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Alle Sezioni unite la questione relativa all'(in)appellabilità delle sentenze di condanna in materia di misure di sicurezza obbligatorie

Cass., sez. III, 8 ottobre 2021 (dep. 8 febbraio 2022), n. 4332, Ramacci, Presidente, Gentili, Relatore, Manuali, P.m. (concl. diff.)

1.  La terza sezione ha devoluto alle Sezioni Unite una questione di diritto alquanto complessa sul tipo di gravame a disposizione del p.m. che intende impugnare la sentenza di condanna pronunciata all’esito di giudizio abbreviato qualora il giudice abbia omesso di statuire sull’applicazione della misura di sicurezza dell’espulsione dello straniero dal territorio dello Stato (obbligatoria una volta accertata la pericolosità sociale del prevenuto, ai sensi dell’art. 86 del d.P.R. 9 ottobre 1990, n. 30). 

Più precisamente, nel caso di specie, si intersecano – fino a sovrapporsi – due rimedi esperibili: il ricorso per cassazione, quale impugnazione delle sentenze di condanna emesse a seguito del giudizio abbreviato (inappellabili, secondo la previsione dell’art. 443, comma 3, c.p.p., salvo che si tratti di sentenza che modifica il titolo di reato) e l’appello, quale gravame delle pronunce che hanno ad oggetto le misure di sicurezza diverse dalla confisca (art. 680, comma 1, c.p.p.).

Alle Sezioni unite, con la stessa ordinanza, è stata pure devoluta un’ulteriore questione strettamente interconnessa alla prima e inerente all’individuazione del giudice del rinvio competente nel caso di accoglimento del ricorso per cassazione, nell’alternativa tra corte d’appello, tribunale di sorveglianza e giudice che ha emanato la primigenia decisione.

Sul tema oggetto di analisi, l’ordinanza di rimessione ha intravisto la sussistenza di due contrapposti orientamenti.

2. Un indirizzo da considerarsi maggioritario (Cass., sez. VI, 7 ottobre 2020, n. 29544, in C.E.D. Cass., n. 279890; Cass., sez. IV, 7 maggio 2019, n. 35977, ivi, n. 276863; Cass., sez. III, 8 maggio 2018, n. 32173, ivi, n. 273693) ha ritenuto che l’unico rimedio esperibile dal p.m. avverso tali provvedimenti è il ricorso per cassazione.

Tale assunto ha trovato conforto in un consolidato orientamento giurisprudenziale per il quale “se è vero che dal combinato disposto degli artt. 579, comma 2 e 680, comma 2, c.p.p. si evince che l’impugnazione avverso le disposizioni che riguardano le misure di sicurezza diverse dalla confisca, si propone con appello di fronte al Tribunale di sorveglianza, è anche vero che all’applicazione di tali norme si deroga nell’ipotesi di sentenza di condanna emessa in sede di giudizio abbreviato, trattandosi di pronuncia che, di regola, il p.m. non può appellare, ma solo impugnare con ricorso per Cassazione […]” (Cass., sez. VI, 7 ottobre 2020, n. 29544, in C.E.D. Cass., n. 279890; Cass., sez. I, 7 febbraio 2020, n. 7516, ivi, n. 278625).

Da tale premessa discende la conclusione che la competenza a decidere in sede di rinvio è attribuita al giudice che ha emesso la pronuncia impugnata e non al tribunale di sorveglianza (Cass., sez. V, 4 dicembre 2020, n. 1196, in C.E.D. Cass., n. 280136; Cass., sez. III, 8 maggio 2018, n. 32173, cit.)

3. Secondo un differente e minoritario indirizzo (Cass., sez. VI, 25 marzo 2021, n. 16798, in C.E.D. Cass., n. 281515), il p.m. non può ricorrere per cassazione avverso la sentenza de qua, sicché il ricorso va riqualificato come appello dinanzi al tribunale di sorveglianza, ai sensi dell’art. 680, comma 2, c.p.p. 

Nell’articolata motivazione della pronuncia che pone in discussione l’orientamento maggioritario, si legge che “per effetto del combinato disposto degli artt. 579, comma 2 e 680, comma 2, c.p.p., l’impugnazione delle sole disposizioni contenute nella sentenza gravata riguardanti l’applicazione di una misura di sicurezza diversa dalla confisca sono rimesse […] alla competenza del tribunale di sorveglianza” (Cass., sez. VI, 25 marzo 2021, n. 16798, cit.)

In altri termini, a parere della Corte, la previsione di cui all’art. 443, comma 3, c.p.p., deve intendersi come una norma a carattere derogatorio di una regola generale sancita dall’art. 593 c.p.p., da applicarsi alle sole ipotesi di appello avente ad oggetto la impugnazione dei capi penali della sentenza di condanna emessa all’esito del giudizio abbreviato, “atteso il carattere sistematico e generale che riveste, invece, la normativa che assegna al tribunale di sorveglianza la impugnazione avverso la sentenza di condanna o di proscioglimento concernente le sole statuizioni sulle misure di sicurezza diverse dalla confisca” (Cass., sez. VI, 25 marzo 2021, n. 16798, cit.).

4. Dunque, rilevata la sussistenza di un contrasto giurisprudenziale sul punto, la terza sezione rimette alle Sezioni Unite, ai sensi dell’art. 618, comma 1, c.p.p., due questioni di diritto: “[S]e l’impugnazione, da parte del pubblico ministero, della sentenza, emessa a seguito di giudizio abbreviato, che abbia omesso di disporre, ai sensi dell’art. 86, comma 1, del d.P.R. n.309 del 1990, la misura di sicurezza dell’espulsione dell’imputato straniero dal territorio dello Stato, debba essere presentata e trattata nelle forme del ricorso per cassazione ovvero in quelle dell’appello di fronte al tribunale di sorveglianza ai sensi dell’art. 579, comma 2, c.p.p. e [s]e, nel caso di ritenuta ricorribilità per cassazione, il rinvio a seguito di annullamento della sentenza impugnata debba essere disposto in favore del giudice che ha emesso la sentenza stessa ovvero in favore del tribunale di sorveglianza competente ai sensi dell’art. 680, comma 2, c.p.p.”.

5. Solo qualche breve riflessione in attesa della pronuncia delle Sezioni Unite. 

Innanzitutto, non sembrano sussistere le condizioni che giustificano il ricorso alle Sezioni unite, ai sensi dell’art. 618, comma 1, c.p.p.: la norma in parola, infatti, si riferisce all’esistenza di un contrasto ermeneutico sedimentato e “sufficientemente consolidato” (Cass., sez. IV, 23 maggio 2019, n. 39766, in C.E.D. Cass., n. 277559) nel panorama giurisprudenziale. 

Nel caso di specie, invece, l’opzione interpretativa che propende per l’inappellabilità è “egemone” nel panorama giurisprudenziale e soltanto in un’isolata pronuncia – che peraltro non sembra aver attecchito sui successivi orientamenti della Corte – si afferma il contrario.

Tuttavia, sussistono spazi di manovra per (re)interpretare il rapporto tra le norme in questione: in primis, il comma 1 dell’art. 680, c.p.p., sembra introdurre una regola “generale” cui ricorrere nel caso di impugnazione della sentenza avente ad oggetto l’applicazione o l’omessa statuizione sulle misure di sicurezza, prescrivendo l’appello come unica forma di gravame da proporre.

Inoltre, l’art. 680, comma 2, c.p.p., nel richiamare il disposto dell’art. 579, comma 2 c.p.p., designa la competenza del tribunale di sorveglianza quale giudice delle impugnazioni contro ogni “sentenza concernente le disposizioni che riguardano le misure di sicurezza”. 

Conseguentemente, il disposto dell’art. 443, comma 3, c.p.p. potrebbe essere inteso come norma speciale che consacra l’inappellabilità delle sentenze di condanna emesse all’esito del giudizio abbreviato, da applicarsi solo in relazione a queste specifiche ipotesi.

D’altro canto, non deve essere sottovalutato il risvolto “pratico” che discende dalla soluzione alla questione de qua: una decisione volta a propendere per l’appellabilità delle sentenze in oggetto avrebbe l’effetto di deflazionare il carico pendente presso la Corte di cassazione che – allo stato – risulta “sotto assedio” (Bargis – Belluta, Rimedi per i “mali” della Corte di cassazione: ovvero “Carta di Napoli” e dintorni, in Impugnazioni penali: assestamenti del sistema e prospettive di riforma, Torino, Giappichelli, 2013, p. 318; Spangher, voce Suprema Corte di cassazione (ricorso per), in Dig. disc. pen., XIV, Torino, Utet, 1999, p.123). 

6. L’udienza è fissata per il 26 maggio 2022 e il relatore designato è il Consigliere Di Salvo.

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