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A proposito dell’obbligatorietà dell’azione penale.

Si parla spesso di obbligatorietà dell’azione penale (art. 112 Cost.). Si tratta di un dato ineludibile per tutte le note ragioni che la sorreggono e la giustificano.  A volte, soprattutto di recente, con riferimento alla futura introduzione dei cd criteri di priorità, si ritiene che questa garanzia sia vulnerata.

Senza entrare nel merito di queste argomentazioni appare corretto separare l’obbligatorietà dell’azione  penale dall’obbligatorietà del suo esercizio. 

Si prospettano, sotto quest’ultimo profilo, alcune situazioni che, pur nella loro legittimità formale, evidenziano spazi  entro i quali  il p.m. sembra muoversi con una certa discrezionalità. non sempre sindacabile.

            Si ipotizzi (in alcuni uffici di procura, a quanto è dato sapere, si opera già in questo modo) che il pubblico ministero chieda un decreto penale di condanna con una pena pecuniaria, frutto della conversione, elevata (ad esempio per una bancarotta semplice) ancorché scontata (la metà del minimo). 

Il decreto emesso dal giudice (consenziente) senza contraddittorio anticipato, costringerà la difesa a valutare l’opportunità di proporre opposizione con la inevitabile conseguenza, pur non escludendosi il proscioglimento,  della perdita della premialità.

In tal modo, comunque, si evita la fase di passaggio all’udienza preliminare e i suoi adempimenti  e la stessa udienza preliminare fatto salvo il caso che si tratti di reato di competenza del giudice monocratico. Su quest’ultimo profilo bisognerà vedere la disciplina della inedita udienza predibattimentale prevista dalla riforma Cartabia.

Questi elementi sono destinati ad accentuarsi ove si consideri che con la prossima riforma in caso di mancata opposizione l’imputato godrà di un ulteriore  sconto di pena. Condanna senza processo, si potrebbe dire, lasciato tuttavia al  sindacato di un giudice e rimesso, come altri riti (messa alla prova, abbreviato, patteggiamento, condotte riparatorie) alla valutazione dell’imputato. 

Si consideri  allora l’eventualità in cui pur potendo richiedere il decreto penale di condanna il pubblico ministero ritenga di non investire il giudice della richiesta ovvero abbia visto scadere i termini per la domanda di decreto. 

In questo caso, l’imputato – incolpevole –  sarà rinviato a giudizio verosimilmente con la citazione diretta e non potrà avvalersi della premialità di cui avrebbe  potuto godere. 

Il discorso non muta in caso di richiesta prospettata fuori termini e non accolta o rigettata dal giudice  ancorché in questo caso la disfunzione attenga a profili strutturali del processo (la scadenza del tempo).

Non si può negare che pur potendo essere addotte varie  giustificazioni,  alle stesse non manchino profili di discrezionalità nell’esercizio in concreto dell’azione penale. 

Invero se ne caso del patteggiamento  il rifiuto dell’accordo richiesto dalla difesa o accordo stesso è sottoposto al controllo nel merito da parte del giudice, anche nelle fasi successive del processo,  la mancata scelta del rito da parte dell’accusa non subisce alcun controllo.

Invero se nel caso della richiesta c’è il controllo del giudice,  se nel caso della domanda tardiva la conseguenza è riconducibile ad una scelta anche logica in termini di efficienza, nel caso della mancata (possibile) domanda di decreto l’iniziativa del pubblico ministero è del tutto insindacabile con le riferite conseguenze in materia sanzionatoria. 

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