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Corte di Giustizia sui tabulati: soluzioni contrastanti

Il 2 marzo 2021 la Corte di Giustizia – Grande Sezione– ha pronunciato una importante decisione relativa al rinvio pregiudiziale sollevato dalla Corte Suprema dell’Estonia. Il tema riguarda i tabulati telefonici e telematici con riferimento al trattamento dei dati personali e alla tutela della vita privata[1], alla luce dei diritti fondamentali dell’Unione europea fissati nella Carta di Nizza[2].

La Corte ha stabilito che la Carta deve essere interpretata a) nel senso di circoscrivere l’accesso della pubblica autorità ai dati di traffico e posizione, ai casi in cui vengano perseguiti gravi reati di criminalità e gravi minacce alla sicurezza pubblica; b) l’accesso dell’autorità pubblica a tali dati è di competenza di un soggetto terzo, non il pubblico ministero, dunque, laddove diriga l’istruttoria e sia preposto all’esercizio dell’azione penale.

La sentenza ha sollevato una riflessione sul nostro sistema processuale e sulle possibili ricadute, anche di natura ordinamentale. Allo stato l’acquisizione dei tabulati è disposta dal pubblico ministero secondo le disposizioni del Codice della Privacy[3] .

Il 1 aprile 2021, con tempestiva risposta politica, è stato presentato un ordine del giorno, inserito nella trattazione della approvazione della legge europea, che impegna il Governo ad adeguare la normativa italiana alle disposizioni della direttiva 2002/58 conformemente all’interpretazione della Corte di Giustizia “apportando le opportune modifiche al codice di procedura penale e al codice in materia di protezione dei dati personali prevedendo tra l’altro che l’accesso del pubblico ministero ai dati sia subordinato all’ autorizzazione del giudice.” L’ordine del giorno ha ricevuto parere favorevole.

Frattanto, tuttavia, nei palazzi di Giustizia si è posto il tema della diretta operatività della decisione della Corte lussemburghese.

A Roma sono state date soluzioni differenti alle richieste dei pubblici ministeri di autorizzazione alla acquisizione di tabulati telefonici rivolte al Gip.

Una prima decisione   ha ritenuto di disapplicare la norma interna, per sopravvenuto contrasto con la normativa dell’Unione,  ed ha autorizzato l’accesso ai tabulati in ragione della ritenuta sussistenza dei presupposti enucleati dalla normativa dell’Unione europea.

Il giudice ha individuato il criterio per definire la “categoria delle ‹‹forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica›› indicata dalla Corte di Giustizia quale indispensabile condizione per rendere proporzionata (giustificata) l’acquisizione dei dati” con il rinvio integrale ai reati previsti nel catalogo dettato dagli articoli 266 c.p.p. 2 6 bis c.p.p.

Ha evidenziato, inoltre, che “la Corte di Giustizia ha assegnato un valore dirimente, nell’individuazione dell’autorità giudiziaria competente, al requisito di terzietà” …  “che per definizione non può che attribuirsi al Giudice.

L’inedito ed incisivo richiamo al requisito di neutralità nei confronti delle parti del giudizio, secondo questa decisione è idoneo a “superare le osservazioni che il giudice di legittimità in precedenti arresti (Cass. dicembre 2019, n. 5741, Dedej Erwin; Cass. 24 aprile 2018, n. 33851, Monti), aveva contrapposto alle pronunce della Corte di giustizia (sentenze del giorno 8 aprile 2014 digital right Ireland e del 21 dicembre 2016 Tele2 Svezia) avendo ivi ribadito l’indiscussa autorità di autorità giudiziaria del pubblico ministero la conformità della disciplina dell’art. 132 D.Lgs. 196/2003 al diritto sovranazionale in tema di tutela della privacy.”

Al contrario, altro Gip di Roma, con decreto  di non luogo a provvedere sull’istanza del p.m.,  ha ritenuto che “le interpretazioni proposte dalla citata sentenza Corte di giustizia Unione europea n. 746/2018 del 2 marzo 2021 non possano avere effetti applicativi immediati e diretti, per la indeterminatezza, nella sentenza, del riferimento alle ipotesi in cui i dati di traffico telematico e telefonico possono essere acquisiti, riferimento genericamente operato ai casi di ‹‹lotta contro le forme gravi di criminalità›› o di ‹‹prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica››, casi la cui concreta declinazione non può che ritenersi demandata (e viene di fatto demandata dalla sentenza), in forza dei principi interpretativi della normativa Ue, alla legge nazionale e non alla elaborazione giurisprudenziale.”

Le considerazioni svolte inducono il giudice a concludere che debba continuare a trovare applicazione l’articolo 132 del codice privacy, in attesa dell’intervento del legislatore che specifichi quale sia l’autorità in concreto preposta ad effettuare il controllo, sia la procedura da seguire, non potendo il giudice autoattribuirsi una competenza non prevista dalla legge.

Ad analoga conclusione giunge un altro decreto di non luogo a provvedere in cui si riconosce alle sentenze sovranazionali ” l’efficacia immediata e diretta delle interpretazioni che indicano solo laddove per effetto di tali interpretazioni non residuino negli istituti giuridici regolati concreti problemi applicativi e profili di discrezionalità che richiedano necessariamente l’intervento del legislatore nazionale , e ciò tanto più laddove si tratti di interpretazione di norme contenute in Direttive”.

Il giudice individua tre statuizioni necessarie ad accogliere la richiesta del PM che ritiene di demandare al legislatore: “a) che per effetto della sentenza CGUE 2.3.2021 citata l’autorizzazione debba venire da una Autorità giurisdizionale e non da una Autorità Amministrativa indipendente (da un “Garante”) ; b ) che quell’Autorità giurisdizionale è il GIP ( dovendosi poi stabilire se lo debba essere solo in quanto “giudice che procede” nel senso di cui all’art. 279 cpp o se lo debba essere per tutto il procedimento penale (come a dati effetti previsto ad es. nella disciplina del MAE e dell’Amministrazione Giudiziaria ) ; c ) quali siano i procedimenti che rientrano nella classe “procedure aventi per scopo la lotta contro le forme gravi di criminalità o la prevenzione di gravi minacce alla sicurezza pubblica”, andando a formare con criteri del tutto discrezionali – che potrebbero variare da sede a sede come è fisiologico che accada nella giurisdizione — il catalogo dei reati in relazione ai quali l’autorizzazione può essere concessa , magari con creativi rimandi ( alternativi?, congiunti?) a quelli di cui agli artt. 266 , 407 comma 2 lettera a), 51 commi 3 bis, 3 ter e 3 quater cpp”

A Milano, i giudici del collegio investito da una questione di inutilizzabilità dei tabulati acquisiti dal p.m., sollevata dalla difesa, ha rigettato la questione.

L’ordinanza muove dalla affermazione di una differenza sostanziale tra la figura del pubblico ministero estone e il suo corrispondente italiano. Sottolinea la Corte come “l’attività di acquisizione- per finalità di accertamento repressione dei reati- dei dati relativi al traffico telefonico col cd tabulati è condizionata alla presentazione di una mera richiesta non soggetta particolari requisiti di forma”.

Si rileva che poiché “in sintesi la normativa estone riconosce alla sola autorità giudiziaria la facoltà di richiedere l’acquisizione dei dati relativi al traffico telefonico e subordina l’esercizio di tale facoltà a una richiesta mera che non soggiace ad alcun obbligo di motivazione e non richiede l’adozione di cautele sul piano sostanziale e procedurale atte a garantire il contemperamento delle esigenze di tutela della privacy e a scongiurare rischi di abusi”, pertanto, il collegio “reputa che le censure mosse da parte della Corte di Giustizia alla normativa estone in tema di cd data retention e acquisizione dei tabulati telefonici per finalità di giustizia non possano ritenersi valevoli anche per la normativa italiana, le relative legislazioni niente affatto sovrapponibili o similari” .

Infine, il collegio ha ritenuto illegittima una applicazione retroattiva del nuovo filone ermeneutico, secondo il principio interpretativo per cui “non è consentita l’applicazione retroattiva dell’interpretazione giurisprudenziale di una norma penale, allorquando il risultato interpretativo non era ragionevolmente prevedibile nel momento in cui la violazione è stata commessa”.

Da ultimo, il collegio del tribunale di Rieti, investito da questione di legittimità costituzionale per contrasto della disciplina nazionale in materia con la normativa ai principi euro unitari fissati nella sentenza della Corte di giustizia, ha ritenuto di disporre nuovo rinvio pregiudiziale alla Corte di Giustizia dell’Unione europea in ragione della “criticità applicativa” dei principi elaborati dalla Corte di Giustizia.

Le questioni pregiudiziali sono così formulate:

  • “se l’articolo 15 paragrafo 1 della direttiva 2002/58, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11, nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della carta di Nizza, in forza anche dei principi stabiliti dalla stessa CGUE nella sentenza del 2 Marzo 2021 nella causa c- 746/18, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, prevista dall’articolo 132, comma 3 del decreto legislativo n. 196 /2003, la quale rende il pubblico ministero, organo dotato di piene e totali garanzie di indipendenza e autonomia come previsto dalle norme del titolo IV della Costituzione italiana, competente a disporre, mediante decreto motivato, l’acquisizione dei dati relativi al traffico e dei dati relativi all’ ubicazione ai fini di un’istruttoria penale”;
  • “nel caso in cui sia data risposta negativa, se sia possibile fornire ulteriori chiarimenti interpretativi riguardanti una eventuale applicazione irretroattiva dei principi stabiliti nella sentenza del 2 Marzo 2021, causa C-746/18, tenuto conto delle preminenti esigenze di certezza del diritto nell’ambito della prevenzione, accertamento e contrasto di gravi forme di criminalità o minacce alla sicurezza;
  • “se l’articolo 15, paragrafo 1, della direttiva 2002 /58, letto alla luce degli articoli 7, 8 e 11 nonché dell’articolo 52, paragrafo 1, della Carta di Nizza, in forza anche dei principi stabiliti dalla stessa CGUE nella sentenza del 2 Marzo 2021 nella causa C-746/18, debba essere interpretato nel senso che esso osta a una normativa nazionale, prevista dall’articolo 132, comma 3 del decreto legislativo n. 196/ 2003, letto alla luce della art. 267, comma 2, codice di procedura penale, la quale consenta al pubblico ministero, in casi di urgenza, l’immediata acquisizione dei dati del traffico telefonico con successivo vaglio controllo del giudice procedente”

In via preliminare il giudice remittente afferma di non dubitare dell’efficacia extra processuale delle sentenze rese dalla Corte di giustizia e neppure manifesta incertezze con riferimento alla tendenziale applicazione retroattiva (salve limitate eccezioni) e delle pronunce interpretative della giurisprudenza dell’Unione.

Le ragioni che, tuttavia, il collegio individua a fondamento della richiesta di ulteriori chiarimenti da parte del giudice europeo si fondano, in primo luogo, sulla asserita diversità tra la figura del pubblico ministero estone e quello italiano che, si afferma, è assistito da numerose garanzie di autonomia e indipendenza già nella fase genetica dell’immissione nell’incarico e non solo nell’esercizio della funzione.

Sostiene in secondo luogo,  la Corte il che nel procedimento italiano l’obbligo di motivazione da parte del PM del decreto di acquisizione “non può non seguire un vaglio dinanzi al giudice, nel pieno contraddittorio tra le parti: è cioè il giudice, a norma dell’articolo 495 codice di procedura penale, che ammette le prove  solo dopo aver sentito le parti, che hanno prima facoltà di esaminare i documenti prodotti, consentendo così alle ‹‹persone sospettate di atti di criminalità›› di ‹‹svolgere efficacemente le proprie osservazioni in merito alle informazioni agli elementi di prova suddetti››, elementi che dunque solo attraverso tale vaglio diventano patrimonio conoscitivo del giudice ai fini della decisione della causa e sono suscettibili di trattazione in udienza pubblica con eventuale divulgazione dei dati sensibili.”

Si individua, dunque, il momento della ammissione delle prove come controllo giurisdizionale ex post, volto anche alla tutela del principio di effettività richiamato dalla decisione della Corte di Giustizia.

Il provvedimento evidenzia anche “un concreto rischio di “paralisi” delle indagini penali e un serio ostacolo tanto l’accertamento e contrasto delle ‹‹forme gravi di criminalità›› quanto la ‹‹prevenzione di gravi minacce per la sicurezza pubblica››, quali contro interessi, individuati proprio dalla CGUE, che legittimino la limitazione del diritto alla privacy del singolo”.

Infine, la Corte “in aggiunta a tale carenza di coordinate procedurali e intertemporali non desumibili dalla sentenza della CGUE, in attesa di un’eventuale intervento del legislatore nazionale in materia” ritiene opportuno interrogarsi sulla possibilità di acquisizione d’urgenza dei tabulati, da parte del pubblico ministero in casi eccezionali, ferma la successiva e tempestiva convalida da parte del giudice, come accade in tema di intercettazioni telefoniche.

In conclusione il collegio di Rieti invoca un percorso certamente eccezionale volto a limitare la possibilità degli interessati di far valere la disposizione così interpretata per rimettere in questione pregressi rapporti giuridici.

Il tema è quello di modulare gli effetti della sentenza in chiave irretroattiva al fine di non pregiudicare fondamentali esigenze di certezza del diritto e “certezza investigativa”, limitatamente ai giudizi pendenti.  Anche in questo caso si invoca un auspicabile intervento del legislatore nazionale volto ad uniformare la legislazione a quella in tema di intercettazioni telefoniche.

Come emerge dalla sintetica disamina, l’argomento si presta a interpretazioni contrastanti e presenta questioni interpretative complesse.

I punti più dibattuti sono relativi alla figura e funzione del pubblico ministero italiano; l’individuazione del soggetto terzo preposto all’autorizzazione; la definizione dei reati per i quali è consentita l’acquisizione dei tabulati; trapela anche una certa inquietudine per la sorte delle indagini in corso; si invoca, pertanto, l’intervento del legislatore, con l’inespresso auspicio, forse, di una norma intertemporale che precluda l’applicazione retroattiva.

Allo stato non risulta che alcun giudice abbia ritenuto di investire della questione la Corte costituzionale.

[1] Direttiva 2002/58/CE del Parlamento e Consiglio europeo del 12 luglio 2002 (GU 2002, L. 201) come modificata dalla direttiva 2009/136/CE del Parlamento europeo e del Consiglio europeo del 25 novembre 2009 (GU 2009, L 337)

[2] In relazione agli articoli 7, 8 e 11 nonché 52 par. 1 della Carta dei diritti fondamentali dell’Unione europea

[3] Vds. art. 132 comma 3 d. lgs. N 196/2003, come modificato da d. lgsl. 101/2018 (GU 2018, n. 205) – Codice Privacy

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