Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 19 dicembre 2024, Grande Oriente d’Italia c. Italia, ricorso n. 29550/17
La Corte europea dei diritti dell’uomo ha condannato l’Italia per la violazione dell’art. 8 CEDU avvenuta a seguito della perquisizione nella sede del Grande Oriente d’Italia e del sequestro di documenti cartacei e digitali dal cui contenuto era possibile rilevare i dati sensibili degli iscritti alle logge del GOI nelle regioni Sicilia e Calabria.
Nel 2017 la Commissione parlamentare d’inchiesta ordinava la perquisizione dei locali e dei sistemi informatici del GOI nonché il sequestro di vari documenti cartacei e digitali. Le attività erano successivamente condotte dal Servizio centrale per le indagini sulla criminalità organizzata della Guardia di Finanza, i cui agenti ed ufficiali provvedevano a sequestrare i documenti.
Il GOI lamentava che la perquisizione dei suoi locali e il sequestro dell’elenco dei suoi membri, compresi i loro nomi e dati personali, non erano “conformi alla legge” ai sensi dell’art. 8 CEDU. Inoltre, la misura era palesemente sproporzionata, perché non basata su ragioni pertinenti o sufficienti, in spregio al rispetto delle garanzie minime dei diritti fondamentali.
La Corte di Strasburgo ha eseguito un test volto a verificare 3 aspetti:
a) l’esistenza di una interferenza;
b) la natura dell’interferenza;
c) se l’interferenza è giustificata.
In merito all’esistenza dell’interferenza, la Corte ha ritenuto pacifica una ingerenza nei diritti garantiti dall’art. 8 CEDU. La perquisizione dei locali del GOI e il successivo sequestro di vari documenti cartacei e digitali (tra cui l’elenco dei membri dell’associazione, i loro nomi e i loro dati personali) costituiscono un’ingerenza nel diritto al rispetto del proprio domicilio e della propria corrispondenza.
Nello specifico, la perquisizione del domicilio rappresenta una ingerenza nel diritto al rispetto del domicilio, anche qualora il centro di imputazione del diritto sia una persona giuridica.
Inoltre, la perquisizione e il sequestro di dati elettronici danno luogo a un’ingerenza nel diritto di una persona giuridica al rispetto della propria “corrispondenza”.
Nel valutare la natura dell’interferenza, la Corte chiarisce che non si limita ad accertare se lo Stato convenuto abbia esercitato la propria discrezionalità in modo ragionevole, attento e in buona fede e che il sequestro di una massiccia quantità di informazioni è un fattore che obbliga la Corte ad un controllo rigoroso.
Per quanto attiene all’ultimo aspetto, la Corte è chiamata a valutare la giustificazione dell’interferenza sulla base di 3 parametri.
Nello specifico, la misura deve:
- essere conforme alla legge;
- perseguire uno o più scopi legittimi;
- essere necessaria in una società democratica per raggiungere uno o più obiettivi.
La conformità alla legge richiede che la misura abbia una base legale nel diritto interno; il diritto interno sia accessibile alla persona interessata; la persona interessata debba essere in grado di prevedere le conseguenze del diritto interno; il diritto interno debba essere compatibile con lo stato di diritto.
La Corte ha ritenuto rispettato il parametro, alla luce dell’art. 82 Cost. Inoltre, le limitazioni dei poteri dell’autorità giudiziaria, adattate al contesto parlamentare, sono state sufficienti ad impedire abusi ed arbitrarietà da parte della commissione parlamentare d’inchiesta.
Tuttavia, ha operato alcune osservazioni che hanno fatto propendere per un’assenza di conformità.
Anche lo scopo è stato ritenuto legittimo, siccome la perquisizione ed il sequestro erano funzionali a garantire gli interessi della sicurezza nazionale, della sicurezza pubblica e della prevenzione del crimine, nell’ambito di una inchiesta per mafia.
Per quanto riguarda la valutazione relativa alla necessità dell’interferenza in una società democratica al fine di raggiungere uno scopo, è indispensabile che l’ingerenza corrisponda ad una esigenza sociale impellente e che sia proporzionata allo scopo perseguito.
Le perquisizioni e le ispezioni dei locali delle persone giuridiche nonché il sequestro o la copia dei loro documenti possono essere ritenute necessarie, purché siano previste adeguate ed efficaci garanzie contro abusi e arbitrarietà.
È quindi indispensabile il rispetto del principio di proporzionalità, verificando: la gravità del reato in relazione al quale sono stati effettuati la perquisizione e il sequestro; il modo e le circostanze in cui è stato emesso l’ordine, in particolare se sono state acquisite ulteriori prove; il contenuto e la portata dell’ordinanza, con particolare riguardo alle garanzie attuate per limitare l’impatto della misura entro limiti ragionevoli; l’entità delle possibili ripercussioni sulla reputazione della persona interessata dalla perquisizione.
Nel caso di specie, la Corte rileva che l’ordinanza di perquisizione è stata emessa dalla stessa Commissione parlamentare d’inchiesta, ma che non è stata sottoposta a un controllo giurisdizionale preventivo idoneo a circoscriverne la portata. Inoltre, nell’ordinanza la Commissione parlamentare d’inchiesta ha menzionato solo brevemente l’oggetto dell’inchiesta in corso e non ha esposto i fatti o i documenti idonei a sostenere un ragionevole sospetto di un coinvolgimento nella questione oggetto di indagine, con conseguente violazione delle disposizioni nazionali.
Pertanto, la Corte di Strasburgo ritiene che il provvedimento non fosse basato su motivazioni pertinenti o sufficienti.
Inoltre, la Corte evidenzia come la misura non sia stata contenuta entro limiti ragionevoli. Infatti, l’ordinanza era formulata in termini molto generali, senza definire con precisione il tipo di materiale che poteva essere ricercato, sequestrato e copiato, con significativa lesione dei diritti dell’associazione nel corso delle operazioni.
In relazione all’esistenza di sufficienti garanzie procedurali contro abusi e arbitrarietà, la Corte ha rilevato come il GOI non aveva alcun mezzo per contestare la legittimità dell’ordine di perquisizione o la sua esecuzione dinanzi a un’autorità indipendente e imparziale.
In conclusione, alla luce della mancanza di prove o di un ragionevole sospetto di coinvolgimento nella questione oggetto di indagine, idoneo a giustificare la misura, del contenuto ampio e indeterminato dell’ordinanza e dell’assenza di sufficienti garanzie di controbilanciamento, in particolare di un controllo indipendente e imparziale della misura contestata, la Corte ha ritenuto la misura contestata non «conforme alla legge» né «necessaria in una società democratica», con conseguente violazione dell’art. 8 CEDU.
Normativa di riferimento
Art. 8 CEDU
Precedenti citati
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 16 marzo 2017, Modestou c. Grecia, ricorso n. 51693/13
Corte europea dei diritti dell’uomo, Quarta Sezione, sentenza del 15 ottobre 2013, Gutsanovi c. Bulgaria, ricorso n. 34529/10
Corte europea dei diritti dell’uomo, Quinta Sezione, sentenza del 28 giugno 2007, The Association for European Integration and Human Rights and Ekimdzhiev c. Bulgaria, ricorso n. 62540/00
Corte europea dei diritti dell’uomo, Seconda Sezione, sentenza del 16 aprile 2002, Société Colas Est e altri c. Francia, ricorso n. 37971/97
Corte europea dei diritti dell’uomo, Terza Sezione, sentenza del 4 febbraio 2020, Kruglov e altri c. Russia, ricorso n. 11264/04
Corte europea dei diritti dell’uomo, Seconda Sezione, sentenza del 28 novembre 2018, Erduran e Em Export Dış Tic A.Ş. c. Turchia, ricorsi nn. 25707/05 e 28614/06
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 14 marzo 2013, Bernh Larsen Holding AS e altri c. Norvegia, ricorso n. 24117/08
Corte europea dei diritti dell’uomo, Quarta Sezione, sentenza del 16 ottobre 2007, Wieser e Bicos Beteiligungen GmbH c. Austria, ricorso n. 74336/01
Corte europea dei diritti dell’uomo, Quinta Sezione, sentenza del 2 aprile 2015, Vinci Construction e GTM Génie Civil et Services c. Francia, ricorsi nn. 63629/10 e 60567/10
Corte europea dei diritti dell’uomo, Quinta Sezione, sentenza del 23 giugno 2022, Naumenko e SIA Rix Shipping c. Lettonia, ricorso n. 50805/14
Corte europea dei diritti dell’uomo, Seconda Sezione, sentenza del 4 aprile 2023, UAB Kesko Senukai Lithuania c. Lituania, ricorso n. 19162/19
Corte europea dei diritti dell’uomo, Quinta Sezione, sentenza del 16 maggio 2019, Halabi c. Francia, ricorso n. 66554/14
Corte europea dei diritti dell’uomo, Quinta Sezione, sentenza del 2 ottobre 2024, DELTA PEKÁRNY a.s. c. Repubblica Ceca, ricorso n. 97/11
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 27 settembre 2018, Brazzi c. Italia, ricorso n. 57278/11
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 23 febbraio 2017, De Tommaso c. Italia, ricorso n. 43395/09
Corte europea dei diritti dell’uomo, Terza Sezione, sentenza del 6 settembre 2022, Bodalev c. Russia, ricorso n. 67200/12
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 4 luglio 2024, Rustamkhanli c. Azerbaijan, ricorso n. 24460/16
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 7 giugno 2007, Smirnov c. Russia, ricorso n. 71362/01
Corte europea dei diritti dell’uomo, Quinta Sezione, sentenza del 30 gennaio 2020, Vinks e Ribicka c. Lettonia, ricorso n. 28926/10
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 23 maggio 2024, Contrada c. Italia (n. 4), ricorso n. 2507/19
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 9 giugno 2016, Popovi c. Bulgaria, ricorso n. 39651/11
Corte europea dei diritti dell’uomo, Quinta Sezione, sentenza del 31 marzo 2016, Stoyanov e altri c. Bulgaria, ricorso n. 55388/10
Corte europea dei diritti dell’uomo, Quarta Sezione, sentenza del 16 febbraio 2016, Govedarski c. Bulgaria, ricorso n. 34957/12
Corte europea dei diritti dell’uomo, Quinta Sezione, sentenza del 22 maggio 2008, Iliya Stefanov c. Bulgaria, ricorso n. 65755/01
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 18 settembre 2014, Avanesyan c. Russia, ricorso n. 41152/06
Corte europea dei diritti dell’uomo, Quarta Sezione, sentenza del 26 maggio 2020, Mándli e altri c. Ungheria, ricorso n. 63164/16
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 6 aprile 2023, Drozd c. Polonia, ricorso n. 15158/19
Corte europea dei diritti dell’uomo, Seconda Sezione, sentenza del 8 dicembre 2020, Bostan c. Repubblica di Moldavia, ricorso n. 52507/09
Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza del 17 maggio 2016, Karácsony e altri c. Ungheria, ricorsi nn. 42461/13 e 44357/13
Corte europea dei diritti dell’uomo, Seconda Sezione, sentenza del 17 dicembre 2002, A. c. Regno Unito, ricorso n. 35373/97
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 30 gennaio 2003, Cordova c. Italia (n. 1), ricorso n. 40877/98
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 30 gennaio 2003, Cordova c. Italia (n. 2), ricorso n. 45649/99
Corte europea dei diritti dell’uomo, Prima Sezione, sentenza del 3 giugno 2004, De Jorio c. Italia, ricorso n. 73936/01
Corte europea dei diritti dell’uomo, Seconda Sezione, sentenza del 24 febbraio 2009, C.G.I.L. e Cofferati c. Italia, ricorso n. 46967/07
Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza del 3 dicembre 2009, Kart c. Turchia, ricorso n. 8917/05
Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza del 22 dicembre 2020, Selahattin Demirtaş c. Turchia (n. 2), ricorso n. 14305/17
Corte europea dei diritti dell’uomo, Seconda Sezione, sentenza del 28 aprile 2009, Savino e altri c. Italia, ricorsi nn. 17214/05, 42113/04 e 20329/05
Corte europea dei diritti dell’uomo, Quinta Sezione, sentenza del 18 ottobre 2018, Thiam c. Francia, ricorso n. 80018/12
Corte europea dei diritti dell’uomo, Seconda Sezione, sentenza del 9 marzo 2021, Eminağaoğlu c. Turchia, ricorso n. 76521/12
Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza del 10 luglio 2020, Mugemangango c. Belgio, ricorso n. 310/15
Corte europea dei diritti dell’uomo, Terza Sezione, sentenza del 16 aprile 2024, Guðmundur Gunnarsson e Magnús Davíð Norðdahl c. Islanda, ricorsi nn. 24159/22 e 25751/22
Corte europea dei diritti dell’uomo, Grande Camera, sentenza del 6 maggio 2003, Kleyn e altri c. Paesi Bassi, ricorsi nn. 39343/98, 39651/98, 43147/98 e 46664/99
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