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Configura il delitto di percosse e non quello di abuso del mezzo correttivo la condotta dell’insegnante che spinga la testa dell’alunno verso il water

Cass. pen., sez. VI, 3 marzo 2022, dep. 6 aprile 2022, n. 13145 – Presidente Criscuolo, Relatore De Amicis, P.M. Ceniccola

Con la pronunzia che qui brevemente si annota, la Corte di cassazione interviene sul tema dell’abuso di mezzi di correzione e disciplina, fattispecie di cui all’art. 571 c.p., e alla sua operatività rispetto al caso in cui l’insegnante di scuola primaria, a fronte di un diverbio inopportunamente innescato dall’alunno, reagisca, per fini educativi, tentando di spingere quell’alunno con la testa nel water del bagno presente nell’istituto scolastico.

Contrariamente alle conclusioni dei giudici di merito di primo e secondo grado, che avevano condannato l’imputata, insegnante di scuola elementare, per la violazione dell’art. 571 c.p., il giudice della nomofilachia – recependo il ricorso del difensore – ha annullato la sentenza della corte d’appello e condannato l’imputata riqualificando la condotta nel delitto di cui all’art. 581 c.p.

La sesta Sezione, in linea con un sedimentato indirizzo di legittimità, ha affermato che il reato di cui all’art. 571 c.p. si fonda sull’ «eccesso di mezzi giuridicamente leciti che può trasformare l’uso in abuso, avendo il legislatore delineato i tratti identificativi della condotta sulla base di un modello di incriminazione che essenzialmente valorizza la precondizione della liceità del mezzo impiegato».

Posto che il delitto in parola trova la sua ragion d’essere sul travalicamento del perimetro entro cui un mezzo correttivo è ammesso dall’ordinamento, occorre innanzitutto che la condotta perfezionata dall’educatore trovi la propria legittimazione, in astratto, nel sistema giuridico, e in secondo luogo che vi sia un utilizzo errato della metodica, in quanto la stessa trasmodi nell’abuso in ragione della arbitrarietà o intempestività della sua applicazione o dell’eccesso nella misura o, infine, della sproporzione rispetto al bisogno educativo o disciplinare del soggetto passivo, senza tuttavia attingere a forme di violenza né fisica né psicologica (Cass., sez. VI, 22 ottobre 2014, n. 53425; M. Lo Giudice, Maltrattamenti in famiglia “condizionati e motivati” dalle componenti (sub)culturali del reo, in Dir. fam. e pers., 2015, 4, p. 1376).

L’assunto è retto dalla valorizzazione della dignità della persona e del percepibile conflitto tra il bisogno educativo, che tende allo sviluppo armonico della persona, e l’uso di mezzi che contrastano con questo scopo (Cass., sez. VI, 18 marzo 1996, n. 4904, in Giust. pen., 1997 II, 1, p. 549, con nota di Monari). Inoltre, quanto all’educazione dei minori, si richiama la Convenzione ONU sui diritti dell’infanzia e dell’adolescenza, approvata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite il 20 novembre 1989 e ratificata dall’Italia con legge n. 176 del 27 marzo 1991.

Deve quindi ritenersi che, ove vengano utilizzati mezzi illeciti, e non strumenti leciti adoperati fuori dal perimetro di adeguatezza e proporzione, occorrerà rintracciare nell’ordinamento fattispecie incriminatrici diverse eventualmente applicabili al fatto storico.

Con precipuo riguardo all’educazione nelle scuole da parte degli insegnanti, la Corte correttamente evidenzia che gli ordinamenti scolastici escludono le punizioni consistenti in atti di violenza fisica, e ritiene superabile e subvalente l’orientamento di legittimità secondo cui «integra il reato [di cui all’art. 571 c.p., ndr] il comportamento dell’insegnante che faccia ricorso a qualunque forma di violenza, fisica o morale, ancorché minima ed orientata a scopi educativi» (Cass., sez. VI, 3 febbraio 2016, n. 9954, CED 266434). In effetti, come sancito a più riprese dalla stessa Corte di legittimità, tra le sanzioni scolastiche legittimamente praticabili dagli insegnanti, oltre a quelle espressamente richiamate nella disciplina di settore, rientrerebbero non certo le ingerenze corporali, piuttosto l’esclusione temporanea dalle attività ludiche o didattiche e gli obblighi di condotte riparatorie, oltre alle forme non riservate di rimprovero (Cass., sez. VI, 21 gennaio 2020, n. 11777, CED 278744).

L’aggressione fisica dell’insegnante in danno dell’alunno, sebbene orientato a scopi correttivi, non rientra – in definitiva – nel tessuto letterale dell’art. 571 c.p. ma, a seconda dei casi, in quello degli artt. 581 e 582 c.p., o di norme incriminatrici di volta in volta di potenziale rilievo (es. art. 572 c.p.; sul punto, Cass., sez. VI, 28 giugno 2017, n. 40959, in De Jure).

La pronunzia qui annotata appare del tutto condivisibile, e conferma la sedimentazione giurisprudenziale in ordine all’insanabile conflitto tra la violenza fisica e l’educazione nelle scuole (cfr. Cass. sez. VI, 15 settembre 2021, n. 41745; Cass., sez. VI, 15 febbraio 2017, n. 11956).

Tuttavia, a parere di chi scrive, sembra ancora non definitivamente evidenziata dalla giurisprudenza di legittimità la frattura tra la fattispecie incriminatrice in esame, da un lato, e l’uso della violenza in famiglia e delle ingerenze corporali nelle scuole dall’altro.

Sotto il primo versante, la difficoltà di escludere totalmente l’applicazione di forza fisica dai metodi correttivi praticabili dai genitori nei confronti dei figli deriva dal silenzio del legislatore in ordine alle modalità esplicative del potere educativo dei primi, consacrato negli artt. 30 Cost. e 147 c.c. e dalla considerazione per cui non sarebbe concepibile la genesi del pericolo della malattia nel corpo o nella mente, evento di cui all’art. 571 c.p., senza l’utilizzo, a monte, della violenza quale mezzo correttivo (Pittaro, Linee di tendenza nella tutela penale del minore, in Dir. pen. proc., 1997, p. 74; Figiaconi, Abuso dei mezzi di correzione e maltrattamenti in famiglia: revirement della Corte di Cassazione, ivi, 1996, p. 1137).

Si è dunque preso atto – in una logica di compromesso tra il testo immutato della norma e il progresso della scienza pedagogica – che nei nuclei familiari l’educazione transita anche attraverso forme di proibizione, le quali sovente non possono attuarsi senza una minima invasione della corporeità dell’individuo, ammettendosi così la cosiddetta vis modicissima quale strumento educativo lecito; sicché l’art. 571 c.p. verrebbe in rilievo quando tale leggera forma di ingerenza sia usata in maniera intempestiva, eccessiva, o in assenza di un reale bisogno educativo, così da sortire il rischio vietato (Cass., sez. VI, 7 novembre 1997, dep. 1998, n. 3789, CED 211942; evidenzia l’inattualità della norma incriminatrice Y. Parziale, Il ruolo della vittima del reato tra diritto e neuroscienze. Il caso dei minori, in Cass. pen., 2020, 5, p. 2139).

Tuttavia, in alcuni casi la giurisprudenza di legittimità, anche recente, ha deciso non tenendo conto di tali riflessioni e facendo rientrare nell’alveo funzionale della fattispecie ex art. 571 c.p. anche la vera e propria punizione corporale inflitta dal genitore nei confronti del figlio, ciò che dovrebbe costituire, in linea con il solco tracciato dalla sentenza qui commentata, il reato di percosse o lesioni (Cass., sez. VI, 21 settembre 2016, dep. 2017, n. 2669, in Cass. pen., 2017, 5, p. 1886, con nota critica di F. Lombardi).

Va tuttavia dato atto di un più recente orientamento, di segno contrario, che pare correttamente traghettare sotto l’egida di altre e più severe norme incriminatrici la condotta del padre che percuota il figlio per fini di istruzione (Cass., sez. V, 12 febbraio 2021, n. 13067).

Così come alcune perplessità suscitano le pronunzie della Corte di legittimità in tema di aggressioni corporali dell’insegnante verso l’allievo, le quali vengono fatte rientrare nella figura dell’abuso di mezzi correttivi sebbene esse non consistano nella esasperazione di metodiche lecite ma nell’uso di mezzi del tutto vietati dall’ordinamento di settore.

In effetti con pronunzie recenti sono state incluse nella norma incriminatrice in parola sia – in un più ampio contesto fatto di scherno e umiliazioni – le percosse inflitte dall’insegnante agli alunni, anche con l’uso di oggetti (Cass., sez. VI, 19 gennaio 2021, n. 7011), sia la punizione consistente nel sottoporre l’alunno indisciplinato a sputi sul corpo da parte degli altri alunni a ciò istruiti (Cass., sez. VI, 7 luglio 2021, n. 37642, in Il Penalista, 30.11.2021, con nota critica di F. Lombardi; v. anche, più di recente, Cass., sez. VI, 28 settembre 2021, n. 37080, in Dir. e giust., 2021, 196, p. 6, con nota di A. Ievolella).

Concludendo questa breve annotazione, risultano del tutto apprezzabili i principi di diritto espressi dalla Corte di cassazione con la sentenza annotata, sia con riguardo alla espunzione delle aggressioni fisiche e delle violenze psicologiche dal raggio di applicazione dell’art. 571 c.p., sia con riguardo all’affermazione che intanto può operare il delitto di abuso di mezzi disciplinari in quanto l’espediente adoperato rientri in astratto tra quelli ammessi dal sistema giuridico e il soggetto agente ne abbia fatto uso in maniera inappropriata, poiché arbitraria, eccessiva, intempestiva o sproporzionata rispetto al contesto di impiego e all’esigenza educativa palesata dal destinatario.

Condivisibile, inoltre, in materia di educazione nelle scuole, l’enunciazione esemplificativa (e, deve ritenersi, complementare rispetto a quelle – eventualmente ulteriori – rinvenibili nella legislazione di settore) delle sanzioni adottabili dall’insegnante, in specie l’esclusione dalle attività didattiche o ludiche, l’obbligo di condotte riparatorie e le forme di rimprovero non riservate.

Secondo chi scrive, residuerebbe da affermare, a chiusura del cerchio, la decisa eliminazione dal campo operativo del delitto in esame della violenza del genitore nei confronti del figlio, laddove essa non si sostanzi in una vis modicissima applicata in maniera irrazionale, e delle aggressioni o umiliazioni ad impatto corporale poste in essere dall’insegnante nei confronti dell’allievo; infatti, stando alla principale massima secondo cui il presupposto del reato è la liceità del mezzo correttivo, utilizzato in maniera abusiva, non può ritenersi né che l’aggressione fisica faccia parte delle metodiche ammesse dal sistema giuridico e dalla scienza pedagogica, né che tra le reazioni legittime dell’insegnante vi siano le umiliazioni dell’alunno condotte mediante punizioni ad impatto corporale.

Per leggere la sentenza della Cassazione, cliccare QUI

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