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Anche per il Consiglio di Stato sono insopprimibili i principi dell’oralità e del contraddittorio nel processo penale

In occasione di una pronuncia inerente il processo amministrativo, il Consiglio di Stato ha ribadito la centralità dei principi dell’oralità e del contraddittorio nella formazione della prova nel processo penale, non superabili, mediante lo strumento della videoconferenza, neanche a fronte di un’emergenza straordinaria quale quella connessa alla pandemia da Covid – 19.

In a ruling concerning the administrative process, the Council of State has recently reaffirmed the centrality of the principles of orality and adversarial in the formation of evidence in the criminal trial. Indeed, these principles shall not be overcome, using the videoconferencing tool, even to face this extraordinary emergency such as that connected to the Covid-19 pandemic.

 

Sommario: 1. Premessa – 2. Il caso di specie – 3. Alcune brevi riflessioni in materia penale

 

  1. Premessa

Nel pieno del dibattito scaturito dagli interventi normativi che stanno cercando di regolare il processo penale nella situazione emergenziale legata alla diffusione del Covid–19, appare di particolare interesse l’ordinanza emessa in data 21 aprile 2020 dal Consiglio di Stato, Sesta Sezione, contenente alcune affermazioni di ampio respiro, ancorate a principi costituzionali e sovranazionali, che, espressamente, attengono anche alla materia penale e non solo a quella amministrativa, evidentemente sottoposta all’attenzione del Collegio nel caso di specie.

  1. Il caso di specie.

Il Consiglio di Stato era stato chiamato a valutare l’istanza depositata in data 11 aprile 2020 (le date sono utili per l’inquadramento temporale della vicenda nel contesto normativo emergenziale) dall’appellante che aveva chiesto il rinvio dell’udienza pubblica per la discussione nel merito, ricadente nel periodo in esame per poter svolgere successivamente la discussione orale.

Gli appellati si erano “opposti alla predetta richiesta di rinvio, sul rilievo che l’interesse alla discussione orale, invocato dalla controparte, non sarebbe stato oggetto di previsione legislativa per la fase emergenziale a partire dal 15 aprile 2020, durante la quale il regime processuale prevedrebbe il passaggio in decisione delle cause esclusivamente sulla base degli atti, con l’unica eccezione della rimessione in termini per il deposito di memorie e repliche”.

Il Consiglio di Stato, pur rilevando che il rito processuale emergenziale dettato dall’art. 84, comma 5, del decreto-legge n. 18 del 2020, per il periodo che va dal 15 aprile 2020 e fino al 30 giugno 2020, stabilisce che, «in deroga alle previsioni del codice del processo amministrativo, tutte le controversie fissate per la trattazione, sia in udienza camerale sia in udienza pubblica, passano in decisione, senza discussione orale, sulla base degli atti depositati», aggiungendo che «le parti hanno facoltà di presentare brevi note sino a due giorni liberi prima della data fissata per la trattazione», osservava che l’unica deroga a tale previsione, prevista dal comma 1 dello stesso art. 84, comma 1, che sia stata disciplinata dal legislatore, come osservato dagli appellati, è rappresentata dalla possibile rimessione in termini per presentare le note a beneficio della parte che ne abbia fatto istanza entro lo stesso termine previsto per il deposito delle stesse e, quindi, “solo per consentire il compiuto esercizio del contraddittorio scritto di cui all’art. 73 c.p.a. (impedito dalla sospensione dei termini predisposta dal 8 marzo 2020 e fino al 15 aprile 2020), senza accordare alla parte alcuna facoltà di chiedere un differimento al solo fine di potere discutere oralmente la causa”.

Tanto premesso, tuttavia, il Consiglio di Stato, pur riconoscendo che il processo amministrativo può risolversi talvolta in un mero scambio cartolare, potendo essere superflua la presenza delle parti in udienza, qualora la mancata comparizione rappresenti una scelta processale delle stesse – e tale riconoscimento avviene mediante un parallelo con il processo penale assai significativo sul quale ci soffermeremo nel prosieguo – ha sancito l’importante e condivisibile principio che il “contraddittorio cartolare coatto” non è conforme ai principi costituzionali.

Con tale neologismo, il Consiglio di Stato ha voluto riferirsi ad un contraddittorio cartolare che sia imposto e contrasti con la diversa volontà di (almeno) una delle parti la quale preferisca differire la causa pur di poter esercitare appieno le facoltà difensive, connesse alla discussione orale.

E, per decretarne la non conformità ai principi costituzionali di una rigida interpretazione della disciplina processuale emergenziale, ha dato della norma in esame un’interpretazione, al contrario, conforme alla Carta costituzionale, non ritenendo necessario nemmeno investire della questione la Consulta per affermare per la parte interessata la “facoltà di chiedere il differimento dell’udienza a data successiva al termine della fase emergenziale allo scopo di potere discutere oralmente la controversia, quando il Collegio ritenga che dal differimento richiesto da una parte non sia compromesso il diritto della controparte ad una ragionevole durata del processo e quando la causa non sia di tale semplicità da non richiedere alcuna discussione “.

Il Supremo Collegio di Giustizia Amministrativa si riserva, dunque, di valutare nel merito ed in concreto (caso per caso) la fondatezza di un’eventuale istanza di differimento, escludendola a priori soltanto laddove l’accoglimento determinerebbe un danno alla controparte in termini di ragionevole durata del processo ovvero sarebbe inutile attesa la semplicità del thema decidendum tale non richiedere alcuna discussione.

Il “contraddittorio cartolare coatto”, secondo l’ordinanza del Consiglio di Stato, di cui riportiamo un passaggio di grande incisività, rappresenterebbe, infatti, “una deviazione irragionevole rispetto allo “statuto” di rango costituzionale che si esprime nei principi del «giusto processo»;– il comma 2 dell’art. 111 della Costituzione, nello stabilire che il «giusto processo» ‒ qualsiasi processo ‒ debba svolgersi «nel contraddittorio delle parti, in condizioni di parità», impone, non solo un procedimento nel quale tutti i soggetti potenzialmente incisi dalla funzione giurisdizionale devono esserne necessariamente “parti”, ma anche che queste ultime abbiamo la possibilità concreta di esporre puntualmente (e, ove lo ritengano, anche oralmente) le loro ragioni, rispondendo e contestando le quelle degli altri”.

Altra lesione a principi costituzionali sarebbe rappresentata dalla compressione dei diritti  di cui all’art. 24 Cost., tra i quali è ricompreso quello di “ottenere dal giudice una tutela adeguata ed effettiva della situazione sostanziale azionata “ che “non può che contenere anche la garanzia procedurale dell’interlocuzione diretta con il giudice”.

La giurisprudenza della Corte Costituzionale era, comunque, pervenuta alla conclusione secondo cui la pubblicità del giudizio non ha valore assoluto, potendo cedere in presenza di particolari ragioni giustificative, purché obiettive e razionali (sentenze n. 212 del 1986 e n. 12 del 1971).

Interpretazione, questa, conforme anche alla giurisprudenza della Corte europea dei diritti dell’uomo sull’art. 6, paragrafo 1, della CEDU,  che, nel bilanciamento degli interessi pubblicistici e di quelli delle parti, ha da tempo anche affermato che in “alcune situazioni eccezionali, attinenti alla natura delle questioni da trattare (quale, ad esempio, il carattere «altamente tecnico» del contenzioso)” si possa evitare la celebrazione di un’udienza pubblica, purché l’udienza a porte chiuse, per tutta o parte della durata, sia «strettamente imposta dalle circostanze della causa» (ex plurimis, Corte e.d.u., 13 novembre 2007, Bocellari e Rizza c. Italia e Corte e.d.u., 26 luglio 2011, Paleari c. Italia): dunque, l’eccezionalità deve discendere da circostanze interne (la natura delle questioni da trattare e le circostanze della causa) al singolo giudizio e non da contingenze esterne, sia pure rilevanti come nel caso della pandemia in atto.

Bene ha fatto perciò il Consiglio di Stato a salvaguardare e, diremmo, a rivendicare con orgoglio la propria natura giurisdizionale attraverso l’esaltazione del contraddittorio e della funzione della difesa contro ogni maldestro tentativo che, sia pure in via emergenziale e, dunque, di eccezione rispetto alla regola, potrebbe mirare a retrocederne la natura a mero organo paragiurisdzionale che decide (non di un processo, ma di) una procedura di ricorso (sul punto F. Francario in giustiziainsieme.it: Il non – processo amministrativo nel diritto dell’emergenza Covid 19).

Del resto, ancor prima dell’ordinanza in commento, non era mancato chi aveva già opportunamente, quanto autorevolmente, avvertito del rischio che l’estromissione del pubblico da quella che, non a caso, viene chiamata pubblica udienza per la decisione del merito ed addirittura l’estromissione fisica degli avvocati ai quali viene impedita la discussione orale, incidendo pesantemente sulla struttura del processo e per un arco temporale che assume rilevanza al di fuori della ragionevolezza della prima emergenza, ponesse forti perplessità sul rispetto del principio costituzionale del giusto processo (v. S. Cogliani in giudicedonna.it: Il processo amministrativo al tempo del Covid 19).

  1. Alcune brevi riflessioni in materia penale.

Come si è sopra anticipato, nell’esaltare opportunamente la rilevanza della funzione del contraddittorio e del principio di oralità anche nel processo amministrativo che, tuttavia, può manifestarsi in tale ambito in maniera attenuata alla presenza di determinati presupposti, il Consiglio di Stato ha operato un parallelo col processo penale, affermando testualmente che “il processo amministrativo, a differenza del processo penale, non è improntato al principio di oralità delle dichiarazioni e del contraddittorio in senso “forte” (ovvero, sia nella formazione della prova, sia come diritto dell’accusato di confrontarsi “de visu” con l’accusatore”).

Nel riconoscere, pertanto, la preminenza dei richiamati principi generali (giusto processo, contraddittorio, oralità, diritto alla difesa) anche in un ambito dichiaratamente meno condizionato da tali concetti, in quanto – ma soltanto a determinate condizioni – più facilmente superabili, l’ordinanza in esame esalta, invece, il ruolo del “contraddittorio in senso forte” nel processo penale che viene giustamente dato per scontato e come insopprimibile.

Il Collegio addiviene a siffatte conclusioni ricordando che l’accusato ha il diritto di confrontarsi con il suo accusatore de visu e non, evidentemente, tramite un monitor o per iscritto (a meno che, naturalmente, non vi si sia il suo consenso o ci si trovi in fasi primordiali del procedimento).

Ricorda ancora il Consiglio di Stato che che la formazione della prova si realizza attraverso un contraddittorio che si sviluppa dinanzi al giudice chiamato a prendere una decisione anche sulla base delle espressioni, del tono della voce, dell’atteggiamento corporeo dei testimoni che necessariamente si perderebbero nei meandri delle piattaforme social (e ciò anche senza entrare nel merito delle più ampie preoccupazioni circa la tutela delle informazioni e della riservatezza); sulla base delle reazioni provocate dai difensori nel corso di una cross examination condotta con ritmo incalzante ed in tempo reale e non scandita magari da una connessione internet che va e viene.

Se è stato correttamente ritenuto irrazionale e contrastante con i sopra richiamati principi eurounitari e costituzionali che sia impedito il diritto della parte di chiedere (ed eventualmente ottenere) il rinvio del processo (purché, evidentemente, la motivazione non sia meramente dilatoria o non suffragata da esigenze rilevanti) in ambito amministrativo, appare davvero incredibile che ancora oggi si possa pensare di imporre legislativamente un processo penale “coatto”, per parafrasare le parole del Consiglio di Stato, pur essendo palese che l’oralità e il contraddittorio “forte” siano invece cardini ineludibili del processo penale stesso, dove anche la tutela costituzionale accordata alla difesa tecnica non può certo giungere a prevedere in via generale la smaterializzazione della figura e del ruolo dell’Avvocato mediante la sua cartolarizzazione o addirittura la smaterializzazione in via telematica.

La scelta dell’imputato di chiedere il rinvio del processo affinché sia celebrato, quando le condizioni sanitarie lo consentano, in aula, dinanzi al giudice e nel contraddittorio con le altre parti, sarebbe assolutamente da accogliere, secondo un’interpretazione costituzionalmente orientata della normativa emergenziale, che, stando almeno alle ultime notizie di cronaca politica, si sta cercando di ridimensionare, quanto meno aprendo al rinvio delle udienze nelle quali si deve svolgere attività istruttoria o la discussione.

Anche la celebrazione di udienze attinenti altre attività processuali potrebbero, tuttavia, rendere necessario un pieno contraddittorio; in tal senso, un’interpretazione ancora una volta conforme alla Costituzione e comunque accettabile soltanto nell’attuale fase emergenziale, richiederebbe almeno una valutazione in concreto da svolgersi caso per caso, secondo il principio affermato dal Consiglio di Stato della non necessità del rinvio soltanto in determinate situazioni nelle quali prevalga l’interesse pubblicistico ad assicurare la giusta durata del processo ovvero si tratti di decidere questioni bagatellari di facile ed immediata soluzione.

Consiglio di Stato, Sez. VI, ord. 16 aprile 2020 (dep. 21 aprile 2020)

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