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Censum criminale. La non menzione non può formare oggetto d’accordo tra le parti

Abstract: La Cassazione afferma che l’accoglimento dell’accordo tra le parti in sede di patteggiamento o di concordato in appello non può essere subordinato alla non menzione nel casellario giudiziale. A questa soluzione giunge argomentando sul mancato richiamo di tale beneficio da parte dell’art. 444, co. 3 c.p.p.

The Supreme Court of Cassation, reasoning on the Article 444(3) CCP, affirms that the parties’ agreement cannot be conditioned to non-mention in the criminal record.

Sommario: 1. Svolgimento del processo. – 2. Motivi della decisione. – 3. A-condizione della non menzione.

  1. Svolgimento del processo
    La corte d’appello applica la pena concordata ai sensi dell’art. 599-bis c.p.p., concedendo la (richiesta) sospensione condizionale della pena. Avverso la pronuncia di seconde cure ricorre la difesa, lamentando violazione di legge per mancata disposizione della non menzione “come da accordo con il p.m.”, poiché “la norma prevede che il concordato raggiunto dalle parti deve essere accettato interamente dal giudice o, laddove ritenga di non poterlo accogliere, deve procedere oltre”.
  2. Motivi della decisione
    La Cassazione ritiene inammissibile la doglianza, perché promossa “in assenza delle condizioni di legge”. Nel caso di specie, infatti, la richiesta di concordato non è stata subordinata alla non menzione, bensì soltanto alla sospensione condizionale della pena (peraltro riconosciuta).
    Esiste, rilevano i giudici di legittimità, un contrasto giurisprudenziale sulla possibilità di subordinare il patto concordatario alla concessione dell’uno o dell’altro beneficio, ma tale diatriba è in verità “relativ[a] soprattutto alla sospensione condizionale della pena”. Avuto invece riguardo alla non menzione nel certificato del casellario giudiziale, si tratta – afferma la Suprema Corte – di un profilo ininfluente rispetto alla procedura de qua, dato che il codice di rito “nulla dice sul punto”. Di talché, sulla scorta di un’interpretazione-argomentazione letterale, Cass., Sez. III, 2 ottobre 2023, n. 39880 giunge a statuire che l’omessa considerazione della non menzione nel comma 3 dell’art. 444 – previsione che la giurisprudenza richiama altresì in materia di concordato – “sta a significare che la stessa non può considerarsi al pari della sospensione condizionale della pena e, conseguentemente, non può subordinarsi l’accordo ex art. 599-bis c.p.p. (o ex art. 444 c.p.p.) alla non menzione”.
    Legittima, pertanto, la decisione di secondo grado. Inammissibile, al contrario, il ricorso difensivo; con condanna al pagamento in favore della Cassa delle ammende e delle spese del procedimento ex art. 616 c.p.p.
  3. A-condizione della non menzione
    Lo stigma sociale è il tratto distintivo e più caratteristico del diritto penale (sostanziale o processuale, indifferentemente). Il marchio che s’imprime sul presunto reo sottoposto a procedimento, magari pure preventivamente assoggettato a misura cautelare, o sul condannato che sconta o che ha finalmente scontato la sanzione irrogatagli è un segno tipico soltanto dello ius criminale. Si tratta di una macchia che, in pratica, finisce per essere indelebile (1 ) e pervasiva. L’etichetta penalistica, invero, accompagna l’individuo in ogni sua situazione di vita poiché i riflessi infamanti, in certi casi amplificati mediaticamente, si riverberano nei contesti più disparati della società: dalla famiglia al lavoro, dai gruppi di amici ristretti alle più vaste cerchie di conoscenti ecc.
    Di questa vergognosa impronta – giuridicamente parlando – resta traccia ufficiale nel casellario giudiziale, curriculum legale della persona. Totalmente (verrebbe da dire: ontologicamente [v. nt. 1]) comprensibile è che il soggetto contrassegnato cerchi di sbarazzarsi dell’onta che lo segue, insegue e persegue. È tuttavia una scelta marcatamente politica quella di affrancare, da un punto di vista censorio, il passato giudiziario di un membro della collettività. Il censimento, anche quello delinquenziale, è una delle grandi passioni del potere: maggior conoscenza si traduce in maggior possibilità di previsione e di controllo; specie in un mondo info/data-orientato.
    Il legislatore italiano è parco – in realtà: non solamente il legislatore; e non solo in Italia si è parchi – nell’ampliare spazi di oblio o/e di occultamento in grado di ridurre l’incedere della bulimia informativa, per quanto dignitoso e meritevole di apprezzamento possa essere l’intento di fondo: quello di non inchiodare quel che si è e ciò che si fa oggi, così come quel che si sarà e ciò che si farà domani, esclusivamente a quel che si era e a ciò che si è fatto ieri.
    E la sentenza qui segnalata prende atto di questa generale impostazione politico-legislativa in una delle sue particolaristiche sfaccettature, facendosene latrice in una vicenda concreta. Anche nelle zone del “giusto processo” ove la natura prevalentemente accusatoria dell’itinerario procedurale riconosce alle parti poteri negoziali, il censum habere (stavolta criminalis) di Liviana memoria non rientra comunque nella disponibilità d’agere dell’accusa e della difesa. L’apparire, o meno, iscritto nel casellario giudiziale non è una condizione a cui può essere sottoposto il patteggiamento o il concordato in appello. La non menzione, insomma, non rientra nell’oggetto dell’accordo pattizio ai sensi dell’art. 444 o dell’art. 599-bis c.p.p.

( 1) L’evenienza che la stigmatizzazione divenga, di fatto, qualcosa di perenne va decisamente contro “la gran legge di distrazione, illusione e dimenticanza” (G. Leopardi, La strage delle illusioni, (a cura di) M. A. Rigoni, Milano, 1992, 53) secondo la quale, assieme a tante altre leggi di casualità e necessità, si manifesta – nelle sue infinite accezioni – la finitezza del vivere umano. L’uomo, nonostante e anzi proprio entro i limiti che gli sono connaturali, non è una volta per tutte ma è un divenire continuo e costante; e questo vale anche per la sua memoria, che si rinnova e si sfuma e si rigenera senza posa, pur mantenendo fermi gli elementi essenziali e fondativi di quella specifica individualità. È dunque umanamente incompatibile, a livello ontologico, un sistema che non consideri l’incessante svilupparsi del soggetto e che a esso non si adegui per tempo, avvinghiandolo piuttosto a un qualche episodio della vita che lo segna per sempre. Ai mutamenti dinamici della storia personale del reo deve necessariamente adattarsi, aggiornandosi appositamente, la storia legale iscritta nelle carte del casellario giudiziale.

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