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Alle Sezioni unite la questione sull’applicabilità nel procedimento di prevenzione della disciplina dell’incompatibilità del giudice

Cass., sez. V, 5 ottobre 2021 (dep. 28 ottobre 2021), n. 38902, Miccoli, Presidente, De Marzo, Relatore, Gaeta, P.m. (concl. conf.)

1. Il tema controverso.

L’ordinanza in esame verte sull’applicabilità nel procedimento di prevenzione della disciplina della ricusazione di cui all’art. 37, comma 1, c.p.p. (come risultante a seguito dell’intervento additivo di C. cost., 14 luglio 2000, n. 283, in Cass. pen, 2000, p. 2959, con note di Di Chiara, Appunti in tema di imparzialità del giudice penale, ricusabilità «per invasione» e previa manifestazione «non indebita» di convincimento sui fatti di causa e di Potetti, Le tappe della giurisprudenza costituzionale verso la terzietà ed imparzialità del giudice, dal sistema delle incompatibilità a quello dell’astensione e ricusazione, in Cass. pen.,2001, p. 1101 e 1108), nel caso in cui il giudice della prevenzione, nel corso di un procedimento penale o di altro procedimento di prevenzione, abbia in precedenza espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto. 

La disposizione rappresenta un presidio fondamentale dell’imparzialità del giudice, consacrata dall’art. 111, comma 2, Cost. e dall’art. 6, paragrafo 1, CEDU. La garanzia, riferita alla funzione giudicante, va intesa come equidistanza del giudice dalle parti, imponendo che «non vi siano legami tra il giudice e le parti» (Ferrua, Il “giusto processo” in Costituzione. Rischio contraddizione sul neo-contraddittorio, in Dir. e giust., 2000, n.1, p. 78).

2. Il caso a quo. 

Il caso da cui trae origine la questione concerne una dichiarazione di ricusazione avanzata dal proposto contro un membro del collegio giudicante della Corte d’appello di Potenza chiamato a pronunciarsi sull’impugnazione del decreto motivato che applicava una misura di prevenzione. La ricusazione poggiava sulla circostanza che il magistrato ricusato, in qualità di componente del collegio della medesima Corte d’appello, aveva partecipato al giudizio di impugnazione culminato con la conferma della sentenza di condanna del medesimo soggetto per il reato di trasferimento fraudolento di valori di cui all’art. 512-bis c.p.; delitto posto altresì a fondamento del procedimento di prevenzione. Poichè era rimasto inascoltato un invito ad astenersi rivolto al giudice, era proposta una formale dichiarazione di ricusazione che tuttavia veniva dichiarata inammissibile con ordinanza della Corte d’appello, sulla base della ritenuta inapplicabilità nel procedimento di prevenzione dell’art. 37, comma 1, c.p.p. Conseguentemente, l’ordinanza del giudice di secondo grado veniva impugnata con ricorso per Cassazione per violazione di legge. 

Riscontrando un contrasto giurisprudenziale sul punto e sollecitato dal Procuratore generale, il giudice di legittimità investiva del quesito le Sezioni unite ex art. 618, comma 1, c.p.p. Più precisamente, la quinta sezione della Corte di cassazione formulava due distinte questioni, anteponendo a quella principale un quesito più generale circa l’applicabilità al procedimento di prevenzione dell’intera disciplina delle cause di incompatibilità prevista nel codice di rito, con i connessi istituti dell’astensione e della ricusazione, alla luce della natura giurisdizionale del procedimento di prevenzione evidenziata dalla Sezione rimettente, ovvero solo delle cause di incompatibilità di cui al comma 1 dell’art. 34 c.p.p.

La Cassazione, tuttavia, ha concentrato l’attenzione sulla prima questione concernente l’art. 34, trattandola congiuntamente alla seconda questione. Pare comunque difficile immaginare che – al di fuori della ricusazione di cui alla lett. b) dell’art. 37 interpolata dalla Corte costituzionale nel senso della sua applicabilità anche per valutazioni espresse in procedimenti diversi – si possa applicare una disposizione come quella di cui al comma 1 dell’articolo menzionato, volta a garantire l’imparzialità della funzione giudicante ancorando le incompatibilità al compimento di atti nel medesimo procedimento, ossia in diverse fasi del medesimo. Manca, infatti, un’articolazione in fasi del procedimento di prevenzione, regolato dallo scarno art. 7 e, per quanto non espressamente previsto nella disposizione, dall’art. 666 c.p.p. Dovrebbero invece riconoscersi degli spazi applicativi al comma 3 dell’art. 34 c.p.p. concernente l’incompatibilità con la funzione giudicante di chi nel medesimo procedimento ha svolto funzioni diverse, perché il principio di separazione delle funzioni, di cui la disposizione è espressione, trova certamente spazio anche nel procedimento di prevenzione (nello stesso senso, Albanese, Alle Sezioni unite due questioni in tema di imparzialità del giudice della prevenzione. Un’altra tappa lungo il sentiero della “giurisdizionalizzazione”?, in Sist. Pen., 16 novembre 2021)

3. La giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione.

La portata dei quesiti si comprende a fondo se calata nel contesto della progressiva giurisdizionalizzazione del procedimento di prevenzione, che ha visto la dottrina, la giurisprudenza e il legislatore impegnati in una  riforma in senso più garantista della disciplina della prevenzione, perché, com’è stato autorevolmente notato, «il punto più debole della disciplina sta nell’aspetto processuale» (Nuvolone, Le misure di prevenzione nel sistema delle garanzie sostanziali e processuali della libertà del cittadino, in Stato di diritto e misure di sicurezza, Cedam, 1962, p. 168). 

Così, la competenza a decidere è stata affidata al tribunale collegiale, si è stabilito che il procedimento deve svolgersi in una pubblica udienza (art. 7, comma 1, d.lgs. n. 159 del 2011; C. cost., 12 marzo 2010, n. 93, in Giur. cost., 2010, p.1053, con osservazioni di Gaito – Fúrfaro, Consensi e dissensi sul ruolo e sulla funzione della pubblicità delle udienze penali e di Licata, Il rito camerale di prevenzione di fronte ai diritti fondamentali, conformandosi a C. eur. dir. uomo, 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia, ha dichiarato illegittimi gli articoli della previgente disciplina nella parte in cui non consentivano che, su istanza degli interessati, il procedimento di prevenzione si svolgesse nelle forme dell’udienza pubblica davanti al tribunale e alla corte d’appello) ed è stato sancito l’onere di motivazione del decreto con cui il giudice dispone l’applicazione di una misura (Art. 7, comma. 1 d.lgs. n. 159 del 2011; Sez. un., 29 ottobre 2009, n. 600, Galdieri, in Cass. pen., 2010, p. 2167, con osservazioni di Colaiacovo, in cui si sancisce l’equiparazione del decreto conclusivo del procedimento di prevenzione alla sentenza, con la conseguente applicazione al decreto dei requisiti indicati dall’art. 546 c.p.p.). Ancora, sono stati ritenuti applicabili il principio di correlazione tra contestazione e pronuncia (Sez. I, 10 giugno 2013, n. 32032, De Angelis, in C.E.D. Cass., n. 256451) e l’obbligo di preventiva contestazione dell’addebito nell’avviso di convocazione (Sez. I, 14 aprile 1986, n. 1722, Maresca, in C.E.D. Cass., n. 172684; Sez. I, 28 giugno 2006, n. 25701, Arena, in C.E.D. Cass., n. 234847) e, nel caso di annullamento con rinvio, l’obbligo di rimessione degli atti a una sezione della Corte diversa da quella che ha emesso il decreto impugnato (Sez. VI, 1° ottobre 2015, n. 40999, in C.E.D. Cass., n. 264742)

4. Gli orientamenti contrapposti. 

Sulla questione posta dalla Sezione rimettente, si rinvengono nella giurisprudenza di legittimità due orientamenti. 

Un primo orientamento, seguito anche dall’ordinanza impugnata, esclude la ricusabilità del giudice della prevenzione che abbia in precedenza espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in un procedimento penale o in altro procedimento di prevenzione (Sez. II, 11 gennaio 2019, n. 37060, in C.E.D. Cass., n. 277038; Sez. V, 25 maggio 2018, n. 23629, in C.E.D. Cass., n. 273281; Sez. VI, 13 settembre 2018, n. 51793, in C.E.D. Cass., n. 274576; Sez. I, 27 maggio 2016, n. 43081, in C.E.D. Cass., n. 268665; Sez. I, 19 marzo 2009, n. 15834, in C.E.D. Cass., n. 243747; Sez. VI, 30 gennaio 2008, n. 22960, in C.E.D. Cass., n. 240363). Nello specifico, si nega che siano applicabili al procedimento di prevenzione le disposizioni in tema di incompatibilità, astensione e ricusazione del giudice previste dall’art. 34, concernente l’incompatibilità, diverse dal comma 1 c.p.p., benché richiamate dall’art. 36, lett. g), c.p.p. tra le cause di astensione. Sarebbero invece applicabili l’art. 34 c.p.p., comma 1, l’art. 35 relativo all’incompatibilità per ragioni di parentela, affinità o coniugio, l’art. 36, comma 1, lettere a), b), c), d), f), h) e l’art. 37, comma 2, c.p.p. Tale opzione interpretativa si fonda sull’asserita diversità tra procedimento penale e procedimento di prevenzione, che si coglierebbe considerando l’oggetto, lo scopo e la conformazione dei diritti difensivi nei due contesti. Nonostante il ravvicinamento dei due procedimenti sul piano delle garanzie della giurisdizione nel senso sopra precisato, il procedimento di prevenzione costituirebbe infatti un procedimento sui generis, data la sua costruzione sul modello dell’incidente di esecuzione di cui all’art. 666 c.p.p. e non su quello del processo penale. Ne seguirebbe l’impossibilità di applicare in toto la disciplina del procedimento penale, senza una previa selezione, dalla quale andrebbe esclusa la ricusazione in quanto non richiamata dall’art. 666 c.p.p. in tema di procedimenti di esecuzione. In questi ultimi, infatti, l’unica causa di incompatibilità, introdotta dalla Corte costituzionale (C. cost., 9 luglio 2013, n. 183, in Giur. cost., 2013, p. 2647, con osservazioni di Spangher, Incompatibilità, in sede di rinvio, del giudice dell’esecuzione), riguarda la partecipazione al giudizio di rinvio dopo l’annullamento per il giudice che abbia pronunciato o concorso a pronunciare ordinanza di accoglimento o rigetto della richiesta di applicazione in sede esecutiva della disciplina del reato continuato.

Secondo un diverso orientamento, la disciplina delle cause di incompatibilità del giudice contenuta nel codice di rito è applicabile anche al procedimento di prevenzione (Sez. I, 10 dicembre 2020, n. 4330, in C.E.D. Cass., n. 280753; Sez. VI, 2 aprile 2019, n. 41975, in C.E.D. Cass., n. 277373; Sez. VI, 9 marzo 2016, n. 15979 in C.E.D. Cass., n. 266533; Sez. I, 10 luglio 2015, n. 32492, in C.E.D. Cass.; Sez. V, 21 luglio 2014, n. 32077, in C.E.D. Cass., n. 261643; Sez. V, 16 ottobre 2008, n. 3278, in C.E.D. Cass., n. 242942). La natura giurisdizionale del procedimento – che trova conferma nella progressiva applicazione allo stesso di alcune delle garanzie tipiche della giurisdizione – e le limitazioni della libertà personale, del diritto di proprietà e della libera iniziativa economica connesse alle misure di prevenzione imporrebbero almeno il rispetto delle garanzie del giusto processo, tra le quali spicca quella dell’imparzialità del giudice. Del resto, anche la Corte costituzionale ha dato in più occasioni indicazioni favorevoli al riconoscimento dei meccanismi di tutela dell’imparzialità dell’organo giudicante nel procedimento giurisdizionale per l’applicazione delle misure di prevenzione (C. cost., 1° ottobre 1997, n. 306, in Giur. cost., 1997, p. 2875, con osservazione di Rivello,Tre concomitanti pronunce di inammissibilità della Corte costituzionale: l’astensione e la ricusazione come alternative all’incompatibilità; C. cost., ord. 18 maggio 1999, n. 178, in Giur. cost., 1999, p. 1747; C. cost., 14 luglio 2000,  n. 283, cit.).

5. Brevi riflessioni sul secondo orientamento.

L’ultimo orientamento pare preferibile per almeno due ragioni: non solo perché accorda una più intensa tutela a chi sia sottoposto ad un procedimento che senza dubbio incide profondamente su alcune delle sue libertà fondamentali, con esiti afflittivi (benché la giurisprudenza continui a negare la natura penale della prevenzione secondo i criteri convenzionali: si v., ad esempio, C. cost., 27 febbraio 2019, n. 24, in Giur. cost., 2019, p. 292, con osservazioni di Pisani e Maiello, che, pur riconoscendo «l’indubbia dimensione afflittiva delle misure», la ritiene soltanto «una conseguenza collaterale di misure il cui scopo essenziale è il controllo, per il futuro, della pericolosità sociale del soggetto interessato: non già la punizione per ciò che questi ha compiuto nel passato»); ma altresì alla luce dell’odierna conformazione del giudizio di pericolosità. 

Tralasciando il requisito dell’attualità, richiesta per le sole misure di prevenzione personali, ma non per quelle reali, la pericolosità del proposto deve sempre essere accertata in concreto, non potendo essere presunta nemmeno quando si tratti di indiziati di appartenere ad un’associazione di tipo mafioso (Sez. un., 30 novembre 2017, n. 111, Gattuso, in Cass. pen., 2018, p. 1078, con nota di Albanese, Il giudice della prevenzione personale deve accertare la sussistenza di una pericolosità attuale anche per i soggetti indiziati di appartenere alle associazioni di tipo mafioso. Brevi considerazioni a margine di una recente pronuncia delle Sezioni unite). Nel giudizio di pericolosità si distinguono, ormai pacificamente, una prima fase constatativa, in cui si accertano gli elementi che possono essere indicativi della pericolosità del proposto, e una successiva fase prognostica, nella quale si formula una valutazione di probabilità circa il futuro comportamento del destinatario della misura (Nuvolone, voce Misure di prevenzione e misure di sicurezza, in Enc. dir., XXVI, Giuffrè, 1976, p. 652; Sez. I, 11 febbraio 2014, n. 23641, in C.E.D. Cass., n. 260103-04). Nell’incertezza circa la base probatoria della prima fase, a dispetto dell’autonomia del procedimento di prevenzione da quello penale sancita dall’art. 29 del d.lgs. n. 159 del 2011, il giudizio sulla pericolosità finisce per poggiare in gran parte su elementi provenienti dagli accertamenti svolti in sede penale, quali informative di polizia giudiziaria, precedenti penali del proposto anche per fatti diversi da quali per i quali si svolge il procedimento di prevenzione o provvedimenti adottati in ambito cautelare (amplius, volendo, Sforza, Misure di prevenzione personali: perduranti incertezze nell’accertamento della pericolosità, in Cass. pen., 2019, p. 4446). 

È evidente come una simile prassi – certamente non ortodossa, ma comprensibile nell’assenza di chiare indicazioni del legislatore – renda più probabile che la compromissione dell’imparzialità del giudice della prevenzione che sia stato anche giudice del procedimento penale e abbia conosciuto i medesimi fatti. Da qui l’esigenza che venga riconosciuto un presidio minimo come quello delle incompatibilità sulla cui applicabilità sono state chiamate a pronunciarsi le Sezioni unite.

Sebbene siano condivisibili tutte le iniziative volte ad arricchire le garanzie del procedimento di prevenzione, l‘estensione delle tutele del procedimento penale finisce per rivelare l’intrinseca ed insuperabile debolezza del sistema previsto nel d.lgs. n. 159 del 2011. 

In primo luogo, occorre considerare che l’eccessivo appesantimento del procedimento di prevenzione, specialmente sul piano dell’accertamento, non si concilia al meglio con le istanze di celerità e le finalità specialpreventive proprie di quel procedimento, né riesce ad ovviare alle lacune relative agli elementi su cui si fonda il giudizio di pericolosità. Come osservato, «il pretendere che il giudizio di prevenzione si svolga con le caratteristiche del giudizio di accertamento del reato e della responsabilità dell’agente è pretendere l’impossibile» e «significa rifiutare il concetto stesso di prevenzione» (Nuvolone, voce Misure di prevenzione, cit., p. 635).

Inoltre, infarcire di garanzie un sistema poderoso sul piano degli effetti personali e patrimoniali ma fragile nelle sue fondamenta ideologiche e costituzionali rende ancor più evidente ciò che è già sotto gli occhi di tutti: la prevenzione costituisce un surrogato della repressione penale, che cerca di arrivare dove il processo penale non riesce per la mancanza di elementi probatori sufficienti e che si cerca di rinforzare, almeno sul piano formale, avvicinandola sempre di più ai moduli propri del processo penale

6. Le questioni sollevate.

Ritenendo che il contrasto ora delineato sia sufficientemente consolidato, sono state rimesse alle Sezioni unite le seguenti questioni:

“Se la disciplina delle cause di incompatibilità del giudice contenuta nel codice di procedura penale è interamente applicabile, in quanto compatibile, anche al procedimento di prevenzione, attesa la natura giurisdizionale dello stesso, ovvero se, in ragione della tipologia e dell’oggetto del procedimento di prevenzione, non possono ritenersi applicabili le disposizioni dell’art. 34 c.p.p. diverse dal comma 1, pur richiamate dall’art. 36 c.p.p., alla lett. g)”;

“Se al procedimento di prevenzione è applicabile il motivo di ricusazione previsto dall’art. 37 c.p.p., comma 1, nel caso in cui il giudice abbia in precedenza espresso valutazioni di merito sullo stesso fatto nei confronti del medesimo soggetto in altro procedimento di prevenzione o in un giudizio penale”.

L’udienza è fissata per il 24 febbraio 2022 e il relatore designato è il consigliere Pellegrino.

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