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L’interpretazione costituzionalmente conforme del delitto di auto-addestramento con finalità di terrorismo: nota a una recente pronuncia di legittimità

Cass. Pen., Sez. V, sent. 22 settembre 2022 (ud. 05 luglio 2022) n. 35690 – Sabeone Presidente, Pilla Relatore, Venegoni Sostituto Procuratore Generale

Abstract

Con la sentenza in commento, la Corte di Cassazione torna a pronunciarsi sul delitto c.d. di auto addestramento ad attività con finalità di terrorismo, dando rilievo “assorbente”, al fine di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, al fine terroristico perseguito dal soggetto agente.
La pronuncia, in particolare, valorizza l’elemento della finalità terroristica non solo per interpretare l’art. 270 quinquies c.p. in chiave di idoneità offensiva, ma anche al fine di ritenere integrato il presupposto della condotta, id est l’auto-istruzione del soggetto agente.
Il presente contributo, pertanto, si propone di indagare se una lettura oggettivistica del dolo specifico sia sufficiente a ricondurre la norma nell’alveo della legittimità costituzionale, oppure se il nullum crimen sine inuria possa dirsi rispettato solo laddove sia richiesto l’accertamento in concreto dello specifico reato a cui è univocamente diretta la condotta incriminata.
Si vedrà, in conclusione, come il Supremo Consesso ha accolto, tra le righe, quest’ultima impostazione, laddove, superando il precedente orientamento, ha immaginato che sia necessario accertare un nesso teleologico tra le informazioni acquisite dal lupo solitario e gli atti terroristici.

Abstract (Trad. Eng.)

The present note analyses judgment no. 35690/2022 of the Supreme Court, whereby the Court ruled once again on the so-called criminal offence of self-training terrorism-related activities. The judgement follows a constitutionally oriented interpretation of the law, by placing particular emphasis on the aim pursued by the offender.
The Court valorized the terroristic purpose in order not only to interpret the art. 270 quinquies of the Italian Criminal Code in terms of offensive suitability, but also to integrate the concept of “self-training” of the offender.
Therefore, this contribution aims at investigating whether an objectivist reading of the offender’s specific intention is enough to maintain the provision within the boundaries of constitutional legitimacy or, in alternative, the nullum crime sine iniuria principle is respected only in case an assessment in concrete of the specfic offence is necessary.
By reading between the lines, eventually, it is noticeable how the Supreme Court preferred this last approach, going beyond the previous case law and deciding that a “teleological connection” between the skills acquired by the lone wolf and the terrorism-related activities needs to be ascertained.

Sommario: I- La sentenza: 1. Svolgimento del processo; 2. La decisione della Cassazione; 2.1. Il richiamo all’interpretazione adeguatrice del delitto di addestramento; 2.2. L’introduzione del reato di auto-addestramento e gli approdi giurisprudenziali; 2.3. L’interpretazione costituzionalmente conforme proposta dalla sentenza: l’idoneità e univocità dei comportamenti e il collegamento teleologico tra le informazioni acquisite e gli atti terroristici. II- Alcune considerazioni: 1. Inquadramento della fattispecie; 2. Le questioni affrontate dalla sentenza; 3. Il problematico giudizio di idoneità e univocità dei comportamenti finalizzati ad atti terroristici; 3.1. L’univocità della condotta rispetto ad uno specifico reato; 4. Il requisito del “collegamento teleologico” tra le informazioni acquisite dal soggetto agente e gli atti terroristici; 5. Conclusioni.

I – La sentenza

1 – Svolgimento del processo

Oggetto di ricorso è la sentenza con cui la Corte di Assise di Appello di Bologna ha confermato la condanna dell’imputato per il reato di cui all’art. 270 quinquies cod. pen., oltre alla misura di sicurezza dell’espulsione dallo Stato a pena espiata, previa rideterminazione della pena in anni due e mesi otto di reclusione e revoca della pena accessoria della interdizione dai pubblici uffici.

La sentenza di primo grado aveva condannato l’imputato «per il reato di cui all’art. 270 quinquies cod. pen. di addestramento ad attività con finalità di terrorismo per avere, attraverso contatti con ambienti del terrorismo islamico e attraverso la rete internet e social web, acquisito e conservato numeroso materiale volto al suo auto-addestramento per compiere atti di terrorismo».

Il Giudice di merito aveva ritenuto configurato il reato sulla base di numerosi indici fattuali concreti: il possesso da parte dell’imputato di video ed immagini, scaricati con elevata frequenza nell’arco di un significativo periodo di tempo, riconducibili alla propaganda terroristica per lo Stato islamico, illustrativi di tecniche per la preparazione di ordigni esplosivi, tecniche di combattimento e consigli su autodifesa e fuga; il possesso di appunti manoscritti riproducenti la celebrazione di simboli e pratiche terroristiche dell'”ISIS”; l’acquisizione di almeno 40 file video, veicolati sul web da gruppi riferibili all’organizzazione terroristica dell’ISIS, in cui si incitavano altri islamici ad intraprendere la jihad, esaltando la morte in nome di Allah; il contatto con numerose utenze estere; il rinvenimento, all’interno della abitazione dell’imputato, di materiale destinato alla fabbricazione di un ordigno rudimentale, tra cui numerosissime lampadine di vecchio tipo, una sveglia senza pile identica a quella raffigurata nel tutorial, una pinza da elettricista, nonché alcune taniche contenenti alcool etossilato individuate come possibili contenitori per riporre l’ordigno esplosivo.

Avverso la decisione della Corte territoriale, propone ricorso per cassazione l’imputato, lamentando, per quanto di interesse in questa sede, la violazione di legge in relazione alla configurabilità del reato contestato, laddove, in estrema sintesi, gli elementi posti a fondamento della condanna sarebbero mere ipotesi suggestive prive di riscontro probatorio. In subordine, il ricorrente ha richiesto che venisse sollevata questione di legittimità costituzionale dell’art. 270 quinquies cod. pen. per violazione degli artt. 13, 21, 25 e 27 Cost., nella parte in cui la fattispecie incrimina una condotta indeterminata, priva di materialità e di offensività.

2 – La decisione della Cassazione

La V sezione penale della Corte di cassazione, con la sentenza che si annota, rigetta il ricorso, ritenendolo nel complesso infondato e, per l’effetto, conferma la condanna dell’imputato.

I Giudici di legittimità ritengono che la Corte territoriale, facendo corretta applicazione degli orientamenti giurisprudenziali aventi ad oggetto il delitto c.d. di auto addestramento, abbia ritenuto provata la materialità del fatto con motivazione logica e non contraddittoria.

Secondo il Supremo Consesso, infatti, i Giudici del merito hanno, dapprima, correttamente evidenziato i comportamenti significativi della avvenuta radicalizzazione dell’imputato e della sua adesione morale alla propaganda jihadista. Poi, ai fini della configurabilità della fattispecie ex art. 270 quinquies c.p., hanno correttamente dato rilievo, da un lato, alla disponibilità da parte del reo di materiale destinato all’addestramento e, dall’altro, all’acquisto e al possesso di strumenti base idonei in concreto alla fabbricazione di un ordigno esplosivo, così logicamente concludendo per la responsabilità dell’imputato per il reato ascrittogli.

2.1 – Il richiamo all’interpretazione adeguatrice del delitto di addestramento

Prima di arrivare a tale conclusione, i Giudici di legittimità ripercorrono l’evoluzione giurisprudenziale che ha riguardato l’art. 270 quinquies cod. pen.

Si soffermano, innanzitutto, sul delitto di addestramento e di istruzione ad attività con finalità di terrorismo, id est sulle condotte incriminate prima che il d.l. 18 febbraio 2015, n. 7 introducesse, nell’ultima parte della norma, il delitto c.d. di auto addestramento.

La corte evidenzia che l’art. 270 quinquies cod. pen. puniva colui che addestra o fornisce istruzioni sull’uso di «ogni altra tecnica o metodo» per il compimento di atti terroristici di violenza o di sabotaggio dei servizi pubblici essenziali, con finalità di terrorismo, estendendo la punibilità al soggetto addestrato.

Lo strutturale deficit di offensività della norma che, analogamente ad altre fattispecie penali di contrasto al terrorismo, anticipa il momento consumativo alla commissione di atti preparatori di un attentato, ha indotto la giurisprudenza, osserva la Corte, ad adottarne una interpretazione adeguatrice.

Viene richiamata sul punto una delle pronunce che ha avuto una importanza cruciale nel fare piena luce sulla struttura del delitto de quo, ossia la sentenza della Sesta Sezione della Corte di cassazione n. 29670 del 2011, a mente della quale «la fattispecie dell’art. 270-quinquies integra un delitto a consumazione anticipata, a duplice dolo specifico, caratterizzata non solo dalla realizzazione di una condotta in concreto idonea al compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, ma anche dalla presenza della finalità di terrorismo descritta dall’art. 270 sexies c.p.».

Ne è derivato, pertanto, che dovendosi qualificare i reati a dolo specifico senza evento naturalistico come reati di pericolo concreto, nei quali allo scopo perseguito deve corrispondere l’oggettiva idoneità della condotta a realizzare l’obiettivo, l’idoneità sia diventata un requisito necessario per assicurare alla condotta la sua tipicità. Se tale finalità non fosse concretamente perseguibile perché le attività realizzate risultassero inidonee al raggiungimento dello scopo, si costituirebbe, dice la corte, una fattispecie l’anticipazione della cui consumazione contrasterebbe con il principio di offensività.

Questa impostazione, continua la sentenza, ha trovato l’avallo della dottrina e della giurisprudenza che, nell’indagine sulla condotta penalmente rilevante, hanno distinto tra “formazione” e “mera informazione”, giungendo ad affermare che non è punibile la condotta che sia mera divulgazione e non ancora insegnamento. 

Sul punto viene richiama un’altra fondamentale pronuncia di legittimità, sempre del 2011, la n. 38220 della Prima Sezione, che, quanto ai soggetti puniti dalla norma in esame, ha rilevato che bisogna distinguere la figura dell’addestratore, quella dell’informatore, dell’addestrato, nonché quella del mero informato.

In particolare, la sentenza richiamata afferma che l’”addestratore” è colui che non si limita a trasferire informazioni ma somministra specifiche nozioni, in tal guisa formando i destinatari e rendendoli idonei ad una funzione determinata o ad un comportamento specifico; l'”informatore” è colui che raccoglie e comunica dati utili nell’ambito di un’attività e che, quindi, agisce solo quale veicolo di trasmissione e diffusione di tali dati; infine, “l’addestrato” è colui che, al di là dell’attitudine soggettiva di esso discente o dell’efficacia soggettiva del docente, si rende pienamente disponibile alla ricezione non episodica delle specifiche nozioni somministrategli. Non rientra nella previsione punitiva dell’art. 270 quinquies il mero informato che, invece, è un percettore occasionale di informazioni, al di fuori di un rapporto, sia pure informale, di apprendimento.

2.2 – L’introduzione del reato di auto-addestramento e gli approdi giurisprudenziali

Dopo essersi soffermata sulla prima parte dell’art. 270 quinquies c.p., la corte analizza la fattispecie ascritta all’imputato, individuabile nel delitto di auto-addestramento punito dall’ultima parte della norma.

I Giudici di legittimità osservano che l’intervento normativo del 2015 ha integrato la fattispecie delittuosa in esame aggiungendo un periodo finale al primo comma, così da assoggettare a pena anche «la persona che avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento degli atti di cui al primo periodo, pone in essere comportamenti univocamente finalizzati alla commissione delle condotte di cui all’articolo 270 sexies». In tal modo, si osserva, è diventato suscettibile di sanzione il comportamento successivo all’acquisizione di informazioni, qualora sia univocamente finalizzato a compiere condotte con finalità di terrorismo. 

Al fine di delimitare l’ambito di applicazione della fattispecie, la sentenza richiama la pronuncia cautelare emessa nel presente procedimento[1], secondo cui, ai fini della configurabilità del delitto in esame, la persona che ha acquisito in modo autonomo informazioni strumentali al compimento di atti con la finalità di terrorismo, al fine di integrare il delitto in esame, deve porre in essere comportamenti significativi sul piano materiale, univocamente diretti alla commissione delle condotte di cui al 270 sexies cod. pen., e non limitarsi ad una mera attività di raccolta di dati informativi o a manifestare le proprie scelte ideologiche.

La necessaria significatività dei comportamenti su cui l’art. 270 quinquies ult. parte fonda l’incriminazione viene sottolineata con il richiamo ad un’altra pronuncia di legittimità, in cui si è ritenuta penalmente irrilevante la condotta dell’imputato di solamente prendere visione numerosi video riguardanti tematiche jihadiste, di cui alcuni strumentali all’auto addestramento.

Infine, la sentenza richiama la recente giurisprudenza che ha esteso le conclusioni raggiunte sul delitto di addestramento di cui alla prima parte dell’art. 270 quinquies al reato previsto dalla seconda parte, tra cui la circostanza che la norma richieda un duplice dolo specifico, caratterizzato dalla realizzazione di una condotta in concreto idonea al compimento di atti di violenza o di sabotaggio dei servizi pubblici e dalla presenza di una delle finalità di terrorismo contemplate dall’art. 270 sexies, finalità che devono costituire oggetto di specifico accertamento sulla base delle emergenze del caso concreto (Cass. n. 7898 del 2019 e n. 6061 del 2017). 

2.3 – L’interpretazione costituzionalmente conforme proposta dalla sentenza: l’idoneità e univocità dei comportamenti e il collegamento teleologico tra le informazioni acquisite e gli atti terroristici

A questo punto, il Supremo Consesso, inserendosi nella tendenza giurisprudenziale ad interpretare in chiave offensiva il delitto di auto addestramento, afferma che, ai fini di una interpretazione costituzionalmente orientata della norma, «appare necessario immaginare un collegamento un collegamento teleologico tra le informazioni raccolte e gli atti a scopo terroristico, pur non imposto dal tenore letterale della disposizione».

Invero, prosegue la corte, la finalità terroristica perseguita assume un «valore quasi assorbente»rispetto al resto della fattispecie, con la conseguenza che in caso di inidoneità dell’azione non è possibile immaginare nessuna offesa, non potendosi in ipotesi ricondurre la fattispecie né ad una ipotesi di reato di pericolo concreto ma neanche di pericolo presunto o astratto.

È necessario, dunque, secondo i Giudici di legittimità, tipizzare i singoli momenti che definiscono la condotta, con la conseguenza che la possibilità che le condotte descritte possano realizzarsi deve essere attentamente valutata secondo modelli non astrattamente ma concretamente idonei, così che siano verificabili dal giudice nella loro proiezione verso il risultato rappresentato e voluto.

Nel delitto in esame, prosegue la sentenza, è la idoneità dei mezzi che conferisce rilevanza penale al fine e, al contempo, è la finalità presa di mira dal soggetto agente che a sua volta ne giustifica la punibilità.

Allora, conclude sul punto la corte, la salvaguardia del principio di offensività è assicurata allorquando il dolo specifico accompagna la tipizzata condotta terroristica, colorandola dei requisiti necessari a far sì che la stessa possa essere considerata del tutto idonea a realizzare la finalità terroristica.

Nel paragrafo 3.5., il Supremo Consesso torna sull’interpretazione costituzionalmente conforme della norma e dichiara infondata la richiesta del ricorrente di sollevare questione di costituzionalità, affermando che è possibile superare gli asseriti profili di frizione della norma con la Costituzione.

In particolare, viene affermato che «l’utilizzo ad opera del legislatore del termine comportamenti e non atti non contrasta con tipicità e determinatezza di cui all’art. 25 Cost. se l’interprete individua comportamenti concreti e ben definiti, percepibili dall’esterno e non confinati nell’area di semplici atteggiamenti suggestivi».

Allo stesso modo, l’utilizzo della espressione univocamente finalizzati è compatibile con l’offensività laddove, come sostenuto dalla giurisprudenza della Corte, sia stata verificata l’offensività in concreto, quale criterio interpretativo-applicativo che il giudice dovrà utilizzare per accertare se la condotta ha effettivamente leso o messo in pericolo l’interesse tutelato.

Infatti, prosegue la Corte, l’interpretazione della norma alla luce del principio di necessaria offensività porta a «catalogare l’attentato nella categoria dei reati di pericolo, postulandosi il concreto accertamento della pericolosità della condotta attraverso il riscontro non solo della univocità ma anche della idoneità degli atti a realizzare il risultato lesivo». Tale interpretazione si impone al fine di evitare la punizione, a priori, di fatti o condotte che si rivelino innocue ed inidonee ad arrecare la lesione o messa in pericolo del bene giuridico protetto.

II – Alcune considerazioni

1 – Inquadramento della fattispecie

Tra le varie fattispecie che, nell’ambito della legislazione penale anti-terrorismo, incriminano atti preparatori di atti terroristici, il delitto di auto-addestramento ha suscitato, sin dalla sua introduzione ad opera del d.l. 18 febbraio 2015, n. 7, recante “Misure urgenti per il contrasto del terrorismo, anche di matrice internazionale”[2], le maggiori perplessità, a partire da come è stato impropriamente pubblicizzato nel dibattito mediatico e politico.

Come è noto, l’art. 270 quinquies cod. pen. puniva, con la reclusione da cinque a dieci anni, esclusivamente le condotte dell’addestratore e di chi fornisce istruzioni[3] sulla preparazione o uso di qualunque tecnica o metodo per il compimento di atti di violenza ovvero di sabotaggio di servizi pubblici essenziali con finalità di terrorismo, con estensione della punibilità alla persona addestrata. La condotta di chi si limita a ricevere istruzioni senza essere addestrato o quella di chi si auto-istruisce diventa, invece, penalmente rilevante solo[4] con il d.l. 7/2015.

Con la riforma, infatti, il legislatore introduce il reato di auto-addestramento e prevede la punibilità «della persona che, avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento degli atti di cui al primo periodo, pone in essere comportamenti univocamente finalizzati alla commissione delle condotte di cui all’art. 270-sexies c.p.», ossia condotte che «per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un’organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un’organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un’organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l’Italia»[5].

La ratio della riforma dell’art. 270 quinquies è stata individuata nell’esigenza di adeguare gli strumenti repressivi alle mutate caratteristiche del fenomeno terroristico[6], con l’intento di reprimere la condotta del “lupo solitario”[7], anche detto combattente isolato, la condotta cioè dell’“aspirante terrorista” che opera da solo o in piccoli gruppi sganciati dal sodalizio criminale.

Il referente criminologico disegnato dalla relazione illustrativa allegata al d.l. 7 del 2015, infatti, è l’estremista islamico che, pur non essendo partecipe di associazioni terroristiche (tant’è che la norma si apre con una clausola di sussidiarietà rispetto al reato di cui all’art. 270 bis c.p.), acquisisce in modo autonomo istruzioni circa l’uso di armi o esplosivi, normalmente attingendo al materiale propagandistico e informativo presente sul web, e si attiva per realizzare attentati di matrice jihadista.

Dal punto di vista dell’elemento oggettivo, sebbene nel dibattito politico si sia fatto riferimento all’avvenuta introduzione del delitto di auto addestramento, la dottrina più attenta[8] non ha mancato di evidenziare che, dall’analisi della fattispecie, emerge che l’auto-addestramento (rectius auto-istruzione), è un mero presupposto della condotta, mentre la condotta tipica è la realizzazione di ulteriori comportamenti preparatori di condotte con finalità di terrorismo.

Ne è derivato così un sistema in cui l’acquisizione del know how per commettere atti di terrorismo costituisce la condotta che perfeziona il reato punito dalla prima parte del 270 quinquies che, oltre all’addestratore e all’informatore, incrimina chi ha ricevuto l’addestramento.

Nel delitto punito dalla seconda parte della norma, invece, l’acquisizione del know how è un presupposto che va ad integrare la condotta vera e propria, costituita dal quid pluris di compiere, grazie alle capacità acquisite, atti finalizzati al terrorismo[9].

Con riferimento alla struttura del reato, si è evidenziato che è una fattispecie a consumazione anticipata, in base alla quale, per via del generico richiamo alle condotte di cui all’art. 270 sexies, possono essere puniti atti prodromici di qualsiasi delitto caratterizzato da finalità eversiva, tra cui il delitto di associazione terroristica ex art. 270 bis c.p. o anche i delitti di attentato disseminati nel Titolo I del Libro II del codice penale.

Peraltro, come accennato, la fattispecie de quo, innovando rispetto al sistema normativo precedente che si incentrava su una “dinamica relazionale” del fenomeno terroristico[10], dà rilevanza penale a un atto preparatorio “monosoggettivo”, in quanto sia l’auto-istruzione che i successivi comportamenti possono essere commessi da un soggetto isolatamente, non essendo necessario che questi abbia avuto alcun contatto con l’associazione terroristica madre o con più piccole cellule operative[11].

Dal punto di vista dell’elemento soggettivo, la norma richiede la presenza di un duplice dopo specifico, individuando due finalità che l’agente deve perseguire in progressione. La prima finalità che l’agente deve prefigurarsi, a sua volta duplice e alternativa, è la realizzazione di atti di violenza o di sabotaggio di servizi pubblici essenziali, “colorati”[12] dall’ulteriore finalità di compiere atti terroristici come definiti dall’art. 270 sexies c.p.

2 – Le questioni affrontate dalla sentenza

Così brevemente individuati gli elementi oggettivi e soggettivi della fattispecie, è d’uopo spostare l’attenzione sulla proposta di interpretazione costituzionalmente conforme offerta dai Giudici di legittimità nella pronuncia in commento.

Il Supremo Consesso, preso atto dell’estrema anticipazione della tutela penale da parte dell’art. 270 quinquies, valorizza, al fine una interpretazione in chiave offensiva della norma, il requisito della finalità terroristica ed afferma che detta finalità assume nella fattispecie un valore «quasi assorbente».

Ne propone, dunque, in linea con la migliore dottrina e il consolidato orientamento giurisprudenziale, una interpretazione oggettivizzante, insistendo sulla necessità che l’azione sia idonea rispetto alla finalità criminosa, che è «l’idoneità dei mezzi che conferisce rilevanza penale al fine» e ancora che «il dolo specifico accompagna la condotta tipizzata colorandola dei requisiti necessari a far sì che la stessa sia idonea a porre in essere la finalità terroristica».

La sentenza poi si spinge oltre e, sempre in nome di una interpretazione costituzionalmente orientata, valorizza la finalità di terrorismo anche rispetto al presupposto della condotta tipica, affermando, seppure senza approfondirne il significato, che è necessario immaginare come elemento della fattispecie «il requisito, non imposto dal tenore letterale della norma, del nesso teleologico tra le informazioni acquisite dal soggetto agente e gli atti a scopo terroristico obiettivo della condotta».

Con riferimento, invece, alla compatibilità con il dettato costituzionale dell’incriminazione di “comportamenti univocamente finalizzati” ad atti terroristici, la Corte di legittimità si limita ad evidenziare che l’utilizzo, ad opera del legislatore, del termine comportamenti non contrasta con tipicità e determinatezza di cui all’art. 25 Cost., sol che l’interprete individui comportamenti concreti e ben definiti percepibili dall’esterno e non confinati nell’area di semplici atteggiamenti suggestivi.

Con precipuo riferimento al requisito dell’univocità, la sentenza evidenzia che l’espressione “univocamente finalizzati” è conforme al principio di necessaria offensività della condotta, laddove sia verificata l’offensività in concreto, nel senso che la condotta abbia effettivamente leso o messo in pericolo l’interesse tutelato.

Ebbene, rispetto a tali conclusioni pare opportuno muovere alcune considerazioni.

3 – Il problematico giudizio di idoneità e univocità dei comportamenti finalizzati ad atti terroristici

Riguardo all’operazione ermeneutica di valorizzazione del requisito implicito dell’idoneità dei comportamenti rispetto agli atti terroristici avuti di mira dal lupo solitario, è d’uopo rilevare che tale operazione non solo rischia di polarizzare il disvalore della fattispecie più sullo scopo per cui il soggetto agisce che sul disvalore del fatto commesso[13], ma appare anche insufficiente a dotare la norma di un contenuto minimo di offensività.

Invero, stante il mancato richiamo nell’art. 270 quinquies al carattere di idoneità dei comportamenti, la dottrina e la giurisprudenza hanno formulato diverse interpretazioni della norma.

Un primo orientamento[14], e da ultimo la sentenza che si annota, ha ritenuto di applicare alla fattispecie in esame il costante indirizzo interpretativo[15] che legge il dolo specifico in termini di idoneità, ritenendo così necessario accertare che il comportamento realizzato dal reo sia oggettivamente idoneo a realizzare la finalità terroristica.

Si è osservato che l’art. 270 quinquies seconda parte incrimina una condotta neutra, quale porre in essere dei “comportamenti”, il cui disvalore è incentrato, oltre che nell’essersi il soggetto agente auto-istruito, nella doppia finalità oggetto del dolo specifico, consistente nella volontà di compiere atti di violenza con finalità terroristica.

Ne consegue che per ritenere il soggetto agente penalmente responsabile, senza incorrere in una violazione del principio cogitationis poenam nemo patitur, sia necessario accertare la proiezione oggettiva della finalità della condotta. Occorre, in altri termini, interpretare il reato come reato di pericolo concreto[16], in cui l’obiettivo perseguito diventa l’evento pericoloso rispetto al quale il giudice è chiamato ad esprimere un giudizio ex ante sulla idoneità della condotta a raggiungerlo.

In senso opposto, una parte della dottrina[17] sottolinea le criticità del giudizio di idoneità nei reati che prevedono una tutela fortemente anticipata del bene giuridico, tra cui pacificamente rientra il delitto di auto-addestramento.

I reati contro il terrorismo, infatti, danno luogo ad un’estrema anticipazione della tutela, al confine dell’ambito di legittimità del diritto penale[18], che ne impone un’interpretazione che individui un substrato materiale e offensivo a cui ancorare la loro punibilità.

Nel compiere tale operazione, si è detto, non si può non tenere in considerazione che in alcuni delitti contro il terrorismo, e segnatamente in quei reati che incriminano atti preparatori di altri atti preparatori, sussiste una indubbia sproporzione di scala tra le condotte incriminate e le finalità descritte dall’art. 270 sexies c.p.

Le finalità terroristiche, in effetti, sono pensate soprattutto per l’associazione incriminata dall’art. 270 bis c.p., rispetto alla quale è ben possibile formulare un giudizio sulla idoneità dell’organizzazione criminale a raggiungerle[19].

Nel caso, invece, di reati che puniscono condotte preparatorie diverse dall’associazione terroristica, tra cui rientrano i delitti puniti dagli artt. 270 quater ss. c.p., il riferimento al perseguimento della finalità terroristica, come descritta dall’art. 270 sexies, è «privo di senso»[20].  Queste fattispecie, infatti, incriminano condotte così lontane dalla lesione, anche solo potenziale, del bene giuridico tutelato dai reati contro il terrorismo, che non sembra possibile formulare un vero giudizio ex ante di prognosi postuma sulla loro capacità a sfociare nei risultati che connotano la finalità terroristica ai sensi dell’art. 270 sexies, secondo cui gli atti di violenza dovrebbero poter arrecare un grave danno al Paese.

In altri termini, si è efficacemente detto che «la valorizzazione del dolo specifico in termini di idoneità dei comportamenti, in assenza di un’organizzazione o di un comportamento prossimo all’offesa, non regge»[21].

Seguendo tale ultima impostazione dottrinale, dunque, sembra potersi affermare che l’interpretazione dell’art. 270 quinquies in chiave di idoneità offensiva non risulta sufficiente a ricondurre la norma nel binario del nullum crime sine iniuria, in quanto la possibilità di compiere una valutazione ex ante di idoneità della condotta si risolverebbe sempre in un’affermazione apodittica, priva della possibilità di essere riscontrata in concreto.

La sentenza in commento, peraltro, non sembra smentire tale conclusione, laddove afferma ripetutamente la necessità che i comportamenti si rivelino idonei a raggiungere la finalità perseguita dall’imputato, salvo poi non compiere una reale verifica sulla possibilità che le condotte terroristiche prese di mira possano essere realizzate secondo modelli concretamente idonei.

3.1 – L’univocità della condotta rispetto ad uno specifico reato

Preso atto che l’operazione di valorizzazione del requisito implicito dell’idoneità non riesce a risolvere i dubbi di compatibilità della norma con il principio di offensività, è allora necessario spostare l’attenzione sul requisito che, per espressa previsione normativa, devono avere i comportamenti posti in essere dall’agente, ossia sull’univocità degli atti rispetto a condotte terroristiche.

Come accennato, la sentenza in commento, esclusa l’incompatibilità del requisito in esame con il dettato costituzionale, si limita ad affermare come, nel caso di specie, sia emerso che i comportamenti dell’imputato risultano significativi e univoci rispetto a generici atti terroristici, non esplicitando, come del resto non richiesto dall’art. 270 quinquies c.p., quale sia lo specifico delitto preso di mira dall’imputato.

Tale percorso argomentativo solleva alcune perplessità sol che si pensi all’orientamento, già richiamato, che, avendo escluso la via dell’interpretazione del reato in chiave di idoneità offensiva, ritiene di ricondurre l’art. 270 quinquies nell’alveo della legittimità costituzionale attribuendo centralità al requisito dell’univocità[22].

A tal proposito, è stato osservato che il legislatore, in sede di conversione del d.l. 7/2015, ha inserito nella struttura della fattispecie il requisito della univocità dei comportamenti rispetto alla commissione delle condotte di cui all’art. 270 sexies c.p., con l’intenzione di superare le critiche di indeterminatezza della norma mosse dalla dottrina.

I primi commentatori del decreto-legge, infatti, avevano innanzitutto sottolineato che il termine comportamento è privo di un significato specifico e preciso, in quanto indica non una singola condotta ma «il complessivo e, cronologicamente esteso, modo di comportarsi di un individuo, soprattutto in determinate situazioni, nei rapporti con l’ambiente e con le persone con cui è in contatto»[23]. Era apparsa evidente alla dottrina la frizione della norma con il principio di precisione, che impone al legislatore descrivere accuratamente e in modo chiaro la fattispecie penale, così da delimitare l’ambito di discrezionalità dell’autorità giudiziaria e assicurare i diritti di libertà del cittadino[24].

In secondo luogo, si era osservato che l’incriminazione di generici “comportamenti” avrebbe consentito di punire qualunque comportamento, sia pure lontanamente preparatorio, purché soggettivamente rivolto a commettere atti con finalità di terrorismo, con violazione del principio di necessaria lesività del fatto di reato, a mente del quale lo zoccolo duro del reato si ravvisa nell’aggressione (sotto forma di lesione o messa in pericolo) di uno o più beni giuridici[25].

Si era detto, in via esemplificativa, che per essere punito sarebbe stato sufficiente informarsi su “wikipedia.it” sui precursori di esplosivi e stampare le istruzioni acquisite[26], essendo lo stampare le istruzioni considerabile un “comportamento” finalizzato al compimento di un attentato terroristico.

Allo scopo di sanare questa situazione, il legislatore ha introdotto l’avverbio “univocamente”, così limitando l’anticipazione della soglia della rilevanza penale ai soli comportamenti che appaiono anche a un “osservatore esterno” senza dubbio finalizzati alla commissione di condotte terroristiche.

Tuttavia, neanche tale operazione è andata esente da critiche.

Pur volendo ritenere superati i profili di determinatezza della fattispecie, infatti, la dottrina non ha mancato di cogliere la problematicità insita nell’aver prospettato un giudizio di univocità non rispetto ad uno specifico reato che si ha intenzione di commettere, ma a generiche e indeterminate condotte violente.

Nell’impossibilità di affrontare le varie concezioni del concetto di “univocità”, basti, ai nostri fini, ricordare che, secondo la concezione oggettivista, tale requisito denota il passaggio dagli atti preparatori alla fase esecutiva[27], caratterizzando gli atti che “sono capaci di parlare da sé” rispetto all’intenzione criminosa del soggetto agente[28].

Ebbene, immaginare che si possa fare un giudizio di univocità dei comportamenti rispetto a generiche condotte di violenza è «una contraddizione in termini»[29]. Il giudizio di univocità, infatti, non può che avere come punto di riferimento un oggetto determinato rispetto al quale compiere la valutazione comparativa. Se manca un preciso referente, la stessa univocità non sarà apprezzabile.

Dall’interpretazione del requisito in questi termini, discende allora la necessità di rileggere la norma di cui all’art. 270 quinquies c.p. nel senso di richiedere al giudice di accertare se i comportamenti possono ritenersi univoci rispetto a uno specifico reato, storicamente determinato, con finalità di terrorismo.

Invero, solo tramite una tale interpretazione correttiva, si può ricondurre il delitto di auto-addestramento nell’alveo della legittimità costituzionale, in quanto la soglia di rilevanza penale si sposta in avanti e si avvicina alla fase esecutiva del delitto preso di mira, incriminando solo i comportamenti che sono capaci di parlare da sé non rispetto a generiche condotte violente, ma a un reato determinato nei suoi aspetti essenziali.

4 – Il requisito del “collegamento teleologico” tra le informazioni acquisite dal soggetto agente e gli atti terroristici

Ripercorso il dibattito intorno all’interpretazione del reato di auto addestramento, si può provare ad approfondire il significato del requisito che la pronuncia in commento individua come elemento della fattispecie, ossia il “collegamento teleologico” tra le informazioni acquisite dal soggetto agente e gli atti a scopo terroristico.

Innanzitutto, bisogna rilevare che, nel compiere la verifica sull’avvenuta integrazione del presupposto dell’auto-istruzione, la sentenza compie l’auspicato[30] controllo sul tenore del materiale scaricato e consultato dall’imputato, accertando che avesse uno specifico contenuto didattico.

Proprio nel compiere tale verifica, i Giudici di legittimità affermano che, per interpretare la norma in chiave offensiva, è necessario immaginare che le istruzioni acquisite dal lupo solitario siano teleologicamente collegate agli atti a scopo terroristico.

Interrogandosi sul significato di tale “collegamento teleologico”, sembra potersi affermare che la Corte ritenga necessaria una verifica sulla corrispondenza tra l’oggetto dell’auto-istruzione e l’atto terroristico avuto di mira, superando così l’orientamento giurisprudenziale[31] che aveva escluso, sulla base di una interpretazione letterale della norma, che dovesse sussistere un nesso eziologico tra l’acquisizione di istruzioni e il compimento di atti terroristici, essendo sufficiente una consequenzialità cronologica tra i due momenti.

L’art. 270 quinquies, invero, individua l’oggetto dell’autoistruzione in «ogni altra tecnica o metodo» per compiere atti di violenza o sabotaggio con finalità di terrorismo, utilizzando una formula amplissima[32], che consente di attribuire rilevanza a qualunque tipo di istruzione, purchè acquisita cronologicamente prima dei comportamenti.

La pronuncia in commento, invece, ritiene indispensabile superare l’interpretazione letterale e, ragionando a contrario, sembra arrivare ad affermare che si dovrebbe optare per l’esclusione del reato in tutti i casi in cui le istruzioni acquisite non corrispondano all’obiettivo perseguito.

In via esemplificativa, si potrebbe concludere per l’esclusione del reato per mancata integrazione del requisito dell’auto-istruzione, nei casi in cui si accerti che un soggetto si è istruito su come costruire un ordigno esplosivo ma i comportamenti che ha realizzato risultano univoci rispetto all’atto terroristico di hackerare il sistema informatico di un’Istituzione statale per costringerla a compiere o ad astenersi dal compiere un qualsiasi atto.

Senza addentrarsi sulla legittimità di tale operazione ermeneutica, e a prescindere dalla circostanza che la necessità di accertare l’integrazione del requisito de quo porterebbe ad escludere la configurabilità del reato solo in alcune circoscritte ipotesi, ciò che interessa sottolineare è che, quando la corte immagina un nesso teleologico tra le informazioni acquisite e gli atti terroristici, non può che avere in mente un reato specifico come fine dei comportamenti dell’imputato. Se mancasse un referente circostanziato, individuato in uno specifico proposito criminoso, non sarebbe invero possibile formulare alcun giudizio sull’eventuale collegamento finalistico tra le informazioni acquisite e il reato preso di mira.

Se questo è vero, allora si può concludere che i Giudici di legittimità, con l’introduzione del requisito del nesso teleologico, abbiano implicitamente accolto, ed anzi portato ad ulteriori conseguenze, l’orientamento che afferma la necessità che il giudice individui e verifichi quale reato storicamente determinato sia l’obiettivo della condotta del reo.

5 – Conclusioni

Tirando le fila del discorso, in conclusione, è d’uopo rilevare l’apprezzabile sforzo della sentenza in commento nel cercare di interpretare una fattispecie a struttura fortemente anticipata in modo conforme ai principi cardine del diritto penale di materialità ed offensività.

Così facendo, la pronuncia si inserisce in quella serie di interventi giurisprudenziali sulle disposizioni di cui agli artt. 270bis ss. c.p. che, nell’inerzia del legislatore, hanno cercato di trovare un equilibrio tra esigenze di tutela, che impongono di estendere l’area della punibilità agli atti preparatori, e la salvaguardia dei principi fondamentali caratterizzanti una società democratica, che ancorano il ricorso allo strumento penale a un reale disvalore del fatto[33].

Nell’ambito dei reati contro il terrorismo, invero, spetta al magistrato che deve interpretare la norma un compito «gravoso, ma ineludibile»[34], che consiste nell’evitare, a fronte di un legislatore affannato da scelte fortemente simboliche di anticipazione della tutela penale, che «le ansie preventive permeino anche l’interpretazione delle norme, travolgendo lo Stato di diritto»[35].

Tuttavia, non può non evidenziarsi che l’interpretazione della norma in chiave di idoneità offensiva, ribadita dalla recente pronuncia in commento, non appare soddisfacente. Invero, l’unica chiave per leggere con la lente del principio di offensività il delitto c.d. di auto-addestramento sembra doversi individuare nel richiedere che sia accertato in concreto lo specifico reato obiettivo della condotta.

Volendo leggere tra le righe della sentenza in commento, tale operazione ermeneutica appare necessaria non solo, come già auspicato dalla dottrina, per interpretare il requisito dell’univocità dei comportamenti posti in essere dall’imputato, ma anche per ritenere integrato il requisito dell’auto-istruzione, selezionando come penalmente significative, tra le istruzioni acquisite, solo quelle finalisticamente collegate al reato storicamente determinato.

Solo “correggendo” l’art. 270 quinquies c.p. nei termini anzidetti, si può compiere un passo in avanti nell’interpretazione del delitto di auto-istruzione in senso conforme al principio del nullum crimen sine iniuria, poiché solo in tal modo la soglia di rilevanza penale si sposta in avanti e si avvicina alla fase esecutiva del delitto preso di mira, allontanandosi, in definitiva, dalla inaccettabile incriminazione della mera intenzione criminosa propria del diritto penale c.d. d’autore.


[1]In data 24 febbraio 2020 era stata applicata all’imputato la misura della custodia cautelare in carcere dal GIP del Tribunale di Bologna, misura confermata Corte di cassazione con la sentenza n. 22066 del 06/07/2020, (dep. 23/07/2020), Rv. 279495, chiamata a pronunciarsi sul ricorso proposto dall’imputato avverso l’ordinanza del Tribunale della libertà di Bologna che aveva rigettato la richiesta di riesame.

[2] Per un commento alla riforma si veda A. Cavaliere, Considerazioni critiche intorno al d.l. antiterrorismo, n. 7 del 18 febbraio 2015, in Dir. pen. proc., 2015, 936, A. Valsecchi, Le modifiche alle norme incriminatrici in materia di terrorismo, in AA. VV. “Il nuovo pacchetto anti terrorismo” a cura di R.E. Kostoris – F. Viganò, Torino, 2015, 3 ss., F. Fasani, “Le nuove fattispecie antiterrorismo: una prima lettura”, in Dir. pen. e proc., 2015, n. 8, 926-947, nonché S. Colaiocco, Prime osservazioni sulle nuove fattispecie antiterrorismo introdotte dal decreto-legge n. 7 del 2015, in Arch. Pen., 2015, n. 1, 7 ss. e G. Marino, Il sistema antiterrorismo alla luce della L. 43/2015: un esempio di “diritto penale del nemico?”, in Riv. It. Dir. e Proc. Pen., 2016, n. 3, 1389-1426.

[3] Per il dibattito che ha interessato il delitto di addestramento di cui alla prima parte dell’art. 270 quinquies c.p. e, in particolare, la problematica distinzione tra addestratore e informatore, nonché l’estensione della punibilità al soggetto addestrato con il rischio di incriminazione della mera pericolosità soggettiva, v. M. Donini, Lo status di terrorista: tra il nemico e il criminale. I diritti fondamentali e la giurisdizione penale come garanzia contro, o come giustificazione per l’uso del diritto come arma?, in S. Moccia (a cura di), I diritti fondamentali della persona alla prova dell’emergenza, Napoli, 2009, p. 99, nonché F. Piccichè “Prime riflessioni della Corte di Cassazione sulla struttura del delitto di addestramento ad attività con finalità di terrorismo anche internazionale”, in Riv. Pen., La Tribuna, anno 2012, fasc. 10, 1002 ss.; A. Valsecchi, Misure urgenti per il contrasto del terrorismo internazionale. Brevi osservazioni di diritto penale sostanziale, in Dir. pen. e proc., 2005, 1222; M. Pellissero, Contrasto al terrorismo internazionale e diritto penale al limite, in Gli speciali di questione Giustizia. Terrorismo internazionale, politiche di sicurezza, diritti fondamentali, settembre 2016

[4] Nel rilevare che solo con il decreto “anti-terrorismo” si è inteso punire l’auto-addestrato, è d’uopo ricordare che un unico precedente giurisprudenziale, in un obiter dictum, ha affermato che “il comma 2 della norma estende la punizione delle condotte vietate alle persone addestrate e quindi anche al soggetto che si auto-addestri” (Cass. Pen., Sez. I, sent. n. 4433 del 6 novembre 2014). La conclusione della sentenza è stata criticata dalla dottrina che ha sottolineato che, invece, secondo le intenzioni del legislatore, è solo con la riforma del 2015 si è estesa la punibilità all’auto-istruito. Sul punto, F. Fasani, op. cit., 942, nonché R. Wenin, L’addestramento per finalità di terrorismo alla luce delle novità introdotte dal D.L. 7/2015, in www.penalecontemporaneo.it, 3 aprile 2015, nonché Id, Una riflessione comparata sulle norme in materia di addestramento per finalità di terrorismo, in Riv. Trim. Dir. Pen. Cont., 4, 2016, 108 ss.

[5] Sulla problematica definizione dei contorni della finalità terroristica si è interrogata la dottrina fin da quando, dopo l’attentato alle Torri gemelle a New York dell’11 settembre 2001, il legislatore, nell’ambito di un ampio intervento repressivo, ha introdotto il reato di associazione finalizzata al terrorismo anche internazionale all’art. 270-bis c.p., superando così l’incriminazione del solo terrorismo interno. Alle continue critiche di indeterminatezza della fattispecie, il legislatore ha risposto introducendo l’art. 270-sexies c.p. che, riproducendo la definizione presente nella decisione quadro 2002/475/GAI, prevede che «Sono considerate con finalità di terrorismo le condotte che, per la loro natura o contesto, possono arrecare grave danno ad un Paese o ad un´organizzazione internazionale e sono compiute allo scopo di intimidire la popolazione o costringere i poteri pubblici o un´organizzazione internazionale a compiere o astenersi dal compiere un qualsiasi atto o destabilizzare o distruggere le strutture politiche fondamentali, costituzionali, economiche e sociali di un Paese o di un´organizzazione internazionale, nonché le altre condotte definite terroristiche o commesse con finalità di terrorismo da convenzioni o altre norme di diritto internazionale vincolanti per l´Italia». La finalità terroristica, si è osservato, come elemento di fattispecie o come circostanza aggravante, costituisce la “ratio generale” del sistema delle disposizioni anti-terrorismo. Vd. P.L. Vigna, G. Chelazzi, Terrorismo, in Dizionario di diritto e procedura penale, a cura di G. Vassalli, Padova, 1986, 1060. Si rimanda anche, ex plurimis, a F. Mantovani, Le condotte con finalità di terrorismo, Milano, 2007; G. Salvini, L’associazione finalizzata al terrorismo internazionale: problemi di definizione e prova della finalità terroristica, in Cass. Pen., 2006, 3366, a F. Viganò, La nozione di terrorismo ai sensi del diritto penale, in Sanzioni “individuali” del Consiglio di Sicurezza e garanzie processuali fondamentali, a cura di F. Salerno, Padova, 2010, 193-220. Si rimanda anche a Cass., Sez. VI, n. 28009 del 15/05/2014, Rv. n. 260076 che, in merito alle vicende del movimento c.d. no “TAV” esamina funditus la nozione di finalità di terrorismo.

[6] Per il rapporto tra l’escalation terroristica del terrorismo islamico nei primi decenni del XXI secolo nel mondo occidentale e la risposta normativa si veda, tra gli altri, F. Fasani, Terrorismo islamico e diritto penale, Padova, 2016, p. 5 ss. e 109 e ss., in cui l’Autore evidenzia come le risposte ordinamentali siano caratterizzate dai paradigmi del diritto penale del nemico e della perenne emergenza.

[7] F. Viganò, Minaccia dei lupi solitari e risposte dell’ordinamento: alla ricerca di un delicato equilibrio tra diritto penale, misure di prevenzione e diritti fondamentali della persona, in AA.VV. “Il nuovo pacchetto anti terrorismo” a cura di R.E. Kostoris – F. Viganò, Torino, 2015, 9-13.

[8]La dottrina sottolinea che il delitto in esame è stato pubblicizzato impropriamente come reato di auto-addestramento mentre, invece, reprime “comportamenti” finalizzati alla realizzazione di condotte terroristiche, posti in essere dopo l’acquisizione di informazioni relative agli strumenti necessari per lo svolgimento di tale attività. Si veda, ex plurimis, F. Fasani, op. cit., 940.

[9]S. Colaiocco, op. cit., 6.

[10]A. Varvaressos, Commento al d.l. 7/2015, art. 1, in Studi, www.lalegislazionepenale.eu, 15.1.2016, 2.

[11]Che sia un atto monosoggettivo fa sì che manchi quella relazione intersoggettiva che rende l’incriminazione degli atti preparatori “tradizionali”, tra cui l’istigazione o apologia a delinquere ex art. 414 c.p., compatibile con il principio di offensività, laddove la volontà interiore deve necessariamente manifestarsi all’esterno. In questi termini si esprime R. Bartoli, in “Legislazione e prassi in tema di contrasto al terrorismo internazionale: un nuovo paradigma emergenziale?”, in DPC, 3, 2017, 243 ss.

[12]A. Valsecchi, sub art. 270 quinquies, in E. Dolcini-G. Marinucci, Codice penale commentato, IV edizione, Milano, 2015, 3025.

[13]Vd. M. Pellissero, I delitti di terrorismo, in Trattato teorico pratico di diritto penale. Reati contro la personalità dello Stato, diretto da F. Palazzo e C.E. Paliero, Torino 2010, 159 ss.

[14]Tra tutti, si vd. F. Fasani, op. cit., 944.

[15]Il riferimento è a G. Marinucci – E. Dolcini, Corso di Diritto Penale, Milano, 2001, 576 ss.; v. anche L. Picotti, Il dolo specifico. Un’indagine sugli “elementi finalistici” delle fattispecie penali, Milano, 1993, 501 ss., nonché G. Marinucci, Soggettivismo e oggettivismo nel diritto penale. Uno schizzo dogmatico e politico-criminale, in Riv. it. dir. proc. pen., 2011, pp. 1-23. Con specifico riferimento al ruolo della finalità terroristica nel reato di addestramento si rimanda, tra gli altri, si rimanda a A. Valsecchi, L’accertamento del (doppio) dolo specifico nel reato di addestramento ad attività con finalità di terrorismo, in Cassazione Penale, Giuffrè, 2012, fasc. 3, sez. II, 897, nonché nel diritto penale della sicurezza in generale a G. Marino, Il “filo di Arianna”. Dolo specifico e pericolo nel diritto penale della sicurezza, in DPC, 6/2018, 41 ss.

[16] Per una disamina sull’evoluzione della giurisprudenza nel rileggere i delitti di attentato come reati a evento pericoloso, si veda M. Pellissero, Contrasto al terrorismo internazionale e diritto penale al limite, op. cit., 112.

[17] R. Bartoli, op. cit., 23; nonché Id., L’autoistruzione è più pericolosa dell’addestramento e dell’istruzione: verso un sovvertimento dei principi?, in Dir. Pen. e Proc., 5, 2017, 626-635.

[18] M. Pellissero, op. cit., 112.

[19] Sempre R. Bartoli, op. cit., 10 evidenzia che è convinzione unanime, nella dottrina e anche ormai nella giurisprudenza, che le associazioni con finalità di terrorismo ed eversione debbano essere interpretate nel senso che la finalità offensiva che anima il gruppo debba riflettersi anche sull’assetto organizzativo per caratterizzarlo in termini di idoneità al raggiungimento dello scopo illecito.

[20]R. Bartoli, Legislazione e prassi, op. cit., 23.

[21]Ibidem. La problematicità del requisito dell’idoneità è stata evidenziata anche con riferimento alla conseguenza che, inserendolo come requisito dei comportamenti, si arriva a costruire una fattispecie di reato sovrapponibile al reato di attentato con finalità di terrorismo punito dall’art. 280 cod. pen. Evidenzia la complessità di individuare un perimetro applicativo autonomo dell’art. 270 quinquies seconda parte, tra gli altri, R. Wenin, Una riflessione comparata, op. cit., p. 187.

[22]R. Bartoli, Legislazione e prassi, op. cit., 23.

[23]Così F. Fasani, op. cit., 943. L’Autore osserva che non è un caso che la parola comportamenti non compaia mai all’interno del codice penale, se non nell’art. 544 ter dove, peraltro, è riferita agli animali e non agli uomini.

[24]G. Marinucci, Corso di diritto penale, Parte generale, Milano, 2011, IV ed., p. 57.

[25]G. Fiandaca- E. Musco, Diritto Penale. Parte Generale, Bologna, 2014, p. 161 ss. 

[26]Cfr. A. Cavaliere, op. cit., 9.

[27] Così F. Fasani che rimanda a S. Seminara, Il delitto tentato, Milano, 2012, 923 ss.

[28] Sul rischio di restringere eccessivamente l’area di operatività del tentativo nel caso in cui l’univocità sia concepita come caratteristica oggettiva della condotta, sterilizzato tuttavia dalla possibilità di conseguire anche aliunde la prova del fine verso cui tende l’agente, si v. G. Fiandaca- E. Musco, op.cit., 491.

[29] R. Bartoli, L’autoistruzione è più pericolosa, op. cit., 634.

[30] Ibidem.

[31] Il riferimento è a Cass. n. 6061/2017, la prima sentenza della Corte di Cassazione che ha avuto ad oggetto la disposizione dell’art. 270 quinquies c.p. riformata che, con riferimento al presupposto dell’auto-istruzione, al par. 3.1., afferma «L’inciso “avendo acquisito, anche autonomamente, le istruzioni per il compimento degli atti…” descrive un nesso temporale, non eziologico: la fattispecie disegnata dal legislatore non richiede che il soggetto istruito riceva istruzioni specifiche per il ruolo che egli intenderà rivestire una volta dedicatosi alla lotta armata, ma prescrive la consequenzialità cronologica della condotta qualificabile ex art. 270-sexies rispetto ad informazioni che ne siano il presupposto. Non a caso, anche il Tribunale spiega che alla acquisizione di informazioni si deve accompagnare l’esplicazione di una qualsiasi attività materiale avente finalità terroristica, che possa quindi considerarsi come volta a dare attuazione alle istruzioni acquisite, senza peraltro, ai fini dell’integrazione del reato, che sia necessaria la effettiva realizzazione della finalità».

[32] Si rinvia a C. Pavarani, Addestramento con finalità di terrorismo anche internazionale, in Trattato di diritto penale. Parte speciale, I, a cura di A. Cadoppi, S. Canestrari, A. Manna e M. Papa, Torino 2008, 407 ss. 

[33] In questi termini si esprime R. Wenin, op. cit., 18.

[34] Cfr. M. Pellissero, Contrasto al terrorismo internazionale e diritto penale al limite, op. cit., 112.

[35] Ibidem.

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