Procura di Firenze, attraverso una serie di perquisizioni, ha sequestrato i dispositivi mobili (computer, pen drive, tablet, ecc.) appartenenti a soggetti non parlamentari, acquisendo i messaggi scambiati tramite l’applicazione Whatsapp tra il senatore e altri collaboratori[74]. Parimenti, i magistrati hanno acquisito un estratto conto relativo al conto corrente del sen. Matteo Renzi, attraverso un decreto di acquisizione, sempre ritenendo di non dover chiedere l’autorizzazione al Senato, in quanto in presenza di un mero documento[75]. Il Senato, in data 22 febbraio 2022, su proposta della Giunta delle elezioni e delle immunità parlamentari, solleva un conflitto di attribuzioni davanti alla Consulta[76].

 La Corte costituzionale dichiara ammissibile il ricorso con l’ordinanza n. 261 del 2022. Nel merito la prima questione riguarda la nozione di corrispondenza: si chiede al Giudice delle leggi se, ai sensi dell’art. 15, primo comma, e dell’art. 68, terzo comma, Cost., è possibile includere i messaggi inviati o ricevuti tramite posta elettronica, oppure con l’applicazione Whatsapp nel concetto di corrispondenza?[77] Cosicché, qualora venisse accolta l’interpretazione prospettata dal ricorrente, occorrerà individuate la procedura da applicare ai sequestri della corrispondenza che vedano coinvolto un parlamentare, soprattutto nel caso in cui il device non sia di proprietà dell’onorevole.

Le argomentazioni confluite nel ricorso presentato dal Senato fanno riferimento a un concetto evoluto di corrispondenza, in grado di annoverare anche lo scambio di messaggi scambiati tra più soggetti con strumenti di tipo informatico e telematico, in quanto tale forma di comunicazione manterrebbe inalterato il requisito della riservatezza[78], richiesto dalla norma costituzionale e quello dell’attualità. Quest’ultimo requisito, in particolare, è contestato dalla Procura fiorentina, la quale facendo proprie le determinazioni della giurisprudenza di legittimità[79] ritiene che non possano considerarsi attuali i messaggi di posta elettronica, gli SMS e la chat archiviate nella memoria dell’applicazione Whatsapp. La disciplina relativa al sequestro di corrispondenza, infatti, non sarebbe applicabile al caso in esame per mancanza del requisito dell’attualità; in quanto, la procedura dell’art. 254 c.p.p. «implica un’attività di spedizione in corso o avviata dal mittente mediante la consegna a terzi per il recapito»[80]. Secondo i magistrati non sarebbe lesa neppure la riservatezza della comunicazione, dal momento che, una volta che il destinatario ha preso conoscenza del messaggio, cessa di essere “corrispondenza” e la riservatezza trova tutela in altre norme come, ad esempio, quelle che garantiscono la libertà personale.

Preliminarmente, la Corte costituzionale, nella propria sentenza, si sofferma sulla distinzione tra intercettazioni di comunicazioni e sequestro di corrispondenza. Affinché si abbia una intercettazione si debbono verificare due condizioni: la comunicazione deve essere captata durante il suo svolgimento, dunque durante il c.d. momento dinamico; come pure deve avvenire all’insaputa dei soggetti intercettati[81]. Requisiti non integrati nel caso esaminato dalla Consulta. Passando all’analisi del concetto di corrispondenza, il Giudice delle leggi precisa che esso non può che essere interpretato in senso ampio, ossia «comprensivo di ogni comunicazione di pensiero umano (idee, propositi, sentimenti, dati, notizie) tra due o più persone determinate, attuata in modo diverso dalla conversazione in presenza[82] (pertanto, lo scambio di messaggi elettronici, a prescindere dalle caratteristiche del mezzo tecnico utilizzato ai fini della trasmissione del proprio pensiero – e-mail, SMS, WhatsApp e simili – rappresenta, di per sé, una forma di corrispondenza agli effetti dell’art. 15 Cost.»)[83]. Sicché, aderendo ad una simile ricostruzione, ai fini della riconducibilità dei messaggi al nuovo concetto di comunicazione, diviene determinante il rispetto del requisito della segretezza[84]. Orbene, limitatamente ai messaggi scambiati tra due o più persone su Whatsapp è possibile constatare l’elevato grado di riservatezza, dovuta alla tecnica di crittografia end to end, la quale si somma ai codici di accesso all’intero smartphone. Sia le comunicazioni avvenute tramite e-mail, che i c.d. messaggi istantanei su Whatsapp rispettano tale caratteristica[85].

Tuttavia, un secondo punto sul quale si è concentrata l’attenzione dei giudici costituzionali è l’attualità della comunicazione[86]. Secondo i giudici del Palazzo della Consulta, la tutela riconosciuta dall’art. 15 Cost. inizia con l’invio – tramite qualunque mezzo idoneo alla trasmissione – del messaggio e non può affievolirsi con la ricezione. Al contrario, la tutela deve essere riconosciuta e mantenuta fino a quando permane il carattere di attualità. Il messaggio “archiviato” nella memoria del dispositivo acquisterà un carattere di documento storico soltanto quando, decorso il tempo, è possibile attribuirgli valore meramente affettivo[87]. Una soluzione oseremmo definirla lapalissiana, anche perché «degradare la comunicazione a mero documento quando non più in itinere, è soluzione che, se confina in ambiti angusti la tutela costituzionale prefigurata dall’art. 15 Cost. nei casi, sempre più ridotti, di corrispondenza cartacea, finisce addirittura per azzerarla, di fatto, rispetto alle comunicazioni operate tramite posta elettronica e altri servizi di messaggistica istantanea, in cui all’invio segue immediatamente – o, comunque sia, senza uno iato temporale apprezzabile – la ricezione»[88].

Il riferimento effettuato dalla Corte ai dati esteriori delle comunicazioni, i c.d. tabulati telefonici, è un passaggio di particolarmente interessante: qualora si intenda estendere la copertura costituzionale dell’art. 15 Cost. anche alla data retention, a fortiori, va applicata anche ai messaggi Whatsapp ed alla posta elettronica[89]. Difatti, se «l’acquisizione dei dati esteriori di comunicazioni già avvenute (quali quelli memorizzati in un tabulato[90]) gode delle tutele accordate dagli artt. 15 e 68, terzo comma, Cost., è impensabile che non ne fruisca, invece, il sequestro di messaggi elettronici, anche se già recapitati al destinatario»; dal momento che tali attività investigative consentono di «venire a conoscenza non soltanto dei dati identificativi estrinseci delle comunicazioni, ma anche del loro contenuto»; e, dunque, siffatte indagini sono dotate di attitudine intrusiva tendenzialmente maggiore. Effettivamente, nel caso del sequestro probatorio informatico, «il “vero” oggetto del sequestro non è tanto il dispositivo elettronico (il “contenitore”) – il quale di per sé, non ha di norma alcun interesse per le indagini – quanto piuttosto i suo dati (il “contenuto”)»[91].

Successivamente, la Corte passa alla trattazione della conseguente questione di merito: occorre chiarire se l’art. 68, comma 3, Cost. può conoscere un’interpretazione più ristretta del concetto di corrispondenza. In particolare, considerato che, a differenza dell’art 15 Cost., si fa riferimento esclusivamente alla corrispondenza, evitando citare ad ogni altra forma di comunicazione. Nonostante l’ampio riferimento, la ratio della norma costituzionale appare limpida: in claris non fit interpretatio, il legislatore ha voluto ricomprendere qualunque forma di comunicazione – comprese quelle che avvengono su piattaforme digitali – nella guarentigia parlamentare. Diversamente, ovvero «[s]ostenere il contrario, in un momento storico nel quale la corrispondenza cartacea, trasmessa tramite il servizio postale e telegrafico, è ormai relegata, nel complesso, a un ruolo di secondo piano, significherebbe d’altronde deprimere radicalmente la valenza della prerogativa parlamentare in questione»[92].

Infine, il Giudice costituzionale deve necessariamente sciogliere alcuni nodi operativi, ossia individuare un “modulo procedurale” da utilizzare allorquando occorre sequestrare un dispositivo a un terzo soggetto non parlamentare, il quale potrebbe aver intrattenuto una conversazione scritta sulle note piattaforme digitali con un membro delle Camere[93]. A tal fine, viene in rilievo la legge n. 140 del 2003, attuativa delle garanzie previste dall’art. 68 Cost. La giurisprudenza costituzionale fin dal 2007 ha distinto tra intercettazioni c.d. “mirate” (dirette o indirette), da una parte, rispetto alle quali è necessaria l’autorizzazione preventiva della Camera di appartenenza ex art. 4 della legge citata, e quelle c.d. “casuali”, dall’altra, rispetto alle quali la norma richiede solamente l’autorizzazione successiva all’utilizzo del materiale investigativo nei confronti del parlamentare, seguendo il dettato dell’art. 6 della medesima legge. Orbene, gli atti investigativi che richiedono l’autorizzazione preventiva – elencati nell’art. 4 – comprendono anche i sequestri di corrispondenza.

Il thema decidendum della sentenza n. 170 del 2023 è, dunque, il regime applicabile al sequestro di corrispondenza nelle ipotesi in cui siano coinvolti membri del parlamento[94], indipendentemente dal fatto che siano sequestri “mirati” o “casuali” [95]. Per la Consulta non vi sono scappatoie, qualora durante un’indagine penale gli inquirenti sequestrino un dispositivo di un terzo e vi trovano messaggi scambiati con un parlamentare, occorre «sospendere l’estrazione di tali messaggi dalla memoria del dispositivo (o dalla relativa copia) e chiedere l’autorizzazione della Camera di appartenenza del parlamentare, a norma dell’art. 4 della legge n. 140/2003, al fine di poterli coinvolgere nel sequestro». Pertanto, non vi possono essere margini per intraprendere percorsi interpretativi differenti; occorre superare ogni valutazione sulla natura dell’intercettazione, in quanto – a parere del Giudice delle leggi – «[l]a distinzione, elaborata dalla giurisprudenza di questa Corte in rapporto alle intercettazioni di conversazioni o comunicazioni di membri del Parlamento, tra captazioni “indirette” e captazioni “occasionali” – con limitazione alle prime dell’obbligo di richiedere l’autorizzazione preventiva all’esecuzione dell’atto, ai sensi dell’art. 4 della legge n. 140 del 2003 […] – non è, infatti, riferibile alla fattispecie di sequestro di corrispondenza che qui viene in esame». Rispetto a quanto avviene per le intercettazioni, «qui si discute dell’acquisizione uno actu di messaggi comunicativi già avvenuti. Una volta riscontrato che si tratta di messaggi di un parlamentare, o a lui diretti, diviene, quindi, in ogni caso operante la guarentigia di cui all’art. 68, terzo comma, Cost.»[96].

Solo così l’autorizzazione (preventiva) richiesta dall’art. 4 della legge n. 140/2003 non rischia di trasformarsi in una autorizzazione ex post ai fini dell’utilizzabilità processuale dei dati acquisiti durante le indagini: autorizzazione che l’art. 6 della legge n. 140/2003 prevede esclusivamente per le intercettazioni e per l’acquisizione dei tabulati telefonici[97]. Tale interpretazione, a parere dei giudici costituzionali, eviterebbe «inopportune dilatazioni degli effetti propri della prerogativa parlamentare, che rischierebbero di penalizzare in modo ingiustificato le stesse iniziative dell’autorità giudiziaria volte all’accertamento dei reati»; senza, tuttavia, tradire lo spirito garantista della Carta fondamentale[98], il quale richiede un bilanciamento equilibrato per tutti gli interessi divenuti rilevanti.

8. (Segue) L’estratto conto bancario al crocevia tra corrispondenza e documento

In assenza di una definizione precisa dell’estratto conto, possiamo qualificarlo come un prospetto redatto dalla banca e inviato periodicamente al cliente, richiamato a livello legislativo dagli artt. 1832 e 1857 del codice civile, nonché dall’art. 119 d.lgs. n. 385/1993 (il c.d. Testo unico bancario)[99].

La Procura di Firenze ha sequestrato l’estratto conto del senatore Renzi attraverso un decreto di acquisizione di segnalazioni di operazioni bancarie sospette, sulla base di quanto disciplinato dalla normativa antiriciclaggio. Il Senato sul punto precisa che con “conto corrente bancario”[100] si suole far riferimento a un complesso di operazioni bancarie, le quali sono «l’oggetto o meglio il contenuto della corrispondenza in quanto riportano tutte le operazioni di dare e avere in un determinato periodo con indicazione dei destinatari e delle causali. […] ciò che la banca comunica al cliente dandogli notizia di tali operazioni che, come evidente, rivelano contratti, obbligazioni, risarcimenti, rapporti»[101].

Ad una prima lettura delle norme, sembrerebbe che, durante lo svolgimento del rapporto contrattuale tra l’istituto bancario e il cliente, quest’ultimo riceva periodicamente gli estratti conto, i quali restano nella sua piena disponibilità. Dunque, difficilmente si potrà qualificare l’estratto conto come qualcosa di diverso da una “comunicazione riservata”[102] tra la banca e il titolare del conto corrente: ossia, una comunicazione personale volta a riassumere tutte le operazioni effettuate in un determinato periodo storico[103].

Di diverso avviso è la Corte costituzionale. In tali ipotesi, l’estratto conto risulta essere «un documento che ha una funzione e una valenza autonoma, indipendente dalla spedizione al correntista. Esso non è altro, in effetti, che un riepilogo delle risultanze delle scritture contabili della banca, le quali debbono riportare tutte le operazioni di dare e di avere passate in conto corrente. Si tratta, dunque, di per sé, di un documento contabile interno all’ente creditizio». Non si può attribuire qualifica di “corrispondenza” a tutto ciò che in ipotesi può essere spedito o inviato tramite piattaforme digitali, diversamente, qualunque scritto potrà restare fuori dal processo penale. Difatti, l’art. 68, terzo comma, Cost. non tutela «genericamente e indiscriminatamente la riservatezza del parlamentare, la cui protezione è affidata alle conferenti norme valevoli per la generalità dei consociati», tuttavia impone ai magistrati di richiedere «l’autorizzazione della Camera di appartenenza solo per eseguire specifici atti nei confronti dei membri del Parlamento, particolarmente suscettibili di incidere sullo svolgimento del mandato elettivo (limitazioni della libertà personale, perquisizioni personali e domiciliari, intercettazioni, sequestri di corrispondenza): non, invece, di espletare, con altri mezzi, indagini bancarie sul parlamentare, né di acquisire, in diverso modo, suoi dati personali, utili a fini di indagine»[104].

9. Le ripercussioni della sentenza costituzionale e qualche nota critica

            Con la sentenza n. 170/2023 la Corte costituzionale ha esteso notevolmente la nozione di “corrispondenza” fino a ricomprendere anche i messaggi di natura telematica inviati sulle piattaforme digitali, come Whatsapp, e tramite e-mail. Malgrado i primi commenti positivi ed entusiasti della pronuncia del Giudice delle leggi, in dottrina recentemente si fanno strada alcune posizioni critiche. La sentenza, infatti, è destinata ad avere ripercussioni anche nei confronti della generalità dei consociati, estendendo le garanzie previste all’art. 15 Cost. a tutte le comunicazioni, indipendentemente dallo strumento utilizzato per la trasmissione del proprio scritto.

            Una prima criticità riguarda il requisito dell’attualità scelto dalla Consulta per delimitare il concetto di corrispondenza: avendo stabilito che i messaggi conservano la protezione ex art 15 Cost. anche una volta letti dal destinatario, senza introdurre un limite temporale finale, si è aperta breccia totalmente discrezionale nelle mani della magistratura[105]. La Corte più correttamente avrebbe potuto (secondo taluni, dovuto) estendere quando affermato in materia di tabulati telefonici[106] e, dunque, con un’apertura più soft vi sarebbero state meno difficoltà applicative. Ulteriore criticità della pronuncia n. 170/2023 riguarda l’interpretazione dell’art. 68 Cost. e della sua nuova ratio: «la Corte costituzionale decide di confinare all’ambito delle intercettazioni (e verosimilmente dell’acquisizione di tabulati) la necessaria valutazione in ordine al carattere “direzionato” e “mirato” dell’atto investigativo». Così operando, si «ricostruisce il concetto di immunità parlamentare in termini di tutela rafforzata delle libertà del parlamentare in sé e per sé considerate e non come strumento funzionale ad assicurare al Parlamento il controllo sulla legittimità degli atti investigativi “mirati” ad incidere direttamente su di esse. […] Di talché, viene meno qualsiasi giustificazione alla deroga al principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione rappresentata dall’immunità»[107].

            Le argomentazioni contenute nella sentenza del Giudice delle leggi determinano un’estensione dell’immunità parlamentare anche a soggetti terzi, i quali intrattengono comunicazioni scritte con i membri delle Camere, e tale corrispondenza – benché, causalmente, sequestrata a un soggetto non parlamentare –, qualora manchi l’autorizzazione della Camera, non potrà entrare nel processo penale. Un’inversione di rotta rispetto alla precedente giurisprudenza costituzionale. In passato, infatti, la Consulta aveva dichiarato incostituzionale l’art. 6, commi 2, 5 e 6, della legge n. 140/2003, nella parte in cui stabiliva la necessità di autorizzazione a procedere dalla Camera di appartenenza per l’utilizzazione delle intercettazioni c.d. “occasionali” dei parlamentari. La Corte afferma che «l’autorizzazione preventiva – contemplata dalla norma costituzionale – postula un controllo sulla legittimità dell’atto da autorizzare, a prescindere dalla considerazione dei pregiudizi che la sua esecuzione può comportare al singolo parlamentare. Il bene protetto si identifica, infatti, con l’esigenza di assicurare il corretto esercizio del potere giurisdizionale nei confronti dei membri del Parlamento, e non con gli interessi sostanziali di questi ultimi (riservatezza, onore, libertà personale), in ipotesi pregiudicati dal compimento dell’atto; tali interessi trovano salvaguardia nei presidi, anche costituzionali, stabiliti per la generalità dei consociati»[108]. Secondo questa ricostruzione, gli inquirenti ogniqualvolta si trovano davanti alla necessità di esperire un sequestro della corrispondenza – a differenza di quanto avviene per le intercettazioni – sarebbero sempre nelle condizioni di determinare, attraverso una prima lettura del contenuto della memoria del dispositivo se uno dei soggetti coinvolti nella conversazione sia un parlamentare. Dal punto di vista della Corte, questo spiegherebbe «perché il citato art. 6 non abbia esteso la disciplina dell’autorizzazione successiva, da esso recata, al sequestro di corrispondenza. […] La spiegazione risiede appunto nel fatto che, rispetto al sequestro di corrispondenza, la natura “occasionale” o “mirata” dell’atto non viene in considerazione, risultando per esso in ogni caso necessaria l’autorizzazione preventiva, ai sensi dell’art. 4 della medesima legge, nei termini dianzi precisati»[109]. Tuttavia, si finisce per legittimare un paradosso[110]: «una determinata dichiarazione di identico contenuto, resa in una conversazione telefonica con un membro del Parlamento, se (casualmente) captata in tempo reale attraverso una intercettazione disposta sulla utenza dell’interlocutore non parlamentare (e non qualificabile come “interlocutore abituale”), sarebbe utilizzabile nei confronti di quest’ultimo senza necessità di richiedere alcuna autorizzazione, mentre se quella stessa dichiarazione, resa nell’ambito di uno scambio di messaggi di posta elettronica ovvero WhatsApp, venisse rintracciata nella memoria di un dispositivo mobile, allora per la sua acquisizione dovrà essere richiesta l’autorizzazione (preventiva), paralizzando in tal modo la sua utilizzazione nei confronti dello stesso corrispondente non parlamentare»[111].

10. Riflessioni conclusive: verso nuovi progetti di riforma dell’istituto del sequestro di corrispondenza

            Il contenuto dirompente della sentenza della Corte costituzionale necessita di un intervento sul piano ordinamentale. Se, infatti, le conversazioni “archiviate” nelle chat dei nostri smartphone, così come le e-mail già lette, costituiscono corrispondenza ai sensi dell’art. 15 Cost., quest’ultima disposizione richiede una doppia riserva: impone, non solo l’intervento dell’autorità giudiziaria – oggi possibile anche solo con un decreto del pubblico ministero – ma anche una previsione a livello legislativo che preveda i casi nei quali la libertà possa essere limitata «con le garanzie stabilite dalla legge»[112].

            Invero, il 10 aprile 2024, il Senato ha approvato un disegno di legge di riforma del codice di rito in materia di «sequestro di dispositivi e sistemi informatici, smartphone e memorie digitali»[113]. Qualora il testo venga approvato dall’altro ramo del parlamento, il nuovo art. 254-ter c.p.p. attribuisce al Giudice per le indagini preliminari il potere di disporre il sequestro dei supporti informatici, su richiesta della pubblica accusa, salvo i casi di urgenza. Un meccanismo che prevede la successiva duplicazione dei contenuti dei dispositivi, in modo da assicurare la conformità dei dati acquisiti a quelli originali, seguendo le garanzie e cautele previste per il conferimento dell’incarico al consulente tecnico per l’accertamento irripetibile[114]. Una volta copiato il materiale disponibile sullo “strumento elettronico” (così viene definito), occorre procedere alla restituzione all’avente diritto e alla selezione dei dati rilevanti per le indagini attraverso l’analisi della copia forense[115]. Tale copia verrà conservata fino alla sentenza o decreto penale di condanna non più soggetti ad impugnazione[116].

            L’intenzione è introdurre un sequestro caratterizzato da una struttura bifasica: in un primo momento, si procederà al sequestro dei dispositivi mobili con decreto motivato del giudice[117]; successivamente, si passerà alla duplicazione dell’hardware con l’estrazione delle informazioni rilevanti per le indagini[118]. Un’operazione rimessa alla valutazione discrezionale del pubblico ministero, il quale se vorrà sequestrare dati dal contenuto c.d. comunicativo lo potrà fare con apposita richiesta al giudice. Questo è la traduzione legislativa della giurisprudenza costituzionale, la quale ha differenziato i dati statici (fotografie, file, documenti, ecc.) dai dati comunicativi. Per sequestrare quest’ultimi, pertanto, occorre un nuovo decreto autorizzativo del giudice, qualora sussistano tutti i requisiti ai sensi degli artt. 266, comma 1, e 267, comma 1, c.p.p. L’obiettivo primario del legislatore è chiaramente introdurre una “giurisdizionalizzazione” del sequestro di corrispondenza, attraverso un duplice intervento di controllo del giudice sull’operato del pubblico ministero[119]. La proposta di riforma, infine, esplicitamente dichiara inutilizzabili tutte le acquisizioni che non rispettano le formalità prescritte. Ebbene, nonostante lo sforzo del legislatore che evidentemente si sente di intervenire per colmare un vulnus costituzionale, ribadito pure dalla Consulta, restano numerose perplessità. In primo luogo, la norma che si intende introdurre si applicherà «non solo al sequestro di “corrispondenza” ma, data l’ampiezza della categoria di apparati oggetto della misura ablativa e la loro eterogeneità, anche al sequestro di dati che non costituiscono espressione di comunicazione»[120]. Dalla lettura del disegno di legge, a parere di chi scrive, la voluntas legis è chiara ed è quella di introdurre una serie di preziose garanzie per vari apparati differenti tra loro, anche per funzione[121]: evidente è la differenza esistente tra uno smartphone e una memoria digitale, entrambi accomunati dalla riforma approvata dal Senato. Sarebbe, dunque, auspicabile una disciplina dedicata agli apparati che possono essere utilizzati per la comunicazione, diversa da quella individuata per il sequestro di dispositivi elettronici impiegati per la sola archiviazione dei dati.

            In conclusione, un dato certo è la conferma che le acquisizioni effettuate fino ad oggi – non rispettando la riserva di legge e di giurisdizione prevista dalla Carta fondamentale –, sono state compiute praeter legem o, addirittura, contra Constitutionem. Pertanto, benché se da un lato i tempi delle riforme non possono sottostare al progresso tecnologico, dall’altro l’ordinamento necessita di un aggiornamento legislativo in grado di bilanciare anche i “nuovi diritti” con i costanti tentativi di aggressione dei recenti strumenti di indagine. Ad ogni modo, non sono ammissibili scorciatoie acquisitive, lesive della legalità del sistema probatorio, e lo sbarramento lo troviamo ancora una volta nel principio di non sostituibilità.


[1] Cfr. M. Cecchi, Il giudice dinanzi alla prova scientifica, in Archivio penale (web), 2022, 1, 1; l’Autore sostiene che «viviamo in società dove, fin dalla loro genesi, i rapporti sociali e la conoscenza umana (del mondo e di noi stessi) diventano, di anno in anno, progressivamente più articolati e complessi. Con ritmi di sviluppo diversi, da un lato, si moltiplicano le relazioni e le occasioni di incontro – e, quindi, di possibile scontro – tra persone, le quali sono portatrici di interessi particolari e spesso in contrasto tra loro. Dall’altro lato, aumenta e si fa più specifica la comprensione dei fenomeni da parte dell’uomo, che compie studi via via più profondi e dettagliati, tramite cui osserva e spiega man a mano più da vicino le leggi e i meccanismi di funzionamento dell’essere umano e dell’universo. Questo graduale intensificarsi delle connessioni tra gli uomini e questa tendenza alla “miniaturizzazione” del livello di analisi conoscitiva delle cose si ripercuotono anche all’interno dell’ordinamento giuridico».

[2] Così G. Sartor, L’informatica giuridica e le tecnologie dell’informazione – Corso di informatica giuridica, Torino, Giappichelli, 2016.

[3] Per approfondire si veda L. Floridi, La quarta rivoluzione. Come l’infosfera sta cambiando il mondo, Milano, Raffaelo Cortina Editore, 2017, pp. 1-279.

[4] Sul diritto di accesso alla rete Internet si è acceso un dibattito sul suo fondamento costituzionale. Si veda, ex multis, M. Pietrangelo, Oltre l’accesso ad Internet, tra le tutele formali ed interventi sostanziali. A proposito dell’attuazione del diritto di accesso ad Internet, in M. Nisticò-P. Passaglia, a cura di, Internet e Costituzione. Atti del convegno, Pisa 21-22 novembre 2013, Torino, Giappichelli, 2014, p. 169; S. Scagliarini, I diritti costituzionali nell’era di Internet: cittadinanza digitale, accesso alla rete e net neutrality, in T. Casadei-S. Pietropaoli, a cura di, Diritto e tecnologie informatiche, Wolters Kluwer, 2021, p. 3; S. Pietropaoli-F. Faini, Scienza giuridica e tecnologie digitali. Temi e problemi, II ed., Torino, Giappichelli, 2021.

[5] Cfr. R. Orlandi, Questioni attuali in tema di processo penale e informatica, in Riv. dir. proc., 2009, p. 135.

[6] Cfr. O. Murro, Dubbi di legittimità costituzionale e problemi di inquadramento sistematico della nuova disciplina dei tabulati, in Cass. pen., 2022.

[7] La Corte costituzionale, con la sentenza n. 81 del 1993, afferma la protezione costituzionale dei diritti che vengono in gioco con l’acquisizione dei c.d. tabulati telefoni (data retention).

[8] Cfr., ex multis, G. Vaciago, Digital evidence. I mezzi di ricerca della prova digitale nel procedimento penale e le garanzie dell’indagato, Torino, Giappichelli, 2012, pp. 58 ss.; nonché, A. Vele, Documento informatico e tutela della riservatezza nel processo penale: aspetti problematici, in Archivio Penale, n. 1, 2018.

[9] O. Mazza, I diritti fondamentali dell’individuo come limite della prova nella fase di ricerca e in sede di assunzione, in Diritto penale contemporaneo, fasc. 3, 2013; l’Autore evidenzia che con questa concezione «si vuole solo sottolineare come il processo abbia in sé una connotazione ulteriore rappresentata dalla finalità di assicurare la tutela di interessi e di diritti che potenzialmente entrano in conflitto con l’obiettivo della concreta repressione dei reati».

[10] Art. 111, comma 1, Cost., così come riformato dalla l. cost. 23 novembre 1999, n. 2.

[11] Corte cost., 4 dicembre 2009, n. 317, disponibile su www.cortecostituzionale.it.

[12] P. Tonini-C. Conti, Il diritto delle prove penali, II ed., Milano, Giuffrè, 2014; gli Autori ricordano che in dottrina taluni hanno affermato che il principio di legalità processuale è in qualche modo omologo a quello che informa il diritto penale sostanziale. Sul punto si veda F. Cordero, Procedura penale, VIII ed., Milano, 2006, p. 1313, il quale ritiene che si tratti di una cristallizzazione del canone nulla poena sine iudicio. La portata di tale principio è talmente forte da spingere Ferrua a ritenerlo un limite pure per gli interventi manipolativi della Corte costituzionale, riservando alla discrezionalità legislativa il compito di effettuare suddetti bilanciamenti; cfr. P. Ferrua, Il “giusto processo”, Bologna, Zanichelli, 2005, p. 44.

[13] Un principio che, unito alla soggezione del giudice soltanto alla legge, consente di rinviare alla disciplina sulle invalidità degli atti giuridici e processuali: invero, l’art. 124 c.p.p. impone di «osservare le norme di questo codice anche quando l’inosservanza non importa nullità o altra sanzione processuale». Un obbligo diretto non solo ai magistrati e ai suoi ausiliari, ma anche agli ufficiali giudiziari e agli agenti di polizia giudiziaria. La disposizione si traduce inevitabilmente in un obbligo deontologico assistito da sanzioni disciplinari; e, infatti, il comma 2 stabilisce che «i dirigenti degli uffici vigilano sull’osservanza delle norme anche ai fini della responsabilità disciplinare».

[14] Un prototipo nitido del bilanciamento effettuato dal legislatore lo possiamo trovare nelle norme che disciplinano le intercettazioni, agli artt. 266 ss. c.p.p.

[15] Corte eur. dir. uomo, Sez. II, sentenza 22 giugno 2000, Coëme e altri c. Belgio; i giudici di Strasburgo ricordano che la regolamentazione del processo penale consente di attuare lo scopo della protezione delle persone indagate, contro i rischi degli abusi del potere.

[16] In merito al rispetto della procedura penale, già a metà del secolo scorso, F. Cordero, Ideologie del processo penale, Milano, 1966, p. 220, rammenta che «la caccia vale più della preda e cioè il modo in cui si agisce conta più del risultato».

[17] Con tale espressione si allude alla ricostruzione giudiziale di un fatto, essa generalmente si contrappone alla c.d. verità storica, con la quale si indicano i fatti così come sono accaduti. Sul punto si rinvia alle riflessioni di M. Cassano, Verità storica e verità processuale: si può parlare di giustizia?, intervista condotta da L. Tombelli, in C. Conti, a cura di, Criminalità mafiosa: memoria e cultura della legalità. Nel ricordo di Piero Luigi Vigna e Gabriele Chelazzi, Milano, Giuffrè, 2022. Sicché, «quanto vale nel mondo esterno non sempre vale nel procedimento probatorio, ma deve esservi introdotto attraverso certi filtri che regolano il flusso delle informazioni che provengono ab extra e devono essere elaborate dal giudice» così G. De Luca, La cultura delle prove e il nuovo processo penale, in M. C. Bassiouni, A. R. Latagliata, A. M. Stile, a cura di, Studi in onore di Giuliano Vassalli, Vol. II, 1988.

[18] Particolarmente incisive sono le riflessioni di O. Mazza, Il crepuscolo della legalità processuale al tempo del giusto processo, in Criminalia, 2016; l’Autore sprona i lettori affermando che i «diritti dell’individuo accusato di un reato non possono entrare in bilanciamento con altri presunti valori, dalla ragionevole durata del processo ai diritti della presunta vittima che nel processo è, specularmente all’imputato presunto innocente, una presunta non vittima del reato o comunque dell’accusato». In più, «legalità e costituzionalità sono i pilastri del sistema di garanzie voluto dalla Costituzione», dato che in uno «Stato di diritto, cioè uno Stato in cui tutti i poteri, anche quelli supremi, sono soggetti all’osservanza del diritto, fondato anzitutto sulla legge», così V. Onida, La Costituzione. Nuova edizione a cura di Marta Cartabia, Bologna, Il Mulino, 2024, p. 81.

[19] Cfr. G. Ubertis, Equità e proporzionalità versus legalità processuale: eterogenesi dei fini?, in Archivio penale, 2017, 2, 2; Cost. cost., 9 maggio 2013, n. 85, in Giur. cost., 2013, p. 115; secondo la Consulta «la tutela deve essere sempre sistemica» e, qualora così non fosse, «si verificherebbe l’illimitata espansione di uno dei diritti, che diventerebbe “tiranno” nei confronti delle altre situazioni giuridiche, […] che, nel loro insieme, costituiscono espressione della dignità della persona». Considerando, inoltre, che nel nostro ordinamento l’accesso alla Corte costituzionale non è consentito non via diretta, un primo test di proporzionalità sarà affidato alla magistratura ordinaria. Sul punto si veda C. Conti, Sicurezza e riservatezza, in Diritto penale e processo, 2019, p. 1572.

[20] C. Conti, Il principio di non sostituibilità: il sistema probatorio tra Costituzione e legge ordinaria, in Cass. pen., fasc. n. 2, 2024, p. 451; secondo l’Autrice «sull’attività di incasellamento potrebbe scaricarsi l’esigenza investigativa, che potrebbe indurre a forzare i limiti della disciplina positiva. Soltanto ragionando senza forzature e con onestà intellettuale è possibile portare avanti un’opera di sussunzione che non scardini la legalità del sistema probatorio».

[21] T. Rafaraci, Ricognizione informale dell’imputato e (pretesa) fungibilità delle forme probatorie, in Cass. pen., 1998, p. 1745; C. Conti, Nuove tecnologie e “tipicità” procedurale del sistema probatorio: il principio di non sostituibilità, in G.M. Baccari, C. Conti, La corsa tecnologica tra Costituzione, codice di rito e norme sulla privacy: uno sguardo d’insieme, in Dir. pen. proc., 2021, p. 717.

[22] Per approfondire si veda Corte cost., 1° giugno 1998, n. 229, in Cass. pen., 1999, p. 817; con la quale la Consulta ha stabilito che in tema di sequestro degli appunti predisposti dall’indagato in preparazione del proprio interrogatorio, tale atto «costituisce un provvedimento del tutto contrario alle regole del processo e direttamente lesivo di principi costituzionali», dunque «si risolve in una palese diretta violazione dei diritti inviolabili della persona prima ancora che del diritto all’autodifesa». Una simile attività è in grado di «comportare, oltre tutto, una surrettizia [e] censurabile lesione delle regole dettate in tema di interrogatorio dallo stesso codice di procedura penale».

[23] M. Bonetti, Riservatezza e processo penale, Milano, Giuffrè, 2003.

[24] In proposito si veda Cass., Sez. un., 28 aprile 2016, n. 26889, in Foro.it, 2016.

[25] Per il diritto sovranazionale possiamo citare la Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea, art. 52, § 1: «Eventuali limitazioni all’esercizio dei diritti e delle libertà riconosciuti dalla presente Carta devono essere previste dalla legge e rispettare il contenuto essenziale di detti diritti e libertà. Nel rispetto del principio di proporzionalità, possono essere apportate limitazioni solo laddove siano necessarie e rispondano effettivamente a finalità di interesse generale riconosciute dall’Unione o all’esigenza di proteggere i diritti e le libertà altrui».

[26] Quando si parla di domicilio viene spesso citata la c.d. nozione penalistica, ossia la privata dimora, ma, oggi, «in seguito agli sviluppi giurisprudenziali e legislativi, la garanzia costituzionale si estenda ad ogni luogo in cui la persona, fisica o giuridica, abbia legittimamente la disponibilità per lo svolgimento di attività connesse alla vita privata o di relazione e dal quale intenda escludere i terzi», così P. Caretti-U. De Sievo, Diritto pubblico e costituzionale, III ed., Milano, Giappichelli, pp. 515-516.

[27] Per il domicilio informatico la giurisprudenza di legittimità richiama i requisiti della nozione di domicilio fisico, in particolare si attribuisce rilevanza alle misure di sicurezza (ossia le password) attraverso le quali si assicura lo ius exludendi alios.

[28] In questi termini cfr. C. Conti, Sicurezza e riservatezza, op.cit.

[29] G. Scaccia, Il controllo di proporzionalità della legge in Germania, in Annuario di diritto tedesco, 2002.

[30] Bundesverfassungsgericht, 27 febbraio 2008, in Riv. trim. dir. pen. econ., 2009; la Corte è chiamata a valutare la legittimità della legge tedesca che autorizzava i servizi segreti del Nord Reno-Westfalia a investigare clandestinamente. Questo provvedimento normativo è stato introdotto con un emendamento all’art. 5.2 n. 11 della legge sulla protezione della Costituzione. La Corte sostiene che queste attività investigative incidono su diritti costituzionalmente garantiti, perciò, qualsiasi legge deve dimostrare che queste attività siano giustificate dalla protezione di altri diritti costituzionali, nonché, che siano stato effettuato correttamente un giudizio di proporzione. Così come formulata dal legislatore tedesco, è stata ritenuta non conforme alla Costituzione.

[31] C. Conti, Il principio di non sostituibilità: il sistema probatorio tra Costituzione e legge ordinaria, op.cit.; l’Autrice, richiamate le sentenze nazionali e tedesche, sottolinea «come è interessante osservare che anche il principio di proporzionalità si è sviluppato nel diritto amministrativo per poi andare a trovare il proprio ambito elettivo di applicazione con riferimento all’attività statale limitativa dei diritti fondamentali, prendendo le mosse dal tema delle misure cautelari per estendersi all’acquisizione di prove lesive di valori costituzionali individuali».

[32] C. giust. UE, Grande Sezione, 9 aprile 2022, in causa C-140/20; i giudici di Lussemburgo hanno precisato che il principio di proporzionalità dovrà essere maggiormente rispettato allorquando siano coinvolti dati sensibili della persona. In altro momento, sempre la Corte di Giustizia dell’Unione europea ha ribadito che il diritto fondamentale alla protezione dei dati personali può essere limitato soltanto, tenendo conto delle finalità perseguite e previo rispetto della proporzionalità. Si veda C. giust. UE, Sez. V, 26 gennaio 2023, in causa C-205/20.

[33] Il dibattito sull’art. 2 Cost. come fattispecie aperta o chiusa, per molto tempo la dottrina era compattamente schierata per l’interpretazione “riassuntiva”, con la significativa eccezione di A. Barbera, Commento all’art. 2, in G. Branca, a cura di, Commentario della Costituzione, Bologna, Zanichelli, 1975. Parimenti, nella giurisprudenza costituzionale la svolta verso una lettura aperta dell’art. 2 Cost. si è consolidata a partire dalla sentenza n. 561 del 1987, una pronuncia in materia di libertà sessuale.

[34] Talvolta la giurisprudenza ha fatto ricorso alla clausola aperta dell’art. 2 Cost., altre volte ha ritenuto che determinate prove atipiche non riguardassero il nucleo essenziale incomprimibile del diritto. In particolare, simile ricostruzione è stata utilizzata per l’agente segreto attrezzato per il suono, con ascolto contestuale della polizia giudiziaria. Si veda Cass., Sez. II, 4 gennaio 2011, Biffis; Cass., Sez. VI, 21 giugno 2010, Angelini, in Giur. it., 2011.

[35] Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, Prisco, in Dir. pen. proc., 2006, p. 1213.

[36] P. Tonini-C. Conti, Il diritto delle prove penali, II ed., Milano, Giuffrè, 2014, p. 473.

[37] In merito al pedinamento satellitare GPS, i giudici di Strasburgo l’hanno ritenuto uno strumento che incide sull’art. 8 della Convenzione, pertanto ogni Stato deve prevedere una disciplina che possa garantire ai cittadini il proprio diritto, per evitare eventuali prevaricazioni nella vita privata da parte dell’autorità. Si veda Corte edu, Uzun c. Germania, 2 settembre 2010, in Cass. pen., 2011, p. 395; Corte edu, Ben Faiza c. Francia, 8 febbraio 2018, in www.echr.coe. Cfr. F. Caprioli, Nuovamente al vaglio della Corte costituzionale l’uso investigativo degli strumenti di ripresa visiva, in Giur. cost., 2008, p. 1832; E. Lamarque, Le videoriprese di comportamenti non comunicativi all’interno del domicilio: una sentenza costituzionale di inammissibilità esemplare in materia di diritti fondamentali, in Giur. cost., 2008, p. 1844.

[38] L. 26 luglio 1975, n. 354 (Norme sull’ordinamento penitenziario e sulla esecuzione delle misure privative e limitative della libertà); dalla lettura della legge penitenziaria si percepisce l’attenzione che il legislatore riserva ai rapporti tra la famiglia e il soggetto ristretto, la tutela della sfera familiare che si realizza principalmente mediante i colloqui, i contatti telefonici e la corrispondenza.

[39] Prima della l. 95/2004 tali requisiti non erano rispettati dall’ordinamento italiano, tant’è che l’Italia è stata più volte condannata dalla Corte di Strasburgo. Si veda Corte e.d.u., 15 novembre 1996, Calogero Diana c. Italia; Corte e.d.u., 24 ottobre 2002, Messina c. Italia.

[40] L., 10 ottobre 1986, n. 663.

[41] Corte cost., 28 luglio 1993, n. 349, in Giur. cost., 1993; il Giudice delle leggi prosegue affermando che «l’adozione di eventuali provvedimenti suscettibili di introdurre ulteriori restrizioni in tale ambito, o che, comunque, comportino una sostanziale modificazione nel grado di privazione della libertà personale, può avvenire soltanto con le garanzie (riserva di legge e riserva di giurisdizione) espressamente previste dall’art. 13 comma 2 Cost.».

[42] Corte cost., 3 luglio 1997, n. 212, in Giur. cost., 1997; con questa sentenza, la Corte, ha dichiarato l’incostituzionalità dell’art. 18 ord. pen. nella parte in cui non prevede la possibilità di conferire con il difensore fin dall’inizio dell’esecuzione della pena, richiamando l’art. 24 Cost. e affermando che «non v’è situazione giuridica di diritto sostanziale, senza che vi sia un giudice davanti al quale essa possa essere fatta valere».

[43] Il trattenimento della corrispondenza da parte dell’amministrazione penitenziaria può avvenire qualora il contenuto della missiva rechi un linguaggio criptico o siano presenti segni dal significato indecifrabile, oppure nei casi di possibile pregiudizio alle esigenze indicate nel comma 1 dell’art. 18-ter. Pertanto, è possibile limitare il diritto del recluso: a) per esigenze legate alle indagini in corso; b) per esigenze investigative che riguardano la ricerca di altre notizie di reato; c) per prevenire il compimento di altri reati; d) infine per ragioni di sicurezza o di ordine dell’istituto. Inoltre, la competenza giurisdizionale è affidata al magistrato di sorveglianza per i condannati e per gli imputati, e al giudice procedente durante il procedimento penale. Le limitazioni hanno un limite temporale fissato in sei mesi, con la possibilità di proroga per la durata massima di tre mesi.

[44] F. Della Casa-G. Giostra, Manuale di diritto penitenziario, Torino, Giappichelli, 2021, p. 67.

[45] Cass., Sez. Un., 19 luglio 2012, Pasqua, in C.e.d., 252894.

[46] Anche il Regolamento penitenziario (d.P.R. 30 giugno 2000, n. 230), all’art. 38, comma 10, prevede l’immediata comunicazione al detenuto del trattenimento della sua corrispondenza.

[47] A sostegno di tale ricostruzione si può ricordare la presentazione del d.d.l. governativo (C. 1638) nella XV Legislatura con l’obiettivo di estendere a tale materia la disciplina dettate dall’art. 266 c.p.p.; il provvedimento approvato dalla sola Camera dei deputati non è divenuto legge.

[48] Può essere utile richiamare le Sezioni Unite Prisco (Cass., Sez. Un., 28 marzo 2006, n. 26795) che richiedono una formazione lecita della prova anche per le prove atipiche.

[49] C. Conti, Prova informatica e diritti fondamentali: a proposito di captatore e non solo, in Dir. pen. proc., 2018.

[50] Corte cost., 24 gennaio 2017, n. 20, disponibile su www.cortecostituzionale.it.

[51] C. Conti, Il principio di non sostituibilità: il sistema probatorio tra Costituzione e legge ordinaria, op.cit.; l’Autrice esprime alcune critiche circa l’eccezione di illegittimità costituzionale delle norme sulle intercettazioni per mancanza di inquadramento delle attività lesive della riservatezza. Infatti, «lo strumento della declaratoria di incostituzionalità incontra il limite della legalità del sistema probatorio e, dunque, da Consulta ha ritenuto più volte di non poter allargare strumenti tipici a ricomprendere attività che presentino un tratto ontologico differente».

[52] Corte cost., 24 gennaio 2022, n. 18, disponibile suwww.cortecostituzionale.it; cfr. M. Brucale, 41-bis e corrispondenza con il difensore, in Questione Giustizia, 2022; G. Moscatelli, La corrispondenza con il difensore del detenuto sottoposto al 41-bis e i visti di censura, in Archivio penale (web), fasc. 2, 2022; F. Mannella, La Corte costituzionale torna sulla garanzia del diritto di difesa dei detenuti in regime di cui all’art. 41 bis nelle comunicazioni con il proprio difensore. Commento alla sentenza Corte cost. n. 18 del 2022, in Osservatorio costituzionale. Rivista AIC, fasc. 3, 2022; M. Ruotolo, Visto di censura della corrispondenza e diritto di difesa. Un esito nella sostanza condivisibile, raggiunto con una discutibile tecnica decisoria, in Diritto di difesa, fasc. 4, 2021, p. 825; interessanti sono le riflessioni dell’Autore limitatamente all’ammissibilità della questione di costituzionalità e alla tecnica decisoria impiegata dalla Corte costituzionale, in particolare sostiene che «troppo stringata appare, sul punto, la motivazione della Corte, che rischia di contraddire il consolidato orientamento per cui l’incostituzionalità è sempre extrema ratio, espressiva del fallimento dell’interpretazione, da riservare all’ipotesi in cui la “lettera” o il “diritto vivente” oppongano una resistenza davvero insuperabile ad una lettura conforme a Costituzione, impedendo il ricorso alla decisione interpretativa di rigetto».

[53] G. Marino, La censura sulla corrispondenza dei detenuti al 41-bis con i propri difensori è incostituzionale, in Diritto & Giustizia, fasc. 17, 2022, p. 12; l’Autore in più sostiene che «la disposizione censurata, infatti, si fonda su una generale e insostenibile presunzione di collusione del difensore con il sodalizio criminale, finendo così per gettare una luce di sospetto sul ruolo insostituibile che la professione forense svolge per la tutela, non solo dei diritti fondamentali del detenuto, ma anche dello stato di diritto nel suo complesso». Cfr. C. Catalano, Per la Corte costituzionale è illegittima la sottoposizione al visto di censura della corrispondenza tra difensore e detenuto in regime di 41-bis, in Sistema penale, 2022; l’Autrice sottolinea che per effetto della pronuncia del Giudice delle leggi «la dimensione normativa del diritto di difesa dei detenuti pericolosi in regime di carcere duro risulta ad oggi più estesa», ribadendo che «secondo la Consulta, non può nutrirsi un legittimo sospetto nei confronti di una figura professionale, quale il difensore, che, diversamente dagli altri soggetti, è tenuto al rispetto di specifici doveri comportamentali relativi all’etica professionale. La Corte, in definitiva, rifiuta una siffatta presunzione, stabilendo un migliore equilibrio tra valori destinati inevitabilmente a entrare in conflitto tra loro: da un lato, il diritto di difesa tecnica, dall’altro, le esigenze di sicurezza sociale».

[54] P. Grossi, Una Costituzione da vivere. Breviario di valori per italiani di ogni età, Marietti, 2018; l’Autore afferma che «durante i suoi sessantadue anni di operatività la Corte [costituzionale] si è assunta, però, un secondo ma non minimo ruolo: quello di verificare l’espansione dei valori negli stati più profondi della società e provvedere all’espansione delle relative tutele. Grazie alla sua continua ed efficace attività è aumentato il numero dei diritti fondamentali del cittadino, il quale si è visto tutelato in corrispondenza alla continua dinamica che percorre le radici di una civiltà giuridica. Si può dire che la Corte costituzionale ha avuto, ha e avrà ancora nel futuro il ruolo di preziosa valvola respiratoria per la nostra Repubblica, ossigenando perennemente il diritto italiano ed evitando il suo inaridimento».

[55] Cfr., ex multis, A. Camon, Le riprese visive come mezzo di indagine: spunti per una riflessione sulle prove incostituzionali, in Cassazione penale, 1999; l’Autore sostiene che un’esegesi costituzionalmente orientata dell’art. 191 c.p.p. porta a ritenere che il termine “legge” ricomprenda anche la Costituzione, quale Legge fondamentale dello Stato. Essendo una disposizione suscettibile di varie interpretazioni, occorre propendere per quella più compatibile con la Carta; dunque, per gli elementi raccolti contra Constitutionem non resta altra strada che l’inutilizzabilità.

[56] La Consulta nel 1991 ribadisce che il «diritto è involabile nel senso che il suo contenuto di valore non può subire restrizioni o limitazioni da alcuno dei poteri costituiti se non in ragione dell’inderogabile soddisfazione di un interesse pubblico primario costituzionalmente rilevante», perciò, la finalità accertativa del processo penale può giustificare una limitazione dei diritti definiti inviolabili dal Costituente ma solo nei casi e nei modi disciplinati dal legislatore ordinario. Cfr. Corte cost., 23 luglio 1991, n. 366, disponibile su www.cortecostituzionale.it.

[57] Così G. Allena, Riflessioni sul concetto di incostituzionalità della prova, in Riv. it. dir. proc. pen., 1989; l’Autore nel sostenere un’interpretazione che punta sull’inviolabilità del diritto in senso giuridico, specifica che in questo modo viene meno il potere (giuridico) di violare i diritti. Cfr. M. Cappelletti-V. Vigoriti, I diritti costituzionali delle parti nel processo civile italiano, in Riv. dir. proc., 1971, 641.

[58] C. Conti, Accertamento del fatto e inutilizzabilità nel processo penale, CEDAM, 2007, p. 155; P. Felicioni, La Cassazione invita a riflettere sul rapporto tra prova illegittima e sequestro, in Dir. pen. proc., 2006, 1517; l’Autrice ricorda che in questi casi rileva il grado di esplicazione del divieto, più che la sua fonte.

[59] F. Caprioli, Colloqui riservati e prova penale, Milano, Giappichelli, 2000, p. 245; l’Autore sostiene che una simile esegesi dell’art. 191 c.p.p. deve sicuramente condurre alla formulazione di una «diagnosi di incostituzionalità di tale disciplina, quanto meno nella parte in cui consente che le prove lesive della segretezza siano validamente acquisite in assenza di un provvedimento motivato dell’autorità giudiziaria, o in difetto di una sufficiente predeterminazione legislativa delle garanzie che devono accompagnare la violazione del diritto costituzionale».

[60] Sul punto si veda G. Morbidelli, La sicurezza: un valore superprimario, in Aa.Vv., Libertà e sicurezza, a cura di G. De Vergottini, T. E. Frosini, Percorsi costituzionali, 2008, 1; M. Dogliani, Il volto costituzionale della sicurezza, in Aa.Vv., I diversi volti della sicurezza, a cura di G. Cocco, Milano, 2012, 1; T. F. Giupponi, Le dimensioni costituzionali della sicurezza, Bologna, 2008; E. Marzaduri, La disciplina di contrasto del terrorismo internazionale: tra esigenze di tutela delle libertà e bisogno di sicurezza della persona, in Legislazione penale, 2005, 419 ss.; A. Pertici, Terrorismo e diritti della persona, in Questione giustizia. Gli speciali. Terrorismo internazionale. Politiche della sicurezza. Diritti fondamentali, 2016.

[61] Corte cost., 6 aprile 1973, n. 34, disponibile su www.cortecostituzionale.it.

[62] Corte cost., 23 luglio 1991, n. 366; Corte cost., 19 gennaio 1993, n. 10; il divieto ex art. 270 c.p.p. tutela proprio la libertà, che, dice la Corte, «risulterebbe pregiudicata, gravemente scoraggiata o, comunque, turbata ove la sua garanzia non comportasse il divieto di divulgazione o di utilizzazione successiva delle notizie» conosciute attraverso intercettazioni autorizzate e legittime. È, dunque, la tutela della libertà della corrispondenza che impone un divieto di utilizzazione, altrimenti saremmo di fronte ad (un’inammissibile) “autorizzazione in bianco”».

[63] Cass., Sez. Un., sentenza 27 marzo 1996, Sala, in Cass. pen., 1996; così come Cass., Sez. Un., 13 luglio 1998, Gallieri, in C.E.D., n. 211194; infine Cass., Sez. Un., 23 febbraio 2000, D’Amuri.

[64] L. P. Camoglio, Perquisizione illegittima ed inutilizzabilità derivata delle prove acquisite con il susseguente sequestro, in Cass. pen., 1996.

[65] Cfr. C. Conti, Intercettazioni e inutilizzabilità: la giurisprudenza aspira al sistema, in Cass. pen., 2011.

[66] C. Conti, Il principio di non sostituibilità: il sistema probatorio tra Costituzione e legge ordinaria, op.cit.; secondo l’Autrice l’inutilizzabilità è volta «a “punire” la truffa delle etichette ex se vietata, a tutela della legalità delle prove».

[67] Corte cost., 5 giugno 2023, n. 110, in Giur. cost., 2023. Cfr. A. Colli Vignarelli, La “legge oscura” (anche tributaria) nel pensiero della Corte costituzionale e della dottrina generale, in Rivista di diritto tributario online, 2023.

[68] L’espressione, come è noto, è di M. Ainis, La legge oscura. Come e perché non funziona, Roma-Bari, 2012.

[69] Cfr. L. Di Majo, Una legge “radicalmente oscura” è incompatibile con la Costituzione. Nota a Corte costituzionale, sentenza 110/2023, in Giur. cost., fasc. 2, 2023; l’Autore rimarca come la pronuncia in commento «non appare soltanto innovativa rispetto al filone giurisprudenziale precedente in tema di qualità della normazione, ma è significativamente interessante per le argomentazioni del Giudice relatore nell’individuare l’art. 3 Cost. quale parametro per la valutazione dell’intelligibilità della norma, a partire da una valutazione di una ragionevolezza scardinata da “disposizioni irrimediabilmente oscure, e pertanto foriere di intollerabile incertezza nella loro applicazione concreta”».

[70] Corte cost., 5 giugno 2023, n. 110, op.cit., la quale richiama la decisione del 27 luglio 2006, n. 2006-540 DC, considerato n. 9, del Conseil constitutionnel francese.

[71] Cfr. F. Palazzo, La legge “radicalmente oscura” al vaglio della Corte costituzionale: profili penalistici (e non solo), in Riv. it. dir. e proc. pen., 2023, p. 1053.

[72] Ricorso pubblicato in G.U. 1ª Serie Speciale – Corte costituzionale n. 3 del 18.01.2023. Successivamente annotato nel Registro conflitti tra poteri dello Stato n. 10 del 2022.

[73] Per le prime valutazioni si veda P. Villaschi, La posta elettronica e i messaggi sono corrispondenza? Note a margine del ricorso per conflitto tra poteri dello Stato promosso dal Senato della Repubblica in relazione al “caso Renzi”, in Federalismi.it, n. 7/2023, p. 234 ss.

[74] Precisamente si fa riferimento ai messaggi di testo datati 3 e 4 giugno 2018, e altri nel periodo che intercorre tra il 12 agosto e il 15 ottobre 2019, così come varie e-mail scambiate tra il 1° e il 18 agosto 2018. Per un approfondimento sull’assenza di una disciplina vigente che consenta di sequestrare legittimamente le chat digitali, si veda A. Chelo, Davvero legittimo il sequestro di messaggi e-mail e Whatsapp già letti?, in Giur. cost., 2023, IV, p. 296 ss.; F. Cerqua, Ancora dubbi e incertezze sull’acquisizione della corrispondenza elettronica, in Dir. pen. cont., (web), 2015; nonché W. Nocerino, Il captatore informatico nelle indagini penali interne e transfrontaliere, Wolters Kluwer, Cedam, 2021.

[75] A seguito di istanza presentata dai legali del sen. Renzi, con la quale si sollecitano gli investigatori ad astenersi da svolgere attività di indagine nei confronti di un parlamentare senza avanzare richiesta di autorizzazione alla Camera di appartenenza, la Procura di Firenze dichiara il non luogo a provvedere.

[76] Resoconto della seduta n. 406 del Senato della Repubblica avvenuta in data 22 febbraio 2022, disponibile su www.senato.it.

[77] Cfr. M. Torre, WhatsApp e l’acquisizione processuale della messaggistica istantanea, in Dir. Pen. e Processo, n. 2, 2020, p. 1279.

[78] Requisito garantito dalla presenza di credenziali personali dell’utente, quali username e password, nella disponibilità esclusiva del fruitore.

[79] Cass. pen., sez. II, n. 39529/2022, in Quotidiano Giuridico, 2022; secondo i Supremi giudici «i messaggi WhatsApp e gli SMS conservati nella memoria di un telefono cellulare hanno natura di documenti ai sensi dell’art. 234 c.p.p., sicché è legittima la loro acquisizione mediante mera riproduzione fotografica, non trovando applicazione né la disciplina delle intercettazioni, né quella relativa all’acquisizione di corrispondenza di cui all’art. 254 c.p.p., non versandosi nel caso della captazione di un flusso di comunicazioni in corso, bensì nella mera documentazione “ex post” di detti flussi». Si veda, ex multis, Cass. pen., sez. VI, n. 22417/2022; Cass. pen., sez. V, n. 17552/2021, in Quotidiano Giuridico, 2021; Cass. pen., sez. VI, n. 1822/2020.

[80] M. Borgobello, Il concetto di “corrispondenza” nella sentenza 170 del 2023 della Corte costituzionale, in Giurisprudenza penale Web, fasc. 8, 2023.

[81] Per un approfondimento sul concetto di intercettazione si veda P. Tonini-C. Conti, Manuale di procedura penale, XXVI ed., Milano, Giuffrè, p. 418.

[82] C. Conti, Il principio di non sostituibilità: il sistema probatorio tra Costituzione e legge ordinaria, op.cit.; l’Autrice evidenzia sarebbe stato più corretto, da parte della Consulta, utilizzare l’espressione “dal vivo”, anziché “in presenza”.

[83] Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, in Giur. cost., 2023.

[84] L. M. Tonelli, Un’estensione (eccessiva?) della nozione di «corrispondenza» in una recente sentenza della Corte costituzionale, in Osservatorio costituzionale, fasc. 1, 2024; l’Autore cita la giurisprudenza di legittimità, la quale afferma che «tale corrispondenza può essere qualificata come “chiusa”, ossia segreta, solo nei confronti dei soggetti che non siano legittimati all’accesso ai sistemi informatici di invio o di ricezione dei singoli messaggi», così Cass. pen., sez. V, n. 47096/2007.

[85] Cfr. M. Minafra, Prove e messaggi telematici remoti. Sul giusto metodo acquisitivo della corrispondenza informatica “statica”, in Giur. it., 2018, p. 1719.

[86] L. M. Tonelli, Un’estensione (eccessiva?) della nozione di «corrispondenza» in una recente sentenza della Corte costituzionale, op. cit.; secondo l’Autore questa tematica ripropone «in chiave attuale e moderna l’annoso dibattito attinente all’individuazione dei limiti temporali – in particolare di quello finale – della tutela accordata dall’art. 15 Cost.».

[87] Secondo il Giudice delle leggi il carattere dell’attualità deve «presumersi, sino a prova contraria, quando si discuta di messaggi scambiati […] a distanza di tempo non particolarmente significativa rispetto al momento in cui dovrebbero essere acquisiti e nel corso dello svolgimento del mandato parlamentare in cui tale momento si colloca, e per giunta, ancora custoditi in dispositivi protetti da codici di accesso».

[88] Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, op. cit.; una soluzione, scrive il redattore della sentenza, imposta, a maggior ragione, quando si tratta di delimitare i confini della tutela coperta dall’art. 68, comma 3, Cost. dedicato alla corrispondenza di e con un parlamentare. Secondo la Corte, la tutela offerta ai membri delle Camere costituisce una prerogativa «strumentale […] alla salvaguardia delle funzioni parlamentari», volendosi impedire che intercettazioni e sequestri di corrispondenza possano essere «indebitamente finalizzat[i] ad incidere sullo svolgimento del mandato elettivo, divenendo fonte di condizionamenti e pressioni sulla libera esplicazione dell’attività», così sentenza n. 390 del 2007; in senso analogo, sentenze n. 38 del 2019 e n. 74 del 2013, ordinanza n. 129 del 2020 (richiamate tutte nella pronuncia del 2023).

[89] Non è possibile ravvisare alcuna «differenza ontologica tra il contenuto di una conversazione o di una comunicazione e il documento che rivela i dati estrinseci di queste, quale il tabulato telefonico: documento che – come già rilevato in precedenza ad altro fine (sentenza n. 188 del 2010) – può aprire squarci di conoscenza sui rapporti di un parlamentare, specialmente istituzionali, “di ampiezza ben maggiore rispetto alle esigenze di una specifica indagine e riguardanti altri soggetti (in specie, altri parlamentari) per i quali opera e deve operare la medesima tutela dell’indipendenza e della libertà della funzione” (sentenza n. 38 del 2019)», così Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, op. cit., punto 4.4 del Considerato in diritto. Qualche nota critica possiamo trovarla in dottrina, in particolare, si veda F. Nicolicchia, La Consulta conferma la legittimità dell’autorizzazione per acquisire i tabulati delle comunicazioni relative a parlamentari. Luci ed ombre della sentenza n. 38 del 2019, in Rivista italiana di Diritto e Procedura Penale, n. 2, 2019, pp. 1015 ss.; R. Orlandi, Tabulati telefonici e immunità parlamentare, in Giur. Cost., n. 2, 2019, pp. 683 ss.

[90] Qualificati dalla stessa Corte costituzionale come «fatti comunicativi» già nella sentenza n. 38/2019, punto 2.4 del Considerato in diritto.

[91] Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, op. cit.

[92] Ibidem.

[93] Per un’ampia disamina sul tema si veda N. Zanon, Il regime delle intercettazioni “indirette” e “occasionali” fra principio di parità di trattamento davanti alla giurisdizione e tutela della funzione parlamentare, in Federalismi.it, n. 23/2007, p. 1; T. F. Giupponi, Le intercettazioni «indirette» nei confronti dei parlamentari: cronaca di un’illegittimità costituzionale (pre)annunciata, in Quaderni costituzionali, n. 1, 2008, pp. 150 ss.

[94] C. Fontani, La svolta della Consulta: la “corrispondenza telematica” è pur sempre corrispondenza, in Dir. pen. proc., 2023, p. 1311.

[95] Sulle captazioni “mirate” o “causali” si veda Corte cost., 23 novembre 2007, n. 390, in Giur. cost., punto 5.3 del Considerato in diritto; con nota di G. Giostra, La disciplina delle intercettazioni fortuite del parlamentare è ormai una dead rule walking, in Cassazione penale, fasc. 1, 2008.

[96] Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, op. cit.

[97] Ibidem.

[98] Sulla decisione della Consulta, cfr. G. Guzzetta, La nozione di comunicazione e altre importanti precisazioni della Corte costituzionale sull’art. 15 della Costituzione nella sentenza n. 170 del 2023, in federalismi.it, 2023, p. 21.

[99] L’art. 119 TUB al primo comma prevede che la banca invii alla scadenza del contratto «una comunicazione chiara in merito allo svolgimento del rapporto» e aggiunge, al secondo comma, che «per i rapporti regolati in conto corrente l’estratto conto è inviato al cliente» con una determinata periodicità.

[100] La dottrina non è unanime nel qualificare il conto corrente bancario come contratto. Taluni propendono per qualificare tale rapporto come “contratto innominato misto”, frutto di più prestazioni derivanti da altri contratti; si veda A. Fiorentino, Del conto corrente. Dei contratti bancari, in Comm. Scialoja, Branca, sub artt. 1823-1860, Zanichelli, Bologna-Roma, 1972, p. 164. Altri ritengono di essere in presenza di un contratto tipico, utili sono le riflessioni di N. Salanitro, Conto corrente bancario, in Digesto comm., IV, Utet, Torino, 1989, p. 10.

[101] Ricorso per conflitto di attribuzione tra poteri dello Stato n. 10 del 2022, op. cit.

[102] Rilevante è l’orientamento della giurisprudenza di legittimità. Secondo la Cassazione integra la fattispecie prevista all’art. 616 del codice penale l’apertura da parte del marito della corrispondenza chiusa, indirizzata alla moglie e contenente l’estratto conto (in questo senso, Cass. pen., sez. II, sent. n. 952 del 2018).

[103] P. Villaschi, La posta elettronica e i messaggi sono corrispondenza? Note a margine del ricorso per conflitto tra poteri dello Stato promosso dal Senato della Repubblica in relazione al “caso Renzi”, op. cit.; l’Autore non esagera nel qualificare l’invio dell’estratto conto come una «comunicazione bancaria», la quale richiede l’applicazione delle garanzie offerte dagli artt. 15 e 68 Cost. La dottrina maggioritaria aderisce a questa interpretazione, si veda M. Cerase, Art. 68, in R. Bifulco, A. Celotto, M. Olivetti (a cura di), Commentario alla costituzione, Torino, Utet, 2006, pp. 1304 ss., che evidenzia «come se si tratta anche di riepiloghi di comunicazioni seriali, come per es. gli estratti-conto bancari che riportano gli ordini di bonifico o gli estratti conto di carte di pagamento, la vicenda può risultare meno estranea all’art. 68, comma 2, di quanto si pensi. I predetti estratti sono per loro natura destinati a essere inviati ai titolari del rapporto creditizio con cadenza periodica e sono quindi certamente protetti da tale disposizione quando sono in effetti spediti. Potrebbe allora ritenersi un aggiramento della prerogativa consentire ad altre autorità di acquisirle direttamente alla fonte senza il prescritto passaggio parlamentare».

[104] Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, op. cit., punto 4.5 del Considerato in diritto.

[105] L. M. Tonelli, Un’estensione (eccessiva?) della nozione di «corrispondenza» in una recente sentenza della Corte costituzionale, op. cit.; l’Autore risulta particolarmente critico, e ritiene che «in mancanza di una specifica individuazione del termine finale, tale termine appare tradursi in un concetto talmente astratto e indefinito, che potrebbe dar luogo a infiniti contenziosi sul punto».

[106] Cfr. Ibidem; l’Autore sostiene che la Consulta avrebbe potuto far rientrare sotto la copertura costituzionale degli artt. 15 e 68, terzo comma, Cost. i messaggi inviati tramite e-mail e sulla piattaforma Whatsapp conservati nella memoria del dispositivo, così facendo resterebbero “documenti”, tuttavia coperti da maggiori garanzie. Si veda anche M. Violante, Tabulati telefonici relativi a parlamentari tra autorizzazione e dubbi di legittimità costituzionale, in Processo penale e giustizia, fasc. n. 5, 2019, pp. 1101-1110.

[107] N. D’Anza, La Corte costituzionale estende ai soggetti non parlamentari l’immunità di cui all’art. 68, comma 3, Cost. con riguardo alla corrispondenza scambiata con membri del Parlamento, in Forum di Quaderni Costituzionali, fasc. n. 3, 2023, p. 126.

[108] Corte cost., 23 novembre 2007, n. 390, op. cit., punto 5.2 del Considerato in diritto. Cfr. N. D’Anza, La Corte costituzionale estende ai soggetti non parlamentari l’immunità di cui all’art. 68, comma 3, Cost. con riguardo alla corrispondenza scambiata con membri del Parlamento, op. cit.; l’Autore sottolinea che «mentre nel sequestro di corrispondenza eseguito su di un dispositivo in uso a soggetti particolarmente vicini al parlamentare (“corrispondenti abituali”) si attribuisce agli organi inquirenti il potere di acquisire, senza alcuna autorizzazione, tutte le comunicazioni e i messaggi (esclusi quelli con il parlamentare stesso), nel caso delle intercettazioni (indirette) l’autorizzazione preventiva (laddove negata) impedisce invece di captare comunicazioni con l’intera platea dei soggetti non parlamentari».

[109] Corte cost., 27 luglio 2023, n. 170, op. cit.

[110] R. Orlandi, “Corrispondenza” dei parlamentari e limiti all’accertamento penale nella sentenza n. 170 del 2023 della Corte costituzionale, in disCrimen, 2023; l’Autore evidenzia come «il diritto di difesa dei co-imputati (ordinari) potrebbe uscirne leso. Far dipendere l’uso di tali informazioni dall’autorizzazione politica implica accettare il rischio che – se l’autorizzazione stessa fosse negata – il co-imputato possa perdere una prova a discarico. Si esce dall’impasse solo rendendo acquisibile i dati sequestrati nei confronti dei co-imputati ordinari e subordinando all’autorizzazione politica l’uso processuale degli stessi nei confronti del parlamentare». Non solo, l’Autore si chiede – considerato il diritto vivente – se fosse «possibile assegnare alla sentenza qui commentata un valore paragonabile alla sentenza di illegittimità appena ipotizzata? E cosa accadrebbe se la Corte di cassazione ribadisse il proprio orientamento restrittivo sul concetto di corrispondenza, rifiutandosi di considerare tale il messaggio informatico già ricevuto e letto dal destinatario?».

[111] N. D’Anza, La Corte costituzionale estende ai soggetti non parlamentari l’immunità di cui all’art. 68, comma 3, Cost. con riguardo alla corrispondenza scambiata con membri del Parlamento, op. cit.; difatti l’Autore sostiene che «l’art. 68, comma 3, Cost. contempli un sistema di autorizzazioni preventive, il quale tuttavia può trovare applicazione solo ed esclusivamente nei casi in cui al momento di disporre l’atto di indagine l’autorità giudiziaria sia in grado di determinare (anche in via presuntiva, stante la qualificazione di “interlocutore/corrispondente abituale” del soggetto nei cui confronti è diretta l’attività investigativa) che l’esecuzione dello stesso condurrà all’acquisizione di dati inerenti a comunicazioni intrattenute/scambiate dal parlamentare (c.d. direzionalità dell’atto investigativo). In caso contrario, in linea di principio, non dovrebbe essere necessaria alcuna autorizzazione, stante l’assenza del rischio che l’autorità giudiziaria abbia inteso, in modo preordinato, porre in essere quel determinato atto d’indagine al sol fine di colpire la sfera delle libertà del parlamentare».

[112] Per un approfondimento sulla natura della riserva cfr. P. Barile-E. Cheli, voce Corrispondenza (libertà di), in Enc. Dir., vol. X, Milano, 1962, 743 ss.

[113] D.d.l. n. S 806, approvato dal Senato della Repubblica nella seduta del 10 aprile 2024, testo consultabile su www.senato.it.

[114] La riforma prevede che il Gip debba provvedere nelle quarantotto ore successive alla richiesta del pubblico ministero e la decisione dovrà essere adottata con decreto motivato. Nei casi di urgenza – qualora sussistano fondati motivi di ritenere, come per le intercettazioni, che il ritardo possa causare un grave pregiudizio per le indagini – il provvedimento di sequestro potrà essere adottato dall’inquirente e immediatamente trasmesso al giudice per la convalida.

[115] Per compiere tale operazione la copia forense dovrà essere trasmessa immediatamente al pubblico ministero, il quale la conserverà in archivio, ex art. 269, comma 1, c.p.p. Una volta terminate le operazioni, il magistrato dovrà procedere alla distruzione della copia.

[116] O. Murro, Sequestro dei dispositivi informatici: verso l’art. 254 ter c.p.p.? Brevi note a margine del d.d.l. A.S. n. 806, in www.penaledp.it; secondo l’Autrice «non soddisfa la disciplina riservata ai tempi di restituzione della copia clone […]. A ben vedere, però, la restituzione dello smartphone non elimina il pregiudizio determinato dal mantenimento del vincolo sui dati informatici, sui quali non solo sussiste un vero e proprio diritto alla reintegrazione della privacy, ma tale diritto appare meritevole di una adeguata tutela, poiché tali informazioni costituiscono – come detto – la spina dorsale dell’essere digitale». Difatti, il «rischio è che il sequestro integrale dei dati, unito alla possibilità di detenere tale patrimonio informatico sino alla sentenza definitiva, trasformi l’atto investigativo in un atto esplorativo».

[117] La motivazione deve espressamente indicare «le ragioni che rendono necessario il sequestro in relazione al nesso di pertinenza tra il bene appreso e l’oggetto delle indagini», sia «le operazioni tecniche», nonché i criteri da utilizzare per «selezionare, nel rispetto del principio di proporzione, i soli dati effettivamente necessari per il proseguo delle indagini». Secondo A. Chelo, Tanto tuonò che piovve: il nuovo sequestro di dispositivi informatici, in Penale Diritto e Procedura, fasc. 1, 2024, siamo di fronte a una richiesta esplicita del legislatore per una «motivazione rafforzata circa l’utilità del sequestro» da parte del giudice.

[118] Un sequestro che, almeno a una prima lettura sommaria, appare informato al principio di proporzione come delineato dalla giurisprudenza di legittimità. Secondo la Cassazione, infatti, questo principio «certamente ancorato alla disciplina delle cautele personali nel procedimento penale ed alla tutela dei diritti inviolabili, ha nel sistema una portata più ampia in quanto travalica il perimetro della libertà individuale per divenire termine necessario di raffronto tra la compressione dei diritti quesiti e la giustificazione della loro limitazione», così Cass., sez. VI, 22 settembre 2020, n. 34265, in Sistema penale, 2020. Cfr. M. Pittiruti, Dalla Corte di cassazione un vademecum sulle acquisizioni probatorie informatiche e un monito contro i sequestri digitali omnibus, in Sistema penale, 2021.

[119] S. De Flammineis, Le sfide della prova digitale: sequestri, chat, processo penale telematico e intelligenza artificiale, in Sistema penale, 2024; l’Autore solleva qualche dubbio circa l’inevitabile ingolfamento del sistema giustizia, in particolare durante la fase delle indagini preliminari.

[120] A. Chelo, Tanto tuonò che piovve: il nuovo sequestro di dispositivi informatici, op. cit.; l’Autore specifica che «si tratta, allora, di comprendere come operare: se costruire una norma sempre rispettosa dell’art. 15 Cost., oppure una norma che introduca una nuova ipotesi di sequestro e che, nell’eventualità in cui esso cada – indirettamente – sulla corrispondenza, fornisca solo in tal caso le garanzie che l’art. 15 Cost. impone».

[121] O. Murro, Sequestro dei dispositivi informatici: verso l’art. 254 ter c.p.p.? Brevi note a margine del d.d.l. A.S. n. 806, op. cit.; l’Autrice critica la proposta di legge affermando che «così delineata la disciplina, sembra però confliggere con il generale divieto di sequestri indiscriminati e totalizzanti di massici dati informatici. […] La proposta in esame, invece, non limitando ad origine il perimetro delle operazioni di ricerca dei dati, rischia di configurare un’attività di indagine esplorativa, apparendo così in difformità con gli approdi della giurisprudenza sia interna, sia europea, che hanno decretato l’illegittimità di tali forme di acquisizione massiva ed indiscriminata». Cfr. L. Nullo, Sequestro probatorio di materiale documentativo e principi di adeguatezza e proporzionalità, in Proc. pen. giust., 2020, fasc. 3, p. 660; M. Pittiruti, Adeguatezza e proporzionalità nel sequestro di un sistema informatico, in Dir. internet, 2019, p. 777.

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