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Con il recepimento della direttiva 2022/2464/UE (CSRD) in materia di rendicontazione di sostenibilità si può parlare di una nuova forma di falso in bilancio?

Il 25 settembre del 2024 è entrato in vigore il D. Lgs. 6 settembre 2024, n. 125, con il quale il Governo, delegato dal Parlamento con la legge del 21 febbraio 2024 n. 15, ha recepito la direttiva 2022/2464/UE del 14 dicembre 2022, in materia di Corporate Sustainability Reporting (c.d. direttiva CSRD).

L’intervento normativo impone a grandi imprese, grandi gruppi di imprese e piccole e medie imprese con valori mobiliari ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati (sono escluse le microimprese, anche se quotate), di redigere su base individuale e consolidata una relazione contenente informazioni di sostenibilità, secondo gli standard adottati e in corso di adozione da parte della Commissione Europea.

La finalità del legislatore europeo e nazionale è quella di indurre i soggetti destinatari dei nuovi obblighi a fornire agli stakeholders una visione più ampia, integrata e realistica dell’impresa e del suo approccio alle tematiche ESG.

La dichiarazione di sostenibilità diviene parte integrante della relazione sulla gestione di cui all’art. 2428 c.c., che sarà corredata da una sezione apposita. Le modalità e le tempistiche del nuovo flusso informativo, pertanto, saranno quelle previste per l’approvazione e la pubblicazione dei tradizionali documenti patrimoniali ed economico-finanziari delle imprese.

La novella suggerisce la necessità di un’attenta riflessione sulle attribuzioni e sulle competenze degli organi gestori e di controllo dell’impresa nelle questioni di sostenibilità. Non a caso le competenze degli amministratori in questa materia sono parte delle informazioni da comunicare ai sensi degli articoli 3 e 4 del nuovo decreto.

Non solo. È inevitabile che, all’alba del novo assetto normativo, il pensiero vada all’eventuale rilevanza penale di una rendicontazione di sostenibilità contenente dati non rispondenti al vero, alla stregua dell’attuale disciplina delle false comunicazioni sociali di cui agli artt. 2621 e 2622 del codice civile.

Il tema si era posto già all’epoca dell’entrata in vigore del D. Lgs. 30 dicembre 2016, n. 254 (attuativo della Direttiva 2013/34/UE), che imponeva agli «enti di interesse pubblico» (secondo la definizione di cui all’art. 16 co. 1 del D. Lgs. 27 gennaio 2010, n. 39[1]) obblighi di comunicazione delle informazioni di carattere non finanziario.

Il D. Lgs. n. 125 del 2024 ha espressamente abrogato la precedente disciplina (art. 17 co. 3), sostituendone anche l’apparato sanzionatorio. Un dato non irrilevante ai fini della questione sull’applicabilità del falso in bilancio.

L’art. 8 co. 4 del D. Lgs. n. 254 del 2016 prevedeva, infatti, sanzioni amministrative pecuniarie per gli amministratori e i componenti dell’organo di controllo in caso di dichiarazioni individuali o consolidate di carattere non finanziario che contenessero fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero o che omettessero fatti materiali rilevanti, con riferimento agli obblighi di comunicazione di cui agli artt. 3 e 4 del medesimo decreto.

La presenza della clausola di salvezza «salvo che il fatto costituisca reato» e la scelta di riprodurre l’espressione «fatti materiali rilevanti», propria delle fattispecie incriminatrici di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c., potevano avallare l’ipotesi che la normativa penale sulle false comunicazioni sociali fosse applicabile anche alle comunicazioni dei dati non finanziari.

Certo l’adattabilità della disciplina codicistica alle informazioni di carattere non finanziario si presentava (e si presenta tuttora) ardua, non tanto a causa dei requisiti di materialità e rilevanza delle informazioni richiesti dalla fattispecie penale, quanto piuttosto per la difficoltà di proiettare le informazioni di carattere non finanziario sulla situazione economica, patrimoniale o finanziaria della società; di dare cioè un significato strettamente economico – in termini di solidità patrimoniale, capacità reddituale, equilibrio finanziario delle imprese – a dati chenon necessariamente ne sono provvisti[2].Spesso, poi, la relazione tra dati di sostenibilità e dati economici è solo indiretta e oggetto di valutazioni non prive di margini discrezionali.Questa difficoltà di “traduzione” è acuita dall’assenza di criteri consolidati in materia di connettività tra bilancio e report di sostenibilità.

In altre parole, l’argomento maggiormente ostativo a ritenere applicabile la disciplina tradizionale era ed è la necessità di garantire il rispetto del principio di legalità, evitando l’applicazione analogica in malam partem[3] di una norma pensata per ambiti di tutela assai più specifici e circoscritti rispetto a quello in esame[4].

Alla luce della nuova disciplina non pare possa pervenirsi a conclusioni diverse. Al contrario. Il percorso di approvazione del nuovo testo sembra suggerire che su questo tema il legislatore abbia preferito fare un passo indietro.

Innanzitutto, l’apparato sanzionatorio, previsto dall’art. 10 co. 2 del nuovo decreto, è stato confinato alle sole imprese con valori mobiliari ammessi alla negoziazione su mercati regolamentati (sono state escluse, quindi, le grandi imprese non quotate).

La vigilanza sull’adempimento degli obblighi di rendicontazione di sostenibilità è stata affidata a Consob. Le sanzioni per l’inosservanza del co. 1 quater dell’art. 154 ter del D. Lgs. 24 febbraio 1998, n. 58 (testo unico delle disposizioni in materia di intermediazione finanziaria), introdotto dall’art. 12 lett. e) del nuovo decreto, sono quelle amministrative pecuniarie di cui all’art. 193 co.1, 2 e 3 del TUF. Si prevede un tetto all’importo massimo delle sanzioni irrogabili per i primi due anni dall’entrata in vigore del D. Lgs. n. 125 del 2024, per assecondare la gradualità dell’adattamento ai nuovi obblighi.

L’art. 193 del TUF fa salva l’ipotesi che il fatto (i.e. l’inosservanza degli obblighi introdotti dal co. 1 quater dell’art. 154 ter del TUF, cioè quelli relativi alla rendicontazione di sostenibilità) costituisca reato, aprendo quindi alla rilevanza penale di eventuali abusi.

Tuttavia, il legislatore non ha riprodotto l’opzione lessicale propria della fattispecie di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. («fatti materiali rilevanti non rispondenti al vero») che era stata utilizzata per l’art. 8 del d. lgs. 256 oggi abrogato.

Non solo. Nello schema di decreto pubblicato dal Governo per la consultazione pubblica il 16 febbraio 2024, l’art. 10 co. 2 conteneva una clausola di estensione espressa delle fattispecie di falso in bilancio alle violazioni concernenti gli obblighi di cui al decreto stesso: «Per le violazioni degli obblighi derivanti dal presente decreto si applicano gli articoli 2621, 2622 e 2630 del codice civile». Tale disposizione non è stata riprodotta nel testo definitivo approvato.

Su questo punto, il documento per la consultazione pubblica invitava i partecipanti a trasmettere le osservazioni in merito alle due alternative prospettate con riferimento al sistema sanzionatorio.

All’impostazione scelta per lo schema di decreto, di estensione della disciplina penale del falso in bilancio alla rendicontazione di sostenibilità si affiancava un alternativa che, tenendo conto «dei profili innovativi della materia, della natura peculiare delle informazioni di sostenibilità̀ e, in particolare, degli oneri connessi all’adempimento dei nuovi obblighi di trasparenza soprattutto per le piccole e medie imprese» intervenisse «direttamente sulle disposizioni contenute nel TUF per garantire una maggiore coerenza e chiarezza normativa»[5].

L’esito della consultazione, che ha visto molte associazioni di categoria e lo stesso Consiglio Nazionale dei Dottori Commercialisti e degli Esperti Contabili esprimere forte preoccupazione per un approccio estensivo del sistema sanzionatorio penale tradizionale, ha verosimilmente indotto il Governo a fare un passo indietro, eliminando la clausola di estensione del falso in bilancio dal testo definitivo dell’art. 10 e delimitando l’aspetto sanzionatorio alla previsione delle sanzioni amministrative di cui all’art. 193 TUF, così circoscrivendo il sistema sanzionatorio al contesto delle società quotate, in sostanziale continuità con la normativa in materia di dichiarazioni non finanziarie abrogata.

La scelta legislativa non può che deporre in senso dirimente verso la non applicabilità delle fattispecie di cui agli artt. 2621 e 2622 c.c. ai casi di rendicontazione di sostenibilità contenente fatti materiali non rispondenti al vero; quantomeno allo stato della normativa vigente.

Ciò non significa, ovviamente, irrilevanza penale tout court. Per il contesto delle società quotate, ad esempio, la diffusione di notizie false potrebbe comunque rilevare ai sensi dell’art. 185 del TUF (manipolazione del mercato), tenuto conto della pubblicità delle informazioni veicolate nella rendicontazione di sostenibilità e della loro potenziale price sensitivity; ciò a prescindere dall’applicabilità degli artt. 2621 e 2622 del codice civile.

In conclusione, per il sistema sanzionatorio si è scelto un approccio graduale, che non penalizzasse eccessivamente le imprese, specie quelle per le quali gli obblighi di comunicazione sulle questioni di sostenibilità rivestono carattere di assoluta novità.

D’altro canto, l’estensione sic et simpliciter della disciplina penale delle false comunicazioni sociali avrebbe potuto creare non pochi dubbi interpretativi, soprattutto sul terreno assai scivoloso della distinzione tra fatti e valutazioni, dove per le questioni di sostenibilità, a differenza di quelle finanziarie/contabili, mancano ancora criteri consolidati.

Marco Landolfi


[1] In breve, società quotate, banche, imprese di assicurazione e riassicurazione.

[2] Accinni G.P., Rilevanza penale delle falsità̀ nei cd. non financial statements?, in La Responsabilità amministrativa delle società e degli enti, 2018, fasc. 1, p. 45.

[3] Simbari A., Bilanci di sostenibilità, oltre ai rischi ci sono opportunità per i board, in www.milanofinanza.it/news/bilanci-di-sostenibilita-oltre-ai-rischi-ci-sono-opportunita-per-i-board-202408121914597985

[4] Campeis, C., Pratiche ESG, le conseguenze delle dichiarazioni non veritiere, in https://ntplusdiritto.ilsole24ore.com/art/pratiche-esg-conseguenze-dichiarazioni-non-veritiere-AFgqjC4B

[5] Cfr. f. 6 del documento per la consultazione pubblica.

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