Cass., sez. V, 28 settembre 2022 (ud. 13 settembre 2022), n. 36738, Vessichelli, Presidente, Caputo, Relatore, Ceroni, P.m. (concl. diff.)
La questione.
La Quinta Sezione penale della Corte di Cassazione, con l’ordinanza in rassegna, ha rimesso la decisione del ricorso alle Sezioni Unite affinchè chiariscano: «se, ai fini dell’applicazione della recidiva reiterata, sia necessaria una sentenza, divenuta irrevocabile anteriormente al fatto per il quale si procede, che abbia condannato l’imputato per un reato aggravato dalla recidiva».
Il caso.
Il caso trae origine dalla sentenza con cui la Corte d’appello di Ancona ha confermato la sentenza del Giudice dell’udienza preliminare del Tribunale della medesima città che, all’esito di giudizio abbreviato, aveva condannato gli imputati, aggravando il trattamento sanzionatorio con l’applicazione della recidiva reiterata specifica infraquinquennale.
Avverso tale decisione, infatti, uno dei due imputati, per mezzo del proprio difensore, proponeva ricorso per Cassazione e denunciava, tra l’altro, il vizio di motivazione in relazione alla mancata esclusione della recidiva: secondo il ricorrente, la Corte d’appello avrebbe omesso ogni valutazione concreta volta ad esprimere un giudizio in merito alla maggiore pericolosità sociale dell’imputato e si sarebbe limitata alla mera verifica circa l’esistenza di precedenti penali nel casellario giudiziale. Peraltro, si argomentava ancora nel ricorso, l’imputato non era mai stato condannato per un reato aggravato dalla recidiva e doveva a fortiori escludersi la configurabilità in capo a questi della recidiva reiterata.
Il contrasto giurisprudenziale.
La rimessione della questione alle Sezioni unite è stata determinata dalla necessità di risolvere finalmente un annoso contrasto giurisprudenziale insorto sulla possibilità di contestare e applicare all’imputato la recidiva reiterata pur in assenza di una precedente sentenza divenuta irrevocabile che riconosca in capo allo stesso la recidiva semplice o aggravata (per una compiuta analisi del tema si veda Rocchi, La recidiva tra colpevolezza e pericolosità, Esi, 2020, p. 259 ss.).
La corte territoriale aveva basato le proprie statuizioni sul prevalente orientamento secondo il quale la recidiva reiterata può essere riconosciuta anche quando non sia stata già dichiarata in precedenza la recidiva semplice.
Tale indirizzo si fonda sull’argomento letterale per cui l’art. 99 c.p., nel riferirsi, disponendo un aggravio di pena per la recidiva reiterata, al “recidivo che commette un altro reato”, utilizza tale espressione per mera comodità espositiva e non intende, invece, indicare una qualità giudizialmente accertata da una sentenza precedente alla commissione del fatto per cui si procede e passata in giudicato (Cass., sez. III, 20 maggio 1993, n. 6424, in C.E.D. Cass., n. 195127; Cass., sez. I, 6 maggio 2003, n. 24023, in C.E.D. Cass., n. 225233).
L’evoluzione giurisprudenziale di tale affermazione ha poi distinto tra l’accertamento dei giudici di cognizione e l’attività riservata ai giudici dell’esecuzione, precisando che soltanto i primi possono accertare la sussistenza dei presupposti di una recidiva non dichiarata e che un simile accertamento è precluso soltanto in sede esecutiva (Cass., sez. V, 25 settembre 2008, n. 41288, in C.E.D. Cass., n. 241598).
In questo filone si inserisce pure l’indirizzo che sottolinea come non sia necessaria la previa dichiarazione della recidiva, ma si richieda piuttosto che al momento del fatto l’imputato risulti gravato da più condanne definitive per reati che manifestano una sua maggiore pericolosità sociale (Cass., sez. II, 24 marzo 2021, n. 15591 in C.E.D. Cass. n. 281229).
L’orientamento di segno contrario ha invece posto l’accento sulla necessità, ai fini dell’integrazione del requisito di cui all’art. 99 c.p., di una previa dichiarazione di recidiva semplice o aggravata o pluriaggravata. In altri termini, sarebbe impossibile riconoscere la recidiva reiterata qualora manchi il presupposto formale della previa dichiarazione della recidiva (semplice o aggravata) e della irrevocabilità della precedente sentenza rispetto a quella pronunciata per il reato commesso.
Anche questo orientamento fa leva sul dato testuale e sostiene che sia proprio la lettera di cui all’art. 99 c.p. che, nel riferirsi al “recidivo”, intende indicare una particolare qualità giudiziale del soggetto e pretendendo così che la recidiva reiterata possa essere applicata solo se il reo, prima della commissione del fatto, abbia già subito un aumento di pena per la recidiva in relazione ad altro reato (Cass., sez. II, 26 novembre 2020, n. 37063, in www.sistemapenale.it, p. 143 ss., con nota di Melchionda, Recidiva reiterata e pregresso status del recidivo: La Cassazione si avvicina alla “chiusura del cerchio”; Cass., sez. III, 14 dicembre 2021, n. 2519 in C.E.D Cass., n. 282707-02; in dottrina si veda ancora Melchionda, La nuova disciplina della recidiva, in Dir. pen. proc., 2006, p. 182).
L’ordinanza di rimessione
Il Collegio remittente, nel condividere il secondo orientamento, ha messo in luce molteplici ragioni che dovrebbero lasciar propendere per un’interpretazione letterale dell’art. 99 c.p.
In primo luogo, i giudici hanno evidenziato come il termine “recidivo” sia utilizzato dal codice per tutte le varie figure di recidiva enucleate dall’art. 99 c.p. che precedono il quarto comma e, pertanto, si renda necessaria una lettura omogenea del dato letterale che si ripresenta identico in tutti i commi. Con un maggiore impegno esplicativo, la costanza terminologica adoperata dal legislatore dovrebbe indurre ad una interpretazione omogenea del termine “recidivo”.
In secondo luogo, hanno evidenziato il differente significato attribuito alla recidiva dal momento della sua introduzione ad oggi. Invero, all’indomani dell’entrata in vigore del codice Rocco, la recidiva era considerata una questione di diritto e non di fatto, con la conseguenza che l’aggravamento di pena era un automatismo determinato dall’iscrizione del precedente penale nel casellario. Dopo il 1974, l’elemento dell’obbligatorietà dell’applicazione dell’aumento di pena e, secondo alcuni, del riconoscimento dello status di recidivo, è venuto meno, essendo il dato letterale (“può essere sottoposto”) interpretato nel senso di rendere facoltativa per il giudice l’applicazione della recidiva (Ambrosetti, Recidiva e recidivismo, Padova, 1997, p. 26 ss.).
Inoltre, a seguito della pronuncia di C. Cost., 14 giugno 2007, n. 192, in Giur. cost., 2007, p. 1842, è ormai pacifico che il limite al bilanciamento introdotto con la novella di cui alla L. n. 251/2005 (che ha posto limiti al giudice nel bilanciamento ex art. 69, comma 4, c.p.) è legittimo solo ove il giudice valuti che il nuovo reato commesso sia espressione di una accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo. In quest’ottica, sottolineano i giudici, il comma 4 dell’art. 99 c.p. impone di verificare se il nuovo reato sia effettivamente manifestazione di riprovevolezza e pericolosità dell’imputato, in tal modo prendendo le distanze dall’ aggravamento automatico della sanzione non compatibile con i principi costituzionali che fondano il sistema punitivo (Cass., sez. un., 27 maggio 2010, n. 35738, in Cass. pen., 2011, p. 2094).
Tale convinzione trova ulteriore riscontro in una successiva pronuncia della Corte Costituzionale (C. cost., 23 luglio 2015, n.185, in Giur. cost., 2015, p. 1400) che, nel dichiarare l’illegittimità costituzionale dell’art. 99, comma 5, c.p. nella parte in cui prevedeva l’applicazione obbligatoria della recidiva per i delitti non colposi di particolare gravità elencati dall’ art. 407, comma 2, lett. a) c.p.p., ha sottolineato come: «l’automatismo sanzionatorio (…) è del tutto privo di ragionevolezza, perché inadeguato a neutralizzare gli elementi eventualmente desumibili dalla natura e dal tempo di commissione dei precedenti reati e degli altri parametri che dovrebbero formare oggetto di valutazione del giudice, prima di riconoscere che i precedenti penali sono indicativi di una più accentuata colpevolezza e di una maggiore pericolosità del reo».
Alla luce di tale premessa, dopo aver ribadito l’esigenza di ancorare l’interpretazione dell’art. 99 c.p. a criteri letterali, l’ordinanza in rassegna ha ritenuto imprescindibile un accertamento sostanziale della recidiva, volto, cioè, ad individuare una relazione qualificata tra i precedenti penali dell’imputato ed il nuovo illecito, al fine di superare l’idea della recidiva come mero status derivante dal certificato penale. E così, condividendo ancora i principi enunciati da altra decisione delle Sezioni unite (Cass., sez. un., 25 ottobre 2018, n. 20808, in Dir. pen. e proc., 2020, p. 84 ss., con nota di Ambrosetti, Le Sezioni Unite chiariscono il rapporto fra l’accertamento della recidiva e i suoi effetti), ha concluso che «un incremento sensibile di pena può trovare un giustificato motivo solo ove sia susseguente ad una sentenza che abbia statuito irrevocabilmente un giudizio qualificato di maggiore pericolosità e riprovevolezza non di semplice esistenza di precedenti nel casellario, posizione, quest’ultima, che amputa l’accertamento dei requisiti costitutivi dell’art. 99 c.p.».
L’udienza è fissata per il 30 marzo 2023 e il relatore designato è il Consigliere Zaza.