“In tema di pena sostitutiva di pene detentive brevi, il giudice di merito non può respingere la richiesta di applicazione in ragione della sola sussistenza di precedenti condanne, in quanto il rinvio all’art. 133 cod. pen. contenuto dall’art. 58 legge 24 novembre 1981, n. 689, come riformato dal d. lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, deve essere letto in combinato disposto con l’art. 59 della stessa legge, che prevede, quali condizioni ostative, solo circostanze relative al reato oggetto di giudizio, non comprensive dei precedenti penali”.
In relation to substitution punishments for short custodial sentences, the trial judge has the discretionary power, which is embodied in a precise duty, to anticipate to the phase of the trial on the merits, by way of an effective punishment, even if substitutive, an assessment involving aspects relating to the personality of the defendant. The judge is required to assess the guiding criteria set out in Article 133 of the Criminal Code, both for the purpose of determining the penalty to be imposed and – as a result of this operation – for the purpose of identifying the substitute penalty deemed most suitable for re-education. In the presence of all the prerequisites, the judge may not reject the request for the application of the substitution punishment on the sole ground of the existence of previous condemnations, but must consider only the circumstances relating to the offence under trial.
La condanna a pene sostitutive ed il potere discrezionale del giudice tra diritto penale sostanziale e processuale.
Sommario: 1. Profili essenziali del pronunciamento: la ratio della condanna a pene sostitutive — 2. Previsioni e limiti dei rapporti tra il nuovo art. 545-bis c.p.p. (D. lgs. 150/2022) ed i criteri di cui all’art. 133 c.p. e art. 220 c.p.p.; — 3. Potere discrezionale del giudice nella scelta e nell’applicazione delle pene sostitutive: una riformulazione dell’art. 58, L. 689/1981; — 4. L’art. 545-bis c.p.p. ed il ruolo della magistratura di Sorveglianza in fase di esecuzione della pena sostitutiva;– 5. Considerazioni conclusive.
- Profili essenziali del pronunciamento: la ratio della condanna a pene sostitutive.
La sentenza annotata si segnala per alcuni interessanti profili relativi alla disciplina delle nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi.
Essa offre significativi spunti di riflessione sul tema della discrezionalità del giudice della cognizione nella applicazione della pena sostitutiva, a partire da un approfondito excursus sulla ratio della disciplina, di cui agli artt. 53-58 della L. n. 689/1981, riformulati dal D. Lgs. 150/2022, con gli artt. 20-bis del codice penale e 545-bis del codice di procedura penale.
Nel caso di specie, i giudici di legittimità venivano chiamati a pronunciarsi su un ricorso presentato avverso la decisione della Corte di Appello di Torino in materia di ricettazione. La difesa, in particolare, lamentava la erronea applicazione della legge penale e processuale penale, ovvero degli artt. 53-58 della L. n. 689/81, come riformulati dal D.Lgs. 150/2022, in relazione all’art. 133 c.p., nonché la illogicità dell’iter motivazionale seguito dai giudici di appello, che rigettavano la istanza di applicazione della pena sostitutiva della reclusione, ritualmente reiterata con l’atto di appello, erroneamente ritenendo quali condizioni ostative i precedenti giudiziari o i periodi di carcerazione pregressi.
La questione è stata oggetto di approfondimento da parte della Corte di legittimità che, nel dichiarare fondato il motivo di ricorso, ha fornito un’ampia interpretazione del dettato normativo, mettendo in luce, sin dalle primissime considerazioni, la portata innovativa delle suddette norme, giacché esse attribuiscono al Giudice di merito il potere discrezionale – che, tuttavia, per come si vedrà nel prosieguo, si sostanzia in un preciso onere – di anticipare alla fase della cognizione, a titolo di pena effettiva, anche se sostitutiva, una valutazione più ampia, che involge aspetti relativi alla personalità dell’imputato/condannato; valutazione, come è noto, propria della fase della esecuzione della pena, soprattutto quellaextra-carceraria e delle misure alternative alla detenzione.
La sentenza, richiamando la Relazione Illustrativa al decreto legislativo 10 ottobre 2022, n. 150, evidenzia, in primis, la volontà sottesa del legislatore di dare effettività e concretezza al finalismo rieducativo della pena, giacché la reintegrazione sociale del condannato deve essere garantita da un sistema sanzionatorio penale idoneo, in cui certezza della pena non significhi soltanto carcere.
In quest’ottica, la portata innovativa della riforma deve essere individuata proprio nell’obbligo che grava sul giudice della condanna di verificare la sussistenza delle condizioni per disporre la sostituzione delle pene detentive brevi, al fine di assicurare ugualmente la funzione rieducativa, mantenendo fermo l’obiettivo della decarcerizzazione.
Con la sentenza in esame, la Corte di legittimità è intervenuta definendo i margini del potere discrezionale riconosciuto al giudice di cognizione in relazione alla applicabilità delle pene sostitutive, in sostanza prevedendo come il giudice di primo grado (in sede di condanna dell’imputato) ovvero il giudice di appello chiamato a pronunciarsi ex art. 95 d.lgs. 10 ottobre 2022, n. 150, sia tenuto a valutare i criteri direttivi di cui all’art. 133 cod. pen., sia ai fini della determinazione della pena da infliggere, sia – in esito a tale operazione – ai fini dell’individuazione della pena sostitutiva ex art. 58 legge 24 novembre 1981, n. 689, dovendo esservi continuità e non contraddittorietà tra i due giudizi, così da favorire tanto più l’applicazione di una delle sanzioni previste dall’art. 20-bis cod. pen. quanto minore risulti, rispetto ai limiti edittali, la pena in concreto inflitta.
Conseguentemente, la sentenza de qua, conformandosi a precedenti pronunce di legittimità, precisa come la disciplina in tema di pene sostitutive debba ritenersi immediatamente applicabile anche ai giudizi pendenti in fase di appello e, dunque, come il giudice di appello – che sia investito della questione della applicabilità delle pene inflitte con la sentenza di condanna di primo grado – debba procedere alla analisi delle condizioni per la concessione delle pene sostitutive.
In questo senso, la Corte di legittimità ha anche avuto occasione di chiarire come, laddove la valutazione, seppure discrezionale, del giudice del merito in ordine alla sussistenza dei presupposti per l’accoglimento della domanda sia compiutamente motivata, non vi sia spazio per un intervento del giudice di legittimità, in forza del principio per cui, in tema di sanzioni sostitutive, l’accertamento della sussistenza delle condizioni che consentono di applicare una pena sostituiva costituisca un accertamento di fatto, non sindacabile in sede di legittimità, se motivato in modo non manifestamente illogico.
Ulteriormente, la sentenza in esame chiarisce come sia affetto da contraddittorietà motivazionale quel pronunciamento che, pur in presenza di una sanzione prossima ai minimi edittali, neghi l’applicazione di una pena sostitutiva esclusivamente sulla base di una affermata pericolosità dell’imputato, giacché, di contro, il sistema delineato dall’art. 545-bis c.p.p. richiede che siano applicati i criteri di cui all’art. 133 c.p. dapprima ai fini della determinazione della pena e, successivamente, ai fini della individuazione della pena sostitutiva più idonea.
Nello specifico, infatti, da una attenta disamina degli artt. 53, 58 e 59 della legge n. 681/1989 come riformata dal D. lgs. 150/2022, emerge come le circostanze ostative all’applicazione di pene sostitutive debbano essere relative al reato per cui si procede e non riferibili a precedenti condanne; essendo necessario un giudizio prognostico circa una pericolosità qualificata che non potrà esaurirsi esclusivamente nella valutazione dei precedenti, ma dovrà tenere conto di tutti gli ulteriori parametri dettati dall’art. 133 c.p.
Sotto tale profilo, la Corte di Cassazione ha già avuto modo di precisare come la riforma Cartabia miri a prevenire il pericolo di recidiva soprattutto attraverso la finalità rieducativa e risocializzante a cui devono tendere le pene sostitutive, corredate dal programma stilato dall’UEPE sulla base della situazione specifica del condannato e dalle prescrizioni imposte dal giudice.
In sostanza, i giudici di legittimità hanno sottolineato come l’applicazione delle pene sostitutive non solo non sia incompatibile con il pericolo di recidiva, ma costituisca la specifica modalità prescelta dal legislatore per arginarlo al meglio; essendo, essa, in definitiva, incompatibile solo con un livello di recidiva che il giudice reputi di non poter azzerare o ridurre attraverso l’adozione di quelle particolari prescrizioni e degli adeguati controlli che accompagnano la pena sostitutiva nella fase di esecuzione della stessa.
- Previsioni e limiti dei rapporti tra il nuovo art. 545 bis c.p.p. (D. lgs. 150/2022) ed i criteri di cui all’art. 133 c.p. e art. 220 c.p.p.
La novella legislativa di cui al D. Lgs. n. 150/2022, introducendo modifiche rilevanti al codice penale ed al codice di procedura penale, per esigenze di snellimento e velocizzazione dei procedimenti, ha profondamente valorizzato il sistema delle pene sostitutive.
La peculiarità del procedimento consiste nella anticipazione alla fase della cognizione, a titolo di pena effettiva, anche se sostitutiva, di una valutazione più ampia, propria della fase della esecuzione, che involge aspetti relativi alla personalità dell’imputato/condannato; valutazione notoriamente preclusa rispetto all’imputato in sede di cognizione, nelle forme della perizia o della consulenza tecnica psico/criminologica.
Si tratta di una riforma che interessa, con riferimento alla condanna alle pene sostitutive delle pene detentive brevi, tanto il diritto penale sostanziale, quanto quello processuale.
Infatti, per come meglio si dirà, il nuovo art. 545-bis c.p.p. è sì norma processuale, ma risulta indissolubilmente legata alla sostanza della valutazione discrezionale richiesta al giudice per l’applicazione delle nuove sanzioni sostitutive.
In vero, con la L. n. 134/2021, recante “Delega al Governo per l’efficienza delprocesso penale nonché in materia di giustizia riparativa e disposizioni per la celeredefinizionedeiprocedimentigiudiziari”,si è inteso incidere sulla naturale interconnessione funzionale tra il diritto penale sostanziale e gli istituti di diritto processuale penale, che si muovono, insieme, verso obiettivi unitari sia sul versante procedurale – in termini di riduzione di tempi e quantità dei processi – sia su quello prettamente sostanziale, con conseguente riduzione del primato del carcere, nella prospettiva che proprio il coinvolgimento del diritto penale sostanziale avrebbe potuto costituire quel quidplurisidoneo a consentire il raggiungimento degli obiettivi di efficientamento del sistema processuale ed il compimento di passi in avanti verso una sua modernizzazione.
Le nuove pene sostitutive delle pene detentive brevi sembrano rispecchiare perfettamente la prospettiva teleologica al fondo della riforma, che riposa sulla erosione della struttura carcerocentrica del sistema sanzionatorio; una riforma in cui il piano deflattivo orbita attorno alla riduzione del carcere già in sede di giudizio di cognizione.
L’applicazione di una pena sostitutiva non rappresenta più la contropartita di una rinuncia alla piena cognizione giacché, nello spirito della riforma, il giudice di cognizione è da subito coinvolto nel definire programmi esecutivi in funzione rieducativa.
Dunque, una “riformadidirittosostanzialecollegataalprocesso”,animata dall’idea che il “rito” non potrà mai dirsi efficiente, se inefficiente ne è la sua esecuzione penale.
La nuova previsione normativa richiede una attenta disamina anche in relazione alle problematiche che dalla riforma stessa possono derivare nei vari profili procedurali e, proprio in quest’ottica, la Corte di Cassazione è intervenuta, al fine di delineare aperture e limiti della norma.
La sentenza in questa sede analizzata, come detto, costituisce una prima ampia analisi interpretativa del meccanismo elaborato dalla riforma per la condanna a pene sostitutive, introdotta con l’art. 545-bis c.p.p.; pena sostitutiva da individuare tra quelle previste dal nuovo art. 20-bis del codice penale, anch’esso frutto della riforma Cartabia.
Segnatamente, l’art. 545-bis c.p.p., al primo comma, prevede come, in caso di condanna a pena detentiva non superiore a quattro anni, subito dopo la lettura del dispositivo, il Giudice che procede – se l’imputato acconsente e qualora ne ricorrano le condizioni – possa decidere immediatamente circa la sostituzione della pena detentiva con una delle pene sostitutive previste e, laddove non sia possibile decidere immediatamente, sentito il Pubblico Ministero, possa sospendere il processo e fissare una apposita udienza non oltre sessanta giorni, dandone contestuale avviso alle parti ed all’U.E.P.E. competente.
Il giudice del processo, in altri termini, torna ad essere giudice della pena, giacché, in caso di condanna dell’imputato ad una pena detentiva non superiore a quattro anni, deve espletare un compito nuovo rispetto al passato e diverso dallo schema della commisurazione e applicazione della pena edittale prevista dalla norma violata, consistente nel valutare se vi siano modelli sanzionatori, sostitutivi della pena detentiva, più adeguati alla rieducazione del condannato, purché in grado di parimenti prevenire, anche attraverso prescrizioni ad hoc,il pericolo di reiteratiocriminis.
Per individuare la pena sostitutiva e le relative prescrizioni più confacenti all’imputato, il giudice ha bisogno di un bagaglio di informazioni più ampio rispetto a quello comunemente acquisito nel giudizio di cognizione e, per questo, la legge delega ha previsto il coinvolgimento anticipato, laddove necessario, degli uffici di esecuzione penale esterna.
Dunque, in primis, appare interessante sottolineare come la norma de qua ponga in evidenza il momento a partire dal quale il Giudice possa effettuare la propria valutazione finalizzata alla possibile applicazione di una pena sostitutiva; la norma detta come indicazione “dopo la lettura del dispositivo”, poiché in quel momento sono, o almeno dovrebbero essere, cristallizzati tutti i fattori della decisione, sia in termini di qualificazione giuridica, sia in termini di quantum di pena.
In vero, la stessa relazione illustrativa ha evidenziato come, nel valutare i modi ed i tempi processuali del possibile innesto nel giudizio di cognizione dell’intervento dell’UEPE e delle parti, ci si trovi di fronte ad un bivio problematico.
In primo luogo, viene osservato come l’intervento dell’ufficio di esecuzione penale esterna non possa essere anticipato al giudizio per una serie di inconvenienti insuperabili, che finirebbero per rendere l’attività dell’ufficio a posteriori superflua e vana: infatti, l’imputato può essere alternativamente assolto o condannato a pena superiore a quattro anni o ancora a pena sospesa; oppure può opporsi alla sostituzione della pena o, ancora, richiederla ma risultare privo dei presupposti; o infine il giudice stesso può valutare, all’esito del processo, che il condannato non sia affatto meritevole di una pena sostitutiva.
In secondo luogo, non meno rilevante dal punto di vista giuridico processuale, si sottolinea che il coinvolgimento previo dell’UEPE potrebbe apparire come una anticipazione del giudizio di condanna, soprattutto ove si concentri – come sarebbe teoricamente ragionevole – il ricorso all’UEPE solo nei giudizi in cui sia prevedibile una condanna inferiore a quattro anni. Non sarebbe percorribile nemmeno l’ipotesi contraria dell’indiscriminato coinvolgimento degli UEPE, che determinerebbe un dispendio di risorse disfunzionale e antieconomico (essendo opportuno che l’intervento degli UEPE – il cui ruolo è cruciale nel disegno riformatore – sia attivato solo quando utile e necessario).
Al fine di evitare le conseguenze sopra descritte ed eludere le controindicazioni giuridiche ed operative delle soluzioni delineate, si è ritenuto di collocare la decisione della sostituzione della pena in un momento successivo alla pubblicazione del dispositivo mediante lettura, ai sensi dell’articolo 545 c.p.p., con possibilità di demandare ad un momento ulteriormente successivo l’integrazione del dispositivo, laddove si versi in un caso in cui è concretamente possibile disporre la sostituzione della pena detentiva breve.
L’applicazione della pena sostitutiva è, in primis, subordinata al consenso dell’imputato, che deve essere manifestato in maniera esplicita, personalmente o a mezzo di procuratore speciale, proprio in ragione della rilevanza delle conseguenze di tale scelta.
Ove vi sia siffatto consenso, il processo è sospeso se il giudice ritiene di non disporre degli elementi necessari per decidere immediatamente.
In tale evenienza, va da sé come si tratti di una sospensione indispensabile al fine di acquisire le “informazioni necessarie per decidere in ordine alla tipologia di pena sostitutiva allo scopo di determinare concretamente gli obblighi e le relative prescrizioni”.
Un ruolo fondamentale viene riconosciuto dalla norma anche alla difesa ed al Pubblico Ministero, che possono attivarsi, depositando documentazione all’ufficio di esecuzione penale esterna e fino a cinque giorni prima dell’udienza presentando memorie in cancelleria, al fine di contribuire alla più adeguata risposta sanzionatoria al reato, in rapporto alle esigenze di individualizzazione del trattamento che discendono dall’art. 27, co. 3 della Costituzione.
La Corte di Cassazione, richiamando la relazione illustrativa, sottolinea come sia evidente l’ispirazione al modello del sentencing di matrice anglosassone, giacché le valutazioni relative all’applicazione della pena sostitutiva devono essere svolte solo dopo la pubblicazione del dispositivo.
L’art. 545-bis, secondo comma, c.p.p. attribuisce al Giudice, laddove ritenga di non poter decidere immediatamente, il potere di acquisire dall’U.E.P.E. e dalla Polizia Giudiziaria tutte le informazioni ritenute necessarie in relazione alle condizioni di vita, personali, familiari, sociali, economiche e patrimoniali dell’imputato; di richiedere all’U.E.P.E. il programma di trattamento della semilibertà, della detenzione domiciliare e del lavoro di pubblica utilità con la relativa disponibilità dell’ente; ai soggetti indicati dall’art. 94 dpr n. 309/90 la certificazione di disturbo da uso di sostanze o di alcol ovvero da gioco di azzardo e il programma terapeutico, che il condannato abbia in corso ovvero a cui intenda sottoporsi.
Nel nuovo art. 545 bis c.p.p., in vero, le parole imputato e condannato vengono utilizzate quasi alternativamente, aspetto su cui occorre riflettere per comprendere entro quali limiti tale norma – per come essa è formulata – possa trovare applicazione, specie se ci si riferisca all’imputato e specie se il Giudice proceda alla sostituzione della pena detentiva con una pena sostitutiva immediatamente dopo la lettura del dispositivo, basandosi sulle informazioni relative alle generali condizioni personali e di vita dell’imputato, esclusivamente desunte dall’istruttoria dibattimentale e dagli atti del processo.
In tal senso, già a partire dalla normativa previgente, la dottrina ha più volte evidenziato una contraddizione nel rapporto tra l’art. 133 c.p. e l’art. 220, comma 2, c.p.p., laddove, da una parte, l’art. 133 c.p. prevede che il Giudice, nella commisurazione della pena da applicare, debba tenere conto della capacità a delinquere del colpevole, desunta, tra l’altro, dalle condizioni di vita individuale, familiare e sociale del reo; dall’altra parte, l’art. 220, co. 2, c.p.p. esclude la possibilità di espletare una perizia (e si ritiene che il divieto debba essere esteso anche alle consulenze tecniche) per stabilire l’abitualità o la professionalità nel reato, la tendenza a delinquere, il carattere e la personalità dell’imputato e le qualità psichiche indipendenti da cause patologiche.
In sostanza, l’art. 220 comma 2 c.p.p. vieta lo svolgimento di una perizia psico-criminologica sull’imputato in una prospettiva di tutela del diritto di difesa e della libertà morale dell’imputato, a fronte del rischio che l’accertamento de quo possa condizionare il libero convincimento del giudice circa l’attribuzione del fatto criminoso, in contrasto con la presunzione di non colpevolezza di cui all’art. 27, comma 2, della Costituzione.
Da un lato, dunque, il codice penale impone al Giudice una valutazione ad ampio spettro sulla personalità dell’imputato ai fini della corretta dosimetria della pena, senza nulla specificare, tuttavia, circa gli strumenti da utilizzare e le informazioni da considerare per svolgere questo tipo di valutazione; dall’altro lato, il codice di rito vieta l’uso della perizia personologica/psicologica sull’imputato stesso.
In realtà, la valutazione della personalità dell’imputato viene comunque effettuata per mezzo di altri strumenti, alcuni previsti dalla legge (ad es. l’acquisizione dei documenti di cui all’art. 236 c.p.p.); altri che, in concreto, consentono di governare dall’esterno il suddetto divieto, fungendo da viatico, per l’ingresso nel processo, dell’indagine di personalità. Ci si riferisce a tutte le provvidenze della scienza: neuro-scienze, indagini genetiche e molecolari, nonché alle perizie psichiatriche in relazione a cause patologiche.
Proprio in tale contesto, la riforma Cartabia, all’art. 545-bis c.p.p., riconosce espressamente al Giudice di cognizione, rectius lo stesso Giudice chiamato a decidere sulla responsabilità penale dell’imputato, il potere/dovere di acquisire informazioni sulle condizioni di vita, familiari, sociali e personali, cioè sulla personalità dell’imputato stesso, mediante interpello all’U.E.P.E. ed alla Polizia Giudiziaria e di decidere con una udienza ad hoc successiva, ovvero il potere di decidere immediatamente, con il consenso dell’imputato, laddove ritenga di avere già a disposizione tutte le informazioni necessarie, riferibili alla personalità dell’imputato, all’esito della istruttoria dibattimentale o dell’udienza preliminare.
Con la sentenza in esame, la Corte nomofilattica ha precisato come, a seguito della pronuncia di condanna, sul giudice che emette la sentenza ad una sanzione inferiore ad anni quattro, gravi un preciso onere di valutare la possibilità di applicare una pena sostitutiva che sia ugualmente idonea ad assicurare la funzione rieducativa. Anzi, è la stessa Corte di Cassazione a sottolineare come, in concreto, sia preferibile che le modalità con cui la pena dovrà essere espiata vengano stabilite dal giudice della cognizione, poiché esso meglio conosce il profilo dell’imputato.
Tale disciplina richiama quel modello c.d. bifasico, già oggetto di discussione da parte della dottrina per una asserita rigidità del sistema sanzionatorio e per le lungaggini del meccanismo del sentencing, che, ad ogni buon conto, consentirebbe di superare il divieto di cui all’art. 220, comma 2, c.p.p. laddove la perizia psico-criminologica sull’imputato venga disposta dallo stesso giudice della cognizione, ma in un momento successivo rispetto all’accertamento della responsabilità penale.
- Potere discrezionale del giudice nella applicazione e nella scelta delle pene sostitutive: una riformulazione dell’art. 58, L. n. 689/1981.
Con la sentenza in esame, la Corte di Cassazione, confermando la interpretazione in precedenza fornita – secondo cui la sostituzione della pena detentiva con altra pena sostitutiva non costituisce, sic et simpliciter, un diritto dell’imputato, ma rientra nell’ambito della valutazione discrezionale del giudice – è intervenuta chiarendo i limiti di tale potere discrezionale, a partire dalla L. n. 689/1981 come riformata dal D. Lgs. n. 150/2022.
A tal proposito, la Corte nomofilattica, richiamando una lettura combinata degli artt. 58 e 59 della L. n. 689/1981, detta una chiara indicazione circa il dovere del giudice di procedere alla sostituzione, laddove sussistano i presupposti normativi.
Le norme de quibus stabiliscono, in vero, come il giudice, tenuto conto dei criteri di cui all’art. 133 c.p., se non ordina la sospensione condizionale della pena, possa applicare le pene sostitutive della pena detentiva quando risultano più idonee alla rieducazione del condannato e quando, anche attraverso opportune prescrizioni, assicurano la prevenzione del pericolo di commissione di altri reati, salvo il caso in cui sussistano fondati motivi per ritenere che le prescrizioni non saranno adempiute dal condannato.
È la stessa norma a prevedere, inoltre, che, nella scelta della pena sostitutiva, il giudice debba tenere conto delle condizioni legate all’età, alla salute fisica o psichica, alla maternità/paternità, alla esistenza di particolari patologie o dipendenze.
La scelta deve ricadere, in ogni caso, sulla pena sostitutiva che appaia più idonea alla rieducazione ed al reinserimento sociale del condannato, con il minor sacrificio della libertà personale.
La sentenza è chiara nell’affermare come il rinvio all’art. 133 c.p., contenuto nell’art. 58 della L. 689/1981, debba essere letto in stretta connessione con il successivo art. 59 che, nel prevedere le condizioni soggettive per la sostituzione della pena, in realtà riconosce quali condizioni ostative circostanze tutte relative al reato per cui si procede; con ciò, in sostanza, arrivando ad affermare – e questo è il cuore del pronunciamento – come la sussistenza di precedenti condanne a carico dell’imputato non possa essere ritenuta ex se elemento ostativo alla concessione delle pene sostitutive.
Ad avviso della sentenza, dunque, la discrezionalità del giudice di cognizione nella scelta e nella applicazione delle pene sostitutive, incontra un limite ben preciso, implicitamente fissato dallo stesso legislatore, che ha stabilito, quali condizioni ostative, circostanze che appaiono del tutto indipendenti dalla negativa personalità desumibile dai precedenti penali.
Questa sentenza va a colmare quelle lacune interpretative emerse da precedenti pronunce che, soffermandosi sui poteri discrezionali attribuiti al giudice dalla novellata disciplina, li ritenevano significativi e pienamente coerenti con la ratio generale di questa parte della riforma che, nella duplice prospettiva della lotta alla detenzione di breve durata e dell’effettività del finalismo rieducativo della pena, invita il giudice a prestare maggiore attenzione al vissuto del reo.
In quest’ottica interpretativa, la Corte di Cassazione, con la sentenza oggi esaminata, prosegue precisando, da una parte, come la disciplina delle pene sostitutive sia immediatamente applicabile anche ai giudizi pendenti in fase di appello e, dall’altra parte, come il giudice di appello sia tenuto a procedere ad una attenta valutazione delle condizioni per la concessione delle pene sostitutive, per non incorrere nei vizi, censurabili in sede di legittimità, della inosservanza o non corretta applicazione della legge penale e della illogicità, carenza o contraddittorietà motivazionale.
In sostanza, tanto il giudice di cognizione, quanto il giudice di appello ritualmente investito della questione della applicabilità delle pene sostitutive con la sentenza di condanna di primo grado, sono tenuti ad effettuare una accurata analisi, a partire dai criteri direttivi di cui all’art. 133 c.p.
- L’art. 545-bis c.p.p. ed il ruolo della magistratura di Sorveglianza in fase di esecuzione della pena sostitutiva.
La sentenza esaminata conclude il proprio approfondito excursus soffermandosi sul ruolo della magistratura di sorveglianza alla luce della nuova disciplina, laddove venga comminata condanna ex art. 545-bis c.p.p., ancora richiamando la L. 689/1981 e le previsioni dettate dagli artt. 62, 63 e 66.
A stare alla nuova previsione normativa, in vero, il Giudice della cognizione effettua delle valutazioni, anche personologiche, sull’imputato che, in tempo antecedente alla riforma, trovavano ampio spazio esclusivamente nella fase della esecuzione della pena, di competenza della magistratura di sorveglianza, posto che, in questa fase, il divieto di effettuare uno scandaglio sulla personalità dell’imputato viene meno per espressa previsione normativa, laddove, per la predisposizione di un trattamento individualizzato tendente alla rieducazione del condannato, così come per una diagnosi di pericolosità funzionale all’applicazione di una misura alternativa alla detenzione, è prevista dalla legge un’osservazione scientifica della personalità.
Come detto, nel nuovo scenario delineato dall’art. 545-bis c.p.p., le pene sostitutive sono immediatamente esecutive dopo il giudicato: alle pene sostitutive non si applicano né la sospensione condizionale della pena, né la sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 656, co. 5, c.p.p. finalizzata alla richiesta di una misura alternativa alla detenzione, che potrà essere eventualmente chiesta, nella forma dell’affidamento in prova al servizio sociale, dopo l’espletamento di almeno metà della pena sostitutiva.
Il passaggio di consegne al giudice della cognizione e, dunque, lo spostamento alla fase della cognizione di quelle che erano misure alternative alla detenzione, determina un ampliamento dell’oggetto del processo penale, per ricomprendere una più approfondita indagine sulla personalità dell’imputato e la formulazione di ipotesi trattamentali dei condannati.
Più ampi poteri di osservazione personologica sull’imputato sono, allora, riconosciuti al Giudice del merito e ciò ha portato ad interrogarsi anche sul ruolo che il Tribunale di Sorveglianza sia destinato a svolgere in relazione a questo genere di condanne, giacché esso interviene laddove si rendano necessarie delle modifiche o delle integrazioni del programma dell’U.E.P.E., per come applicato in concreto dal giudice della cognizione, che decide non solo in tema di responsabilità penale dell’imputato, ma anche di applicazione della pena sostitutiva.
Attraverso tale meccanismo, funzionale ad impiegare le risorse necessarie all’elaborazione del programma trattamentale ed all’individuazione della giusta pena sostitutiva solo allorché necessario, vi sarebbe un risparmio di tempi nella fase esecutiva, con il superamento della sospensione condizionale della pena e della sospensione dell’ordine di esecuzione ex art. 656, co. 5, c.p.p., finalizzata alla richiesta di una misura alternativa alla detenzione.
L’unica, concreta decisione circa la pena effettiva da applicare e da espiare spetta al Giudice della cognizione, che – in prima battuta sostituendosi alla magistratura di sorveglianza – predispone le prescrizioni ritenute più adeguate alla personalità del soggetto destinatario della condanna ed alle sue esigenze, in vista della rieducazione e del reinserimento sociale.
In sostanza, lalegge delega – art.1, co.17, lett. c) legge nr.134/2021 – attribuisce al giudice di merito il potere di sostituire la pena detentiva anticipando alla fase della cognizione, a titolo di vera e propria pena, anche se sostitutiva, le forme di esecuzione extracarcerariache, nell’ordinamento penitenziario vigente, sono, come noto, definite quali misure alternative alla detenzione.
Sotto tale profilo, la Corte di legittimità, con il pronunciamento oggetto della presente disamina, ha precisato come la applicazione delle pene sostitutive nella fase dell’emissione del dispositivo di condanna non escluda il successivo intervento del magistrato di sorveglianza ovvero dell’ufficio esecuzione penale esterno, che, in concreto, sono chiamati a svolgere una funzione di garanzia e controllo, anche nell’ottica di un’eventuale revoca della pena sostitutiva, in caso di inosservanza o violazioni delle prescrizioni.
L’intervento del magistrato di sorveglianza o dell’U.E.P.E., ad avviso della Corte di Cassazione, infatti, assicura il controllo della corretta possibilità di applicazione e dell’esatto adempimento della pena sostitutiva direttamente disposta con la sentenza di condanna, senza che sia necessario procedere alla udienza c.d. di sentencing.
Al Tribunale di Sorveglianza, allora, è riservata, come detto, una funzione di controllo specifica, sia nel caso in cui non venga proposta impugnazione, sia nel caso in cui, in fase di esecuzione, il condannato faccia richieste specifiche in relazione alla modifica di alcune prescrizioni.
- Considerazioni conclusive.
Alla luce delle considerazioni sin qui svolte, con la sentenza in esame la Corte di Cassazione ha fornito una interpretazione della nuova disciplina di cui all’art. 545-bis c.p.p., che, toccando gli aspetti essenziali della riforma, con particolare riferimento al potere discrezionale riconosciuto al giudice della cognizione in relazione alla applicabilità della pena sostitutiva, ha colmato alcune pregresse lacune interpretative.
Nello specifico, la sentenza in commento ha riconosciuto l’importanza del potere discrezionale del giudice, individuandone al contempo i limiti, ed in particolare affermando come sul giudice che emette la sentenza ad una sanzione inferiore ad anni quattro gravi l’onere di valutare la possibile applicazione di pene sostitutive, extracarcerarie, parimenti idonee ad assicurare la rieducazione del condannato e la prevenzione del pericolo di recidiva.
In questo quadro, dunque, il giudice è chiamato ad approfondire in concreto, molto più di quanto facesse prima, il vissuto e la personalità dell’imputato, posto che il potere discrezionale del giudice di cognizione, di cui parlava già l’art. 58 della L. n. 689/1981, si sostanzia – ad avviso del legislatore della riforma e della interpretazione nomofilattica – in un preciso obbligo di verificare la sussistenza delle condizioni oggettive e soggettive per disporre la sostituzione delle pene detentive brevi, ed è vincolato, per come a più riprese precisato dalla Corte di Cassazione, alla valutazione dei criteri di cui all’art. 133 c.p.
Ciò comporta che, ai fini della esclusione della sostituzione, non è sufficiente la sola presenza, in capo all’imputato, di precedenti condanne, essendo necessario un giudizio prognostico circa una pericolosità qualificata ed un concreto pericolo di violazione delle condizioni imposte; giudizio che, come detto, se adeguatamente motivato, è destinato a sfuggire al sindacato di legittimità.
Iolanda Vitolo
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GIURISPRUDENZA:
- Cass. sez. V penale, sentenza n. 43622 dell’11 luglio 2023 (dep. 27 ottobre 2023);
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- Cass., sez. I penale, sentenza n. 36252 del 30/06/2023 (dep. il 30/08/2023);
- Cass., sez. IV penale, sentenza n. 636 del 29/11/2023 (dep. 09/01/2024)