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Alle Sezioni unite una questione in tema di associazione di stampo mafioso

Cass., sez. I, 28 gennaio 2021 (dep. 9 febbraio 2021), n. 5071, Boni, Presidente, Centonze, Relatore, Loy, P.m. (concl. diff.)

La prima Sezione ha rimesso alle Sezioni unite la soluzione di un quesito circa l’attitudine della mera affiliazione a un’associazione a delinquere di stampo mafioso cosiddetta storica (nella specie: la ‘ndrangheta), effettuata secondo il rituale previsto dall’associazione stessa, a costituire fatto idoneo a fondare un giudizio di responsabilità in ordine alla condotta di partecipazione, tenuto conto della formulazione dell’art. 416-bis c.p. e della struttura del reato da tale norma previsto.

L’ordinanza muove da un rilievo preliminare circa la genesi nell’ordinamento penale italiano dell’incriminazione in parola.

L’introduzione dell’art. 416-bis c.p. ha consentito di compiere un passo avanti nell’elaborazione di efficaci strategie di contrasto delle organizzazioni mafiose: come nota la Suprema Corte, per la prima volta si è affrontato un fenomeno criminale secondo le sue effettive caratteristiche operative e di radicamento territoriale e non già per quelli che sono i modelli di analisi tradizionale della dogmatica italiana (sul punto, il richiamo è a Cass., sez. I, 17 giugno 2016, n. 55359, in C.E.D. Cass., n. 269039; Cass., sez. VI, 15 luglio 2015, n. 34874, in Cass. pen., 2016, p. 2833, con nota di Deroma; Cass., sez.VI, 5 giugno 2014, n. 30059, in C.E.D. Cass., n. 262398).

Ciò posto, prosegue l’ordinanza, l’impostazione normativa e la caratterizzazione marcatamente territoriale e strutturale del sodalizio mafioso, allontanano la fattispecie dal modello di legalità formale proprio della dogmatica tradizionale, introducendo un modello di tipicità “atipica” o “incompiuta”, rispetto al quale la partecipazione associativa è sanzionata in quanto tale, con strumenti normativi che, per un verso, recano con sè la necessità di un ancoramento rigoroso alle emergenze probatorie, e, per altro verso, comportano un’attenzione costante ai principi costituzionali, il cui rispetto deve costituire un parametro ineludibile per l’operatore del diritto.

In questa ottica, la Corte rileva che non appare utile a sciogliere il nodo ermeneutico neppure la decisione con la quale le Sezioni unite hanno delineato la figura del partecipe di un’organizzazione mafiosa (Cass., sez. un., 12 luglio 2005, n. 33748, in Cass. pen., 2005, p. 3732, con nota di Borrelli, Tipizzazione della condotta e nesso di causalità nel delitto di concorso in associazione mafiosa).

Da qui, si evince la necessità di un intervento chiarificatore delle Sezioni unite chiamate a dirimere il contrasto giurisprudenziale insorto sul rilievo della mera affiliazione all’associazione mafiosa e ad approfondire anche il ruolo e il contributo del giudice nell’interpretazione delle previsioni di legge (sul punto, il richiamo è ai principi enunciati da Cass., sez. un., 24 ottobre 2019, n. 8544, in Cass. pen., 2020, p. 2259).   

Nel panorama che si presenta all’esame delle Sezioni unite si distinguono due indirizzi.

Il primo sostiene che il reato di partecipazione ad associazione di tipo mafioso si consuma nel momento in cui un soggetto entra a far parte dell’organizzazione criminale, senza che sia necessario il compimento, da parte dello stesso, di specifici atti esecutivi della condotta illecita programmata, poiché, trattandosi di reato di pericolo presunto, per integrare l’offesa all’ordine pubblico è sufficiente la dichiarata adesione al sodalizio, con la c.d. “messa a disposizione”, che è di per sé idonea a rafforzare il proposito criminoso degli altri associati e ad accrescere le potenzialità operative e la capacità di intimidazione e di infiltrazione del sodalizio nel tessuto sociale. Da qui la conclusione che è sufficiente, per integrare gli estremi del reato, anche la mera affiliazione del ricorrente ad una delle mafie storiche (Cass., sez. V, 3 giugno 2019, n. 27672, Cass. pen., 2020, p. 3222, con osservazioni di Candore). Sulla medesima linea interpretativa, si colloca anche la decisione secondo la quale non è necessario che il membro del sodalizio si renda protagonista di specifici atti esecutivi del programma criminoso ovvero di altre condotte idonee a rafforzarne la struttura operativa, essendo sufficiente che lo stesso assuma o gli venga riconosciuto il ruolo di componente del gruppo criminale (Cass., sez. II, 13 marzo 2019, n. 18559, in C.E.D. Cass., n. 276122).

Il secondo afferma, invece, che ai fini dell’integrazione della condotta di partecipazione all’associazione di tipo mafioso, l’affiliazione rituale può non essere sufficiente laddove alla stessa non si correlino ulteriori concreti indicatori fattuali rivelatori dello stabile inserimento del soggetto nel sodalizio con un ruolo attivo (Cass., sez. I, 17 giugno 2016, n. 55359, cit.).  Sostanzialmente conforme è la decisione di Cass., sez. V, 17 ottobre 2016, n. 4864, in C.E.D. Cass., n. 269040, secondo la quale l’investitura formale o la commissione di reati-fine funzionali agli interessi dalla stessa perseguiti non sono essenziali, in quanto rileva la stabile ed organica compenetrazione del soggetto rispetto al tessuto organizzativo del sodalizio, da valutarsi alla stregua di una lettura non atomistica, ma unitaria, degli elementi rivelatori di un suo ruolo dinamico all’interno dello stesso.

L’udienza è fissata per il 27 maggio 2021 e il relatore designato è il Consigliere Pellegrino. 

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