Abstract
- L’art. 4 del c.d. “Decreto Caivano”;
- L’art. 4-bis della Legge n. 110 del 1975 “Porto di armi per cui non è ammessa licenza”;
- “Armi per cui non è ammessa licenza” un inquadramento giuridico e giurisprudenziale, anche in raffronto all’art. 707 c.p. ;
- L’art. 4 bis. commesso dal minore. Brevi cenni de iure condendo.
Abstract
Il presente contributo si sofferma sull’art. 4 – bis del c.d. “Decreto Caivano”, ossia il decreto-legge 15 settembre 2023, convertito con modifiche in legge 13 novembre 2023, n. 159, recante “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale”. La disposizione, tesa a un’energica repressione del porto di armi per cui non è ammessa licenza, dimostra una rilevante portata incriminatrice e pare oggetto, nelle sue prime applicazioni concrete da parte degli operatori di polizia e giudiziari, di un’intensa riflessione quanto ai suoi limiti concettuali e applicativi. Proprio al fine di comprendere quali condotte voglia, e possa, sanzionare la norma, ci si soffermerà sul suo inquadramento giuridico, alla luce della normativa delle armi, raffrontandola anche con gli art. 699 e 707 c.p. Infine, si proporranno alcune prospettive de iure condendo che, a parere di chi scrive, potrebbero portare ad ulteriore compimento la riforma secondo la sua ratio.
This paper is focused on art. 4 – bis of the “Caivano Decree”, i.e. the decree-law 15 September 2023, converted with amendments in law 13 November 2023, n. 159, containing “urgent measures to figth youth hardship, educational poverty and juvenile crime, as well as for the safety of minors in the digital sphere”. The provision, aimed at an energetic repression of the carrying of weapons for which a license is not permitted, demonstrates a significant incriminating scope and seems to be the object, in its first concrete applications by police and judicial operators, of intense reflection as to its conceptual and applicative limits. In order to understand what conduct the rule wants to punish, we will focus on its legal framework, in relation with the legislation on weapons, also comparing it with art. 699 and 707 of Italian Criminal Code. Finally, some perspectives will be proposed which, in the opinion of the writer, could lead to further completion of the reform according to its ratio.
- L’art. 4 del c.d. “Decreto Caivano”
Il D.l. n. 123 del 15 settembre 2023, convertito con modifiche in Legge 13 novembre 2023, n. 159, recante “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale”, rappresenta un importante punto di svolta nella strategia governativa tesa alla repressione dei crimini predatori da strada.
Rimandando a contributi più articolati sul tema[1], in questa sede ci si vuole soffermare sul l’art. 4 del Decreto, anche alla luce delle sue modifiche in fase di conversione.
La disposizione in esame, rubricata “Disposizioni per il contrasto dei reati in materia di armi od oggetti atti ad offendere, nonché di sostanze stupefacenti”, è interessata da rilevanti modifiche ad opera della legge di conversione, che agli iniziali tre commi presenti nella norma ne aggiunge ben altri sette (cc. 1-bis, da 2-bis a 2-sexies, 3-bis).
La norma, nella sua versione originaria, era intervenuta già su tre diversi fronti:
- aggravando la pena detentiva prevista per il delitto di cui all’art. 73 c. 5 T.U. Stupefacenti, DPR 309/1990, ora punibile con la reclusione “da sei mesi a cinque anni” e non più “da sei mesi a quattro anni”;
- innalzando i limiti edittali di pena detentiva previsti per le contravvenzioni in materia di porto di armi od oggetti atti a offendere di cui all’art. 4 l. 18 aprile 1975, n. 110, commi 3, 4 e 5;
- aumentando (da tre a quattro anni) il massimo della cornice edittale di pena detentiva previsto per la fattispecie contravvenzionale di porto abusivo di armi di cui non è ammessa licenza ex art. 699 comma 2 c.p.;
Tale impianto, già di per sé di particolare interesse applicativo, è stato successivamente innovato dalla legge di conversione, che nel testo approvato da Camera e Senato introduce le seguenti novità.
Anzitutto, all’interno del codice penale, nell’ambito dei “Delitti contro l’ordine pubblico”, è introdotto un nuovo art. 421-bis, rubricato “Pubblica intimidazione con uso di armi”, diretto a punire con la reclusione da tre a otto anni, quando il fatto non costituisca più grave reato, “chiunque, al fine di incutere pubblico timore o di suscitare tumulto o pubblico disordine o di attentare alla sicurezza pubblica, fa esplodere colpi di arma da fuoco o fa scoppiare bombe o altri ordigni o materie esplodenti”: il delitto riproduce la figura già punita (con la reclusione da uno a otto anni) dall’art. 6 l. 2 ottobre 1967, n. 895, che viene infatti abrogato. I soggetti condannati per tale reato vengono inoltre inclusi tra i possibili destinatari delle misure di prevenzione ai sensi dell’art. 4 c. 1 del Codice Antimafia, (d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159);
È stato poi inserito un secondo periodo all’interno dell’art. 73 comma 5 DPR 309/1990, a mente del quale “Chiunque commette uno dei fatti previsti dal primo periodo è punito con la pena della reclusione da diciotto mesi a cinque anni e della multa da euro 2.500 a euro 10.329, quando la condotta assume caratteri di non occasionalità”. Si prevede inoltre la rimozione dell’attuale esclusione del reato di cui al citato art. 73 comma 5 dal campo di applicazione della confisca in casi particolari ex art. 240-bis c.p., che, ai sensi dell’art. 85-bis Testo Unico Stupefacenti, viene estesa anche a tali ipotesi.
Infine, il comma 2 del richiamato art. 699 c.p. è abrogato e si traspone la fattispecie di “Porto di armi per cui non è ammessa licenza” in un nuovo art. 4-bis della l. 18 aprile 1975, n. 110, così sostituendo l’originale contravvenzione con un nuovo delitto, punito con la reclusione da uno a tre anni, con la previsione di alcune circostanze aggravanti a effetto speciale all’interno del secondo comma. Si prevedono inoltre modifiche degli artt. 381 c. 2 c.p.p. e 71 del Codice Antimafia, per estendere alla nuova figura delittuosa la misura dell’arresto facoltativo in flagranza e la circostanza aggravante applicabile “se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l’esecuzione”.
È proprio su quest’ultima innovazione che ci si intende soffermare nel presente contributo.
- L’art. 4-bis della Legge n. 110 del 1975 “Porto di armi per cui non è ammessa licenza”
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, porta un’arma per cui non è ammessa licenza è punito con la reclusione da uno a tre anni. Salvo che il porto d’arma sia previsto come elemento costitutivo o circostanza aggravante specifica per il reato commesso, la pena prevista dal comma 1 è aumentata da un terzo alla metà quando il fatto è commesso: a) da persone travisate o da più persone riunite; b) nei luoghi di cui all’articolo 61, numero 11-ter), del codice penale; c) nelle immediate vicinanze di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro, parchi e giardini pubblici o aperti al pubblico, stazioni ferroviarie, anche metropolitane, e luoghi destinati alla sosta o alla fermata di mezzi di pubblico trasporto; d) in un luogo in cui vi sia concorso o adunanza di persone ovvero una riunione pubblica.”
La disposizione esordisce con la clausola di riserva[2] “Salvo che il fatto costituisca più grave reato”, volta a risolvere qualsivoglia problematica legata al concorso di norme. Con ciò si chiarisce che la disposizione di cui all’art. 4-bis non possa trovare applicazione ogniqualvolta il possesso dell’arma, o il suo eventuale utilizzo, costituisca elemento costitutivo di una più grave fattispecie penale o aggravante specifica.
Così, per esempio, si ritiene che la norma non possa concorrere con le aggravanti previste per il furto o la rapina, ai sensi degli artt. 625[3] e 628[4] c.p. Ciò, del resto, è espressamente chiarito dal secondo comma dell’art. 4-bis, ove è sancito che “Salvo che il porto d’arma sia previsto come elemento costitutivo o circostanza aggravante specifica per il reato commesso…”.
La disposizione poi, sotto il profilo spaziale, individua il suo ambito di applicazione nel porto “fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa”.
Sulla nozione di abitazione e pertinenze, paiono invocabili la giurisprudenza e la dottrina elaborate con riferimento agli artt. 614 (violazione di domicilio) e 624-bis (furto in abitazione) c.p.[5].
Quanto al concetto di “porto” di arma, la Cassazione ha da tempo chiarito che lo stesso ricorre quando l’arma, anche se non addosso al soggetto, si trova nella sua pronta disponibilità per un uso quasi immediato[6]. Tradizionalmente, infatti, il criterio distintivo tra il porto e il trasporto si poggia proprio sulla possibilità di utilizzazione immediata.
Autorevole dottrina ha osservato che “l’andare armati” non viene considerato dall’ordinamento come un comportamento neutrale ma come un atteggiamento oggettivamente sintomatico dell’intenzione dell’agente di usare l’arma per offendere o intimidire altri soggetti[7].
Fatte queste osservazioni di carattere generale, non v’è dubbio che il più interessante tema d’indagine insista sulla nozione di “arma per cui non è ammessa licenza”.
- “Armi per cui non è ammessa licenza” un inquadramento giuridico e giurisprudenziale, anche in raffronto all’art. 707 c.p.
Come anticipato nel primo paragrafo, l’art. 4bis della legge 110/1975 si delinea quale trasposizione del secondo comma dell’art. 699 c.p., abrogato in conseguenza della innovazione legislativa.
L’art. 699 c.p., infatti, nella sua versione “ante Caivano”, così recitava: “Chiunque, senza la licenza dell’Autorità, quando la licenza è richiesta, porta un’arma fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, è punito con l’arresto fino a diciotto mesi. Soggiace all’arresto da diciotto mesi a tre anni chi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, porta un’arma per cui non è ammessa licenza. Se alcuno dei fatti preveduti dalle disposizioni precedenti, è commesso in luogo ove sia concorso o adunanza di persone, o di notte in un luogo abitato, le pene sono aumentate.”
Come detto, il comma 2 è stato abrogato dall’art. 4, comma 2 del D.L. 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni dalla L. 13 novembre 2023, n. 159.
Deve innanzitutto evidenziarsi che, mentre l’art. 699 c.p. prevedeva una contravvenzione punita con l’arresto, l’art. 4bis disciplina un delitto, con ciò sancendosi un importante aumento della “caratura” della fattispecie penale.
In via esemplificativa e non esaustiva, si ricordi che i delitti ammettono le misure precautelari e la reclusione, il tentativo ex art. 56 c.p., escludono l’oblazione ex artt. 162 ss. c.p.; e l’elemento psicologico per i delitti soggiace all’art. 43 c.p.
E’ appena il caso di osservare come la decisione di traslare una disposizione codicistica in una legge speciale potrebbe presentarsi quanto meno antistorica, in considerazione della auspicata introduzione della c.d. riserva di codice di cui all’art. 3-bis c.p[8].
La scelta, tuttavia, potrebbe aver colto nel segno poiché impone a chi legga l’art. 4-bis di porlo immediatamente a confronto con l’art. 4 della medesima legge. Le due norme, infatti, si potrebbe dire che si circoscrivano e si definiscano a vicenda.
Nell’art. 4 comma 2, infatti, viene criminalizzato il porto fuori dalla propria abitazione delle c.d. armi improprie. La norma, nei suoi primi due commi, così dispone:
“Salve le autorizzazioni previste dal terzo comma dell’articolo 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, non possono essere portati, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, armi, mazze ferrate o bastoni ferrati, sfollagente, noccoliere storditori elettrici e altri apparecchi analoghi in grado di erogare una elettrocuzione.
Senza giustificato motivo, non possono portarsi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche, nonché qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona, gli strumenti di cui all’articolo 5, quarto comma, nonché i puntatori laser o oggetti con funzione di puntatori laser, di classe pari o superiore a 3b, secondo le norme CEI EN 60825- 1, CEI EN 60825- 1/A11, CEI EN 60825- 4.”
A contrario, si ricava innanzitutto che le armi di cui parla l’art. 4-bis tecnicamente non sono le armi c.d. improprie, ma solo quelle armi c.d. proprie il cui fine precipuo è l’offesa alla persona, seguendo la tradizionale bipartizione indicata dall’art. 585 comma 2 c.p.[9]
È opportuno rilevare fin d’ora che tra le armi di cui trattano gli art. 4 e 4-bis della legge 110/1975 non rientrano le armi da fuoco o da sparo e gli esplosivi ai quali sono dedicate altre leggi speciali[10].
In merito alla relazione definitoria tra l’art. 4-bis e l’art. 4, deve essere valorizzata la giurisprudenza consolidatasi nel corso del tempo quanto ai rapporti tra l’art. 4 l. 110/1975 e l’art. 699 c.p. e sicuramente, sotto il profilo applicativo, assume una particolare importanza la tematica delle armi da punta e da taglio o, più pragmaticamente, dei coltelli.
È drammaticamente noto che, dal punto di vista criminologico, la cronaca e i report delle forze di polizia diano costantemente atto di come sia sempre più diffuso tra i giovani e giovanissimi l’utilizzo dei coltelli per la commissione di reati. Tra tutti, si ricordino le parole del Questore di Milano che, nel 2024, così si è espresso “Sono preoccupato dall’uso dei coltelli, stiamo osservando una propensione a questo fenomeno anche qui, come a Londra dove nel 2023 ci sono stati 14mila accoltellamenti”[11].
Le stesse osservazioni trovano conforto sotto il profilo ospedaliero, laddove, nello stesso anno, la responsabile del trauma team di uno dei principali nosocomi milanesi ha osservato come “Agli inizi degli anni 2000 i pazienti con ferite penetranti da arma erano il 2% di tutti i casi di cui ci occupavamo, oggi sono il 18%”[12].
Può essere utile allora richiamare qualche arresto dottrinale e giurisprudenziale relativo alle armi da taglio, in relazione all’art. 4 Legge 110/1975 e 699 c.p.
In via preliminare, vi è da chiarire che in materia di armi proprie non da sparo vige un generale divieto assoluto di porto fuori dalla propria abitazione e delle sue appartenenze, da cui l’impossibilità di conseguire per tali armi la licenza di porto a eccezione di specifiche ipotesi[13].
Tanto premesso, è opportuno soffermarsi su alcune statuizioni della Suprema Corte, al fine di meglio inquadrare la tematica.
Così, innanzitutto, è stato osservato, in più pronunce, che il porto di un coltello a scatto, c.d. a “molletta”, integra la fattispecie autonoma di reato di cui all’art. 699, comma 2 c.p., trattandosi di arma “bianca” propria di cui è vietato il porto in modo assoluto, non essendo ammessa licenza da parte delle leggi di pubblica sicurezza[14].
Sotto il profilo sistematico, è stato sottolineato che in materia di armi da punta e taglio, per quanto riguarda in particolare i coltelli, va operata una distinzione tra quelli muniti di lama non fissa, semplicemente azionabili a mano e privi di congegni meccanici che permettano l’irrigidimento della lama aperta sino a contrario comando manuale, e quelli, invece, che dispongono di congegni di quest’ultimo tipo, in grado di consentirne la fruibilità quali pugnali, stiletti e simili. Nella prima categoria rientrano gli arnesi da punta e taglio, il cui porto senza giustificato motivo è punito ai sensi dell’art. 4, L. 18 aprile 1975, n. 110; nella seconda le armi proprie non da sparo il cui possesso è sanzionato dagli artt. 697 e 699 c.p., a seconda che si tratti di detenzione illegale o di porto abusivo[15].
Si è chiarito che il coltello a serramanico con lama di oltre nove centimetri assume le caratteristiche di un pugnale o stiletto e va, quindi, qualificato come arma bianca che, per la sua naturale pericolosità e destinazione all’offesa alle persone, non può in assoluto essere oggetto di licenza da parte della competente autorità. Il porto di tale coltello fuori della propria abitazione integra, pertanto, il reato, di cui all’art. 699, comma 2, c.p.[16].
La descritta giurisprudenza e dottrina quanto alla distinzione tra l’art. 4 l. 110/1975 e l’art. 699 c.p. assume particolare importanza alla luce delle prime pronunce giurisprudenziali relative all’art. 4-bis l. 110/1975.
In queste occasioni, infatti, la giurisprudenza di merito ha fatto proprie le considerazioni elaborate intorno all’art. 699 c.p., affrontando gli aspetti giuridici della nuova norma con riferimento a fattispecie in cui la polizia giudiziaria aveva proceduto all’arresto di soggetti trovati in possesso di armi da taglio. E, in tali circostanze, ai fini dell’addebito di responsabilità del soggetto, sono state ampiamente valorizzate le caratteristiche meccaniche dell’arma, i precedenti del soggetto e il contesto concreto in cui il soggetto è stato trovato in possesso dell’arma.
Ciò discende anche dal fatto che, sotto il profilo classificatorio, la norma punisce più che un comportamento criminale lesivo di un bene giuridico, una condizione che ne costituisce un prodromo, avvicinandosi quindi alla categoria dogmatica dei reati di pericolo astratto che, com’è noto, impone agli interpreti di valorizzare le circostanze concrete del fatto, in ossequio al principio di offensività[17].
Qualora si condividesse una simile sussunzione tassonomica, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 4bis troverebbe grande giovamento mutuando le osservazioni della nota pronuncia della Consulta[18] emanata con riferimento all’art. 707 c.p. (Possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli)[19].
La norma, infatti, punendo il semplice possesso di un oggetto (come fa il 4bis con il porto dell’arma), presenta la tipica struttura delle contravvenzioni di polizia, di cui al Titolo I – Libro III c.p., ove aveva sede il comma II dell’art. 699 c.p., poi traslato nell’art. 4bis Legge 110/1975.
Nell’occasione, il Tribunale di Viterbo, aveva ritenuto che l’art. 707 c.p. appartenesse alla generale categoria dei reati c.d. ‘senza offesa’, della cui conformità a Costituzione si è dubitato per contrasto con il principio di offensività, in ragione dell’eccessivo grado di anticipazione della tutela del bene giuridico-penale. In particolare, l’art. 707 configurerebbe un reato «di sospetto», incriminando comportamenti in se stessi non lesivi né pericolosi, “che lasciano presumere l’avvenuta commissione non accertata o la futura commissione di reati”, e sarebbe “annoverabile anche nella sotto-specie […] dei così detti ‘reati ostativi’ […] che non colpiscono comportamenti offensivi di un bene, ma tendono a prevenire il realizzarsi di azioni effettivamente lesive o pericolose, mediante la punizione di atti che sono la premessa idonea per la commissione di altri reati”.
Così inquadrata la categoria dogmatica, non v’è dubbio che vi si possa sussumere l’art. 4bis, atteso che criminalizza il solo porto dell’arma per cui non è prevista licenza.
Nella citata sentenza, la Consulta sottolinea che il principio di offensività opera su due piani, rispettivamente della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, o comunque la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale «offensività in astratto», e dell’applicazione giurisprudenziale «offensività in concreto», quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato.
La particolare configurazione della contravvenzione di cui all’art. 707 c.p. lascia aperta la possibilità che si verifichino casi in cui alla conformità del fatto al modello legale non corrisponde l’effettiva messa in pericolo dell’interesse tutelato. Il giudice chiamato a fare applicazione della norma dovrà pertanto operare uno scrutinio particolarmente rigoroso circa la sussistenza del requisito dell’offensività in concreto, verificando la specifica attitudine funzionale degli strumenti ad aprire o forzare serrature e valutando – soprattutto quando gli strumenti di cui l’imputato è colto in possesso non denotino di per sé tale univoca destinazione – le circostanze e le modalità di tempo e di luogo che accompagnano la condotta, dalle quali desumere l’attualità e la concretezza del pericolo di commissione di delitti contro il patrimonio.
Questi principi, così chiaramente sanciti dalla Corte, si dimostrano di straordinaria attualità per quanto concerne l’art. 4bis.
Sotto il profilo dell’offensività in astratto infatti, il legislatore al secondo comma della norma individua delle aggravanti specifiche che hanno un particolare valore esegetico, ossia: le persone travisate e riunite; l’interno o le adiacenze di istituti di istruzione o formazione; le immediate vicinanze di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro, parchi e giardini pubblici o aperti al pubblico, stazioni ferroviarie, anche metropolitane, e luoghi destinati alla sosta o alla fermata di mezzi di pubblico trasporto; il luogo in cui vi sia concorso o adunanza di persone ovvero una riunione pubblica.
Così facendo la previsione legale, in ossequio al principio di offensività, intende punire severamente il porto di armi (proprie) in tutti quei contesti in cui siano, potenzialmente in concreto, in grado di arrecare nocumento alla sicurezza individuale e pubblica.
Il legislatore, quindi, impone all’accusa di individuare tutte quelle circostanze concrete che rendano effettivamente pericolosa la condotta del reo.
Nello stesso solco si pone il fatto che per la norma sia stato previsto l’arresto facoltativo e non l’arresto obbligatorio, ai sensi del novellato art. 381 comma 2 lett. m-sexies) c.p.p.
In questo modo la polizia giudiziaria operante è tenuta a motivare puntualmente quanto alla gravità del fatto e alla pericolosità del soggetto, se intende procedere al suo arresto in flagranza.
Chiarito come la disposizione de quo imponga di scandagliare a fondo, al di là della sola condotta di porto, la pericolosità del soggetto e l’offensività concreta del fatto, può osservarsi come tutto ciò che è stato fin ora opinato riguardi i reati commessi dai maggiorenni mentre, come già è sancito nel titolo della riforma, la strategia sanzionatoria del legislatore doveva interessare soprattutto la criminalità giovanile.
- L’art. 4 bis. commesso dal minore. Brevi cenni de iure condendo
Il porto di un’arma per cui non è ammessa licenza da parte di un minorenne costituisce una fattispecie di particolare interesse alla luce di alcune innovazioni procedurali introdotte dalla riforma.
Gli articoli 6 (Disposizioni in materia di contrasto dei reati commessi dai minori) e 8 (Custodia cautelare e percorso di rieducazione del minore) del decreto-legge introducono delle interessanti novità.
Si ampliano i presupposti applicativi della misura precautelare dell’accompagnamento a seguito di flagranza (con successivo trattenimento del minore fino a dodici ore), in relazione ai delitti non colposi per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni (al posto dei precedenti cinque anni) e per alcuni reati specificamente indicati (lesione personale, furto, danneggiamento aggravato, alterazione di armi e fabbricazione di esplosivi non riconosciuti, porto abusivo di armi od oggetti atti ad offendere; tra cui tuttavia non figura il nuovo art. 4-bis l. 110/1975).
Si abbassa a quattro anni (al posto dei precedenti cinque) il limite relativo al massimo edittale di pena detentiva previsto ai sensi dell’art. 19 c0. 4 per l’applicazione al minore di misure cautelari personali diverse dalla custodia cautelare;
Si abbassa a sei anni (al posto dei precedenti nove) il limite relativo al massimo edittale di pena detentiva previsto dall’art. 23 per l’applicazione al minore della custodia cautelare, che diviene altresì praticabile, senza limiti, per taluni reati specificamente individuati
Così ricostruito il quadro sostanziale e processuale, pare che il minore trovato in possesso di un’arma da taglio possa essere sicuramente indagato, forse accompagnato a seguito di flagranza (quantomeno nelle ipotesi in cui ricorre un’aggravante specifica). Sembra tuttavia che non possa essere tratto in arresto.
Com’è noto ai sensi dell’art. 16 del codice di procedura penale minorile, “Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere all’arresto del minorenne colto in flagranza di uno dei delitti per i quali, a norma dell’articolo 23, può essere disposta la misura della custodia cautelare”.
Il fatto che il minore non possa essere tratto in arresto ai sensi dell’art. 4bis trova conforto nel fatto che il legislatore ha individuato quale espressa ipotesi d’arresto il porto delle armi da sparo e non anche quelle di altro genere.
L’art. 23 del DPR 448/1988 richiama infatti i delitti, consumati o tentati, di cui all’articolo 380, comma 2, lettere e), e-bis) e g) c.p.p. Proprio quest’ultima lettera disciplina i delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse e di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo, escluse quelle previste dall’articolo 2 comma 3 della legge n. 110 del 1975.
In conclusione, dato che il decreto-legge 123 del 2023 aveva tra i suoi principali obiettivi il “contrasto alla criminalità minorile” e che la stessa si traduce sempre più, come si è detto, nel possesso e nell’utilizzo di armi da taglio che costituiscono i prodromi di crimini particolarmente efferati, pare che, per stringenti esigenze di ordine e sicurezza pubblica oltre che general-preventive e financo rieducative, per portare a compimento lo spirito della riforma in futuro potrebbe essere auspicato un richiamo dell’art. 4bis da parte dell’art. 23 del DPR 448/1988. Diverse analisi statistiche continuano a segnalare la preoccupante diffusione tra i giovanissimi dell’uso, e dell’abuso, degli strumenti da taglio[20]. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Milano, infatti, si è espresso così in una recente intervista: “Riscontriamo un utilizzo disinvolto del coltello, devastante nelle mani di chi non riesce a controllare la rabbia e la frustrazione. Procurarselo è facile e portarlo addosso è vissuto come un fatto normale, se non addirittura una moda. Si mitizza il coltellino.[21]”
[1] bernardi, Convertito in legge il D.l. “Caivano” in tema di contrasto al disagio e alla criminalità minorili: una panoramica dei numerosi profili d’interesse per il penalista, in Sistema Penale fascicolo 11/2023.
[2] Sul tema delle clausole di riserva vd. FIANDACA, Diritto penale, parte generale, Bologna, 2014, 722; MARINUCCI, DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, 2012, 455-6; MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2013, 481; DE VERO, Corso di diritto penale, I, Torino, 2012, 364; RAMACCI, Corso di diritto penale, Torino, 2013, 471; PULITANÒ, Diritto penale, Torino, 2013 464.
[3] Art. 625 comma 1 lett. 3 c.p. “se il colpevole porta indosso armi o narcotici, senza farne uso”.
[4] Art. 628 comma 3 n. 1 c.p. “se la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite”.
[5] Sul punto, ex multis v.d. Cass. S.U., 23.30.2017 n. 31345.
[6] Cass. pen., Sez. I, 6.11.1984, n. 3699.
[7] CADOPPI, Il porto abusivo di armi da guerra, tipo guerra e comuni da sparo, fra le incertezze giurisprudenziali (e legislative), in Informaz. Previd. 1981, 430 e MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, UTET, Torino, 1986, vol. X, p. 767.
[8] Il quale prevede che “Nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia”. Inserito dall’art. 1 del D. Lgs. 01/03/2018, n. 21 concernente “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103“.
[9] La norma così recita:
“Agli effetti della legge penale per armi s’intendono:
1) quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona;
2) tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo.”
[10] Per una completa ricostruzione della normativa delle armi vd. IOVINO, Manuale delle leggi amministrative e penali in materia di armi, annotato con la più recente giurisprudenza, Giappichelli Editore, Torino, 2020.
[11] CARRA, A Milano aumento di rapine, lesioni e arresti. L’allarme del Questore Petronzi: “Sono preoccupato dall’uso dei coltelli, fenomeno in crescita come a Londra”, Repubblica.it, 17 aprile 2024.
[12] BETTONI, Milano, Stefania Cimbanassi alla guida del Trauma team del Niguarda: «Così ho salvato Christian Di Martino», in Corriere.it, 17 maggio 2024.
[13]1. Il porto consentito dai regolamenti (per es. nel caso delle armi da taglio portate dalle Forze dell’Ordine in uniforme da cerimonia);
2. Il porto consentito dall’art. 8 l. 36 del 1990 ove è disposto che “Gli appartenenti agli organismi di informazione e di sicurezza di cui alla legge 24 ottobre 1977, n. 801, portano senza licenza le armi portatili di qualsiasi tipo di cui sono muniti secondo le disposizioni interne di servizio”;
3. Il porto autorizzato ai sensi dell’art. 9 Legge n. 36 del 1990 da parte del personale appartenente alla Forze di Polizia o ai Servizi di sicurezza dello Stato;
4. Il porto nel corso di una passeggiata militare autorizzata di cui all’art. 29 TULPS;
5. Il porto di bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65, su licenza del prefetto in caso di dimostrato bisogno, ex art. 42 TULPS.
Così IOVINO, Manuale delle leggi amministrative e penali in materia di armi, annotato con la più recente giurisprudenza, p. 347, Giappichelli Editore, Torino, 2020.
[14] Cass. pen., Sez. I, 23.09.2015 n. 45548; Cass. pen., Sez. I, 14.01.2000 n. 392.
[15] Cass. pen., Sez. I., 25.05.1996, n. 5213.
[16] Cass. pen., Sez. I, 31.08.1994 n. 9372.
[17] Per una preziosa e completa analisi del principio si rimanda a MANES, Il principio di offensività nel diritto penale: canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Giappichelli Torino 2005.
[18] C. cost., 07.07.2005, n.265.
[19] Così la norma: “Chiunque, essendo stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione dei delitti contro il patrimonio, o per mendicità, o essendo ammonito o sottoposto a una misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta, è colto in possesso di chiavi alterate o contraffatte, ovvero di chiavi genuine o di strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature, dei quali non giustifichi l’attuale destinazione, è punito con l’arresto da sei mesi a due anni.”
[20] Dal 2011 a oggi, secondo la campagna KnifeSavers, le morti da accoltellamento sono aumentate del 36%. E le vittime, in 1 caso su 4, sono giovani uomini fra i 18 e i 24 anni. Il report sulla “Criminalità minorile e gang giovanili” del Dipartimento pubblica sicurezza e Direzione centrale della polizia criminale ha evidenziato un aumento del 2% delle lesioni dolose (la principale “spia” dell’uso di coltelli) provocate da under 17 fra il 2022 e il 2023. L’allarme riguarda soprattutto il centro Nord. Perché se al Sud in fenomeno sembra in calo sensibile (-27% a Messina, -20% a Palermo, -35% a Napoli, -19% a Roma), a Milano si registra un incremento di lesioni provocate da under 18 pari addirittura al 48%. Stesso preoccupante trend a Bologna, che tocca un + 44%. Firenze marca un + 21%, mentre il picco si raggiunge a Genova con un +55%.
[21] Tratto da GALLI, La città delle lame, Corriere della Sera, 12 gennaio 2025.
L’art. 4 bis della Legge n. 110 del 1975: riflessioni normative e prospettive applicative di polizia per la prevenzione dei reati di criminalità diffusa tramite armi da taglio
Abstract
Abstract
Il presente contributo si sofferma sull’art. 4 – bis del c.d. “Decreto Caivano”, ossia il decreto-legge 15 settembre 2023, convertito con modifiche in legge 13 novembre 2023, n. 159, recante “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale”. La disposizione, tesa a un’energica repressione del porto di armi per cui non è ammessa licenza, dimostra una rilevante portata incriminatrice e pare oggetto, nelle sue prime applicazioni concrete da parte degli operatori di polizia e giudiziari, di un’intensa riflessione quanto ai suoi limiti concettuali e applicativi. Proprio al fine di comprendere quali condotte voglia, e possa, sanzionare la norma, ci si soffermerà sul suo inquadramento giuridico, alla luce della normativa delle armi, raffrontandola anche con gli art. 699 e 707 c.p. Infine, si proporranno alcune prospettive de iure condendo che, a parere di chi scrive, potrebbero portare ad ulteriore compimento la riforma secondo la sua ratio.
This paper is focused on art. 4 – bis of the “Caivano Decree”, i.e. the decree-law 15 September 2023, converted with amendments in law 13 November 2023, n. 159, containing “urgent measures to figth youth hardship, educational poverty and juvenile crime, as well as for the safety of minors in the digital sphere”. The provision, aimed at an energetic repression of the carrying of weapons for which a license is not permitted, demonstrates a significant incriminating scope and seems to be the object, in its first concrete applications by police and judicial operators, of intense reflection as to its conceptual and applicative limits. In order to understand what conduct the rule wants to punish, we will focus on its legal framework, in relation with the legislation on weapons, also comparing it with art. 699 and 707 of Italian Criminal Code. Finally, some perspectives will be proposed which, in the opinion of the writer, could lead to further completion of the reform according to its ratio.
Il D.l. n. 123 del 15 settembre 2023, convertito con modifiche in Legge 13 novembre 2023, n. 159, recante “misure urgenti di contrasto al disagio giovanile, alla povertà educativa e alla criminalità minorile, nonché per la sicurezza dei minori in ambito digitale”, rappresenta un importante punto di svolta nella strategia governativa tesa alla repressione dei crimini predatori da strada.
Rimandando a contributi più articolati sul tema[1], in questa sede ci si vuole soffermare sul l’art. 4 del Decreto, anche alla luce delle sue modifiche in fase di conversione.
La disposizione in esame, rubricata “Disposizioni per il contrasto dei reati in materia di armi od oggetti atti ad offendere, nonché di sostanze stupefacenti”, è interessata da rilevanti modifiche ad opera della legge di conversione, che agli iniziali tre commi presenti nella norma ne aggiunge ben altri sette (cc. 1-bis, da 2-bis a 2-sexies, 3-bis).
La norma, nella sua versione originaria, era intervenuta già su tre diversi fronti:
Tale impianto, già di per sé di particolare interesse applicativo, è stato successivamente innovato dalla legge di conversione, che nel testo approvato da Camera e Senato introduce le seguenti novità.
Anzitutto, all’interno del codice penale, nell’ambito dei “Delitti contro l’ordine pubblico”, è introdotto un nuovo art. 421-bis, rubricato “Pubblica intimidazione con uso di armi”, diretto a punire con la reclusione da tre a otto anni, quando il fatto non costituisca più grave reato, “chiunque, al fine di incutere pubblico timore o di suscitare tumulto o pubblico disordine o di attentare alla sicurezza pubblica, fa esplodere colpi di arma da fuoco o fa scoppiare bombe o altri ordigni o materie esplodenti”: il delitto riproduce la figura già punita (con la reclusione da uno a otto anni) dall’art. 6 l. 2 ottobre 1967, n. 895, che viene infatti abrogato. I soggetti condannati per tale reato vengono inoltre inclusi tra i possibili destinatari delle misure di prevenzione ai sensi dell’art. 4 c. 1 del Codice Antimafia, (d.lgs. 6 settembre 2011, n. 159);
È stato poi inserito un secondo periodo all’interno dell’art. 73 comma 5 DPR 309/1990, a mente del quale “Chiunque commette uno dei fatti previsti dal primo periodo è punito con la pena della reclusione da diciotto mesi a cinque anni e della multa da euro 2.500 a euro 10.329, quando la condotta assume caratteri di non occasionalità”. Si prevede inoltre la rimozione dell’attuale esclusione del reato di cui al citato art. 73 comma 5 dal campo di applicazione della confisca in casi particolari ex art. 240-bis c.p., che, ai sensi dell’art. 85-bis Testo Unico Stupefacenti, viene estesa anche a tali ipotesi.
Infine, il comma 2 del richiamato art. 699 c.p. è abrogato e si traspone la fattispecie di “Porto di armi per cui non è ammessa licenza” in un nuovo art. 4-bis della l. 18 aprile 1975, n. 110, così sostituendo l’originale contravvenzione con un nuovo delitto, punito con la reclusione da uno a tre anni, con la previsione di alcune circostanze aggravanti a effetto speciale all’interno del secondo comma. Si prevedono inoltre modifiche degli artt. 381 c. 2 c.p.p. e 71 del Codice Antimafia, per estendere alla nuova figura delittuosa la misura dell’arresto facoltativo in flagranza e la circostanza aggravante applicabile “se il fatto è commesso da persona sottoposta con provvedimento definitivo ad una misura di prevenzione personale durante il periodo previsto di applicazione e sino a tre anni dal momento in cui ne è cessata l’esecuzione”.
È proprio su quest’ultima innovazione che ci si intende soffermare nel presente contributo.
“Salvo che il fatto costituisca più grave reato, chiunque, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, porta un’arma per cui non è ammessa licenza è punito con la reclusione da uno a tre anni. Salvo che il porto d’arma sia previsto come elemento costitutivo o circostanza aggravante specifica per il reato commesso, la pena prevista dal comma 1 è aumentata da un terzo alla metà quando il fatto è commesso: a) da persone travisate o da più persone riunite; b) nei luoghi di cui all’articolo 61, numero 11-ter), del codice penale; c) nelle immediate vicinanze di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro, parchi e giardini pubblici o aperti al pubblico, stazioni ferroviarie, anche metropolitane, e luoghi destinati alla sosta o alla fermata di mezzi di pubblico trasporto; d) in un luogo in cui vi sia concorso o adunanza di persone ovvero una riunione pubblica.”
La disposizione esordisce con la clausola di riserva[2] “Salvo che il fatto costituisca più grave reato”, volta a risolvere qualsivoglia problematica legata al concorso di norme. Con ciò si chiarisce che la disposizione di cui all’art. 4-bis non possa trovare applicazione ogniqualvolta il possesso dell’arma, o il suo eventuale utilizzo, costituisca elemento costitutivo di una più grave fattispecie penale o aggravante specifica.
Così, per esempio, si ritiene che la norma non possa concorrere con le aggravanti previste per il furto o la rapina, ai sensi degli artt. 625[3] e 628[4] c.p. Ciò, del resto, è espressamente chiarito dal secondo comma dell’art. 4-bis, ove è sancito che “Salvo che il porto d’arma sia previsto come elemento costitutivo o circostanza aggravante specifica per il reato commesso…”.
La disposizione poi, sotto il profilo spaziale, individua il suo ambito di applicazione nel porto “fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa”.
Sulla nozione di abitazione e pertinenze, paiono invocabili la giurisprudenza e la dottrina elaborate con riferimento agli artt. 614 (violazione di domicilio) e 624-bis (furto in abitazione) c.p.[5].
Quanto al concetto di “porto” di arma, la Cassazione ha da tempo chiarito che lo stesso ricorre quando l’arma, anche se non addosso al soggetto, si trova nella sua pronta disponibilità per un uso quasi immediato[6]. Tradizionalmente, infatti, il criterio distintivo tra il porto e il trasporto si poggia proprio sulla possibilità di utilizzazione immediata.
Autorevole dottrina ha osservato che “l’andare armati” non viene considerato dall’ordinamento come un comportamento neutrale ma come un atteggiamento oggettivamente sintomatico dell’intenzione dell’agente di usare l’arma per offendere o intimidire altri soggetti[7].
Fatte queste osservazioni di carattere generale, non v’è dubbio che il più interessante tema d’indagine insista sulla nozione di “arma per cui non è ammessa licenza”.
Come anticipato nel primo paragrafo, l’art. 4bis della legge 110/1975 si delinea quale trasposizione del secondo comma dell’art. 699 c.p., abrogato in conseguenza della innovazione legislativa.
L’art. 699 c.p., infatti, nella sua versione “ante Caivano”, così recitava: “Chiunque, senza la licenza dell’Autorità, quando la licenza è richiesta, porta un’arma fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, è punito con l’arresto fino a diciotto mesi. Soggiace all’arresto da diciotto mesi a tre anni chi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, porta un’arma per cui non è ammessa licenza. Se alcuno dei fatti preveduti dalle disposizioni precedenti, è commesso in luogo ove sia concorso o adunanza di persone, o di notte in un luogo abitato, le pene sono aumentate.”
Come detto, il comma 2 è stato abrogato dall’art. 4, comma 2 del D.L. 15 settembre 2023, n. 123, convertito con modificazioni dalla L. 13 novembre 2023, n. 159.
Deve innanzitutto evidenziarsi che, mentre l’art. 699 c.p. prevedeva una contravvenzione punita con l’arresto, l’art. 4bis disciplina un delitto, con ciò sancendosi un importante aumento della “caratura” della fattispecie penale.
In via esemplificativa e non esaustiva, si ricordi che i delitti ammettono le misure precautelari e la reclusione, il tentativo ex art. 56 c.p., escludono l’oblazione ex artt. 162 ss. c.p.; e l’elemento psicologico per i delitti soggiace all’art. 43 c.p.
E’ appena il caso di osservare come la decisione di traslare una disposizione codicistica in una legge speciale potrebbe presentarsi quanto meno antistorica, in considerazione della auspicata introduzione della c.d. riserva di codice di cui all’art. 3-bis c.p[8].
La scelta, tuttavia, potrebbe aver colto nel segno poiché impone a chi legga l’art. 4-bis di porlo immediatamente a confronto con l’art. 4 della medesima legge. Le due norme, infatti, si potrebbe dire che si circoscrivano e si definiscano a vicenda.
Nell’art. 4 comma 2, infatti, viene criminalizzato il porto fuori dalla propria abitazione delle c.d. armi improprie. La norma, nei suoi primi due commi, così dispone:
“Salve le autorizzazioni previste dal terzo comma dell’articolo 42 del testo unico delle leggi di pubblica sicurezza 18 giugno 1931, n. 773, e successive modificazioni, non possono essere portati, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, armi, mazze ferrate o bastoni ferrati, sfollagente, noccoliere storditori elettrici e altri apparecchi analoghi in grado di erogare una elettrocuzione.
Senza giustificato motivo, non possono portarsi, fuori della propria abitazione o delle appartenenze di essa, bastoni muniti di puntale acuminato, strumenti da punta o da taglio atti ad offendere, mazze, tubi, catene, fionde, bulloni, sfere metalliche, nonché qualsiasi altro strumento non considerato espressamente come arma da punta o da taglio, chiaramente utilizzabile, per le circostanze di tempo e di luogo, per l’offesa alla persona, gli strumenti di cui all’articolo 5, quarto comma, nonché i puntatori laser o oggetti con funzione di puntatori laser, di classe pari o superiore a 3b, secondo le norme CEI EN 60825- 1, CEI EN 60825- 1/A11, CEI EN 60825- 4.”
A contrario, si ricava innanzitutto che le armi di cui parla l’art. 4-bis tecnicamente non sono le armi c.d. improprie, ma solo quelle armi c.d. proprie il cui fine precipuo è l’offesa alla persona, seguendo la tradizionale bipartizione indicata dall’art. 585 comma 2 c.p.[9]
È opportuno rilevare fin d’ora che tra le armi di cui trattano gli art. 4 e 4-bis della legge 110/1975 non rientrano le armi da fuoco o da sparo e gli esplosivi ai quali sono dedicate altre leggi speciali[10].
In merito alla relazione definitoria tra l’art. 4-bis e l’art. 4, deve essere valorizzata la giurisprudenza consolidatasi nel corso del tempo quanto ai rapporti tra l’art. 4 l. 110/1975 e l’art. 699 c.p. e sicuramente, sotto il profilo applicativo, assume una particolare importanza la tematica delle armi da punta e da taglio o, più pragmaticamente, dei coltelli.
È drammaticamente noto che, dal punto di vista criminologico, la cronaca e i report delle forze di polizia diano costantemente atto di come sia sempre più diffuso tra i giovani e giovanissimi l’utilizzo dei coltelli per la commissione di reati. Tra tutti, si ricordino le parole del Questore di Milano che, nel 2024, così si è espresso “Sono preoccupato dall’uso dei coltelli, stiamo osservando una propensione a questo fenomeno anche qui, come a Londra dove nel 2023 ci sono stati 14mila accoltellamenti”[11].
Le stesse osservazioni trovano conforto sotto il profilo ospedaliero, laddove, nello stesso anno, la responsabile del trauma team di uno dei principali nosocomi milanesi ha osservato come “Agli inizi degli anni 2000 i pazienti con ferite penetranti da arma erano il 2% di tutti i casi di cui ci occupavamo, oggi sono il 18%”[12].
Può essere utile allora richiamare qualche arresto dottrinale e giurisprudenziale relativo alle armi da taglio, in relazione all’art. 4 Legge 110/1975 e 699 c.p.
In via preliminare, vi è da chiarire che in materia di armi proprie non da sparo vige un generale divieto assoluto di porto fuori dalla propria abitazione e delle sue appartenenze, da cui l’impossibilità di conseguire per tali armi la licenza di porto a eccezione di specifiche ipotesi[13].
Tanto premesso, è opportuno soffermarsi su alcune statuizioni della Suprema Corte, al fine di meglio inquadrare la tematica.
Così, innanzitutto, è stato osservato, in più pronunce, che il porto di un coltello a scatto, c.d. a “molletta”, integra la fattispecie autonoma di reato di cui all’art. 699, comma 2 c.p., trattandosi di arma “bianca” propria di cui è vietato il porto in modo assoluto, non essendo ammessa licenza da parte delle leggi di pubblica sicurezza[14].
Sotto il profilo sistematico, è stato sottolineato che in materia di armi da punta e taglio, per quanto riguarda in particolare i coltelli, va operata una distinzione tra quelli muniti di lama non fissa, semplicemente azionabili a mano e privi di congegni meccanici che permettano l’irrigidimento della lama aperta sino a contrario comando manuale, e quelli, invece, che dispongono di congegni di quest’ultimo tipo, in grado di consentirne la fruibilità quali pugnali, stiletti e simili. Nella prima categoria rientrano gli arnesi da punta e taglio, il cui porto senza giustificato motivo è punito ai sensi dell’art. 4, L. 18 aprile 1975, n. 110; nella seconda le armi proprie non da sparo il cui possesso è sanzionato dagli artt. 697 e 699 c.p., a seconda che si tratti di detenzione illegale o di porto abusivo[15].
Si è chiarito che il coltello a serramanico con lama di oltre nove centimetri assume le caratteristiche di un pugnale o stiletto e va, quindi, qualificato come arma bianca che, per la sua naturale pericolosità e destinazione all’offesa alle persone, non può in assoluto essere oggetto di licenza da parte della competente autorità. Il porto di tale coltello fuori della propria abitazione integra, pertanto, il reato, di cui all’art. 699, comma 2, c.p.[16].
La descritta giurisprudenza e dottrina quanto alla distinzione tra l’art. 4 l. 110/1975 e l’art. 699 c.p. assume particolare importanza alla luce delle prime pronunce giurisprudenziali relative all’art. 4-bis l. 110/1975.
In queste occasioni, infatti, la giurisprudenza di merito ha fatto proprie le considerazioni elaborate intorno all’art. 699 c.p., affrontando gli aspetti giuridici della nuova norma con riferimento a fattispecie in cui la polizia giudiziaria aveva proceduto all’arresto di soggetti trovati in possesso di armi da taglio. E, in tali circostanze, ai fini dell’addebito di responsabilità del soggetto, sono state ampiamente valorizzate le caratteristiche meccaniche dell’arma, i precedenti del soggetto e il contesto concreto in cui il soggetto è stato trovato in possesso dell’arma.
Ciò discende anche dal fatto che, sotto il profilo classificatorio, la norma punisce più che un comportamento criminale lesivo di un bene giuridico, una condizione che ne costituisce un prodromo, avvicinandosi quindi alla categoria dogmatica dei reati di pericolo astratto che, com’è noto, impone agli interpreti di valorizzare le circostanze concrete del fatto, in ossequio al principio di offensività[17].
Qualora si condividesse una simile sussunzione tassonomica, una lettura costituzionalmente orientata dell’art. 4bis troverebbe grande giovamento mutuando le osservazioni della nota pronuncia della Consulta[18] emanata con riferimento all’art. 707 c.p. (Possesso ingiustificato di chiavi alterate o di grimaldelli)[19].
La norma, infatti, punendo il semplice possesso di un oggetto (come fa il 4bis con il porto dell’arma), presenta la tipica struttura delle contravvenzioni di polizia, di cui al Titolo I – Libro III c.p., ove aveva sede il comma II dell’art. 699 c.p., poi traslato nell’art. 4bis Legge 110/1975.
Nell’occasione, il Tribunale di Viterbo, aveva ritenuto che l’art. 707 c.p. appartenesse alla generale categoria dei reati c.d. ‘senza offesa’, della cui conformità a Costituzione si è dubitato per contrasto con il principio di offensività, in ragione dell’eccessivo grado di anticipazione della tutela del bene giuridico-penale. In particolare, l’art. 707 configurerebbe un reato «di sospetto», incriminando comportamenti in se stessi non lesivi né pericolosi, “che lasciano presumere l’avvenuta commissione non accertata o la futura commissione di reati”, e sarebbe “annoverabile anche nella sotto-specie […] dei così detti ‘reati ostativi’ […] che non colpiscono comportamenti offensivi di un bene, ma tendono a prevenire il realizzarsi di azioni effettivamente lesive o pericolose, mediante la punizione di atti che sono la premessa idonea per la commissione di altri reati”.
Così inquadrata la categoria dogmatica, non v’è dubbio che vi si possa sussumere l’art. 4bis, atteso che criminalizza il solo porto dell’arma per cui non è prevista licenza.
Nella citata sentenza, la Consulta sottolinea che il principio di offensività opera su due piani, rispettivamente della previsione normativa, sotto forma di precetto rivolto al legislatore di prevedere fattispecie che esprimano in astratto un contenuto lesivo, o comunque la messa in pericolo, di un bene o interesse oggetto della tutela penale «offensività in astratto», e dell’applicazione giurisprudenziale «offensività in concreto», quale criterio interpretativo-applicativo affidato al giudice, tenuto ad accertare che il fatto di reato abbia effettivamente leso o messo in pericolo il bene o l’interesse tutelato.
La particolare configurazione della contravvenzione di cui all’art. 707 c.p. lascia aperta la possibilità che si verifichino casi in cui alla conformità del fatto al modello legale non corrisponde l’effettiva messa in pericolo dell’interesse tutelato. Il giudice chiamato a fare applicazione della norma dovrà pertanto operare uno scrutinio particolarmente rigoroso circa la sussistenza del requisito dell’offensività in concreto, verificando la specifica attitudine funzionale degli strumenti ad aprire o forzare serrature e valutando – soprattutto quando gli strumenti di cui l’imputato è colto in possesso non denotino di per sé tale univoca destinazione – le circostanze e le modalità di tempo e di luogo che accompagnano la condotta, dalle quali desumere l’attualità e la concretezza del pericolo di commissione di delitti contro il patrimonio.
Questi principi, così chiaramente sanciti dalla Corte, si dimostrano di straordinaria attualità per quanto concerne l’art. 4bis.
Sotto il profilo dell’offensività in astratto infatti, il legislatore al secondo comma della norma individua delle aggravanti specifiche che hanno un particolare valore esegetico, ossia: le persone travisate e riunite; l’interno o le adiacenze di istituti di istruzione o formazione; le immediate vicinanze di istituti di credito, uffici postali o sportelli automatici adibiti al prelievo di denaro, parchi e giardini pubblici o aperti al pubblico, stazioni ferroviarie, anche metropolitane, e luoghi destinati alla sosta o alla fermata di mezzi di pubblico trasporto; il luogo in cui vi sia concorso o adunanza di persone ovvero una riunione pubblica.
Così facendo la previsione legale, in ossequio al principio di offensività, intende punire severamente il porto di armi (proprie) in tutti quei contesti in cui siano, potenzialmente in concreto, in grado di arrecare nocumento alla sicurezza individuale e pubblica.
Il legislatore, quindi, impone all’accusa di individuare tutte quelle circostanze concrete che rendano effettivamente pericolosa la condotta del reo.
Nello stesso solco si pone il fatto che per la norma sia stato previsto l’arresto facoltativo e non l’arresto obbligatorio, ai sensi del novellato art. 381 comma 2 lett. m-sexies) c.p.p.
In questo modo la polizia giudiziaria operante è tenuta a motivare puntualmente quanto alla gravità del fatto e alla pericolosità del soggetto, se intende procedere al suo arresto in flagranza.
Chiarito come la disposizione de quo imponga di scandagliare a fondo, al di là della sola condotta di porto, la pericolosità del soggetto e l’offensività concreta del fatto, può osservarsi come tutto ciò che è stato fin ora opinato riguardi i reati commessi dai maggiorenni mentre, come già è sancito nel titolo della riforma, la strategia sanzionatoria del legislatore doveva interessare soprattutto la criminalità giovanile.
Il porto di un’arma per cui non è ammessa licenza da parte di un minorenne costituisce una fattispecie di particolare interesse alla luce di alcune innovazioni procedurali introdotte dalla riforma.
Gli articoli 6 (Disposizioni in materia di contrasto dei reati commessi dai minori) e 8 (Custodia cautelare e percorso di rieducazione del minore) del decreto-legge introducono delle interessanti novità.
Si ampliano i presupposti applicativi della misura precautelare dell’accompagnamento a seguito di flagranza (con successivo trattenimento del minore fino a dodici ore), in relazione ai delitti non colposi per il quale la legge stabilisce la pena dell’ergastolo o della reclusione non inferiore nel massimo a tre anni (al posto dei precedenti cinque anni) e per alcuni reati specificamente indicati (lesione personale, furto, danneggiamento aggravato, alterazione di armi e fabbricazione di esplosivi non riconosciuti, porto abusivo di armi od oggetti atti ad offendere; tra cui tuttavia non figura il nuovo art. 4-bis l. 110/1975).
Si abbassa a quattro anni (al posto dei precedenti cinque) il limite relativo al massimo edittale di pena detentiva previsto ai sensi dell’art. 19 c0. 4 per l’applicazione al minore di misure cautelari personali diverse dalla custodia cautelare;
Si abbassa a sei anni (al posto dei precedenti nove) il limite relativo al massimo edittale di pena detentiva previsto dall’art. 23 per l’applicazione al minore della custodia cautelare, che diviene altresì praticabile, senza limiti, per taluni reati specificamente individuati
Così ricostruito il quadro sostanziale e processuale, pare che il minore trovato in possesso di un’arma da taglio possa essere sicuramente indagato, forse accompagnato a seguito di flagranza (quantomeno nelle ipotesi in cui ricorre un’aggravante specifica). Sembra tuttavia che non possa essere tratto in arresto.
Com’è noto ai sensi dell’art. 16 del codice di procedura penale minorile, “Gli ufficiali e gli agenti di polizia giudiziaria possono procedere all’arresto del minorenne colto in flagranza di uno dei delitti per i quali, a norma dell’articolo 23, può essere disposta la misura della custodia cautelare”.
Il fatto che il minore non possa essere tratto in arresto ai sensi dell’art. 4bis trova conforto nel fatto che il legislatore ha individuato quale espressa ipotesi d’arresto il porto delle armi da sparo e non anche quelle di altro genere.
L’art. 23 del DPR 448/1988 richiama infatti i delitti, consumati o tentati, di cui all’articolo 380, comma 2, lettere e), e-bis) e g) c.p.p. Proprio quest’ultima lettera disciplina i delitti di illegale fabbricazione, introduzione nello Stato, messa in vendita, cessione, detenzione e porto in luogo pubblico o aperto al pubblico di armi da guerra o tipo guerra o parti di esse e di esplosivi, di armi clandestine nonché di più armi comuni da sparo, escluse quelle previste dall’articolo 2 comma 3 della legge n. 110 del 1975.
In conclusione, dato che il decreto-legge 123 del 2023 aveva tra i suoi principali obiettivi il “contrasto alla criminalità minorile” e che la stessa si traduce sempre più, come si è detto, nel possesso e nell’utilizzo di armi da taglio che costituiscono i prodromi di crimini particolarmente efferati, pare che, per stringenti esigenze di ordine e sicurezza pubblica oltre che general-preventive e financo rieducative, per portare a compimento lo spirito della riforma in futuro potrebbe essere auspicato un richiamo dell’art. 4bis da parte dell’art. 23 del DPR 448/1988. Diverse analisi statistiche continuano a segnalare la preoccupante diffusione tra i giovanissimi dell’uso, e dell’abuso, degli strumenti da taglio[20]. Il Procuratore della Repubblica presso il Tribunale per i Minorenni di Milano, infatti, si è espresso così in una recente intervista: “Riscontriamo un utilizzo disinvolto del coltello, devastante nelle mani di chi non riesce a controllare la rabbia e la frustrazione. Procurarselo è facile e portarlo addosso è vissuto come un fatto normale, se non addirittura una moda. Si mitizza il coltellino.[21]”
[1] bernardi, Convertito in legge il D.l. “Caivano” in tema di contrasto al disagio e alla criminalità minorili: una panoramica dei numerosi profili d’interesse per il penalista, in Sistema Penale fascicolo 11/2023.
[2] Sul tema delle clausole di riserva vd. FIANDACA, Diritto penale, parte generale, Bologna, 2014, 722; MARINUCCI, DOLCINI, Manuale di diritto penale, parte generale, Milano, 2012, 455-6; MANTOVANI, Diritto penale, Padova, 2013, 481; DE VERO, Corso di diritto penale, I, Torino, 2012, 364; RAMACCI, Corso di diritto penale, Torino, 2013, 471; PULITANÒ, Diritto penale, Torino, 2013 464.
[3] Art. 625 comma 1 lett. 3 c.p. “se il colpevole porta indosso armi o narcotici, senza farne uso”.
[4] Art. 628 comma 3 n. 1 c.p. “se la violenza o minaccia è commessa con armi, o da persona travisata, o da più persone riunite”.
[5] Sul punto, ex multis v.d. Cass. S.U., 23.30.2017 n. 31345.
[6] Cass. pen., Sez. I, 6.11.1984, n. 3699.
[7] CADOPPI, Il porto abusivo di armi da guerra, tipo guerra e comuni da sparo, fra le incertezze giurisprudenziali (e legislative), in Informaz. Previd. 1981, 430 e MANZINI, Trattato di diritto penale italiano, UTET, Torino, 1986, vol. X, p. 767.
[8] Il quale prevede che “Nuove disposizioni che prevedono reati possono essere introdotte nell’ordinamento solo se modificano il codice penale ovvero sono inserite in leggi che disciplinano in modo organico la materia”. Inserito dall’art. 1 del D. Lgs. 01/03/2018, n. 21 concernente “Disposizioni di attuazione del principio di delega della riserva di codice nella materia penale a norma dell’articolo 1, comma 85, lettera q), della legge 23 giugno 2017, n. 103“.
[9] La norma così recita:
“Agli effetti della legge penale per armi s’intendono:
1) quelle da sparo e tutte le altre la cui destinazione naturale è l’offesa alla persona;
2) tutti gli strumenti atti ad offendere, dei quali è dalla legge vietato il porto in modo assoluto, ovvero senza giustificato motivo.”
[10] Per una completa ricostruzione della normativa delle armi vd. IOVINO, Manuale delle leggi amministrative e penali in materia di armi, annotato con la più recente giurisprudenza, Giappichelli Editore, Torino, 2020.
[11] CARRA, A Milano aumento di rapine, lesioni e arresti. L’allarme del Questore Petronzi: “Sono preoccupato dall’uso dei coltelli, fenomeno in crescita come a Londra”, Repubblica.it, 17 aprile 2024.
[12] BETTONI, Milano, Stefania Cimbanassi alla guida del Trauma team del Niguarda: «Così ho salvato Christian Di Martino», in Corriere.it, 17 maggio 2024.
[13]1. Il porto consentito dai regolamenti (per es. nel caso delle armi da taglio portate dalle Forze dell’Ordine in uniforme da cerimonia);
2. Il porto consentito dall’art. 8 l. 36 del 1990 ove è disposto che “Gli appartenenti agli organismi di informazione e di sicurezza di cui alla legge 24 ottobre 1977, n. 801, portano senza licenza le armi portatili di qualsiasi tipo di cui sono muniti secondo le disposizioni interne di servizio”;
3. Il porto autorizzato ai sensi dell’art. 9 Legge n. 36 del 1990 da parte del personale appartenente alla Forze di Polizia o ai Servizi di sicurezza dello Stato;
4. Il porto nel corso di una passeggiata militare autorizzata di cui all’art. 29 TULPS;
5. Il porto di bastoni animati la cui lama non abbia una lunghezza inferiore a centimetri 65, su licenza del prefetto in caso di dimostrato bisogno, ex art. 42 TULPS.
Così IOVINO, Manuale delle leggi amministrative e penali in materia di armi, annotato con la più recente giurisprudenza, p. 347, Giappichelli Editore, Torino, 2020.
[14] Cass. pen., Sez. I, 23.09.2015 n. 45548; Cass. pen., Sez. I, 14.01.2000 n. 392.
[15] Cass. pen., Sez. I., 25.05.1996, n. 5213.
[16] Cass. pen., Sez. I, 31.08.1994 n. 9372.
[17] Per una preziosa e completa analisi del principio si rimanda a MANES, Il principio di offensività nel diritto penale: canone di politica criminale, criterio ermeneutico, parametro di ragionevolezza, Giappichelli Torino 2005.
[18] C. cost., 07.07.2005, n.265.
[19] Così la norma: “Chiunque, essendo stato condannato per delitti determinati da motivi di lucro, o per contravvenzioni concernenti la prevenzione dei delitti contro il patrimonio, o per mendicità, o essendo ammonito o sottoposto a una misura di sicurezza personale o a cauzione di buona condotta, è colto in possesso di chiavi alterate o contraffatte, ovvero di chiavi genuine o di strumenti atti ad aprire o a sforzare serrature, dei quali non giustifichi l’attuale destinazione, è punito con l’arresto da sei mesi a due anni.”
[20] Dal 2011 a oggi, secondo la campagna KnifeSavers, le morti da accoltellamento sono aumentate del 36%. E le vittime, in 1 caso su 4, sono giovani uomini fra i 18 e i 24 anni. Il report sulla “Criminalità minorile e gang giovanili” del Dipartimento pubblica sicurezza e Direzione centrale della polizia criminale ha evidenziato un aumento del 2% delle lesioni dolose (la principale “spia” dell’uso di coltelli) provocate da under 17 fra il 2022 e il 2023. L’allarme riguarda soprattutto il centro Nord. Perché se al Sud in fenomeno sembra in calo sensibile (-27% a Messina, -20% a Palermo, -35% a Napoli, -19% a Roma), a Milano si registra un incremento di lesioni provocate da under 18 pari addirittura al 48%. Stesso preoccupante trend a Bologna, che tocca un + 44%. Firenze marca un + 21%, mentre il picco si raggiunge a Genova con un +55%.
[21] Tratto da GALLI, La città delle lame, Corriere della Sera, 12 gennaio 2025.
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