Segnaliamo la sentenza n. 188, depositata oggi – 12 ottobre 2023 – con la quale si è dichiarata illegittimità costituzionale parziale dell’art. 69, quarto comma, del codice penale, in riferimento agli artt. 3, 25, secondo comma, e 27, terzo comma, della Costituzione, nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. – nella versione introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge 15 dicembre 2014, n. 186.
La questione, sollevata dal Tribunale di Firenze era già stata oggetto di precedenti pronunce con le quali la Corte aveva dichiarato costituzionalmente illegittimo l’art. 69, quarto comma, cod. pen., nella parte in cui prevedeva il divieto di prevalenza di altrettante circostanze attenuanti sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.
In particolare nella recente sentenza n. 94 del 2023 erano già state rammentate e sinteticamente illustrate le varie rationes decidendi sottese alle sentenze anteriori, riconducibili peraltro all’esigenza di mantenere «un conveniente rapporto di equilibrio tra la gravità (oggettiva e soggettiva) del singolo fatto di reato e la severità della risposta sanzionatoria, evitando in particolare quella che la sentenza “capostipite” n. 251 del 2012 già aveva definito l’“abnorme enfatizzazione delle componenti soggettive riconducibili alla recidiva reiterata, a detrimento delle componenti oggettive del reato” (punto 5 del Considerato in diritto) creata dall’art. 69, quarto comma, cod. pen.».
Prevedendo per l’autoriciclaggio una pena dimezzata, tanto nel massimo quanto nel minimo, allorché il delitto presupposto sia di minore gravità – segnatamente quando esso sia punito con pena inferiore a cinque anni di reclusione –, il legislatore ha inteso differenziare nettamente il disvalore oggettivo di questa ipotesi rispetto alla fattispecie base, la quale è peraltro caratterizzata da un quadro sanzionatorio di notevole severità, calibrato su fenomeni criminosi ben più gravi – anche per la loro dimensione offensiva del sistema economico, imprenditoriale e finanziario – rispetto a condotte come quelle oggetto del procedimento principale. Allorché però il delitto risulti aggravato dalla recidiva reiterata, l’intento legislativo di prevedere un trattamento sanzionatorio sensibilmente meno severo per i fatti di riciclaggio conseguenti ai delitti oggettivamente meno gravi viene, agli effetti pratici, frustrato dalla norma censurata, che vincola il giudice all’irrogazione di una pena non inferiore al minimo previsto per la fattispecie base di autoriciclaggio.
Ciò ridonda anzitutto in una violazione del canone della proporzionalità della pena fondato sugli artt. 3 e 27, terzo comma, Cost., il quale si oppone a che siano comminate dal legislatore pene manifestamente sproporzionate rispetto al disvalore oggettivo e soggettivo del reato.
Dalla norma censurata scaturisce altresì un vulnus al principio di offensività di cui all’art. 25, secondo comma, Cost., il quale esige che la pena sia sempre essenzialmente concepita come risposta a un singolo “fatto” di reato, e non sia invece utilizzata come misura primariamente volta al controllo della pericolosità sociale del suo autore, rivelata dalle sue qualità personali. Il che accade, per l’appunto, per effetto della norma ora censurata, da cui discende addirittura il raddoppio della pena minima, a parità di disvalore oggettivo del fatto, in considerazione dei soli precedenti penali dell’autore.
L’art. 69, quarto comma, cod. pen. deve, pertanto, essere dichiarato costituzionalmente illegittimo nella parte in cui prevede il divieto di prevalenza della circostanza attenuante di cui all’art. 648-ter.1, secondo comma, cod. pen. (nella versione introdotta dall’art. 3, comma 3, della legge n. 186 del 2014, e vigente fino alla sua sostituzione a opera dell’art. 1, comma 1, lettera f, numero 3, del d.lgs. n. 195 del 2021) sulla recidiva di cui all’art. 99, quarto comma, cod. pen.