L’opera di Alberto Galanti si pone all’attenzione degli operatori del diritto per avere offerto una ricostruzione puntuale e completa della cornice normativa entro la quale si innestano le principali fattispecie penali ambientali, la cui disamina risulta corroborata dai numerosi richiami agli orientamenti giurisprudenziali degli organi giurisdizionali nazionali e sovranazionali.
La prima parte del volume si apre con l’enucleazione del bene giuridico ‘ambiente’ nell’ordinamento interno alla luce delle definizioni che ne ha dato la Corte costituzionale; aspetto che costituisce, come è noto, uno snodo cruciale per l’individuazione della condotta che il legislatore ha inteso sanzionare nelle fattispecie contravvenzionali e soprattutto in quelle delittuose, caratterizzate da un più severo regime sanzionatorio. Ma in assenza di una definizione normativa del bene “ambiente”, il cui contenuto anzi muta in funzione del diverso contesto giuridico in cui viene in rilievo, tale difficile compito rimane in definitiva affidato al giudice, che dovrà ricostruire di volta in volta l’oggettività giuridica di fattispecie.
Analizzando l’iter interpretativo dapprima della Corte costituzionale sin dalle prime sentenze del 1987, fino agli arresti della giurisprudenza di legittimità civile e penale, l’Autore osserva come l’assenza di una definizione normativa del bene ‘ambiente’, riconosciuto infine dalla giurisprudenza costituzionale nella sua dimensione ‘polimorfa’, non sia un dato da valutare negativamente; qualsiasi tentativo di definire i contorni di ciò che è ‘ambiente’ per il diritto penale, si afferma, rischia di essere «un vestito troppo stretto o troppo largo»: ora può assumere dimensioni eccessivamente ampie, ora invece rischia di lasciare fuori dalla tutela approntata dalla fattispecie componenti invece essenziali o le interazioni tra le matrici ambientali.
Galanti sottolinea poi il ruolo antesignano che ha svolto nella materia la normativa europea, che ha favorito un processo di accelerazione nel recepimento di nuove istanze di tutela da parte del legislatore italiano. Il testo offre a chi legge anche una breve ma concisa disamina degli orientamenti della Corte EDU in materia di tutela dell’ambiente.
La prima parte si sviluppa poi lungo un’analisi delle fattispecie di disastro, soffermandosi l’Autore sugli elementi costitutivi del delitto di disastro “innominato” e sulle sue applicazioni da parte della giurisprudenza di legittimità che ne ha fatto nel corso del tempo un presidio sanzionatorio per le aggressioni più gravi al bene ambiente. Sotto tale aspetto, si evidenzia l’evoluzione giurisprudenziale di cui è stata espressione la sentenza “Porto Marghera” della Corte di cassazione che, pur risalente al 2004, già annoverava tra le contaminazioni significative del suolo, dell’aria e dell’acqua con sostanze pericolose per la salute anche i c.d. “microeventi”, ovvero quei fenomeni di progressiva e imponente contaminazione attuata con condotte “diluite” nel tempo e nello spazio: non solo, quindi, i “macroeventi” intesi come fenomeni di vasta portata, ma anche i fenomeni di inquinamento “lungolatente” sono diventati ante riforma e per via interpretativa suscettibili di costituire “disastro ambientale”.
Galanti prosegue quindi con una disamina delle altre fattispecie codicistiche di cui la giurisprudenza si serviva, sempre ante riforma, per sanzionare condotte ritenute lesive dell’ambiente– nella forma del danno o del pericolo– mossa dall’esigenza di evitare lacune di tutela in assenza di una disciplina penale ad hoc.
Viene, ancora, ricostruito l’iter parlamentare che ha condotto all’approvazione della L. n. 68/2015 sugli ecodelitti, con uno sguardo anche ai tentativi di riforma precedenti, espressione del radicale cambiamento di rotta da parte del legislatore nel ravvisare le singole matrici ambientali come specifico oggetto di tutela. Si sottolinea dunque come la novella abbia segnato il passaggio da una concezione antropocentrica del bene ambiente ad una ecocentrica, che sul piano dell’offensività si traduce nell’incriminazione di condotte stavolta di danno e non di pericolo come quelle previste dal T.U.A.; tale scelta del legislatore di strutturare i nuovi reati come delitti basati sulla produzione di un danno, che si affiancano a quelli di natura contravvenzionale fondati sulla causazione di un pericolo, viene dall’Autore guardata con favore, in una prospettiva di progressione dell’aggressione al bene giuridico tutelato.
Galanti si esprime favorevolmente altresì sulla scelta del legislatore del 2015 di introdurre un numero esiguo di nuove fattispecie, perché ciò dovrebbe favorire in tal modo la conoscibilità del precetto da parte dei consociati, aspetto tra i più dibattuti in materia penale-ambientale; seppure, opportunamente si sottolinea, la contemporanea vigenza del T.U.A. e delle fattispecie contravvenzionali ivi previste non aiuti a raggiungere l’obiettivo di conferire al sistema normativo una definitiva chiarezza.
Viene considerata positivamente anche la scelta di limitare la pretesa punitiva alle condotte produttive di un danno, che segna così uno iato rispetto alle scelte del passato, innestate sulla incriminazione di violazioni formali, di pericolo astratto.
L’Autore pone poi l’accento sul ruolo sempre più “integrativo” della giurisprudenza nel definire i contenuti della norma penale. Se prima dell’avvento delle fonti normative europee la norma penale era concisa, chiara ed esprimeva concetti sufficientemente definiti, afferma Galanti, l’incidenza degli strumenti normativi europei e sovranazionali, che subiscono inevitabilmente l’influenza dei sistemi giuridici di common law nei quali legislazione e giurisdizione si integrano vicendevolmente, sospinge verso un epilogo non evitabile, ovvero la centralità del ruolo del giudice nel “riempire” di contenuto le fattispecie.
Sotto il profilo della tecnica normativa, per l’Autore il ricorso a concetti ‘elastici’ non è censurabile, costituendo il portato della proliferazione delle fonti normative sovranazionali e delle tecniche di normazione in esse utilizzate. E quando il legislatore si serve di tali concetti, il risultato è quello di deferire all’interprete il delicato compito di ricostruire gli elementi e il nucleo offensivo della fattispecie: il giudice diventa così, afferma Galanti, il garante del rispetto della tassatività della norma penale. D’altronde, prosegue Galanti, questo è l’orientamento espresso dalla Corte di cassazione con la recente sentenza n. 10469 del 23 marzo 2020, che nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del nuovo art. 452-bis c.p. ha affermato che «l’inclusione nella formula descrittiva dell’illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero […] di clausole generali o concetti “elastici”, non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato».
L’Autore rileva così che buona parte della terminologia utilizzata nelle fattispecie penali ambientali, anche sulla scorta delle formulazioni contenute nelle direttive europee, è inevitabilmente connotata da un certo margine di ‘elasticità’, e non potrebbe essere altrimenti; secondo Galanti, ciò non è da ritenersi sintomatico di un deficit di legalità e tassatività delle norme penali.
Vengono poi passate in rassegna le fattispecie introdotte con la novella del 2015 e se ne fornisce un quadro corredato da ampi richiami giurisprudenziali della giurisprudenza di legittimità. Di particolare interesse ed estrema attualità risulta, tra gli altri aspetti, l’analisi della fattispecie di inquinamento ambientale riferita ai fenomeni di c.d. “inquinamento luminoso”, “inquinamento elettromagnetico” e “inquinamento acustico”, sempre alla luce degli indirizzi giurisprudenziali, anche recentissimi– è il caso dell’inquinamento luminoso– della Corte di cassazione.
Particolarmente ricca si presenta inoltre la parte seconda dell’opera, dedicata alla normativa sui rifiuti, che non tralascia l’excursus storico che ha preceduto l’attuale normativa, con un focus dettagliato sulla terminologia, sulle classificazioni del concetto di “rifiuto” e sulla “piramide gerarchica” alla luce della quale se ne individua la pericolosità; l’analisi dell’Autore prosegue con un’approfondita sezione dedicata alla disciplina sull’End of Waste e ai principi di matrice europea di prevenzione e precauzione. Galanti si sofferma poi sui contenuti e sui principi in materia ambientale a cui sono soggette le autorizzazioni amministrative– analisi che è strumentale alla valutazione dell’”abusività” della condotta– tra cui risaltano le “autorizzazioni plurime”, ovvero quelle contenute in un unico atto a contenuto plurimo. Al delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452-quaterdecies c.p. viene riservato il capitolo IV nel quale, dopo un’esposizione della fattispecie, se ne analizzano anche i rapporti con altri reati così come ricostruiti dalla giurisprudenza della Suprema Corte.
Non vengono tralasciati poi i numerosi profili processuali, a cui è interamente dedicato il capitolo V, in cui si affronta anche l’aspetto delle indagini preliminari e delle misure cautelari, che si presta indubbiamente a costituire un prezioso punto di riferimento per gli operatori del diritto che operano sul campo.
La terza e ultima parte dell’opera si apre con una disamina dei presupposti di responsabilità dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio nei reati ambientali e più in generale degli aspetti che su più versanti si intersecano con la materia amministrativa: di particolare interesse risulta l’aspetto dei limiti all’efficacia del giudicato amministrativo nel procedimento penale e quello dell’esercizio della discrezionalità amministrativa nel rilascio di autorizzazioni, alla luce del novellato delitto di abuso d’ufficio ex art. 23, comma 1, del D.L. 16 luglio 2020, n. 76.
Sotto il primo profilo, dopo aver passato in rassegna gli orientamenti giurisprudenziali sul punto, l’Autore prospetta degli spazi entro i quali le sentenze del giudice amministrativo possono ritenersi “tendenzialmente vincolanti” per il giudice penale, che troverebbero legittimazione in forza di preminenti esigenze di certezza del diritto: nel tentativo di contemperare il principio di autonomia delle giurisdizioni di cui all’art. 2 c.p.p. e l’affidamento riposto dai consociati nelle decisioni dell’Autorità giudiziaria, Galanti individua dunque alcuni elementi dell’atto che, se sussistenti, dovrebbero vincolare il giudice penale al giudicato amministrativo.
In ordine al secondo aspetto, l’Autore si interroga sui possibili effetti prodotti dalla nuova fattispecie di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 c.p. sulla condotta dell’Autorità amministrativa che abbia emanato l’autorizzazione esercitando una discrezionalità tecnica, stante l’inciso: « in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità», in luogo della previgente formulazione che si limitava alla «violazione di norme di legge di regolamento». Rilevando peraltro il ruolo sempre più centrale assunto dalla normativa tecnica che soventemente limita la discrezionalità amministrativa, l’Autore prosegue con un’analisi degli spazi applicativi ridisegnati dalla nuova fattispecie, anche alla luce dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità già investita della questione.
Ed ancora, vengono analizzati i presupposti oggettivi e soggettivi per la configurabilità di una responsabilità dell’ente ex D. Lgs. n. 231/2001, anche con riguardo ai fenomeni dei gruppi di società, della holding occulta, della “supersocietà di fatto” e delle società in house, concludendo con un’ampia disamina delle sanzioni applicabili all’ente.
L’ultimo capitolo è dedicato a vari profili legati ai presupposti di applicabilità del sequestro e della confisca nei delitti contro l’ambiente. In premessa, opportunamente Galanti rammenta la natura ‘polimorfa’ della confisca, la quale è suscettibile di assumere diversa natura e consente così il perseguimento di diverse finalità da parte del legislatore, potendo assurgere a pena o a sanzione civile, ovvero ancora a misura di sicurezza. La disamina prosegue con la ricostruzione del contenuto del ‘provento del reato’ e dello ‘strumento del reato’ di cui all’art. 452-undecies c.p. alla luce della normativa europea, dei presupposti di applicabilità allo ‘strumento del reato’ del sequestro preventivo e di quello probatorio, della nozione di ‘profitto confiscabile’ e degli spazi applicativi della confisca per equivalente, fino a quelli della confisca ‘allargata’. Galanti si sofferma inoltre sull’importanza che assume l’elemento psicologico nei delitti di inquinamento e disastro ambientale ai fini della confisca, che presenta margini di applicazione più ampi quando tali delitti siano commessi con dolo (almeno eventuale) e passa in rassegna gli orientamenti giurisprudenziali volti a delineare il discrimen tra dolo eventuale e colpa cosciente.
Le ultime pagine dell’opera sono riservate ad una breve analisi ragionata delle più recenti proposte di riforma in materia ambientale, con l’espresso auspicio che il futuro legislatore che volesse apportare modifiche all’impianto normativo del 2015 non determini con le prossime riforme quello che per l’Autore sarebbe un arretramento della tutela del bene ambiente.
Tra i passaggi che più si impongono all’attenzione del lettore, risaltano quelli sul ruolo del giudice nell’enucleazione della condotta penalmente rilevante: a fronte di un quadro normativo europeo caratterizzato da “locuzioni che valorizzano l’elemento discrezionale del giudice”, afferma Galanti, egli diventa un “garante della tassatività della norma penale”.
Ed invero, in questo scenario dominato da un impianto normativo così frammentato e composto anche da norme i cui confini non sono sufficientemente definiti, non resta che affidarsi alla sapiente attività interpretativa del giudice; purché, però, essa non esorbiti in interpretazioni “creative” che esondano dalla volontà del legislatore che ha redatto la norma.
Ma in un diritto penale improntato al principio di legalità in materia penale e alla separazione dei poteri, su cui si fonda il rapporto tra potere legislativo e giudiziario, l’assenza di una definizione del bene “ambiente”, il ricorso alla tecnica del rinvio, la sovrapposizione di norme e formulazioni spesso assai indefinite, generano di frequente decisioni al limite della prevedibilità e sconfinamenti in vere e proprie interpretazioni analogiche, con l’effetto di disorientare i consociati e infine di stravolgere le funzioni della pena nella sua componente deterrente e di strumento rieducativo.
In definitiva, si tratta di un’opera di cui si apprezzano l’ampiezza con cui è stato trattato l’oggetto dell’indagine, la chiarezza espositiva e i numerosi richiami giurisprudenziali anche degli organi giurisdizionali sovranazionali, e che offre agli operatori del diritto un utile strumento per orientarsi al cospetto di un impianto normativo disorganico nel quale questi ultimi sono chiamati ad operare.
A proposito di Alberto Galanti: I delitti contro l’ambiente. Analisi normativa e prassi giurisprudenziali, Pacini giuridica, Pisa, 2021.
L’opera di Alberto Galanti si pone all’attenzione degli operatori del diritto per avere offerto una ricostruzione puntuale e completa della cornice normativa entro la quale si innestano le principali fattispecie penali ambientali, la cui disamina risulta corroborata dai numerosi richiami agli orientamenti giurisprudenziali degli organi giurisdizionali nazionali e sovranazionali.
La prima parte del volume si apre con l’enucleazione del bene giuridico ‘ambiente’ nell’ordinamento interno alla luce delle definizioni che ne ha dato la Corte costituzionale; aspetto che costituisce, come è noto, uno snodo cruciale per l’individuazione della condotta che il legislatore ha inteso sanzionare nelle fattispecie contravvenzionali e soprattutto in quelle delittuose, caratterizzate da un più severo regime sanzionatorio. Ma in assenza di una definizione normativa del bene “ambiente”, il cui contenuto anzi muta in funzione del diverso contesto giuridico in cui viene in rilievo, tale difficile compito rimane in definitiva affidato al giudice, che dovrà ricostruire di volta in volta l’oggettività giuridica di fattispecie.
Analizzando l’iter interpretativo dapprima della Corte costituzionale sin dalle prime sentenze del 1987, fino agli arresti della giurisprudenza di legittimità civile e penale, l’Autore osserva come l’assenza di una definizione normativa del bene ‘ambiente’, riconosciuto infine dalla giurisprudenza costituzionale nella sua dimensione ‘polimorfa’, non sia un dato da valutare negativamente; qualsiasi tentativo di definire i contorni di ciò che è ‘ambiente’ per il diritto penale, si afferma, rischia di essere «un vestito troppo stretto o troppo largo»: ora può assumere dimensioni eccessivamente ampie, ora invece rischia di lasciare fuori dalla tutela approntata dalla fattispecie componenti invece essenziali o le interazioni tra le matrici ambientali.
Galanti sottolinea poi il ruolo antesignano che ha svolto nella materia la normativa europea, che ha favorito un processo di accelerazione nel recepimento di nuove istanze di tutela da parte del legislatore italiano. Il testo offre a chi legge anche una breve ma concisa disamina degli orientamenti della Corte EDU in materia di tutela dell’ambiente.
La prima parte si sviluppa poi lungo un’analisi delle fattispecie di disastro, soffermandosi l’Autore sugli elementi costitutivi del delitto di disastro “innominato” e sulle sue applicazioni da parte della giurisprudenza di legittimità che ne ha fatto nel corso del tempo un presidio sanzionatorio per le aggressioni più gravi al bene ambiente. Sotto tale aspetto, si evidenzia l’evoluzione giurisprudenziale di cui è stata espressione la sentenza “Porto Marghera” della Corte di cassazione che, pur risalente al 2004, già annoverava tra le contaminazioni significative del suolo, dell’aria e dell’acqua con sostanze pericolose per la salute anche i c.d. “microeventi”, ovvero quei fenomeni di progressiva e imponente contaminazione attuata con condotte “diluite” nel tempo e nello spazio: non solo, quindi, i “macroeventi” intesi come fenomeni di vasta portata, ma anche i fenomeni di inquinamento “lungolatente” sono diventati ante riforma e per via interpretativa suscettibili di costituire “disastro ambientale”.
Galanti prosegue quindi con una disamina delle altre fattispecie codicistiche di cui la giurisprudenza si serviva, sempre ante riforma, per sanzionare condotte ritenute lesive dell’ambiente– nella forma del danno o del pericolo– mossa dall’esigenza di evitare lacune di tutela in assenza di una disciplina penale ad hoc.
Viene, ancora, ricostruito l’iter parlamentare che ha condotto all’approvazione della L. n. 68/2015 sugli ecodelitti, con uno sguardo anche ai tentativi di riforma precedenti, espressione del radicale cambiamento di rotta da parte del legislatore nel ravvisare le singole matrici ambientali come specifico oggetto di tutela. Si sottolinea dunque come la novella abbia segnato il passaggio da una concezione antropocentrica del bene ambiente ad una ecocentrica, che sul piano dell’offensività si traduce nell’incriminazione di condotte stavolta di danno e non di pericolo come quelle previste dal T.U.A.; tale scelta del legislatore di strutturare i nuovi reati come delitti basati sulla produzione di un danno, che si affiancano a quelli di natura contravvenzionale fondati sulla causazione di un pericolo, viene dall’Autore guardata con favore, in una prospettiva di progressione dell’aggressione al bene giuridico tutelato.
Galanti si esprime favorevolmente altresì sulla scelta del legislatore del 2015 di introdurre un numero esiguo di nuove fattispecie, perché ciò dovrebbe favorire in tal modo la conoscibilità del precetto da parte dei consociati, aspetto tra i più dibattuti in materia penale-ambientale; seppure, opportunamente si sottolinea, la contemporanea vigenza del T.U.A. e delle fattispecie contravvenzionali ivi previste non aiuti a raggiungere l’obiettivo di conferire al sistema normativo una definitiva chiarezza.
Viene considerata positivamente anche la scelta di limitare la pretesa punitiva alle condotte produttive di un danno, che segna così uno iato rispetto alle scelte del passato, innestate sulla incriminazione di violazioni formali, di pericolo astratto.
L’Autore pone poi l’accento sul ruolo sempre più “integrativo” della giurisprudenza nel definire i contenuti della norma penale. Se prima dell’avvento delle fonti normative europee la norma penale era concisa, chiara ed esprimeva concetti sufficientemente definiti, afferma Galanti, l’incidenza degli strumenti normativi europei e sovranazionali, che subiscono inevitabilmente l’influenza dei sistemi giuridici di common law nei quali legislazione e giurisdizione si integrano vicendevolmente, sospinge verso un epilogo non evitabile, ovvero la centralità del ruolo del giudice nel “riempire” di contenuto le fattispecie.
Sotto il profilo della tecnica normativa, per l’Autore il ricorso a concetti ‘elastici’ non è censurabile, costituendo il portato della proliferazione delle fonti normative sovranazionali e delle tecniche di normazione in esse utilizzate. E quando il legislatore si serve di tali concetti, il risultato è quello di deferire all’interprete il delicato compito di ricostruire gli elementi e il nucleo offensivo della fattispecie: il giudice diventa così, afferma Galanti, il garante del rispetto della tassatività della norma penale. D’altronde, prosegue Galanti, questo è l’orientamento espresso dalla Corte di cassazione con la recente sentenza n. 10469 del 23 marzo 2020, che nel dichiarare manifestamente infondata la questione di legittimità costituzionale del nuovo art. 452-bis c.p. ha affermato che «l’inclusione nella formula descrittiva dell’illecito di espressioni sommarie, di vocaboli polisensi, ovvero […] di clausole generali o concetti “elastici”, non comporta un vulnus del parametro costituzionale evocato, quando la descrizione complessiva del fatto incriminato consenta comunque al giudice – avuto riguardo alle finalità perseguite dall’incriminazione ed al più ampio contesto ordinamentale in cui essa si colloca – di stabilire il significato di tale elemento mediante un’operazione interpretativa non esorbitante dall’ordinario compito a lui affidato».
L’Autore rileva così che buona parte della terminologia utilizzata nelle fattispecie penali ambientali, anche sulla scorta delle formulazioni contenute nelle direttive europee, è inevitabilmente connotata da un certo margine di ‘elasticità’, e non potrebbe essere altrimenti; secondo Galanti, ciò non è da ritenersi sintomatico di un deficit di legalità e tassatività delle norme penali.
Vengono poi passate in rassegna le fattispecie introdotte con la novella del 2015 e se ne fornisce un quadro corredato da ampi richiami giurisprudenziali della giurisprudenza di legittimità. Di particolare interesse ed estrema attualità risulta, tra gli altri aspetti, l’analisi della fattispecie di inquinamento ambientale riferita ai fenomeni di c.d. “inquinamento luminoso”, “inquinamento elettromagnetico” e “inquinamento acustico”, sempre alla luce degli indirizzi giurisprudenziali, anche recentissimi– è il caso dell’inquinamento luminoso– della Corte di cassazione.
Particolarmente ricca si presenta inoltre la parte seconda dell’opera, dedicata alla normativa sui rifiuti, che non tralascia l’excursus storico che ha preceduto l’attuale normativa, con un focus dettagliato sulla terminologia, sulle classificazioni del concetto di “rifiuto” e sulla “piramide gerarchica” alla luce della quale se ne individua la pericolosità; l’analisi dell’Autore prosegue con un’approfondita sezione dedicata alla disciplina sull’End of Waste e ai principi di matrice europea di prevenzione e precauzione. Galanti si sofferma poi sui contenuti e sui principi in materia ambientale a cui sono soggette le autorizzazioni amministrative– analisi che è strumentale alla valutazione dell’”abusività” della condotta– tra cui risaltano le “autorizzazioni plurime”, ovvero quelle contenute in un unico atto a contenuto plurimo. Al delitto di attività organizzata per il traffico illecito di rifiuti di cui all’art. 452-quaterdecies c.p. viene riservato il capitolo IV nel quale, dopo un’esposizione della fattispecie, se ne analizzano anche i rapporti con altri reati così come ricostruiti dalla giurisprudenza della Suprema Corte.
Non vengono tralasciati poi i numerosi profili processuali, a cui è interamente dedicato il capitolo V, in cui si affronta anche l’aspetto delle indagini preliminari e delle misure cautelari, che si presta indubbiamente a costituire un prezioso punto di riferimento per gli operatori del diritto che operano sul campo.
La terza e ultima parte dell’opera si apre con una disamina dei presupposti di responsabilità dei pubblici ufficiali e degli incaricati di pubblico servizio nei reati ambientali e più in generale degli aspetti che su più versanti si intersecano con la materia amministrativa: di particolare interesse risulta l’aspetto dei limiti all’efficacia del giudicato amministrativo nel procedimento penale e quello dell’esercizio della discrezionalità amministrativa nel rilascio di autorizzazioni, alla luce del novellato delitto di abuso d’ufficio ex art. 23, comma 1, del D.L. 16 luglio 2020, n. 76.
Sotto il primo profilo, dopo aver passato in rassegna gli orientamenti giurisprudenziali sul punto, l’Autore prospetta degli spazi entro i quali le sentenze del giudice amministrativo possono ritenersi “tendenzialmente vincolanti” per il giudice penale, che troverebbero legittimazione in forza di preminenti esigenze di certezza del diritto: nel tentativo di contemperare il principio di autonomia delle giurisdizioni di cui all’art. 2 c.p.p. e l’affidamento riposto dai consociati nelle decisioni dell’Autorità giudiziaria, Galanti individua dunque alcuni elementi dell’atto che, se sussistenti, dovrebbero vincolare il giudice penale al giudicato amministrativo.
In ordine al secondo aspetto, l’Autore si interroga sui possibili effetti prodotti dalla nuova fattispecie di abuso d’ufficio di cui all’art. 323 c.p. sulla condotta dell’Autorità amministrativa che abbia emanato l’autorizzazione esercitando una discrezionalità tecnica, stante l’inciso: « in violazione di specifiche regole di condotta espressamente previste dalla legge o da atti aventi forza di legge e dalle quali non residuino margini di discrezionalità», in luogo della previgente formulazione che si limitava alla «violazione di norme di legge di regolamento». Rilevando peraltro il ruolo sempre più centrale assunto dalla normativa tecnica che soventemente limita la discrezionalità amministrativa, l’Autore prosegue con un’analisi degli spazi applicativi ridisegnati dalla nuova fattispecie, anche alla luce dei principi enunciati dalla giurisprudenza di legittimità già investita della questione.
Ed ancora, vengono analizzati i presupposti oggettivi e soggettivi per la configurabilità di una responsabilità dell’ente ex D. Lgs. n. 231/2001, anche con riguardo ai fenomeni dei gruppi di società, della holding occulta, della “supersocietà di fatto” e delle società in house, concludendo con un’ampia disamina delle sanzioni applicabili all’ente.
L’ultimo capitolo è dedicato a vari profili legati ai presupposti di applicabilità del sequestro e della confisca nei delitti contro l’ambiente. In premessa, opportunamente Galanti rammenta la natura ‘polimorfa’ della confisca, la quale è suscettibile di assumere diversa natura e consente così il perseguimento di diverse finalità da parte del legislatore, potendo assurgere a pena o a sanzione civile, ovvero ancora a misura di sicurezza. La disamina prosegue con la ricostruzione del contenuto del ‘provento del reato’ e dello ‘strumento del reato’ di cui all’art. 452-undecies c.p. alla luce della normativa europea, dei presupposti di applicabilità allo ‘strumento del reato’ del sequestro preventivo e di quello probatorio, della nozione di ‘profitto confiscabile’ e degli spazi applicativi della confisca per equivalente, fino a quelli della confisca ‘allargata’. Galanti si sofferma inoltre sull’importanza che assume l’elemento psicologico nei delitti di inquinamento e disastro ambientale ai fini della confisca, che presenta margini di applicazione più ampi quando tali delitti siano commessi con dolo (almeno eventuale) e passa in rassegna gli orientamenti giurisprudenziali volti a delineare il discrimen tra dolo eventuale e colpa cosciente.
Le ultime pagine dell’opera sono riservate ad una breve analisi ragionata delle più recenti proposte di riforma in materia ambientale, con l’espresso auspicio che il futuro legislatore che volesse apportare modifiche all’impianto normativo del 2015 non determini con le prossime riforme quello che per l’Autore sarebbe un arretramento della tutela del bene ambiente.
Tra i passaggi che più si impongono all’attenzione del lettore, risaltano quelli sul ruolo del giudice nell’enucleazione della condotta penalmente rilevante: a fronte di un quadro normativo europeo caratterizzato da “locuzioni che valorizzano l’elemento discrezionale del giudice”, afferma Galanti, egli diventa un “garante della tassatività della norma penale”.
Ed invero, in questo scenario dominato da un impianto normativo così frammentato e composto anche da norme i cui confini non sono sufficientemente definiti, non resta che affidarsi alla sapiente attività interpretativa del giudice; purché, però, essa non esorbiti in interpretazioni “creative” che esondano dalla volontà del legislatore che ha redatto la norma.
Ma in un diritto penale improntato al principio di legalità in materia penale e alla separazione dei poteri, su cui si fonda il rapporto tra potere legislativo e giudiziario, l’assenza di una definizione del bene “ambiente”, il ricorso alla tecnica del rinvio, la sovrapposizione di norme e formulazioni spesso assai indefinite, generano di frequente decisioni al limite della prevedibilità e sconfinamenti in vere e proprie interpretazioni analogiche, con l’effetto di disorientare i consociati e infine di stravolgere le funzioni della pena nella sua componente deterrente e di strumento rieducativo.
In definitiva, si tratta di un’opera di cui si apprezzano l’ampiezza con cui è stato trattato l’oggetto dell’indagine, la chiarezza espositiva e i numerosi richiami giurisprudenziali anche degli organi giurisdizionali sovranazionali, e che offre agli operatori del diritto un utile strumento per orientarsi al cospetto di un impianto normativo disorganico nel quale questi ultimi sono chiamati ad operare.
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La Consulta si pronuncia sulla incompatibilità del G.i.p. a pronunciarsi sulla nuova richiesta di decreto penale di condanna: inammissibili le q.l.c.
Sospensione della pena e non menzione della condanna nel casellario: illegittimità costituzionale parziale.
Foglio di via del Questore: per la Consulta non è necessaria la convalida del giudice.
La Consulta sull’obbligo di testimoniare del prossimo congiunto dell’imputato che sia persona offesa dal reato.
La Consulta si pronuncia sulla incompatibilità del G.i.p. a pronunciarsi sulla nuova richiesta di decreto penale di condanna: inammissibili le q.l.c.
Sospensione della pena e non menzione della condanna nel casellario: illegittimità costituzionale parziale.
Foglio di via del Questore: per la Consulta non è necessaria la convalida del giudice.